Quarantaquattresimo notiziario settimanale di lunedì 25 settembre 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
Vorrei farvi riflettere sulla propaganda di guerra di cui in Italia siete tutti vittime. La controffensiva ucraina avanza, date armi e soldi agli ucraini. I russi bombardano gli ucraini, date armi e soldi agli ucraini. Distrutto il quartier generale della flotta russa sul Mar Nero, morti in Crimea tre generali di Mosca. Salvo poi ammettere che due sono ancora vivi, ma intanto il titolo è andato. Noi però vi diamo qualche notizia diversa, che non leggerete altrove.
Odessa: una serie di attacchi a strutture nel porto marittimo. Un deposito nel quartiere Suvorovskij della città. Colpite le officine di riparazione navale dove venivano prodotti droni marini. Bruciato un albergo, non si sa ancora se a causa di un attacco mirato o per opera della difesa aerea ucraina, ma si dice che fosse utilizzato come quartier generale delle forze armate ucraine. Kotovskij, almeno 3 colpi. Porto Il’ičëvsk, nuovi attacchi alle infrastrutture. Un grande deposito di munizioni delle Forze Armate ucraine è stato fatto saltare in aria vicino al confine con la Transnistria. Colpito un deposito di munizioni missilistiche per aerei presso l’aeroporto di Dolgincevo vicino a Krivoj Rog. Viceversa, la difesa aerea russa è scattata con successo nelle regioni di Sebastopoli, Tula, Kursk e Brjansk. Tutte queste sono solo le notizie di oggi, della notte fra domenica e lunedì, ma potrebbe riferirsi a ieri, ieri l’altro, una settimana fa, un mese fa, è così tutti i santi giorni, e nessuno ve lo dice.
Una curiosa coincidenza: alla vigilia dell’Assemblea Generale, il New York Times ha fatto esplodere una vera e propria bomba informativa, per la quale Zelenskij si è arrabbiato di brutto. Una squadra di sei giornalisti ha condotto un’indagine sull'attacco missilistico sul mercato della città di Konstantinovka il 6 settembre. Zelenskij aveva immediatamente incolpato la Russia di tutto, per poi ripeterlo più di una volta. I giornalisti sono ora giunti alla conclusione che l’attacco, costato la vita a 15 civili, è stato compiuto dalle forze armate ucraine. E sì che Zelenskij disse: “A Konstantinovka, nella regione di Doneck, dopo gli attacchi dei terroristi russi, più di 30 persone sono rimaste ferite, 16 sono state uccise. L’attacco è stato ad un semplice mercato, ai negozi, alla farmacia. Sono stato a Konstantinovka molte volte con la mia squadra, e chi conosce questo posto, sa bene che si tratta di un sito civile”.
Ecco invece a quali conclusioni sono giunti i giornalisti del New York Times, che hanno visitato non solo il luogo della tragedia, ma anche il villaggio di Družkovka, da dove è stato lanciato il missile, e hanno parlato con testimoni oculari ed esperti militari: “I materiali raccolti e analizzati dai giornalisti del New York Times, tra cui frammenti di missili, immagini satellitari, resoconti di testimoni oculari e post sui social media suggeriscono fortemente che il catastrofico attacco al mercato di Konstantinovka sia stato il risultato di un lancio errato di un missile di difesa aerea ucraino da un sistema missilistico Buk. Il filmato è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza e mostra l’atterraggio del missile a Konstantinovka dal lato del territorio sotto il controllo delle forze armate ucraine e non dal lato delle posizioni russe. Nel momento in cui si è udito il rumore di un missile in avvicinamento, quattro pedoni hanno voltato contemporaneamente la testa verso il rumore in avvicinamento. Hanno guardato nella telecamera e i loro volti erano rivolti verso il territorio controllato dall’Ucraina. Qualche istante prima dell’impatto, il riflesso del missile ha balenato sui tetti delle auto parcheggiate mentre sorvolava loro, indicando che proveniva da nord-ovest”.
I giornalisti hanno anche raccolto con cura i frammenti del razzo esploso a Konstantinovka. “Dopo l'incidente del razzo a Konstantinovka, le autorità ucraine hanno affermato che le truppe russe utilizzavano il sistema di difesa aerea S-300. Ma la testata del missile S-300 è diversa da quella esplosa a Konstantinovka. Le dimensioni dei fori e dei frammenti trovati sul luogo dell’impatto corrispondono a una sola arma: il missile 9M38, lanciato da un cannone antiaereo mobile Buk. Sia la Russia che l’Ucraina sono note per utilizzare sistemi Buk. Diversi testimoni oculari hanno sentito o visto il lancio militare terra-aria dell’esercito ucraino di missili da Družkovka verso Konstantinovka nel momento dell’impatto sul mercato. Le prove raccolte sul mercato mostrano che il missile proveniva da lì", osserva il New York Times.
Beh, che dire… Complimenti ai giornalisti del New York Times, solo che la storia dell’attacco delle forze armate ucraine a Konstantinovka non è un caso isolato, ma un modello di comportamento ucraino quando viene sferrato un colpo alle infrastrutture civili, e poi la Russia viene incolpata di tutto. Ecco solo alcuni esempi di provocazioni ucraine che anche i giornalisti americani dovrebbero esaminare.
Il 4 aprile 2022, i media occidentali, come se avessero ricevuto un segnale, sono usciti con i titoli: “Incubo a Buča”, “Genocidio”, “La Russia deve rispondere di questo”. Dopo che l’esercito russo lasciò la città di Buča, fu accusato di omicidio di massa di civili. L’Ucraina ha diffuso un filmato che mostra i corpi delle persone uccise che giacciono sul ciglio della strada. I media occidentali hanno ripreso la notizia falsa. Cominciarono a portare ospiti stranieri di alto rango a Buča, a deporre fiori e a tenere discorsi. Nessuno si è preso la briga di studiare il filmato e confrontare i fatti. Ci sono molte incoerenze. Lo stesso filmato delle forze armate ucraine mostra che un corpo senza vita di Buča ritrae improvvisamente la mano. E nella dichiarazione del sindaco ucraino di Buča, giorni prima, secondo cui le truppe russe avevano lasciato la città, non c’era una parola sull’enorme numero di vittime. Le “vittime” sono apparse per le strade di Buča solo dopo l’ingresso dei militari ucraini. In Occidente nessuno ha cercato di indagare.
L’8 aprile 2022, le truppe ucraine hanno attaccato Kramatorsk. I detriti di un razzo caddero vicino alla stazione ferroviaria: morirono 50 persone e 87 rimasero ferite. E ancora una volta hanno incolpato la Russia. Nessuno ha prestato attenzione al fatto che i detriti provenivano dal missile tattico Tochka-U, in servizio solo presso l’esercito ucraino.
L’estate scorsa, le forze armate ucraine hanno effettuato brutali attacchi alla centrale nucleare di Zaporož’e, che era sotto il controllo dell’esercito russo. Sono stati accusati di questi attacchi sempre i russi. L’assurdità delle dichiarazioni non ha infastidito né Zelenskij né i media occidentali. Perfino il capo dell'AIEA, Rafael Grossi, e i suoi subordinati alla centrale non hanno trovato il coraggio di ammettere che questa era opera dell’Ucraina.
Quando nell’ottobre 2022 un razzo cadde su un ponte di vetro a Kiev, chiamato anche “ponte Kličko” dal nome del pugile suonato sindaco della capitale, la colpa fu di nuovo della Russia. In realtà, il ponte è stato bombardato da un missile ucraino del sistema di difesa aerea.
Il 6 giugno 2023 è stata fatta saltare in aria la diga della centrale idroelettrica Kachovskaja, che era sotto il controllo russo quasi fin dall’inizio dell’operazione speciale. 52 persone sono morte. Migliaia di ettari di terreno coltivabile, decine di centri abitati sono finiti sott’acqua. E ancora, la colpa di tutto è la Russia, dicono, sono stati i militari russi a piazzare gli esplosivi e a far saltare in aria la diga. Nessuna incongruenza.
Anche la caduta di un missile guidato dal sistema di difesa aerea ucraino sulla Chiesa della Trasfigurazione a Odessa il 23 luglio è stata immediatamente attribuita ai malvagi russi.
Di esempi di provocazioni ucraine e false accuse contro la Russia se ne possono fornire all’infinito. Ma se i giornalisti del New York Times esaminassero con la stessa scrupolosità gli esempi che abbiamo citato, la reputazione del giornale cambierebbe radicalmente. In meglio.
I connazionali, i diplomatici russi e gli esponenti dell’opinione pubblica devono convincere insieme l’Italia ad abbandonare la sua politica ostile nei confronti della Federazione Russa, ha dichiarato l’ambasciatore russo a Roma Aleksej Paramonov.
Domenica il diplomatico è intervenuto all’apertura della quindicesima conferenza del Consiglio di coordinamento delle associazioni dei compatrioti russi in Italia, che si è svolta presso la Casa Russa nella capitale italiana.
Paramonov ha sottolineato che, nel contesto dell’aggressione scatenata dai Paesi dell’occidente collettivo contro la Russia, una delle tradizionali priorità della politica estera russa – il sostegno ai connazionali che vivono all’estero, la difesa dei loro diritti e interessi legittimi – sta diventando ancora più importante.
Secondo lui, questa politica corre come un filo rosso attraverso le attività di tutte le istituzioni straniere russe, e “la preoccupazione per il benessere dei cittadini è stata e rimane la pietra angolare delle attività di politica estera della Russia”.
L’ambasciatore ha osservato che le relazioni italo-russe stanno attraversando uno dei periodi più drammatici in cui, nonostante le secolari tradizioni di cooperazione basata su interessi reciproci, la leadership italiana “ha intrapreso una strada convinta verso la progressiva distruzione del ricco capitale di interazione che siamo riusciti a costruire grazie a molti anni di minuzioso lavoro”.
“E’ ovvio che questa linea venga seguita rigorosamente in tutti i settori. La parte italiana ha vietato a tutti i soggetti di diritto italiano, in particolare agli enti governativi e alle istituzioni a partecipazione statale, di realizzare qualsiasi evento culturale, umanitario e scientifico congiunto con la Russia, e ha congelato tutti i fondi rilevanti e i fondi di cui disponevano le autorità locali”, ha detto Paramonov. Allo stesso tempo, ha aggiunto, “non è esclusa la possibilità” di organizzare tali eventi da parte di associazioni di connazionali russi.
Questa politica, ha detto l’ambasciatore russo, si riflette nella copertura della situazione da parte dei media, una parte significativa dei quali riprende semplicemente “la propaganda ucraina o quella sviluppata nelle strutture anglosassoni”.
Paramonov ha sottolineato che i cittadini russi nell’Appennino in generale non sono costretti ad affrontare manifestazioni di aperta russofobia e discriminazione basata sulla nazionalità.
“Questa è anche la prova che il profondo popolo italiano non percepisce realmente la propaganda e la persistente linea di demonizzazione della Russia, portata avanti con la consapevolezza dell’establishment da molti media”, ha detto il diplomatico.
“La conclusione e la risposta più importante che si può formulare nelle condizioni odierne è che sono necessarie unità, coesione e l’uso di tutti gli strumenti di influenza disponibili sulle autorità italiane. Tutti insieme noi: connazionali, opinion leader in Italia e Russia, ambasciate e consolati – devono convincere i nostri interlocutori italiani a ritornare al buon senso (del resto, questo è ciò che da sempre distingueva l’Italia) – e abbandonare la loro politica ostile nei confronti della Russia”, ha concluso l’ambasciatore.
Storia
Il 20 settembre 1744 è nato un architetto russo. Perché dico “russo” e cosa c’entra l’Italia? Beh, è nato a Bergamo, e si chiamava Giacomo Quarenghi. Ma allora perché “russo”? La maggior parte delle sue opere sono sopravvissute fino ad oggi, ed ora ve le racconto. Parliamoci chiaro: non era esattamente un adone, ma conquistava per la sua genialità. Di lui si diceva che era “riconoscibilissimo per l’enorme cipolla bluastra che la natura gli aveva incollato sul viso al posto del naso”.
Tra le sue opere più rinomate, c’è l’Istituto Smol’nyj, del 1806, cioè “il luogo della pece”, perché, alle origini di San Pietroburgo, questo era il luogo ai margini della città dove la pece (smola in russo) era prodotta per l’impiego nella costruzione e la manutenzione delle navi. Era adibito a istituto per l’Educazione delle Nobili Fanciulle, fondato con un decreto di Caterina la Grande nel 1764. Tra l’altro, nota di colore, vi aveva studiato anche Elena del Montenegro, futura regina d’Italia, moglie di Vittorio Emanuele III, soprannominata in Italia “la gigantessa slava”: era alta un metro e ottanta per 75 chili. Nel 1917 l’edificio venne scelto da Vladimir Lenin come quartier generale dei Bolscevichi durante la Rivoluzione d’ottobre. Fu la residenza di Lenin per diversi mesi, fino a quando il governo nazionale venne spostato al Cremlino di Mosca. Successivamente, lo Smol’nyj divenne la sede pietroburghese del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Qui fu assassinato Sergej Kirov nel 1934. Dopo il 1991, il palazzo è stato utilizzato come sede del sindaco (governatore dopo il 1996) e dell’amministrazione della città. Vladimir Putin vi ha lavorato dal 1991 al 1997, mentre era in carica Anatolij Sobčak.
Altro suo edificio, l’Istituto di Caterina sulla Fontanka, omonima sede della Scuola di San Pietroburgo dell’Ordine di Santa Caterina, 1798, e cioè dell’Istituto delle Nobili Fanciulle, da non confondersi con lo Smol’nyj, fondata dall’imperatrice Marija Fëdorovna, nata Sofia Dorotea di Württemberg a Stettino, dove peraltro era nata anni prima anche Caterina II.
Altro edificio, il Palazzo Alessandro di Carskoe Selo, l’attuale Puškin, non lontano da Pietroburgo, 1792, residenza preferita dell’ultimo zar Nicola II. Durante il regno di quest’ultimo, siamo agli inizi del secolo scorso, il palazzo venne cablato per portarvi l’elettricità e venne dotato di un sistema telefonico; nel 1899 fu installato un ascensore idraulico che collegava gli appartamenti dell’Imperatrice con le stanze delle granduchesse e dello zarevič (del principino) al secondo piano. In seguito, con il diffondersi del cinema, venne anche costruita una cabina per la proiezione di film nella Sala Semicircolare.
Il Palazzo inglese a Peterhof, commissionato sempre da Caterina II nel 1781, la prima costruzione di Quarenghi in Russia. Nel 1885 vi si svolse un concerto di Rubinštejn. Purtroppo, raso al suolo dall’artiglieria nazista nel 1942.
Il Maneggio delle guardie a cavallo, 1805. Verso la fine della costruzione Quarenghi ordinò in Italia copie più piccole delle antiche sculture in marmo dei Dioscuri che si trovano di fronte al Palazzo del Quirinale. Dopo la costruzione della Cattedrale di Sant’Isacco, il clero chiese che le figure di divinità pagane nude in piedi accanto ad essa fossero rimosse, e per un po’ fu effettivamente così. Danneggiato dagli immancabili nazisti, dopo un restauro strutturale in stile Quarenghiano, dal 1977 è sede di numerose esposizioni.
E poi tantissime altre costruzioni “minori”, si fa per dire. Per esempio, la Cappella dei Cavalieri di Malta, opera che gli valse nel 1800 la nomina a Cavaliere di Giustizia del medesimo Ordine. Già quanto narrato sin qui dovrebbe essere sufficiente per rispondere alla domanda iniziale: Quarenghi era russo “de facto”. Invece, lo era anche “de iure”. Mi spiego.Nell’autunno del 1810 Quarenghi fece finalmente ritorno alla natia Bergamo, che non vedeva dal 1794. Scortato dai compaesani in festa, gli fu riservata l’accoglienza di un eroe: il Sindaco arrivò perfino ad appendere nel salone municipale un suo ritratto, nella galleria riservata ai bergamaschi più illustri. Per l’occasione, gli venne commissionato un arco trionfale in onore di Napoleone Bonaparte da erigere presso Colognola: l’opera, seppur avviata, verrà lasciata incompleta e poi demolita con il mutare delle circostanze politiche. Quarenghi ritornò a San Pietroburgo nel novembre del 1811. Anche in questi anni lavorò intensamente: speciale menzione merita l’arco di trionfo di Narva, eretto per glorificare la vittoria dell’esercito russo sulle milizie napoleoniche. Poco prima della sua campagna in Russia, Napoleone aveva ordinato a tutti gli italiani in servizio presso la corte degli zar di tornare in Italia. Tuttavia, Quarenghi rifiutò e fu condannato a morte in contumacia. Per tutta risposta, l’architetto, che era cittadino della Repubblica di Venezia, ha accettato la cittadinanza russa.
Editoriale
Oggi siamo proprio pervasi dalla storia. A partire dal 1806, un appezzamento nel vicolo Denežnyj di Mosca apparteneva a Ekaterina Zotova, moglie del conte Zotov. C’era una casa padronale in legno a un piano e dietro c’era un ampio giardino. Questo edificio andò a fuoco durante l’incendio di Mosca del 1812, durante l’invasione napoleonica. Il territorio fu acquistato dal conte Efimovskij, che nel 1817 costruì una casa di legno con due annessi. Poi lo scrittore Zagoskin acquistò questa casa e la possedette fino alla sua morte nel 1852. Molti esponenti della letteratura, dell’arte e della scienza si riunivano nella sua casa.
Alla fine del XIX secolo, l’industriale e milionario Sergej Berg acquistò la proprietà. Decise di demolire il vecchio maniero e al suo posto nel 1897 fu costruito un palazzo in pietra. La villa di Berg è stata una delle prime a Mosca ad essere alimentata con elettricità. In onore dell’inaugurazione della casa dei Berg, al suo interno è stato organizzato il primo “ricevimento elettrico” con illuminazione elettrica. Dal 1918, dopo l’emigrazione di Berg in Svizzera, l’edificio ospitò l’ambasciata dell’Impero tedesco.
Ed ecco la stampa sovietica proprio di quell’anno.
Ordine del Commissario del popolo per gli affari militari
Persone non identificate hanno lanciato una bomba contro l’ambasciata tedesca. L’ambasciatore Mirbach sarebbe gravemente ferito. L’obiettivo esplicito è trascinare la Russia in una guerra con la Germania. Questo obiettivo è perseguito, come è noto, da tutti gli elementi controrivoluzionari: le guardie bianche, i socialisti-rivoluzionari di destra e i loro alleati.
In vista della decisione di ieri del Congresso panrusso, che ha approvato la politica estera del Consiglio dei commissari del popolo, i cospiratori controrivoluzionari hanno deciso di vanificare la decisione del Congresso.
La bomba che hanno lanciato non era diretta tanto contro l’ambasciata tedesca quanto contro il governo sovietico. Ordino agli organi investigativi del Commissariato militare di prendere provvedimenti contro i cospiratori controrivoluzionari, nonché contro i loro autori dell’assassinio.
Dispongo di segnalarmi direttamente l’andamento delle indagini.
“Notizie del Comitato esecutivo centrale pan russo”, Lev Trockij, 7 luglio 1918
Il conte Wilhelm von Mirbach era l’ambasciatore tedesco nella Russia sovietica, fu ucciso a Mosca, a villa Berg, attuale sede dell’ambasciata italiana, in uno dei salotti dell’edificio dell’ambasciata, verso le 15 del 6 luglio 1918. L’origine politica di questo atto terroristico è come segue. Il Congresso panrusso dei socialisti-rivoluzionari di sinistra, riunito a Mosca contemporaneamente al V Congresso dei Soviet, aveva stabilito in merito alla politica estera:
“Infrangere il Trattato di Brest-Litovsk, che è disastroso per la rivoluzione russa e mondiale, in modo rivoluzionario. Il congresso incarica il Comitato centrale del partito di attuare questa risoluzione”.
Quest’ultimo decide di adempiere alla volontà del congresso assassinando Mirbach, mettendo il governo sovietico davanti al fatto compiuto per rompere la pace di Brest. Il Comitato centrale dei socialisti-rivoluzionari di sinistra ha ritenuto che questo atto facesse appello alla solidarietà del proletariato tedesco e delle masse lavoratrici russe. In una riunione del Comitato Centrale la notte del 4 luglio, l’assassinio dell’ambasciatore tedesco è affidato a Jakov Bljumkin e Nikolaj Andreev, volontari personalmente. Entrambi erano membri del partito dei socialisti rivoluzionari di sinistra; il primo ricopriva in quel momento la carica di responsabile del dipartimento della Čeka (la Commissione Straordinaria) per la lotta allo spionaggio, il secondo era un fotografo per lo stesso dipartimento. Per compiere questo atto, Bljumkin utilizza il caso della spia tedesca Conte Robert Mirbach, nipote dell’ambasciatore, che era a sue mani per compiti ufficiali. Bljumkin produce il seguente certificato su carta intestata della Čeka:
“La Čeka per la lotta alla controrivoluzione autorizza il suo membro Jakov Bljumkin e il rappresentante del tribunale rivoluzionario Nikolaj Andreev ad avviare direttamente negoziati con l’ambasciatore tedesco in Russia, il conte M. Mirbach, su una questione che è direttamente correlata all’ambasciatore tedesco medesimo”.
Le firme del presidente della Čeka, il compagno Dzeržinskij, e del segretario Ksenofontov sono state falsificate. Il timbro è stato apposto dal vicepresidente della Commissione, membro del Comitato centrale dei socialisti-rivoluzionari di sinistra Aleksandrovič, che era a conoscenza della preparazione dell’assassinio. Arrivato all’ambasciata, Bljumkin insiste davanti al consigliere dell’ambasciata Kurt Riezler per un incontro personale con Mirbach. Dopo una serie di spiegazioni, Riezler acconsentì e l’ambasciatore si presentò al loro cospetto. Durante una lunga conversazione relativa al caso di cui sopra, Bljumkin ha sparato a bruciapelo contro Mirbach, Riezler e l’interprete, il tenente Leonard Müller, ma Mirbach rimase solo ferito. Andreev poi gli ha lanciato una bomba, che non è esplosa. Bljumkin lanciò la bomba una seconda volta e uccise Mirbach. Dopo aver commesso l’omicidio, Bljumkin e Andreev sono riusciti a malapena a scappare in macchina, poiché le guardie hanno aperto il fuoco su di loro; Bljumkin fu ferito. L’assassinio di Mirbach fu il segnale di una rivolta aperta dei socialisti-rivoluzionari di sinistra a Mosca e nelle province. I dettagli della ribellione sono esposti nei successivi discorsi e ordini di Trockij.
Secondo lo stesso Bljumkin nelle sue memorie, ha ricevuto l’ordine da Spiridonova il 4 luglio. Come sottolinea Richard Pipes, il giorno della rivolta del 6 luglio (secondo il nuovo stile) è stato scelto, tra l’altro, perché questo giorno cadeva nella festa nazionale lettone di San Giovanni (22 giugno, secondo il vecchio stile), che avrebbe dovuto neutralizzare le unità lettoni più fedeli ai bolscevichi.
Durante la conversazione, Andreev sparò all’ambasciatore tedesco. Quindi Bljumkin e Andreev corsero fuori dall’ambasciata e si nascosero in un’auto che li stava aspettando, dopodiché scomparvero nel quartier generale del distaccamento della Čeka sotto il comando del socialista rivoluzionario di sinistra Dmitrij Popov, situato nel centro di Mosca (vicolo Trëchsvjatitel’skij).
I terroristi hanno commesso molti errori: sulla scena hanno dimenticato una valigetta con certificati intestati a Bljumkin e Andreev, inoltre sono sopravvissuti i testimoni dell’omicidio, Riezler e Müller. Oltretutto, nella confusione, hanno persino lasciato i loro cappelli all’ambasciata.
Poco prima della sua morte, il 25 giugno 1918, Mirbach informa il suo capo, il segretario di Stato del ministero degli Esteri tedesco Richard von Kühlmann, della profonda crisi politica del governo bolscevico: “Oggi, dopo più di due mesi di attenta osservazione, non posso più fare una diagnosi favorevole del bolscevismo: noi, senza dubbio, siamo al capezzale di un grave malato; e sebbene possano esserci momenti di apparente miglioramento, alla fine è condannato”. A maggio telegrafò a Berlino che “la Triplice Intesa starebbe spendendo ingenti somme per portare al potere l’ala destra del Partito socialista-rivoluzionario e riprendere la guerra… I marinai sulle navi… sono probabilmente completamente corrotti, poiché così come l’ex reggimento Preobraženskij, scorte di armi… dalla fabbrica di armi nelle mani dei socialisti rivoluzionari”. Il diplomatico tedesco Karl von Bothmer ha anche testimoniato che l’ambasciata tedesca, a partire da metà giugno 1918, ha ricevuto ripetutamente minacce su cui il “servizio di sicurezza bolscevico” ha indagato, ma senza successo.
Poco tempo dopo, nel 1919, a villa Berg venne ospitato il comitato esecutivo centrale dell’Internazionale Comunista. Era quindi frequentata da Lenin, sua moglie Nadežda Krupskaja, Jakov Sverdlov, vi lavoravano Zinov’ev, Trockij, Radek, Bucharin. Dopo il riconoscimento della Russia sovietica da parte italiana, un anno dopo, nel 1924, divenne sede dell’ambasciata d’Italia. All’inizio della seconda guerra mondiale, il palazzo Berg fu affidato alle cure dell’ambasciatore giapponese a Mosca. Nel 1944 furono ripristinate le relazioni diplomatiche e, nel 1949, l’ambasciata italiana tornò a palazzo Berg, dove si trova tuttora.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Anche stavolta l’Italia non c’entra, ma penso che apprezzerete quanto sia struggente questo brano, come quasi solo la Russia sa essere, ed oltretutto è uno spaccato di quella multietnicità del Paese di cui vi parlo molto spesso.
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