Roma, Cimitero del Verano, Tempietto Egizio, 19 giugno 2018
di Dante Bianchi
Ci ritroviamo di nuovo in questo luogo dopo appena otto mesi. Ciò rende ancora più profondo l’abisso del nostro dolore. Ci sentiamo perduti. Facciamo fatica a parlare. Eppure non possiamo rimanere in silenzio. Lo dobbiamo a Flora perché tutti siamo debitori nei suoi confronti per quanto lei ha rappresentato per molti di noi. Figura di riferimento, amica carissima e preziosa su cui poter contare e fare affidamento. E poi Flora fa parte di quelle persone che ti rimangono dentro, ti conquistano per la passione che trasmettono, capace di sedurti per carisma, intelligenza, tratto umano, per la personalità viva e intraprendente. Perciò oggi, credo, inizia un lutto la cui memoria ci accompagnerà tutta la vita.
Dinanzi al suo male abbiamo voluto obbedire ad una legge “primordiale” : il diritto alla speranza, diritto che abbiamo opposto fino alla fine alla scienza medica che di speranza, purtroppo, è stata avara sin dall’inizio. Del resto, come avremmo potuto soffocare, voltare le spalle a questo sentimento, trattandosi del destino di una persona cosi innamorata della vita? Perché Flora, tutti lo sappiamo, amava, era innamorata “pazza” della vita. Un amore, direi di più, una volontà di vita che neanche questi ultimi spaventosi mesi hanno scalfito, testimoniando in prima persona che, anche nella sofferenza, la vita può essere desiderata fino alla fine. Lo ha testimoniato con coraggio unico, ostinazione, dignità, con il sorriso senza mai ripiegarsi, chiudersi su se stessa. Lieve come una piuma ci ha accompagnato per tutto questo tempo, mai rassegnazione nella sua flebile voce di questi ultimi giorni, coerente fino in fondo con gli aspetti e i tratti propri della sua personalità: la grande generosità, la gentilezza, l’ironia e autoironia, l’interesse e l’attenzione sempre viva per le persone a lei care. Per l’amatissimo Dino che, con grande eroismo, fino alla fine ha inondato di premure, anteponendo sempre la salute di Dino alla sua, già così compromessa; per la sua meravigliosa famiglia, che l’ha sostenuta in maniera eccezionale e fatto tutto quello che umanamente poteva essere fatto (tutti i familiari meriterebbero una citazione, mi sia però permesso di riservare una menzione speciale al carissimo Mario); per i numerosissimi amici, alcuni con la qualifica “da sempre” ( si parla di oltre quaranta anni di ininterrotta amicizia) che, fortemente coinvolti emotivamente, le si sono stretti intorno come a volerne moltiplicare le forze, accrescerne la resistenza al male. Ecco perché in questi ultimi tremendi mesi Flora a me è sembrata come un chicco di grano che, pur nella sofferenza della macerazione, ha trovato la forza di germogliare, donare vita, donare speranza.
Di Flora mi ha sempre affascinato il suo modo di vivere e godere della vita, in tutte le sue espressioni, con intensità e leggerezza, con discrezione e fervore, sempre con un dinamismo incontenibile, straripante (Dino ne sapeva qualcosa!). A cominciare dall’amore per la natura, attraverso viaggi esplorativi dell’ambiente e la contemplazione delle sue bellezze: i fiori, le piante, gli animali, mai osservati con lo sguardo freddo dell’esperto, ma sempre con rinnovato stupore e grande meraviglia, come momenti ed esperienze di vero benessere interiore (non è una caso che la foto da lei scelta per WhatsApp sia quella di un pinguino). Uno spiccato interesse e curiosità per qualsiasi forma ed espressione artistica e culturale: la musica, in particolare quella operistica, il teatro, il cinema, la pittura, la lettura; e poi sempre così attiva nel promuovere e farsi carico di momenti di aggregazione e socialità per condividere, certo la passione per il gioco ma anche i suoi “benefìci” culinari che sapeva dispensare con allegra disinvoltura, facendo gustare piatti preparati sempre con un tocco ed elaborazione personale. Pure i pranzetti preparati all’impronta (quelli che preparava a Dino e a me) erano sempre “conditi” di sorprendente originalità.
Ma tutto questo non poteva bastarle. Per le sue esigenze di vita, per la sua visione, Flora aveva bisogno di un orizzonte ben più ampio, che andasse al di là, che non fosse limitato alla pura e semplice ricerca del benessere personale. Per Flora amare la vita ha significato così assumerne la piena responsabilità, tenere sempre aperto lo sguardo sul mondo, partecipare consapevolmente alla vita civile, attraverso scelte che hanno rappresentato e sono state espressione di cittadinanza attiva e combattiva. Aveva la consapevolezza che la storia non è solo il prodotto di un’azione collettiva, ma anche il frutto di un lavoro personale e quotidiano fatto di piccoli passi e gesti simbolici, gesti che lei ha posto in essere con spìrito autonomo e ìndipendente. Penso alle sue lettere dì protesta, all’azione dimostrativa per salvare i platani di via Sannio dallo scempio del loro abbattimento.
L’impegno civile di Flora viene da lontano, risale ai primi anni ’70 e molti di noi, oggi presenti, l’hanno condiviso con lei. E qui il mio pensiero va al nostro caro e comune amico Gerardo, anche lui purtroppo scomparso prematuramente. Questo impegno ci portava ad inseguire, forse ingenuamente, vista anche la nostra giovane età, un mondo più giusto e solidale. Si lottava per allargare ed estendere i diritti delle persone, specialmente quelli con una più accentuata connotazione sociale (l’istruzione, il lavoro, la salute, la condizione femminile), per ridurre le disuguaglianze, offrire a tutti, attraverso l’accesso alla formazione e alla conoscenza, le stesse opportunità di crescita e affermazione sociale. Da qui, un particolare, il suo impegno, quasi una missione, per un’istruzione diffusa, una scuola inclusiva che potesse aiutare realmente a rimuovere le differenze culturali e sociali di partenza, una scuola più democratica nella struttura, più rinnovata nei contenuti. Mi vengono in mente le tante battaglie portate avanti con confronti appassionati e dialettici per la piena attuazione dei Decreti Delegati che pure noi, a quell’epoca, non avevamo certo accolto con particolare entusiasmo. Questo lavoro di valorizzazione dell’istituzione scolastica, Flora lo ha continuato con la stessa convinzione, rigore ed intelligenza nel suo ruolo di dirigente scolastico.
Insomma, cara Flora, non ci piaceva lo stato delle cose, aspiravamo a cambiare la società e questa utopia sono orgoglioso di averla condivisa con te. Cosa resta? I nostri sogni sono stati sconfitti? Di fronte alla società odierna pervasa da tanto esasperato individualismo, così diseguale, sembrerebbe di sì. Eppure tu eri convinta – e noi con te – e ce lo siamo detto anche di recente nelle nostre innumerevoli e appassionate chiacchierate, che le scelte di allora, e non per superbia intellettuale, furono quelle di stare dalla parte giusta della storia, e che ancora oggi, se si vuole provare ad alimentare un barlume di speranza nel cambiamento in questo attuale, tenebroso e crudele clima di esclusione e intolleranza, bisognerebbe richiamarsi e restituire splendore proprio a quei valori che hanno cullato i nostri sogni.
Cara Flora, avere conosciuto te, e grazie a te Dino, è stato un grandissimo privilegio. Per la tua passione civile, l’entusiasmo e la grinta che mettevi nelle cose in cui credevi, nonché - voglio aggiungere - per l’immagine serena ed accattivante, dai tratti quasi adolescenziali, del tuo volto che hai voluto stampare in questi due giorni nelle nostre menti, insomma per tutta l’eredità che ci lasci, in te, ciascuno di noi, ha una stella in più cui guardare. Ecco perché tu non uscirai dalle nostre vite, da oggi sarai solo invisibile e quando i tuoi occhi pieni di luce incontreranno e si poseranno sui nostri occhi smarriti, pieni di nostalgia e malinconia – e oggi tanto pieni di lacrime – sono sicuro sapranno trasformare la tua assenza in un tenerissimo ricordo e incomparabile vicinanza.