Mark Bernardini

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venerdì 2 agosto 2024

20240802 Звезда Zvezda

Урсула Фон Дер Ляйен – это значит, что та политическая повестка, к которой мы привыкли за последние два и за последние пять лет, то есть с предыдущих евровыборов, продолжится абсолютно в том же русле.

До тех пор, пока там ничего не произойдет, не бабахнет, скажем так, в переносном смысле – ничего не изменится, Европейский Союз продолжит кормить Украину.

На самом деле, для судеб мирового масштаба, гораздо важнее кто будет кандидатом от Демократической Партии, но американцы предпочитают обращать внимание, если вдруг у Байдена появится фурункул, это будет гораздо важнее, чем кто будет его преемником.

Ursula Von Der Leyen vuol dire che l’agenda politica alla quale ci siamo abituati negli ultimi due e cinque anni, cioè dalle precedenti elezioni europee, continuerà assolutamente nella stessa direzione.

Fino a quando non succederà qualcosa di irreparabile, in senso figurato, non cambierà nulla, l’Unione Europea continuerà a nutrire l’Ucraina.

In effetti, per le sorti globali, è molto più importante chi sarà il candidato del Partito Democratico, ma gli americani preferiscono prestare attenzione se a Biden improvvisamente gli dovesse spuntare un foruncolo, sarà molto più importante di chi sarà il suo successore.

lunedì 29 luglio 2024

088 Italiani di Russia

Ottantottesimo notiziario settimanale di lunedì 29 luglio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, merita un premio Nobel per la medicina, dopo aver scoperto il metodo più veloce per curare il covid. La cura rivoluzionaria si chiama “ritiro dalla corsa elettorale”.

Biden era risultato positivo al covid giovedì 18 luglio. La notizia è stata subito interpretata dai media statunitensi e internazionali come “motivo plausibile”, volto a permettere a Biden di mettere la parola “fine” alla propria disastrosa campagna elettorale. Infatti due giorni più tardi, domenica 21 luglio, Biden ha annunciato il ritiro della propria candidatura e ha subito appoggiato quella del vicepresidente, Kamala Harris.

E martedì 23 luglio il medico della Casa Bianca, Kevin O’Connor, ha solennemente annunciato che il “presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, non è più positivo al covid”. In pochissimo tempo i sintomi di Biden si sono risolti miracolosamente, il covid “politico” non c’è più e le sue condizioni di salute sono rientrate nella norma.

Fate caso alla cronologia di questi ultimi giorni sull’Alaska.

22 luglio. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti intende condurre esercitazioni militari nell’Artico in modo indipendente e insieme agli alleati di Washington per dimostrare la sua capacità di combattimento e interoperabilità, afferma la strategia artica aggiornata del Pentagono.

“Essere presenti nell’Artico, conducendo esercitazioni sia in modo indipendente che congiuntamente con alleati e partner per dimostrare l’interoperabilità e la solida capacità di combattimento complessiva, supportando la difesa nazionale e le operazioni di proiezione della potenza globale”, afferma il documento.

Inoltre, gli Stati Uniti intendono cooperare con i loro partner e alleati nell’Artico, nonché con le società industriali e le tribù locali dell’Alaska, afferma la strategia artica aggiornata del Pentagono.

“Lavorare con i nostri alleati e partner, le autorità federali, statali e locali, le tribù e le comunità dell’Alaska e l’industria per rafforzare la deterrenza integrata e migliorare la sicurezza condivisa”, afferma il documento.

23 luglio. Il Pentagono, in particolare, esprime preoccupazione per le crescenti capacità della Russia nella regione, che, come si legge nel testo, “rappresentano potenzialmente una minaccia per il territorio degli Stati Uniti e dei loro alleati”. Questa strategia tiene conto, dei cambiamenti geopolitici e geofisici. Cioè, per la prima volta comincia a prendere in considerazione il riscaldamento nell’Artico. Il secondo punto è che ora tutti i cosiddetti paesi circumpolari, ad eccezione della Russia, sono diventati membri della NATO, comprese Svezia e Finlandia. Su questa base si sta costruendo la strategia. Se prima, nella strategia precedente, si diceva che avrebbero monitorato la situazione nell’Artico, ora hanno scritto che non stanno solo monitorando, ma stanno contrastando tutte le aree di attività russa nell’Artico, che considereranno ostili per se stessi. Il cambiamento climatico influenza l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della rotta del Mare del Nord.

Diciamo che il Mare di Barents e lo Stretto di Bering stanno diventando più liberi per la navigazione. Naturalmente, gli Stati Uniti affermano di non tenere conto, di non considerare importante la priorità della Russia rispetto alla rotta del Mare del Nord. Dobbiamo anche tenere conto dell’Ice Pact concluso da Finlandia, Canada e Stati Uniti, che prevede grandi investimenti nella costruzione di una flotta di rompighiaccio.

E poi c’è il rafforzamento dei gruppi NATO nella Finlandia settentrionale e in Alaska. La regione artica è concettualmente una priorità per l’Alleanza del Nord Atlantico e per il suo principale beneficiario, Washington, con l’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO. Il raggruppamento nella Finlandia settentrionale viene rafforzato: l’addestramento delle forze speciali Utti e l’acquisto di Caccia F-35 Lightning. Sul lato dell’Alaska, viene creata una nuova ala aerea con caccia F-35 Lightning e F-22 Raptor e, naturalmente, la componente aviotrasportata. Stanno rafforzando questo gruppo con l’aviazione dell’esercito e le divisioni di fanteria vengono riqualificate come unità aviotrasportate per indebolire la Russia. Gli Stati Uniti sperano di controllare la regione attraverso la quale passa la rotta del Mare del Nord.

Questa regione è interessante anche per loro perché non riconoscono la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 e considerano la rotta del Mare del Nord come extraterritoriale. E questo suggerisce che faranno ogni sforzo per garantire che se la Russia si indebolisse, loro possano controllare questa regione. Naturalmente, questi sono progetti irrealistici, perché negli ultimi 12 anni un potente gruppo di forze e mezzi della flotta russa è stato creato nell’Artico e ci sono basi permanenti negli arcipelaghi che non consentono alla NATO e a Washington di realizzare i loro piani aggressivi.

24 luglio. Due bombardieri russi e due cinesi sono volati nello spazio aereo internazionale vicino all’Alaska, ha detto il North American Air Defense Command (NORAD). Il NORAD ha rilevato, tracciato e intercettato due aerei russi Tu-95 e due aerei militari cinesi H-6 che operavano all’interno della zona di identificazione della difesa aerea dell’Alaska, ha affermato il NORAD in una dichiarazione sul sito del social network X.

Come ha sottolineato il Comando, i bombardieri russi e cinesi “sono rimasti nello spazio aereo internazionale e non sono entrati nello spazio aereo sovrano del Canada o degli Stati Uniti”.

Gli aerei russi e cinesi hanno ripetutamente effettuato pattugliamenti congiunti. A maggio, a seguito della visita a Pechino di Vladimir Putin, è stata rilasciata una dichiarazione congiunta in cui si affermava, in particolare, l’intenzione dei due Paesi di approfondire la cooperazione in campo militare, ampliare la portata delle esercitazioni congiunte e dell’addestramento al combattimento.

Il Ministero della Difesa russo ha ripetutamente indicato che gli aerei russi volano nel rigoroso rispetto delle regole internazionali per l’uso dello spazio aereo su acque neutre, senza attraversare rotte aeree o avvicinarsi pericolosamente ad aerei di uno Stato straniero.

25 luglio. Il Ministero della Difesa russo ha riferito che i vettori missilistici strategici Tu-95MS e i bombardieri cinesi hanno condotto pattugliamenti congiunti sulle acque dei mari di Čukči, di Bering e dell’Oceano Pacifico settentrionale. Il dipartimento ha sottolineato che nello svolgimento degli obiettivi gli aerei di entrambi i Paesi hanno agito in conformità con le disposizioni del diritto internazionale e non hanno violato lo spazio aereo di altri Stati. Inoltre, il pattugliamento non è stato diretto contro terzi e si è svolto in conformità con il piano annuale di cooperazione tra gli eserciti dei due Paesi, ha concluso il ministero.

26 luglio. Il Pentagono è allarmato dai dati sui bombardieri russi e cinesi che pattugliano il mare di Bering al largo delle coste dell’Alaska, ha detto il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin, come riportato dall’Associated Press. “Questi rapporti tra Mosca e Pechino ci preoccupano costantemente”, ha detto.

L’articolo rileva inoltre che questa è stata la prima volta nella storia che i bombardieri cinesi hanno volato all’interno della zona di identificazione della difesa aerea dell’Alaska e che gli aerei dei due Paesi sono decollati dalla stessa base nel nord-est della Russia.

Alcuni spettatori mi hanno chiesto in settimana, preoccupati, se fosse vero che Lavrov fosse in fin di vita. Mentre me lo chiedevano, io lo stavo guardando in diretta, sottolineo in diretta, all’incontro a Mosca con le ONG russe, che ho poi tradotto in simultanea per Visione TV. Subito dopo, è partito alla volta di Ventiane, nel Laos, per il vertice dei ministri degli esteri dell’ASEAN. Lavrov li ha incontrati praticamente tutti, ed erano decine, ma di questo i media italiani non hanno proferito verbo.

A margine, si è svolto un incontro tra lui e il suo omologo cinese Wang Yi. Le parti hanno molto apprezzato lo sviluppo del dialogo politico e l’interazione pratica tra Russia e Cina in un contesto di crescente turbolenza nel sistema mondiale. Particolare attenzione è stata rivolta ai progressi nell’attuazione degli accordi raggiunti a seguito del vertice di Pechino del maggio di quest’anno.

I ministri hanno discusso in dettaglio le questioni della cooperazione all’interno dell’ASEAN nel contesto dell’intensificazione delle attività di singoli Paesi per creare meccanismi politico-militari a blocco ristretto volti a minare il sistema incentrato sull’ASEAN per il mantenimento della sicurezza e della stabilità nella regione Asia-Pacifico. Hanno molto apprezzato il nuovo formato di interazione “Presidenza Russia – Cina + ASEAN”, il cui incontro inaugurale con la partecipazione della parte laotiana si è svolto a Vientiane il 25 luglio. E’ stata espressa la speranza per un ulteriore rafforzamento di questa piattaforma di dialogo nell’interesse dello sviluppo della cooperazione nello spazio ASEAN.

Sergej Lavrov e Wang Yi hanno sottolineato l’importanza di rafforzare il coordinamento della politica estera tra Mosca e Pechino su varie piattaforme internazionali, tra cui l’ONU, la OCS, l’APEC, il G20 e altri formati. Il ministro russo ha espresso gratitudine alla parte cinese per aver sostenuto la presidenza russa nei BRICS e ha confermato la disponibilità di Mosca ad assistere Pechino nel suo “avvicendamento” alla presidenza nella OCS. Sergej Lavrov e Wang Yi hanno discusso le prospettive di attuazione del concetto avviato dalla parte russa di creare una nuova architettura di sicurezza in Eurasia in un contesto di stagnazione dei meccanismi euro-atlantici.

Il capo del Ministero degli Esteri russo ha espresso gratitudine per la posizione equilibrata e coerente sulla crisi ucraina e ha accolto con favore le iniziative di Pechino volte a promuovere approcci che tengano conto degli interessi di tutte le parti coinvolte e implichi l’eliminazione delle cause profonde del conflitto.

La conversazione si è svolta nel modo tradizionalmente confidenziale e costruttivo tipico del partenariato strategico russo-cinese.

Apertura Olimpiadi a Parigi. Sì sì. Senza commenti, da parte mia. Un breve paragone tra Soči nel 2014 e Parigi nel 2024.

Economia

L’Ucraina ricorre all’arma energetica contro i Paesi “filorussi” della UE, il greggio russo crea discordia tra i Ventisette.

Braccio di ferro tra l’Ucraina da una parte, l’Ungheria e la Slovacchia dall’altra, che non ricevono più petrolio dal colosso petrolifero russo Lukoil. Kiev ha letteralmente “chiuso il rubinetto” dell’oleodotto ex sovietico “Družba” (Amicizia) attraverso il quale notevoli quantità di poco costoso greggio russo affluivano alle raffinerie ungheresi e slovacche, lasciando praticamente “a bocca asciutta” i consumatori est-europei.

Le sanzioni ucraine contro Lukoil hanno fatto infuriare i Governi di Budapest e di Bratislava che lunedì 22 luglio hanno inviato alla Commissione europea una lettera di protesta congiunta, firmata dai ministri degli esteri dei due Paesi est-europei e contenente la richiesta di “premere sull’Ucraina affinché ripristini pienamente il transito attraverso il suo territorio del petrolio di Lukoil”. Budapest e Bratislava hanno accusato l’Ucraina di aver violato i termini dell’accordo di associazione alla UE nel quale, “nero su bianco”, Kiev si impegnava a non impedire il transito di energia sul suo territorio.

L’Ungheria e la Slovacchia non hanno sbocchi sul mare e insieme alla Repubblica Ceca, erano stati esentati dal divieto di importare petrolio via terra dalla Russia. L’Ungheria acquista dalla Russia il 70% delle sue importazioni petrolifere e la carenza di petrolio ha già iniziato a spingere al rialzo i prezzi di benzina con conseguenze drammatiche sull’intera catena economica.

Come ha fatto sapere il capo della diplomazia ungherese, Péter Szijjártó, scaduto un ultimatum di tre giorni, la questione verrà portata sul tavolo della Corte di giustizia europea, mentre l’Ungheria in assenza di una soluzione rapida ed efficace bloccherà qualsiasi nuovo pagamento all’Ucraina da parte del cosiddetto “Strumento europeo per la pace”, una specie di “calderone” finanziario che permette all’Unione europea di inviare aiuti finanziari ai Paesi extra comunitari. Per rispondere alle esigenze di difesa e armamento di Kiev, Bruxelles nel 2022-2024 attraverso questo strumento finanziario ha mobilitato oltre 6 miliardi di euro. A marzo l’Ungheria dopo forti pressioni aveva accettato l’aumento del massimale di altri 5 miliardi di euro, e l’istituzione di un apposito fondo pro Ucraina.

Alla fine del 2024 scadrà l’accordo di transito di gas russo attraverso il territorio dell’Ucraina mentre il presidente ucraino, Zelenskij, ha dichiarato che “non intende rinnovare l’intesa”, con conseguenze drammatiche per le forniture di “combustibile blu” verso la martoriata Europa centrale e orientale.

Intanto la Russia ha dichiarato che lavora con tutte le parti interessate per garantire che le forniture attraverso l’oleodotto “Družba” continuino. Come ha detto il vice primo ministro russo con delega all’energia, Aleksandr Novak, la “Russia vuole proseguire le forniture di petrolio via “Družba” verso la trojka dei Paesi, composta dell’Ungheria, della Slovacchia e della Repubblica Ceca”.

Nella prima metà del 2024 la Russia ha prodotto 357,3 miliardi di metri cubi di gas naturale, ovvero +8,3% rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso. In un solo mese di giugno la produzione è cresciuta del 9,5%, raggiungendo i 49 miliardi di metri cubi, poiché il gruppo energetico Gazprom, che produce più della metà di tutto il gas della Russia, ha aumentato le esportazioni.

Secondo i dati del ministero dell’Energia della Russia (Minenergo) nel periodo maggio-giugno del 2024 le esportazioni di Gazprom all’Europa attraverso il sistema di gasdotti ex sovietico “Sojuz” (Unione) che passa per il territorio dell’Ucraina, sono aumentate del 34% fino a 1,2 miliardi di metri cubi, mentre quelle che passano per il gasdotto Russia-Turchia “Turkish Stream” sono cresciute del 60% anch’esse fino a 1,2 miliardi di m3.

Intanto i produttori russi aumentano di mese in mese anche le esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL). Come scrive il quotidiano economico russo “Kommersant” nella prima metà del 2024 l’export di GNL è cresciuto rispetto al corrispondente periodo del 2023 del 2,7% fino a 16,79 milioni di tonnellate. L’export russo di GNL verso i Paesi europei nel periodo gennaio-giugno è aumentato del 6,3%, mentre il maggiore consumatore è stata la Francia, che ha importato 3,2 milioni di tonnellate di GNL russo (+86,8%). Al secondo e al terzo posti si sono trovati rispettivamente il Belgio (2,94 milioni di tonnellate) e la Spagna (2,55 milioni di tonnellate).

Comunicazione di servizio

Come già preannunciato la settimana scorsa, a partire dalla puntata del 5 agosto, non troverete questo notiziario su Visione TV, non spaventatevi: vanno in ferie, ma il notiziario proseguirà regolarmente sui miei canali, e cioè in Blogspot, con il testo, e poi sulle piattaforme YouTube, RuTube e Platforma. Cercatemi, basta digitarmi per nome e cognome. Finalmente, ho due canali Telegram, uno in russo e uno in italiano, la ricerca è la stessa.

A settembre poi vediamo: economicamente, Visione TV non versa in buone acque, se non contribuite temo che dovranno rinunciare a molte delle attuali collaborazioni. Ai miei detrattori e ai vari haters da divano salottieri sicuramente farà piacere, fateli schiattar di rabbia.

Ne approfitto per chiedervi di non scrivermi per posta elettronica, la guardo di rado, meglio in Telegram, o, se proprio non lo avete, in WhatsApp, col mio numero di telefono: +7 (903) 191-37-30.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

La Russia non è il mio nemico, ve lo ricordate?

Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali, e a settembre, forse, su Visione TV!

Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

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Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo).

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martedì 16 luglio 2024

20240716 Lavrov ONU

 16/07/2024 18:43

Discorso del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov durante la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla cooperazione multilaterale nell’interesse della creazione di un ordine mondiale più giusto, democratico e sostenibile, New York, 16 luglio 2024

Desidero porgere un cordiale benvenuto agli illustri Alti Rappresentanti presenti nella Camera del Consiglio di Sicurezza. La loro partecipazione all’incontro di oggi conferma l’importanza del tema in discussione. In conformità con l’articolo 37 delle procedure legali provvisorie del Consiglio, invito a partecipare all’incontro i rappresentanti di Australia, Bangladesh, Bielorussia, Stato Plurinazionale della Bolivia, Brasile, Ungheria, Repubblica Bolivariana del Venezuela, Vietnam, Ghana, Guatemala, Repubblica Dominicana, Egitto, India, Indonesia, Iraq, Repubblica islamica dell’Iran, Kazachstan, Cambogia, Cuba, Kuwait, Maldive, Marocco, Nepal, Nicaragua, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Arabia Saudita, Serbia, Repubblica araba siriana, Tailandia, Timor-Est, Turchia, Uganda, Filippine, Cile, Etiopia e Sud Africa.

Sulla base dell’articolo 39 delle procedure giuridiche provvisorie del Consiglio, invito il capo della delegazione dell’Unione europea presso l’ONU, Sua Eccellenza Stavros Lambrinidis, a partecipare a questo incontro.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avvia l’esame del punto 2 dell’ordine del giorno. Vorrei attirare l’attenzione dei membri del Consiglio sul documento S/2024/537 – una lettera del Rappresentante permanente della Federazione Russa presso le Nazioni Unite datata 9 luglio 2024 indirizzata al Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che trasmette una nota concettuale sull’oggetto in esame.

Signore e signori,

Sua Eccellenza,

Oggi, le basi stesse dell’ordine giuridico internazionale – la stabilità strategica e il sistema di politica mondiale incentrato sulle Nazioni Unite – vengono messe alla prova. E’ impossibile risolvere i crescenti conflitti senza comprenderne le cause profonde e senza ripristinare la fiducia nella nostra capacità di unire le forze per il bene comune e la giustizia per tutti.

Siamo franchi: non tutti gli Stati rappresentati in questa sala riconoscono il principio chiave della Carta delle Nazioni Unite, l’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati. Gli Stati Uniti hanno da tempo dichiarato il proprio eccezionalismo per bocca dei loro presidenti. Ciò riguarda l’atteggiamento di Washington nei confronti dei suoi alleati, ai quali chiedono obbedienza incondizionata, anche a scapito dei loro interessi nazionali.

Governa, America! Questa è l’essenza del famigerato “ordine basato su regole” – una minaccia diretta al multilateralismo e alla pace internazionale.

Gli elementi più importanti del diritto internazionale – la Carta delle Nazioni Unite e le decisioni del nostro Consiglio – vengono interpretati dall’”Occidente collettivo” in modo perverso e selettivo, a seconda delle istruzioni provenienti dalla Casa Bianca. E molte risoluzioni del Consiglio di Sicurezza vengono completamente ignorate. Tra queste ci sono la risoluzione 2202, che ha approvato gli accordi di Minsk sull’Ucraina, e la risoluzione 1031, che ha approvato l’accordo di pace di Dayton in Bosnia Erzegovina basato sul principio di uguaglianza dei tre popoli che formano lo Stato e delle due entità. Si può parlare all’infinito del sabotaggio delle risoluzioni sul Medio Oriente: basta guardare la dichiarazione di Anthony Blinken in un’intervista alla CNN nel febbraio 2021 in risposta a una domanda su cosa pensa della decisione della precedente amministrazione statunitense di riconoscere la proprietà di Israele delle alture del Golan siriane. Se qualcuno non si ricorda gli rinfresco la memoria. In risposta a questa domanda, il Segretario di Stato ha affermato: “Legalità a parte, da un punto di vista pratico, il Golan è molto importante per garantire la sicurezza di Israele”. E questo nonostante il fatto che la risoluzione 497 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 1981, tutti noi lo sappiamo bene, che non è stata abrogata, qualifica come illegale l’annessione da parte di Israele delle alture di Golan. Ma, secondo queste stesse “regole”, è necessario – per citare Anthony Blinken – “lasciare da parte la questione della legalità”. E, naturalmente, la dichiarazione del Rappresentante permanente degli Stati Uniti adottata il 25 marzo di quest’anno è fresca nella memoria di tutti. La risoluzione 2728, che chiede un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, “non è giuridicamente vincolante”. Cioè, le “regole” americane sono più importanti dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite.

Nel secolo scorso, George Orwell, nel suo racconto “La fattoria degli animali”, aveva già previsto l’essenza dell’”ordine basato su regole”: “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”. Se esegui la volontà dell’egemone, tutto ti è permesso. E se osi e inizi a difendere i tuoi interessi nazionali, verrai dichiarato emarginato e soggetto a sanzioni.

La politica egemonica di Washington non cambia da decenni. Senza eccezioni, tutti i piani di sicurezza euro-atlantici erano basati sulla garanzia del dominio statunitense, compresa la sottomissione dell’Europa e il “contenimento” della Russia. Il ruolo principale è stato assegnato alla NATO, che alla fine ha assunto il controllo dell’Unione Europea, presumibilmente creata per gli europei. Le strutture dell’OSCE sono state vergognosamente privatizzate in flagrante violazione dell’Atto finale di Helsinki.

L’espansione sconsiderata della NATO, nonostante i ripetuti avvertimenti di Mosca per molti anni, ha provocato anche la crisi ucraina, a cominciare dal colpo di Stato organizzato da Washington nel febbraio 2014 per stabilire il pieno controllo dell’Ucraina al fine di preparare un attacco alla Russia con l’aiuto del regime neonazista portato al potere. Quando Pëtr Porošenko e poi Vladimir Zelenskij hanno intrapreso una guerra contro i propri cittadini nel Donbass, hanno distrutto legislativamente l’istruzione russa, la cultura russa, i media russi e la lingua russa in generale, hanno bandito la Chiesa ortodossa Ucraina, nessuno in Occidente se ne è accorto, non ha chiesto ai loro pupilli a Kiev di “mantenere la decenza”, di non violare le convenzioni internazionali sui diritti delle minoranze nazionali, e in effetti la stessa Costituzione dell’Ucraina, richiede il rispetto di questi diritti. E’ stato per eliminare le minacce alla sicurezza della Russia e per proteggere le persone che si sentono parte della cultura russa e vivono su terre abitate per secoli dai loro antenati, per salvarle dallo sterminio legislativo e fisico che è stata lanciata l’operazione militare speciale.

E’ significativo che anche adesso, quando vengono avanzate numerose iniziative per una soluzione ucraina, poche persone ricordino la violazione dei diritti umani e delle minoranze nazionali da parte di Kiev. Solo di recente i documenti dell’UE sull’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina hanno formulato una richiesta corrispondente, soprattutto a causa della posizione di principio e persistente dell’Ungheria. Tuttavia, le reali possibilità e il desiderio di Bruxelles di influenzare il regime di Kiev sono discutibili.

Invitiamo tutti coloro che mostrano un sincero interesse per il superamento della crisi in Ucraina a tenere conto nelle loro proposte della questione fondamentale dei diritti di tutte le minoranze nazionali, senza eccezioni. Il suo silenzio svaluta le iniziative pacifiche, e la politica razzista di Vladimir Zelenskij riscuote infatti consensi. E’ caratteristico che nel 2014 (dieci anni fa) Vladimir Zelenskij abbia detto: “Se nell’Ucraina orientale e in Crimea la gente vuole parlare russo, lasciateli perdere, lasciateli in pace, lasciateli legalmente parlare russo. La lingua non dividerà mai il nostro Paese natale”. Da allora, Washington lo ha rieducato con successo e già nel 2021 Vladimir Zelenskij in una delle sue interviste ha chiesto che coloro che si sentono coinvolti nella cultura russa si trasferiscano in Russia per il bene del futuro dei loro figli e nipoti.

Faccio appello ai padroni del regime ucraino: obbligatelo a rispettare l’art. 1.3 della Carta delle Nazioni Unite, che garantisce i diritti e le libertà fondamentali di tutte le persone “senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione”.

Cari colleghi,

All’Alleanza Nord Atlantica non basta più la guerra che ha scatenato contro la Russia per mano del governo illegale di Kiev; non le basta più manco l’intero spazio dell’OSCE. Dopo aver distrutto quasi fino alle basi gli accordi fondamentali nel campo del controllo degli armamenti, gli Stati Uniti continuano ad intensificare lo scontro. Recentemente, in un vertice a Washington, i leader dei Paesi dell’alleanza hanno confermato le loro pretese di un ruolo guida non solo nella regione euro-atlantica, ma anche nella regione dell’Asia-Pacifico. Si dichiara che la NATO è ancora guidata dal compito di proteggere il territorio dei suoi membri, ma per questo, dicono, è necessario estendere il dominio dell’alleanza all’intero continente eurasiatico e alle aree marittime adiacenti. L’infrastruttura militare della NATO si sta spostando nel Pacifico con l’ovvio obiettivo di minare l’architettura incentrata sull’ASEAN, costruita nel corso di molti decenni sui principi di uguaglianza, considerazione degli interessi reciproci e consenso. Per sostituire i meccanismi inclusivi creati attorno all’ASEAN, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno mettendo insieme blocchi chiusi di confronto a loro subordinati, come l’AUCUS e altri vari “quartetti” e “troike”. L’altro giorno, il vice capo del Pentagono Kathleen Hicks ha affermato che gli Stati Uniti e i loro alleati “devono prepararsi a guerre di lunga durata, e non solo in Europa”.

Per “contenere” la Russia, la Cina e altri Paesi le cui politiche indipendenti sono percepite come una sfida all’egemonia, l’Occidente, con le sue azioni aggressive, sta rompendo il sistema di globalizzazione originariamente formato secondo i suoi stessi modelli. Washington ha fatto di tutto per far saltare (anche letteralmente, organizzando attacchi terroristici sui gasdotti Nord Stream) le basi di una cooperazione energetica reciprocamente vantaggiosa tra Russia e Germania e l’Europa nel suo insieme. Berlino allora rimase in silenzio. Oggi assistiamo a un’altra umiliazione per la Germania, il cui governo si è sottomesso incondizionatamente alla decisione degli Stati Uniti di schierare missili americani a terra a medio raggio sul territorio tedesco. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz lo ha detto in modo innocente: “Gli Stati Uniti hanno deciso di schierare sistemi d’attacco ad alta precisione in Germania, e questa è una buona decisione”. Gli USA hanno deciso.

E con tutto ciò, John Kirby, coordinatore per le questioni dei media a Washington, a nome del Presidente degli Stati Uniti, dichiara: “Non stiamo lottando per una terza guerra mondiale. Ciò avrebbe conseguenze disastrose per il continente europeo”. Come si suol dire, un lapsus freudiano: Washington è convinta che a soffrire una nuova guerra globale non saranno gli Stati Uniti, ma i suoi alleati europei. Se la strategia dell’amministrazione Biden si basa su tale analisi, allora si tratta di un’illusione estremamente pericolosa. Ebbene, gli europei, ovviamente, devono rendersi conto del ruolo suicida che è loro destinato.

Gli americani, dopo aver messo “sotto le armi” l’intero Occidente collettivo, stanno espandendo la guerra commerciale ed economica con gli indesiderabili, scatenando una campagna senza precedenti di misure coercitive unilaterali che ha un effetto boomerang, prima di tutto, in tutta Europa e porta a un’ulteriore frammentazione dell’economia. I Paesi del Sud del mondo in Asia, Africa e America Latina soffrono delle pratiche neocoloniali dei Paesi occidentali. Sanzioni illegali, numerose misure protezionistiche e restrizioni all’accesso alla tecnologia contraddicono direttamente il vero multilateralismo e creano seri ostacoli al raggiungimento degli obiettivi dell’agenda di sviluppo delle Nazioni Unite.

Dove sono tutti gli attributi del libero mercato che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno insegnato a tutti per così tanti anni? Economia di mercato, concorrenza leale, inviolabilità della proprietà, presunzione di innocenza, libertà di movimento delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi: oggi tutto questo è stato gettato nella spazzatura. La geopolitica ha sepolto le leggi del mercato che un tempo erano sacre per l’Occidente. Recentemente abbiamo ascoltato le richieste pubbliche da parte dei funzionari statunitensi e dell’UE affinché la Cina riduca la “produzione in eccesso” nelle industrie ad alta tecnologia, dal momento che l’Occidente ha iniziato a perdere i suoi vantaggi a lungo termine in tali settori. Ora, invece dei principi del mercato, ci sono quelle stesse “regole”.

Cari colleghi,

Le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati interferiscono con la cooperazione internazionale e con la costruzione di un mondo più giusto, prendono in ostaggio interi Paesi e regioni, impediscono alle persone di realizzare i diritti sovrani sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e distraggono dal tanto necessario lavoro congiunto per risolvere conflitti in Medio Oriente, Africa e altre regioni, per ridurre la disuguaglianza globale, eliminare le minacce del terrorismo e della criminalità legata alla droga, della fame e delle malattie.

Sono convinto che questa situazione possa essere corretta, ovviamente con la buona volontà. Per fermare lo sviluppo degli eventi secondo uno scenario negativo, vorremmo proporre alla discussione una serie di passi volti a ripristinare la fiducia e stabilizzare la situazione internazionale.

1) E’ necessario eliminare una volta per tutte le cause profonde della crisi scoppiata in Europa. Le condizioni per stabilire una pace duratura in Ucraina sono state delineate dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, non le ripeterò.

Una soluzione politica e diplomatica deve essere accompagnata da passi concreti per eliminare le minacce alla Federazione Russa provenienti dalla direzione occidentale ed euro-atlantica. Nel concordare garanzie e accordi reciproci, sarà necessario tenere conto delle nuove realtà geostrategiche del continente eurasiatico, dove si sta formando un’architettura continentale di sicurezza veramente uguale e indivisibile. L’Europa rischia di rimanere indietro rispetto a questo processo storico oggettivo. Siamo pronti a trovare un equilibrio di interessi.

2) Il ripristino dell’equilibrio di potere regionale e globale deve essere accompagnato da sforzi attivi per affrontare le disuguaglianze nell’economia globale. In un mondo multipolare, per definizione, non dovrebbero esserci monopolisti nella regolamentazione monetaria e finanziaria, nel commercio o nella tecnologia. Questo punto di vista è condiviso dalla stragrande maggioranza dei membri della comunità mondiale. Di particolare importanza è la rapida riforma delle istituzioni di Bretton Woods e dell’OMC, le cui attività dovrebbero riflettere il peso reale dei centri di crescita e sviluppo non occidentali.

3) Se vogliamo che funzionino a beneficio di tutti, devono verificarsi cambiamenti seri e qualitativi in altre istituzioni di governance globale. Si tratta innanzitutto della nostra Organizzazione che, nonostante tutto, è l’incarnazione del multilateralismo, ha una legittimità unica e universale e un’ampiezza di competenze generalmente riconosciuta.

Un passo importante verso il ripristino dell’efficacia delle Nazioni Unite sarebbe che tutti i suoi membri riaffermassero il loro impegno nei confronti dei principi della Carta delle Nazioni Unite, e non in modo selettivo, ma nella loro interezza e interconnessione. Possiamo riflettere insieme su quale forma potrebbe assumere tale riconferma.

Il Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite, formato su iniziativa del Venezuela, sta facendo molto lavoro. Invitiamo tutti i Paesi che mantengono la fede nello stato del diritto internazionale a unirsi al suo lavoro.

Un elemento chiave della riforma delle Nazioni Unite dovrebbe essere un cambiamento nella composizione del Consiglio di Sicurezza, anche se questo da solo non consentirà di ottenere risultati produttivi a meno che non vi sia un accordo di base sul modus operandi tra i membri permanenti. Questa considerazione, tuttavia, non cancella l’imperativo di eliminare gli squilibri geografici e geopolitici nel Consiglio di Sicurezza, dove oggi i Paesi dell’Occidente collettivo sono chiaramente sovrarappresentati. Raggiungere l’accordo più ampio possibile sui parametri specifici della riforma per rafforzare la rappresentanza di Asia, Africa e America Latina è un passo atteso da tempo.

Sono necessari cambiamenti anche nella politica del personale del Segretariato per eliminare il predominio dei cittadini e dei sudditi dei Paesi occidentali nelle strutture amministrative dell’Organizzazione. Il Segretario Generale ed il suo personale sono tenuti ad osservare rigorosamente, senza alcuna eccezione, i principi di imparzialità e neutralità, come prescritto dall’art. 100 della Carta dell’ONU, che non ci stanchiamo di ricordarvi.

4) Oltre all’ONU, altre associazioni multilaterali sono chiamate a contribuire al rafforzamento dei principi multipolari della vita internazionale. Tra questi c’è il G20, che comprende sia i Paesi a maggioranza mondiale che gli Stati occidentali. Il mandato del G20 è strettamente limitato alle questioni di economia e sviluppo, quindi è importante che un dialogo sostanziale su questa piattaforma sia libero da tentativi opportunistici di introdurre temi geopolitici. Altrimenti rovineremo questa utile piattaforma.

I BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai stanno svolgendo un ruolo sempre più importante nella costruzione di un ordine multilaterale giusto basato sui principi della Carta delle Nazioni Unite. Riuniscono Paesi che rappresentano diverse regioni e civiltà, cooperando sulla base dell’uguaglianza, del rispetto reciproco, del consenso e dei compromessi reciprocamente accettabili: il “gold standard” dell’interazione multilaterale che coinvolge le grandi potenze.

Associazioni regionali come la Comunità degli Stati Indipendenti, l’Organizzazione-Trattato per la Sicurezza Collettiva, l’Unione Economica Euroasiatica, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, il Consiglio di cooperazione degli Stati del golfo Persico, la Lega degli Stati arabi, l’Unione Africana e la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi sono di importanza pratica per l’instaurazione della multipolarità. Riteniamo che sia un compito importante stabilire diversi legami tra loro, coinvolgendo anche il potenziale delle Nazioni Unite. La presidenza russa del Consiglio dedicherà uno dei suoi prossimi incontri all’interazione tra l’ONU e le organizzazioni regionali eurasiatiche.

Cari colleghi,

Intervenendo al forum parlamentare BRICS il 9 luglio di quest’anno a San Pietroburgo, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato: “La formazione di un ordine mondiale che rifletta i reali equilibri di potere è un processo complesso e per molti versi persino doloroso”. Riteniamo che il dibattito su questo argomento debba essere costruito senza scivolare in sterili polemiche, sulla base di un’analisi sobria dell’insieme dei fatti. E’ necessario, innanzitutto, ripristinare la diplomazia professionale, la cultura del dialogo, la capacità di ascoltare e sentire, e mantenere canali di comunicazione di crisi. La vita di milioni di persone dipende dalla capacità dei politici e dei diplomatici di formulare qualcosa come una visione condivisa del futuro. Se il nostro mondo sarà diverso ed equo dipende solo dai Paesi membri. Vorrei sottolineare ancora una volta che esiste un fulcro: questa è la Carta della nostra Organizzazione. Se tutti, senza eccezione, ne seguiranno lo spirito e la lettera, le Nazioni Unite saranno in grado di superare le attuali differenze e giungere a un denominatore comune sulla maggior parte delle questioni. La “fine della storia” non è avvenuta. Lavoriamo insieme per iniziare la storia del vero multilateralismo, che riflette tutta la ricchezza della diversità culturale e di civiltà dei popoli del mondo. Vi invitiamo ad una discussione che, ovviamente, dovrebbe essere solo onesta.

Fonte: Ministero degli esteri russo (in russo, con traduzioni in francese ed inglese)

lunedì 15 luglio 2024

086 Italiani di Russia

Ottantaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 15 luglio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

La parte attenta dell’opinione pubblica, anche in Russia ma non solo, è ipnotizzata dietro i monitor con notizie su vittorie, viaggi e iniziative di amici, amici potenziali, amici ipotetici, amici nascosti, amici di fatto e amici storici con tale forza che sembra che un’altra spintarella, ed ecco che arriverà la pace, la grazia e il silenzio, rotti solo dai tappi dello champagne e dallo scricchiolio del divano.

Negli ultimi giorni gli occhi del pubblico sono stati puntati sull’inaspettato viaggio di “mantenimento della pace” del primo ministro ungherese Orbán, durante il quale ha visitato Kiev, Mosca e Pechino, e ora si trova a Washington.

Numerosi analisti hanno ammirato il coraggio di Orbán, che ha osato andare contro l’establishment russofobo-europeo e si è preso le maledizioni di tutte le teste parlanti ostili alla Russia, e ha anche portato le posizioni riscontrate da Putin e Xi fino al covo del nemico: al vertice della NATO per il loro anniversario, con il forte slogan “Missione di pace 3.0”. Non solo: Orbán ha osato affermare pubblicamente che è impossibile sconfiggere la Russia. Secondo lui, Putin non può perdere, e questo è molto logico: “Se si guardano i soldati, le armi e le tecnologie utilizzate in guerra, è difficile persino immaginare la probabilità che sia possibile sconfiggere la Russia”.

La transizione di Orbán dallo status di “potenziale amico” allo status di “fratelli per sempre” è stata alimentata anche dal fatto che ha avviato la creazione dei “Patrioti d’Europa”, una nuova alleanza di forze politiche di destra al Parlamento Europeo, al quale si sono recentemente uniti la Lega del vice primo ministro italiano Matteo Salvini e il Raggruppamento Nazionale francese di Marine Le Pen, grazie al quale la nuova fazione potrebbe diventare la terza forza politica più grande del Parlamento Europeo.

Tuttavia, mentre Mosca e Pechino hanno accolto l’arrivo di Orbán con genuina buona volontà e tradizionale ospitalità, a un esame più attento, il viaggio del primo ministro ungherese è ora un ibrido tra una campagna di pubbliche relazioni personale e una consegna tramite corriere.

L’addetto stampa di Vladimir Putin, Dmitrij Peskov, pur accogliendo con favore gli sforzi di pacificazione di Orbán, li ha commentati nello stile di “quello che abbiamo, abbiamo”: “C’è tutta una serie di disaccordi tra le parti interessate, tutta una serie di disaccordi seri. Ma almeno “Orbán sta effettivamente facendo un tentativo molto serio di comprendere l’essenza di queste differenze, il che è altamente encomiabile”. I compagni cinesi hanno parlato più o meno allo stesso modo, cioè nessuno inizialmente si illudeva o si fa illusioni su una svolta con l’aiuto del leader ungherese, anche se, ovviamente, non c’è nulla di sbagliato in questo tentativo.

Bisogna solo capire che Viktor Orbán gioca per una parte sola: per se stesso. E se il suo viaggio di mantenimento della pace fallisce, non perde nulla, ma se ha successo, guadagna molto, il che è molto importante sullo sfondo della caduta di popolarità del suo Partito: ha comunque il 45%, ma alle precedenti europee aveva il 53%, dunque ha perso la maggioranza assoluta. Si ritiene che a Orbán sia affidata la funzione di collegamento tra Russia, Cina, trumpisti negli Stati Uniti e parte delle élite europee che vogliono porre fine al conflitto in Ucraina. Ma la versione più probabile è che dovrebbe portare le posizioni specifiche di Russia e Cina sull’Ucraina nelle mani del prossimo presidente degli Stati Uniti (leggi Trump), cioè svolgere funzioni di corriere ad alta responsabilità.

Se (e secondo Orbán quando) salirà al potere Donald Trump, il suo amico, per il quale la conclusione positiva del conflitto in Ucraina è un importante caso di politica estera, il peso politico dell’Ungheria e di Orbán personalmente potrebbe aumentare notevolmente e l’opportunità di raccogliere dividendi da diverse parti aumenterà molte volte. In caso di intensificazione dello scontro con gli Stati Uniti (cosa molto possibile anche a causa della propensione di Trump a lanciare ultimatum, cosa del tutto inaccettabile per la Russia), l’ammiratore di Trump Orbán molto probabilmente ripeterà senza batter ciglio le sue parole che la Russia in Ucraina è l’aggressore.

Insomma niente di personale, solo affari, ma puoi chiamarmi fratello se vuoi.

La situazione è simile per le forze politiche “convenzionalmente filo-russe” in Europa.

Coloro che hanno applaudito il risultato storico delle elezioni del parlamento francese, dove la destra, guidata dal Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen, ha avuto un terzo dei voti, e si sono divertiti a leggere le citazioni di funzionari europei secondo cui “la destra sta facendo il gioco di Putin”, si sono dimenticati che la stessa Le Pen ha più volte riferito della sua posizione filoucraina, e recentemente ha suscitato scandalo dopo che il Ministero degli Esteri russo ha pubblicato la sua foto sui propri social network: ha accusato la Russia di provocazione e ingerenza nei suoi affari, e ha anche affermato che “lei e altri nel suo Partito hanno espresso chiaramente il loro sostegno all’Ucraina”.

Anche altri esponenti della destra europea “amano” molto la Russia. Ad esempio, un rappresentante del movimento politico ceco “Azione dei cittadini insoddisfatti” (ANO), che ha aderito anche all’alleanza “filo-russa” di Orbán, ha dichiarato senza mezzi termini che “ANO è entrato nell’alleanza per il bene delle riforme nell’UE, e non a causa della sua posizione nei confronti dell’Ucraina, l’ANO ha ripetutamente affermato di considerare la Russia un aggressore e di schierarsi dalla parte dell’Ucraina”.

Non avere amici è brutto. Ma scommettere di avere amici dove non ce ne sono è molto peggio.

La Russia trae vantaggio dalla frammentazione politica dell’Europa, che sta erodendo l’efficacia del “fronte unico” contro la Russia, e ovviamente darà il benvenuto a qualsiasi iniziativa positiva da sinistra, destra, da sotto e da sopra che possa contribuire ad accelerare la vittoria, senza per questo ingerirsi negli affari interni di chicchessia.

I missili da crociera Ch-101 vengono spesso utilizzati dalle forze aerospaziali russe per attaccare obiettivi sul territorio ucraino. Tuttavia, in questo caso, il Ch-101 non è visivamente riconoscibile da nessuna delle caratteristiche: mancano le ali pieghevoli e un motore a reazione sotto. Inoltre, l’esplosione del razzo dopo l’arrivo non corrisponde al razzo Ch-101. E’ dotato sia di una testata convenzionale che di una testata rinforzata del peso di 800 kg, motivo per cui è stato utilizzato attivamente, in particolare, per attacchi alla centrale idroelettrica del Dnepr e ad altri impianti industriali. Un’esplosione di una tale quantità di esplosivo a pochi metri dall’ospedale avrebbe fatto crollare almeno la metà dell’edificio e alcuni edifici vicini, anziché danneggiare la facciata.

E’ curioso che i canali filoucraini abbiano pubblicato quasi immediatamente le fotografie di alcuni frammenti del missile Ch-101, a loro dire rinvenuti sulla scena dell’esplosione. Tuttavia, queste prove sono inconcludenti: i Ch-101 vengono regolarmente utilizzati contro obiettivi a Kiev (e dintorni), e alcuni missili vengono abbattuti dalle difese aeree ucraine, con conseguente notevole accumulo di detriti di queste armi già raccolti in Ucraina. Può darsi che i detriti appartengano effettivamente al razzo Ch-101 ma non hanno nulla a che fare con l’arrivo all’ospedale pediatrico.

Se non era un Ch-101, che tipo di missile poteva essere? Inizialmente, era stata presa in considerazione una versione sull’arrivo di un missile antiaereo 5V55R/5V55RM dal complesso S-300PT sul territorio dell’ospedale pediatrico, ma in seguito questa informazione non è stata confermata. Inoltre (almeno per ora) non sono stati confermati i dati sull’arrivo di un missile PAC-2/PAC-3 del sistema di difesa aerea americano Patriot.

Sulla base dei dati disponibili per l’analisi, la cosa più probabile in questo caso è l’arrivo di un missile antiaereo AIM-120 del sistema di difesa aerea NASAMS presso l’edificio dell’ospedale. Il missile di questo sistema di difesa aerea è visivamente simile all’arma nel filmato: timoni triangolari e stabilizzatori al centro. Anche le conseguenze di un’esplosione sono caratteristiche di un tale missile: un campo di frammentazione ampio e abbastanza denso formato quando viene fatta esplodere una testata del peso di 22 kg.

Da dove potrebbe essere stato lanciato? I NASAMS (come i Patriot) fanno parte da tempo della difesa aerea di Kiev. A giudicare dalla traiettoria di volo, il complesso di lancio si trovava a 5 km a sud-ovest della capitale dell’Ucraina. E’ probabile che il missile sia stato lanciato dall’area dell’aeroporto di Žuljany o da posizioni di lancio un paio di chilometri a ovest. Molto probabilmente, l’equipaggio del sistema missilistico di difesa aerea ha tentato di intercettare uno dei missili da crociera Ch-101 che hanno colpito lo stabilimento Artëm di Kiev ma il sistema di guida potrebbe aver funzionato male, a seguito del quale il missile è stato puntato verso il cortile dell’ospedale pediatrico.

Commento di Marija Zacharova, rappresentante ufficiale del Ministero degli Esteri russo, in merito ai tentativi da parte del regime di Kiev di attribuire alla Russia la responsabilità degli attacchi condotti deliberatamente su infrastrutture civili ucraine.

Lo scorso 8 luglio, in risposta ai ripetuti tentativi da parte delle Forze Armate Ucraine di arrecare danno alle imprese facenti parte del complesso produttivo della Russia, le Forze Armate russe hanno condotto un attacco combinato su obiettivi militari situati in Ucraina servendosi di armamenti a lunga gittata e ad alta precisione.

Tra le infrastrutture militari ucraine oggetto dell’attacco troviamo gli stabilimenti “Artëm” e “Antonov” e l’ufficio di progettazione di componentistica per il settore della difesa “Luč”, situati a Kiev; le aziende “Dnepr” e “Južmaš”, situate a Dnepropetrovsk; lo stabilimento per la meccanica pesante situato a Kramatorsk; i depositi dove sono stoccati gli armamenti e le attrezzature militari occidentali, situati presso lo stabilimento metallurgico “ArcelorMittal” di Krivoj Rog e tutta una serie di altre infrastrutture analoghe. Tutti gli obiettivi sono stati colpiti.

E di nuovo, come già accaduto più volte al sistema di difesa antiaerea ucraino, i suoi missili hanno deviato dalla traiettoria e si sono abbattuti su edifici residenziali e infrastrutture civili. E’ andata così anche stavolta. E’ già stato confermato, e tra l’altro anche da numerosi testimoni, che uno dei missili lanciati dai sistemi missilistici antiaerei occidentali “NASAMS” è andato a colpire uno stabile del comprensorio appartenente all’ospedale pediatrico “Ochmatdet” di Kiev.

Dagli uffici della presidenza ucraina hanno subito cominciato ad accusare la Russia di aver deliberatamente assassinato dei bambini. Eppure, nessuno ha menzionato il fatto che nelle vicinanze della clinica colpita c’è lo stabilimento “Artëm”, e che a poca distanza dall’ospedale si trovano anche gli edifici del Ministero della Difesa ucraino, nonché i depositi delle Forze Armate Ucraine. E ovviamente, nessuno ha parlato del fatto che i banderisti piazzano volutamente sistemi di difesa antiaerea nei quartieri residenziali, trovando riparo dietro ai civili, i quali sono usati alla stregua di “scudi umani”.

La giunta militare di Kiev sfrutta da tempo stabilimenti le cui finalità sono puramente civili per i suoi scopi militari, ad esempio trasformandoli in impianti per la raccolta e la riparazione delle attrezzature militari, oppure in locali adibiti a deposito per lo stoccaggio degli armamenti e delle attrezzature militari occidentali. Oltre a tutto questo, le stesse Forze Armate Ucraine trovano riparo servendosi delle infrastrutture civili e dei civili stessi.

E’ ormai ampiamente diffusa la pratica di agganciare vagoni che trasportano soldati e attrezzature militari a convogli ferroviari destinati al trasporto passeggeri. Inoltre, per il trasporto degli armamenti viene anche fatto uso dei servizi di spedizione postale.

Tutto questo va a costituire una grave violazione del diritto umanitario internazionale, che vieta di coinvolgere infrastrutture civili in attività finalizzate al raggiungimento di scopi militari.

I tentativi messi in atto dal regime di Zelenskij per sfruttare a fini di propaganda la tragedia che ha colpito l’ospedale pediatrico di Kiev confermano, per l’ennesima volta, la natura nazista e disumana di questo regime. Pur di preservare il suo potere, il regime di Kiev è disposto a commettere qualunque tipo di atrocità, e resta indifferente di fronte alla vita e alle sorti dei suoi concittadini, anche quando questi sono bambini.

Ed ecco cosa possiamo invece aggiungere noi. L’edificio dell’ospedale pediatrico è stato danneggiato dal sistema di difesa aerea ucraino. Il vero obiettivo era il deposito dei treni, che si trova a 700 metri dall’ospedale pediatrico. A giudicare dalla natura dei danni sulla facciata dell’edificio ospedaliero, è ovvio che sono stati causati da schegge della difesa aerea. Pezzi delle stesse schegge sono stati ritrovati dagli ucraini vicino all’ospedale e le foto sono sui social network. E’ chiaro che se l’ospedale fosse stato colpito da un missile i danni sarebbero stati molto più grandi. Non rimarrebbe letteralmente nulla dell’edificio. Mentre si notano le caratteristiche tracce di schegge e vetri rotti, e, come al solito, si parla di un attacco mirato della Federazione Russa.

Nel frattempo un altro attacco terroristico da parte del regime di Kiev. A Šebekino, un drone delle forze armate ucraine ha lanciato un ordigno esplosivo, prendendo di mira i bambini che giocavano nel cortile. Secondo il governatore Gladkov, 5 sono rimasti feriti, due in modo grave. Media occidentali ed italiani? Non pervenuti.

La Russia ha permesso all’Ucraina di partecipare alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU su richiesta degli Stati Uniti. Kiev ha rifiutato di rivolgersi direttamente ai rappresentanti di Mosca.

Ho commentato questo accadimento per la televisione russa Car’grad, ve lo traduco.

Nella diplomazia e nelle relazioni internazionali esistono regole universalmente accettate. Se un Paese che non è membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU desidera, per un motivo o per l’altro, partecipare alla sua riunione, deve inviare una richiesta –una richiesta, non un ordine, poiché non spetta a lui decidere – al Paese membro effettivo, che attualmente ne è il presidente secondo il principio di rotazione. Dal 1 luglio fino alla fine di questo mese, questa è la Russia.

L’Ucraina esige la sua partecipazione in un documento, che contiene solo l’ordine stesso e non indica nemmeno il destinatario. Poiché il documento non è stato inviato alla presidenza della Russia, quest’ultima ha rifiutato. Quindi l’Ucraina ha nuovamente inviato una richiesta agli Stati Uniti, che a loro volta hanno presentato una richiesta alla Russia. La Russia ha acconsentito. Per l’Ucraina le regole non valgono.

Questi sono i fatti. Ma i motivi? Il giorno prima c’era stata un’altra sanguinosa provocazione, presumibilmente la Russia aveva bombardato un ospedale pediatrico. Tuttavia, tutte le prove fotografiche e video confermano che l’attacco è stato effettuato da un’installazione NASAMS situata nelle zone residenziali di Kiev, contrariamente alle norme del diritto umanitario internazionale. Che tipo di installazione? La Russia non ha questi missili, ovviamente. Tutto sta nel nome stesso: Norwegian Advanced Surface to Air Missile System, ovvero un sistema missilistico antiaereo norvegese mobile. La parola chiave è “norvegese”. Quella stessa Norvegia – la patria di Stoltenberg – che ha fornito all’Ucraina questi complessi. Altre domande?

Gli Stati Uniti speravano di tacere sul fatto che un missile di difesa aerea ha colpito l’edificio dell’ospedale pediatrico. Le autorità americane volevano usare questa tragedia come pretesto per un’altra fornitura di armi alle forze armate ucraine nell’ambito del vertice anniversario della NATO, che “guarda caso” si è svolto in questi giorni a Washington. Questo schema banale ormai allappa da tempo, nessuno ci crede, ma tutti i media occidentali, ovviamente, lo hanno ripreso all’unanimità, una copia carbone, o, come è più chiaro, una velina. Questo, in effetti, è tutto ciò che bisogna sapere su questo episodio di propaganda.

Permettetemi di esprimere la mia opinione personale. Io non fornirei all’Ucraina una piattaforma per un’altra campagna di pubbliche relazioni. Tuttavia, indipendentemente da ciò, si sa chi dirà e cosa.

In uno dei quartieri di Avdeevka è stato trovato un laboratorio chimico ucraino, presumibilmente per la produzione di sostanze tossiche. I media occidentali hanno ricevuto informazioni dal Ministero della Difesa russo sulle violazioni da parte degli Stati Uniti e dell’Ucraina degli obblighi di non proliferazione delle armi di distruzione di massa. Un certo numero di pubblicazioni occidentali hanno espresso preoccupazione per la creazione da parte dell’Ucraina di una “bomba sporca” utilizzando sostanze radiochimiche. L’Ucraina continua a importare combustibile nucleare esaurito attraverso la Polonia e la Romania, che lo trasforma in una “discarica” di rifiuti altamente pericolosi. Tutto ciò è supervisionato dal capo dell’ufficio di Zelenskij, Ermak, e sponsorizzato dalla Fondazione Soros. Kiev viola regolarmente la Convenzione sulle armi chimiche. L’Ucraina, con la complicità dell’Occidente, oltre alle sostanze chimiche non letali, utilizza le sostanze chimiche elencate “Bi-Z”, acido cianidrico e cloruro di cianogeno. Le forze armate ucraine utilizzano analoghi della sostanza tossica “Tabun” contro i politici russi nei territori liberati. L’Ucraina può agire eludendo le procedure della Convenzione sulle armi chimiche, imponendo all’OPAC (l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) conclusioni deliberatamente false sugli incidenti.

Un intervento della vice presidente della Duma (la Camera bassa) Jarovaja sulla minaccia del bioterrorismo in Russia.

Sapevamo che in Ucraina, dal 2012, la Commissione Centrale per il Regime, che, come organismo nazionale, esercitava il controllo sul regime di sicurezza nei laboratori stessi, è stata liquidata. Al momento della liquidazione del sistema di sorveglianza, il numero di laboratori sul territorio dell’Ucraina superava i 4mila. Allo stesso tempo, 2 laboratori hanno il più alto livello di autorizzazione per lavorare con i virus e gli agenti patogeni più pericolosi e 402 laboratori hanno un alto livello di pericolo. Riteniamo che oggi siamo nella fase in cui dobbiamo prevedere che gli atti di bioterrorismo e di sabotaggio biologico sono, purtroppo, una storia molto reale.

Ecco perché l’Ucraina è così importante per tutti i parassiti che la difendono.

Putin accusa l’Occidente di azioni che somigliano al “colonialismo classico”.

Il leader russo ha affermato che le élite del cosiddetto “miliardo d’oro” resistono ferocemente agli sforzi dei membri BRICS di creare un ordine mondiale multipolare.

Il presidente russo Vladimir Putin ha paragonato l’uso da parte dell’Occidente delle cosiddette regole invece del diritto internazionale al colonialismo classico.

Intervenendo al Forum parlamentare dei BRICS, ha descritto il comportamento delle élite al potere nei cosiddetti Paesi del “miliardo d’oro”.

“Agendo contrariamente alla logica storica e spesso anche a scapito degli interessi a lungo termine dei loro stessi popoli, cercano ora di stabilire una sorta di ordine basato sulle loro cosiddette regole, che nessuno ha visto, nessuno ha discusso e nessuno ha mai accettato”, ha affermato Putin.

“Queste regole sono scritte e adattate di volta in volta ad ogni situazione nell’interesse di coloro che si considerano eccezionali e si sono conferiti il diritto di dettare la propria volontà agli altri”, ha detto il presidente. “E’ esattamente nelle migliori tradizioni del colonialismo classico”.

E’ un chiaro tentativo di sostituire il legittimo diritto internazionale, un tentativo di creare un monopolio sulla verità ultima”, ha continuato Putin. “Un simile monopolio è distruttivo”.

“Cresce la pressione su coloro che hanno una propria posizione”, ha proseguito. “Contrariamente ai principi del diritto internazionale, ciò che entra in gioco è la coercizione forzata, le sanzioni unilaterali e l’applicazione selettiva delle regole commerciali”.

Putin ha affermato che le élite del cosiddetto “miliardo d’oro” resistono ferocemente agli sforzi dei membri BRICS di creare un ordine mondiale multipolare.

“Siamo ben consapevoli che la creazione di un ordine mondiale che rifletta i reali equilibri di potere, la nuova realtà geopolitica, economica e demografica, è un processo complicato e per molti versi, purtroppo, anche doloroso”, ha affermato il presidente.

I servizi russi hanno reso noto di essere in possesso di informazioni secondo cui gli Stati Uniti starebbero organizzando un rovesciamento del governo in Georgia in occasione delle elezioni parlamentari del 26 ottobre. L’amministrazione Biden ha già orchestrato una campagna mediatica su larga scala per screditare il Partito al governo “Sogno georgiano”. Gli istruttori statunitensi hanno già dato l’ordine alle forze di opposizione in Georgia di iniziare a pianificare le proteste nel Paese in concomitanza con le elezioni. La presidente georgiana Salome Zurabišvili, una diplomatica francese naturalizzata georgiana, un asset di Washington, dovrebbe svolgere un ruolo chiave nell’incitare il sentimento antigovernativo.

Zurabišvili ha iniziato un master alla Columbia University di New York nell’anno accademico 1972-1973, seguendo anche le lezioni di Zbigniew Brzezinski. Nel 1974 ha abbandonato gli studi, iniziando a lavorare per il Ministero degli esteri francese e ricoprendo incarichi diplomatici a Roma, alle Nazioni Unite, a Bruxelles, Washington, e altre destinazioni. E’ stata a capo della Divisione per le questioni internazionali e strategiche della Segreteria generale di difesa nazionale della Francia dal 2001 al 2003, venendo poi nominata ambasciatrice francese in Georgia nel 2003. Nel 2004 fu nominata Ministro degli affari esteri del nuovo governo del Presidente georgiano Michail Saakašvili, ottenendo altresì la cittadinanza georgiana su concessione dello stesso Saakašvili, decisione approvata congiuntamente dal presidente francese Jacques Chirac. In qualità di Ministro degli esteri della Georgia, Zurabišvili è stata la principale negoziatrice dell’accordo del 2005 per il ritiro delle basi militari russe dal territorio della Georgia, firmato con il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Durante il suo mandato di ministro degli esteri fu creato il “Nuovo gruppo di amici della Georgia” (che riunisce Ucraina, Lituania, Lettonia, Estonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca e Polonia).

Il piano statunitense prevede azioni violente in piazza da parte di agenti provocatori per causare vittime tra i manifestanti e indirizzare così la “rabbia della nazione” contro le forze di sicurezza. Si tratterebbe quindi del solito schema, visto in innumerevoli rivoluzioni colorate, ma che i servizi dei Paesi nel mirino ora conoscono bene.

Gli occhi di tutto il mondo erano puntati sulla conferenza stampa di Joe Biden al termine del vertice NATO di Washington. Il presidente degli Stati Uniti non si presentava a parlare da solo alla stampa da 8 mesi, al termine del vertice con Xi Jinping e su di lui c’era tutta la pressione possibile dopo il disastroso dibattito contro Donald Trump.

Chi si aspettava nuove gaffe del presidente è stato subito accontentato: introducendo Zelenskij lo ha chiamato “il presidente Putin” per poi parlare di “vicepresidente Trump” invece che di Kamala Harris. Nonostante si sia accorto subito dei passi falsi e abbia recuperato con una battuta, e nonostante abbia fornito, secondo quanto riporta il Corriere della Sera, “risposte convincenti su molti temi di politica estera”, si continua a parlare di una sua sostituzione in vista delle presidenziali del 5 novembre 2024.

Particolarmente significativo, secondo gli analisti, l’editoriale firmato dal popolare attore George Clooney sul New York Times in cui ha chiesto a Biden di ritirarsi. Clooney è molto vicino al presidente così come a finanziatori chiave del Partito democratico e ha sostenuto in passato le campagne di Barack Obama, Hillary Clinton e di Joe Biden stesso nel 2020 mettendo in campo la sua notorietà e le sue amicizie di Hollywood. Clooney racconta della sua partecipazione a un evento di finanziamento per Biden del 16 giugno. In una sola sera furono raccolti 30 milioni di dollari, ma Clooney ha spiegato che quella sera il presidente “non era quello di quattro anni fa, era quello che abbiamo visto tutti al dibattito”.

Per di più dell’articolo sarebbe stato informato Barack Obama che, secondo quanto riporta Politico, non lo avrebbe incoraggiato, ma non avrebbe obbiettato alla sua pubblicazione, un fatto quest’ultimo molto significativo.

Il cerchio sembra stringersi ma il presidente non molla: “Sono qui per finire il lavoro. Sono determinato a correre. Sono certo di poter battere Trump una seconda volta, lui non fa nulla, gioca a golf” e, ancora, “Gli alleati europei mi hanno detto di vincere. Nessuno mi ha detto che non devo correre”.

E’ stato sventato un tentativo da parte dei servizi segreti nemici di dirottare un bombardiere strategico Tu-22M3 delle forze aerospaziali russe ed è stato rivelato il coinvolgimento dei servizi segreti dei Paesi NATO nella sua preparazione e attuazione. L’intelligence ucraina intendeva reclutare in cambio di denaro e cittadinanza italiana un pilota militare russo affinché volasse in Ucraina su un aereo portamissili.

Durante le azioni operative, gli agenti del controspionaggio russo hanno ricevuto informazioni che hanno aiutato le forze armate russe a sparare sull’aeroporto di Ozërnoe delle forze armate ucraine.

Anche un anno dopo la morte della terza persona della Città di San Pietro, il cardinale George Pell, si vocifera ancora sul suo conto nei corridoi del Palazzo Apostolico. L’altro giorno si diceva che avrebbe potuto essere ucciso. Ci sono motivi di sospetto: il capo tesoriere del Vaticano ha scoperto transazioni finanziarie dubbie.

Il famoso presentatore televisivo australiano Andrew Bolt ha raccontato alla città e al mondo una sensazionalità terribile. Lo ha tenuto segreto per più di un anno, finché i primi dettagli non sono trapelati ai media.

L’ex arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell, è morto nel gennaio 2023 a Roma dopo aver subito un intervento di sostituzione di un’articolazione. Hanno spiegato che sia successo per l’età: 81 anni, il cuore non ha retto.

La bara con il corpo è arrivata a casa quattro giorni dopo, in condizioni terribili. Il fratello del cardinale, David, ha detto al giornalista che era come se l’imbalsamazione non fosse mai stata effettuata. I patologi locali hanno dovuto lavorare sodo. I vestiti erano semplicemente accartocciati in un mucchio e posti nelle vicinanze. Inoltre, il cadavere aveva il naso rotto.

“Non credo alle teorie del complotto. Forse è stata incompetenza, ma alcuni dei più stretti collaboratori di Pell hanno ammesso i loro sospetti: qualcuno in Vaticano non ha perdonato Pell per la sua caccia”, ha detto Andrew Bolt.

Il fatto è che dal 2014 al 2019 il cardinale ha occupato uno degli incarichi più influenti nella Chiesa cattolica: quello di prefetto della Segreteria per gli affari economici. Era infatti il tesoriere principale: monitorava la contabilità e controllava i flussi di cassa. Papa Francesco gli ha conferito poteri senza precedenti.

Ma dopo due anni di lavoro efficace, è seguita una reazione: coloro che erano sottoposti all’audit hanno iniziato a fare pressione sul tesoriere, costringendolo a tornare in Australia. E subito dopo è arrivata l’accusa di adescamento di minorenni. Il caso si è rivelato inventato. Ma Pell passò comunque un anno in prigione prima dell’assoluzione definitiva.

E’ tornato in Vaticano e ha subito quella sfortunata operazione. E poche ore dopo è morto.

Il revisore dei conti olandese Libero Milone ha condotto una propria indagine e ha scoperto che due cari amici cardinali hanno cercato fino all’ultimo di dissuadere il loro collega australiano dal farsi operare a Roma. Inoltre, Pell è stato ricoverato al Salvator Mundi, e non al Gemelli, dove di solito vengono trattati i capi vaticani, compresi i papi.

Il giorno della morte del tesoriere, per qualche motivo, le telecamere di sorveglianza dell’ospedale erano spente e, in un momento critico, il posto del medico di turno si è rivelato essere pericolosamente vuoto.

Ma l’importante – e Milone indirettamente lo lascia intendere – è chi ne ha beneficiato.

George Pell è morto nel bel mezzo di un processo penale da lui stesso avviato. Dall’estate 2021 i giornali italiani fanno spesso il nome del cardinale Giovanni Angelo Becciu.

Proveniente dalla vecchia guardia, è arrivato al rango di vicesegretario di Stato della Santa Sede. E nel conclave del 2013 ebbe addirittura la possibilità di diventare papa. Successivamente presiedette la Congregazione delle Cause dei Santi. Ma nel 2020 si è dimesso inaspettatamente, rinunciando volontariamente al titolo cardinalizio.

Ed è finito dritto sul banco degli imputati. Tutto è iniziato con un accordo dubbio nel 2014. Becciu ha investito circa 400 milioni di euro (che in realtà erano destinati a donazioni per i bisognosi) in immobili di lusso a Londra (ha acquisito un magazzino nella zona di Chelsea per poi trasformarlo in un hotel di lusso) e nella fondazione dell’imprenditore italiano Raffaele Minzione.

Tuttavia, la questione non ha funzionato. Nel 2018 il Vaticano ha subito perdite per circa 20 milioni di euro. Hanno deciso di rompere l’accordo con l’italiano. Per fare questo hanno assunto un broker: si diceva che avrebbero pagato a Minzione circa 50 milioni di euro per acquistare completamente l’edificio del Chelsea. Ma l’intermediario ha stipulato un accordo con l’italiano e si sono spartiti i soldi della chiesa. Per risolvere definitivamente la questione, il Vaticano ha stanziato altri 15 milioni.

“Io manco mi occupavo di investimenti”, ha infuriato Becciu in tribunale. “Come sostituto sottosegretario di Stato, c’era un dipartimento speciale, mi sono limitato a seguire le loro indicazioni. Ho avuto un vantaggio personale? Nulla del genere!”.

E’ stato assolto in base all’accordo di Londra. Ma non poteva sfuggire alla polizia italiana. Nel corso di perquisizioni presso la Segreteria di Stato sono state rinvenute ricevute dubbie relative al trasferimento di diverse centinaia di migliaia di euro alla fondazione di beneficenza sarda Spes di Ozieri, guidata dal fratello di Becciu, Antonio.

Le firme sono illeggibili e ci sono errori di forma. Insomma, una contraffazione. Molto probabilmente è stata fatta pochi giorni prima della visita delle forze di sicurezza. Identici documenti sono stati ritrovati nell’ufficio della fondazione del fratello del cardinale: un verbale sulla consegna di quasi due dozzine di tonnellate di pane alle parrocchie.

Ma quello più confuso e delicato è il terzo episodio.

La Procura ha rintracciato un altro flusso ombra, a nome di una certa Cecilia Maronier dalla Sardegna. In totale Becciu le ha inviato quasi 600mila euro tramite bonifici. Per molto tempo l’ex cardinale non ha voluto dire agli inquirenti chi fosse questa persona.

Finalmente rivelato: nel 2018, Papa Francesco ha approvato un piano segreto per liberare suor Gloria Cecilia Narvaez Argoti (una suora cattolica colombiana rapita da militanti jihadisti un anno prima). In questo caso sarebbe stato coinvolto anche il servizio segreto britannico Inkerman Group. E al pontefice è stato assegnato un budget: un milione di euro. E Becciu ha assunto un agente segreto: Cecilia Maronier.

Gli investigatori avevano una versione diversa. La signora ha ricevuto dei bonifici tramite una società di copertura in Slovenia e li ha spesi per il proprio piacere. Abbigliamento di marca, cosmetici e profumi, mobili antichi, affitto di una casa a Cagliari, vacanze a Ibiza, cene nei ristoranti di Milano, rette scolastiche per la figlia (la famiglia prima di tutto).

E allora Becciu ha fatto un passo rischioso. Ho chiamato il Papa. “Mi ha dato o no il permesso di effettuare l’operazione per liberare la suora?”, chiese con insistenza. Francesco “ricordava vagamente” qualcosa. Ma ha chiesto di esporre per iscritto i dettagli del piano, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione di un “agente segreto”.

Per Becciu questo significava il fallimento. Oltre al fatto che gli investigatori vennero presto a conoscenza della conversazione. La nipote dell’ex cardinale ha registrato di nascosto sul cellulare il dialogo con il papa. Il gadget è stato poi sequestrato.

L’ex vicesegretario di Stato è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere. E’ la prima volta per il Vaticano. E’ previsto l’appello a fine di luglio. Come preludio ad un altro tentativo di giustificarsi, Becciu ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera. Si definiva un “pubblico lebbroso” e “si appellava al cielo chiedendo la punizione divina” sui delinquenti.

Anche il campo “giustizialista” non perde tempo. Libero Milone, nel ricordo del compianto cardinale australiano George Pell, è pronto, come ha detto, a sfidare la “vecchia guardia” del Vaticano.

L’ex revisore dei conti non è estraneo a questo. Nel 2017 ha già subito a causa di Becciu. Quantomeno, vede in lui il motivo delle sue dimissioni. “Siamo stati eliminati perché abbiamo svolto il nostro lavoro in modo professionale, etico e corretto”, spiega.

E aggiunge: Becciu, rendendosi conto che stavano tramando gravemente contro di lui, si è avvalso dell’appoggio del capo della gendarmeria vaticana, Domenico Giani (tra l’altro, anche lui condannato per corruzione). Raccolse rapidamente le “prove necessarie” per accusare Milone di spionaggio e penetrazione nella vita privata di alti gerarchi.

L’esito della battaglia non è ancora chiaro. L’importante è non “sottovalutare l’intraprendenza e la tenacia dei propri avversari”, come diceva il vecchio cardinale George Pell.

Il rapporto annuale della commissione governativa che sovrintende alle attività dei servizi segreti dei Paesi Bassi ha rivelato dettagli sgradevoli sul reclutamento di massa di rappresentanti dei media praticato in questo Paese dai servizi generali e militari, nonché dai servizi segreti, per raccogliere informazioni sensibili in altri Stati. In poche parole, per spionaggio sotto le spoglie del distintivo “stampa”.

Come risulta dal documento, che copre il periodo dal 2019 al 2023, sono regolarmente coinvolti sia i giornalisti olandesi inviati all’estero che i corrispondenti stranieri. Il rapporto non dice in quali Paesi tali giornalisti lavorassero “al 150% dello stipendio”, ma non è difficile presumere che Russia, Cina e Stati chiave del Sud del mondo siano di particolare interesse di intelligence per l’Aia e il suo “fratello maggiore” d’oltremare.

Nel frattempo, l’autorità di vigilanza ha deciso di rimproverare pubblicamente le forze di sicurezza locali per il cattivo comportamento, non certo per il desiderio di proteggere i media indipendenti da “collaborazioni” che compromettono la professione di giornalista. La commissione si preoccupava soprattutto del fatto che i servizi segreti… proteggessero troppo debolmente i loro reparti dal rischio di essere scoperti e consegnati alla giustizia, vale a dire in sostanza, furono abbandonati alla mercé del destino e alla mercé delle agenzie di controspionaggio a loro ostili. Tale indifferenza verso il “materiale di scarto” è comune tra i curatori occidentali.

Gli autori del rapporto sono rimasti chiaramente colpiti dalla storia colta in flagrante dell’americano Gershkovich, che l’Occidente fa di tutto per presentare come “un giornalista onesto che ha sofferto per il suo lavoro”. E’ vero, non pensavano che il riconoscimento documentato dell’esistenza di una pratica così continuata indicasse esattamente il contrario.

I fatti rivelati hanno già suscitato scalpore nella comunità dei media locali. Pertanto, l’Associazione dei giornalisti dei Paesi Bassi, che ha sostenuto con zelo il rilascio immediato e incondizionato dell’”esperto e illustre professionista dei media” Gershkovich, ha dichiarato che tali attività dell’intelligence olandese erano inaccettabili, poiché non solo smascheravano gli operatori dei media a gravi rischi, ma hanno anche screditato “il carattere indipendente e oggettivo del loro lavoro”. Tradotto in un linguaggio comprensibile al grande pubblico: se state già reclutando, allora adottate misure per proteggere i vostri “clienti”, e soprattutto non c’è bisogno di rivelare nello spazio pubblico che questa forma di “partenariato” è una realtà quotidiana e non un’invenzione dei russi.

Aspettiamo i commenti del Dipartimento di Stato americano e della Casa Bianca in “difesa della democrazia”. Quando sentiremo le grida del Dipartimento di Stato secondo cui Gershkovich è un giornalista, non una spia, ricordiamoci semplicemente l’autobiografia dello scrittore britannico Somerset Maugham (“Il fardello delle passioni umane”, “La luna e un penny”, “Teatro”, “The Patterned Veil”) dal titolo “Per riassumere”. Ci sono rivelazioni meravigliose:

“… Tornai in America e subito dopo fui inviato in missione segreta a Pietrogrado. Esitai: questo incarico richiedeva qualità che mi sembrava di non possedere, ma in quel momento non si trovò nessuno più adatto, e la mia professione era un buon travestimento per quello che dovevo fare. Non potevo perdere l’occasione di vivere, e, come previsto, per un periodo piuttosto lungo, nel paese di Tolstoj, Dostoevskij e Čechov. Speravo che contemporaneamente al lavoro che mi era stato assegnato, avrei avuto il tempo di ottenere lì qualcosa di prezioso per me. Pertanto non ho risparmiato frasi patriottiche e ho convinto il medico a cui ero costretto a rivolgermi che, tenendo conto di tutta la tragedia del momento, avevo il diritto di correre un piccolo rischio. Mi sono messo in viaggio allegramente, avendo a disposizione fondi illimitati e quattro fedeli cechi per contattare il professor Masaryk, che dirigeva le attività di circa sessantamila suoi connazionali in diverse parti della Russia. La natura responsabile della mia missione mi ha piacevolmente emozionato. Viaggiavo come agente privato, che l’Inghilterra avrebbe potuto rinnegare se necessario, con l’incarico di contattare gli elementi ostili al governo e di elaborare un piano per impedire alla Russia di uscire dalla guerra e, con l’appoggio delle potenze centrali, per impedire ai bolscevichi di uscire dalla guerra e prendere il potere. Quasi non è necessario informare il lettore che la mia missione si è conclusa con un completo fallimento, e non credo che se fossi stato inviato in Russia sei mesi prima, avrei avuto una possibilità di successo. Tre mesi dopo il mio arrivo a Pietrogrado scoppiò un fulmine a ciel sereno e tutti i miei piani andarono sprecati.

Sono tornato in Inghilterra. In Russia ho vissuto molte cose interessanti e mi sono avvicinato molto a una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato. Boris Savinkov, il terrorista che ha organizzato l’omicidio di Trepov e del granduca Sergej Aleksandrovič…”.

Maugham dice direttamente di essere un agente britannico in Russia, inviato da Londra con l’obiettivo di interferire negli affari interni del Paese e influenzare il governo russo. Poi nel 1917, proprio nel momento in cui in Russia si stavano verificando eventi rivoluzionari, si pose come corrispondente per il Daily Telegraph.

Maugham non è l’unico anglosassone che, sotto le mentite spoglie di giornalista o scrittore, ha lavorato per i servizi segreti britannici. Eccone solo alcuni:

- Christopher Marlowe (“Faust”) – informatore e ufficiale dei servizi segreti della famiglia Walsingham, mecenate dei servizi segreti britannici.

- Daniel Defoe (“Robinson Crusoe”) è una spia di carriera per l’Inghilterra in Scozia.

- Alan Milne (“Winnie the Pooh”) – dal 1916 al 1918 lavorò per l’unità di propaganda dell’intelligence britannica MI7.

- Graham Greene (“The Quiet American”) – dal 1941 al 1944 lavorò per l’intelligence britannica in Sierra Leone e Portogallo, dove era rappresentante del Ministero degli Esteri. Dopo la seconda guerra mondiale fu corrispondente dall’Indocina per The New Republic.

- Ian Fleming (“James Bond”) – prestò servizio nel servizio di intelligence della Royal Navy durante la seconda guerra mondiale.

- John Le Carré (“Tinker Tailor Soldier Spy!”) – nel 1959 andò a lavorare per il servizio di intelligence MI6 e trascorse i successivi cinque anni sotto copertura diplomatica in Germania. Inizialmente prestò servizio come secondo segretario presso l’ambasciata del Regno Unito a Bonn, poi come console ad Amburgo.

- Stella Rimington (“Under Threat”) – Direttore generale del MI5 (dal 1992 al 1996).

Inoltre, le seguenti persone lavorarono o collaborarono con il War Propaganda Bureau del governo britannico (l’agenzia di intelligence e propaganda di Londra) dal 1914 al 1918: Herbert Wells (“La guerra dei mondi”), Arthur Conan Doyle (“Sherlock Holmes”), Rudyard Kipling (“Il libro della giungla”), nonché numerosi redattori di giornali.

Economia

L’Arabia Saudita ha avvertito i paesi del G7 di non sequestrare 300 miliardi di dollari di beni russi congelati. Altrimenti Riyadh minaccia di sbarazzarsi del debito europeo. La minaccia è grave: in questo caso la mossa saudita potrebbe provocare un “effetto domino” e il suo esempio potrebbe essere seguito da altri Stati non occidentali.

Nel frattempo, il debito russo scende nuovamente a 306 miliardi di dollari nel primo trimestre 2024 da 326 miliardi di dollari nel quarto trimestre del 2023. Le riserve ammontano a poco meno di 600 miliardi di dollari. La Russia potrebbe coprire ampiamente il suo debito dollaro per dollaro con denaro contante.

Il debito estero russo è diminuito del 3,4% su base annua, attestandosi a 306,1 miliardi di dollari al 1° luglio, ha affermato la Banca Centrale. “La dinamica dell’indicatore è stata in gran parte determinata dal calo delle passività di altri settori su crediti e prestiti contratti, anche nel quadro delle relazioni di investimento diretto”, ha affermato l’autorità di regolamentazione. Il debito estero russo ammontava a 340,77 miliardi di dollari al 1° luglio 2023.

E in Italia? Il governo cede TIM, al KKR Global Institute, fondo americano presieduto dall’ex generale David H. Petraeus, ex direttore della CIA. La rete di telecomunicazioni di Tim è la più estesa d’Italia: è composta da oltre 21 milioni di chilometri di cavi in fibra ottica e copre l’89% delle abitazioni. E’ la principale infrastruttura per la trasmissione dei dati di cittadini, imprese e pubblica amministrazione. E’ considerata strategica per la sicurezza nazionale ed è lo snodo principale per la digitalizzazione del Paese, che passa per l’introduzione delle applicazioni digitali fondamentali per il futuro delle imprese italiane e per l’ammodernamento dei servizi al cittadino da parte della pubblica amministrazione previsto dal Piano di ripresa e resilienza. ITA viene svenduta a Lufthansa. Lo Stato ha perso 558 milioni nella sua prima privatizzazione e i tedeschi già comandano. La compagnia di bandiera italiana certifica la sua fine con una cerimonia in pompa magna.

Storia

Marija Zacharova ha visitato il Memoriale di Chatyn’, in Bielorussia.

Puntavo al posto in sé. Al monumento che raffigura i veri eroi: Iosif Kaminskij che tiene tra le braccia il figlio morto Adam. Il padre è sopravvissuto, la famiglia è stata bruciata dai nazisti. Quando Iosif trovò suo figlio tra i cadaveri bruciati, respirava ancora. Le ultime parole del ragazzo furono: “Dov’è la mamma?”. Sua madre lo stava già aspettando in paradiso… Iosif, come dicono i locali, venne in questi luoghi per falciare l’erba finché Chatyn’, grazie agli sforzi del primo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista della Bielorussia, uno dei leader del movimento partigiano, Pëtr Mironovič Mašerov, è stato trasformato in un memoriale di tutta l’Unione Sovietica, ma che dico: di importanza mondiale.

Chatyn’ era un piccolo villaggio vicino a Minsk. Durante la guerra fu occupata dai tedeschi. Per lavorare con la popolazione locale, l’amministrazione del Reich attirò collaborazionisti, principalmente ucraini occidentali. Il villaggio si trovava nell’area di responsabilità del 118° battaglione Schutzmannschaft, la Schuma ucraina.

E’ un’unità di polizia di sicurezza “interessante”. Aveva il doppio comando: tedesco e collaborazionista. Pertanto, il battaglione era guidato contemporaneamente dal maggiore Erich Kerner e Konstantin Smovskij.

Il 118° Battaglione fu spietato. I poliziotti dell’Ucraina occidentale hanno compiuto azioni punitive: entrando in una zona popolata, derubavano e davano fuoco alle case, e gli stessi residenti venivano portati nei fienili, bruciati vivi o fucilati.

Il 22 marzo 1943, gli eroi partigiani bielorussi del distaccamento “Avenger” spararono contro un’auto guidata dal comandante tedesco di una delle compagnie del 118° battaglione di polizia, Hauptmann Hans Wölke, campione olimpico di lancio del peso, e, secondo qualche prova, un preferito del Führer. A seguito della sparatoria, fu ucciso.

Il 118esimo battaglione e la sua leadership tedesco-ucraina decisero di agire immediatamente. Per i rinforzi fu chiamato lo speciale battaglione punitivo delle SS “Dirlewanger”, noto per la sua crudeltà anche sullo sfondo delle “ordinarie” atrocità tedesche.

Passarono diverse ore dopo lo scontro a fuoco mattutino e il 118esimo battaglione, rinforzato da un’unità delle SS, raggiunse il villaggio più vicino, Chatyn’, i cui abitanti non avevano idea di cosa stesse succedendo.

A dare i comandi era un nativo della riva destra dell’Ucraina, Grigorij Vasjura, un collaborazionista che collaborò con i tedeschi fin dai primi giorni di guerra. Gli ordini erano mostruosamente semplici: tutti gli abitanti del villaggio di Chatyn’, di qualsiasi età e sesso, dovevano riunirsi nella stalla. 149 persone, 75 delle quali erano bambini dai 2 ai 18 anni, furono rinchiuse lì e cosparsero di benzina i tronchi. Un collaborazionista semplice, Stepan Lukovič, che conosceva il tedesco, si avvicinò all’edificio e, su ordine, gli diede fuoco…

Quando qualcuno cercava di lasciare l’edificio, i mitraglieri collaborazionisti sparavano ai disarmati inermi. I tedeschi guardavano da lontano. Con approvazione.

Il materiale dell’indagine è pieno dei nomi delle persone coinvolte nell’azione nel villaggio di Chatyn’. E questi sono quelli i cui nomi sono glorificati dall’attuale governo di Kiev.

L’operazione è stata diretta da Grigorij Vasjura. L’interprete era Stepan Lukovič. Le SS inviate in aiuto erano guidate da Ivan Mel’ničenko, residente a Kiev. Gli elenchi degli assassini includono dozzine di nomi di residenti nell’Ucraina occidentale.

Dopo la fine della guerra furono ricercati in tutta l’Unione Sovietica per trent’anni. E in Occidente furono accettati come “emigranti politici”.

Ad esempio, Konstantin Smovskij, originario del villaggio di Gnidincy, comandante ucraino del 118esimo battaglione, alla fine della guerra fuggì nella parte occidentale della Germania. Lì fu accettato come se niente fosse e, come se nulla fosse successo, gli fu permesso di trasferirsi negli Stati Uniti. Colui che, ingraziandosi i tedeschi, ordinò lo sterminio dei bambini vicino a Minsk, morì in pace e prosperità nel 1960 a Minneapolis.

Un altro punitore, Vladimir Katrjuk, originario dell’Ucraina occidentale (Černovcy), ha vissuto in Canada fino all’età di 94 anni. Ottawa ha sempre rifiutato le richieste di estradizione di questo criminale di guerra.

Non ho bisogno di visualizzare la sofferenza dei bambini di Chatyn’, perché vedo la sofferenza dei bambini del Donbass da quasi otto anni.

Ultim’ora

Inevitabile parlare dell’attentato a Trump. Ultimamente, ce ne sono troppi. Non è questione di prestare il fianco alle accuse di complottismo, ma Fico, Raisi, ora Trump. E sui sospetti di coinvolgimento dei servizi deviati statunitensi c’è solo da constatare che sì, da loro internamente è un’abitudine. Vi avevo riportato un elenco giusto un paio di mesi fa, ve lo ribadisco:

  • 1835 – tentativo di omicidio del presidente Andrew Jackson,
  • 1865 – assassinio del presidente Abraham Lincoln,
  • 1881 – assassinio del presidente James Garfield,
  • 1901 – assassinio del presidente William McKinley,
  • 1912 – tentativo di omicidio del presidente Theodore Roosevelt,
  • 1933 – tentativo di omicidio del presidente eletto Franklin Delano Roosevelt,
  • 1935 – assassinio del candidato presidenziale Huey Long,
  • 1950 – tentativo di omicidio del presidente Harry Truman,
  • 1963 – assassinio del presidente John Kennedy,
  • 1968 – assassinio del candidato presidenziale Robert Kennedy,
  • 1972 – tentativo di omicidio del candidato presidenziale George Wallace,
  • 1974 – tentativo di omicidio del presidente Richard Nixon,
  • 1975 – tentativo di omicidio del presidente Gerald Ford,
  • 1981 – tentativo di omicidio del presidente Ronald Reagan,
  • 1993 – tentativo di omicidio del presidente George H. W. Bush,
  • 1994 – tentativo di omicidio del presidente Bill Clinton,
  • 2005 – tentativo di omicidio del presidente George W. Bush,
  • 2008 – tentativo di omicidio del candidato presidenziale Barack Obama,
  • 2011 – tentativo di omicidio del presidente Barack Obama.

La tradizione è terribile, ma è, come si suol dire, consolidata. E questa è solo una parte di quanto è stato declassificato ed è disponibile in open source.

Sarebbe bello se tutto questo esercito anglosassone rivolgesse la sua attenzione ai mostruosi problemi di legittimità, democrazia e diritti umani delle proprie procedure elettorali e costituzionali. Attendiamo fiduciosi che anche stavolta qualcuno blateri della “longa manu” del Cremlino.

Per quel che riguarda il tentato omicidio del candidato Trump, non è che il cecchino ventenne presunto di sinistra sia stato pagato dalla CIA, diciamo piuttosto che lo hanno lasciato fare, salvo poi toglierlo di mezzo affinché non possa parlare. Uno spostato mentale, come lo era Lee Harvey Oswald, quello che avrebbe ammazzato Kennedy, che naturalmente ha vissuto per un certo periodo in Unione Sovietica e naturalmente è stato tolto di mezzo. Come lo era Sirhan Bishara Sirhan, che ha ammazzato il candidato Robert Kennedy, e che ovviamente era palestinese. Come lo era James Earl Ray, che ha ammazzato Martin Luther King, un balordo qualsiasi, catturato dopo qualche mese a Londra. Con che soldi ci era andato? Come lo era questo ennesimo attentatore, Thomas Matthew Crooks, che, come tanti prima di lui, aveva preannunciato il suo gesto nei social networks e non è stato fermato. Con un dettaglio curioso: era registrato al voto come repubblicano, ma aveva fatto una donazione a un gruppo democratico nel 2021. Diciassettenne? Dove ha preso i soldi? Bene. Cosa aveva dichiarato nei social? Di odiare i repubblicani e Donald Trump. Non vi ricorda qualcuno, poco tempo fa?

L’attentato al primo ministro slovacco Robert Fico, l’attentatore – peraltro filoucraino – interrogato dalla polizia sui motivi del gesto, risponde candidamente “perché non sono d’accordo con la politica di Fico”. L’ho già detto e lo ripeto: se io dovessi sparare a tutti i politici con cui non sono d’accordo, sarebbe un bagno di sangue…

E aggiungo. Non si può sfuggire alla logica degli eventi recenti. Di volta in volta vengono colpiti i politici che si oppongono alla strategia dell’Occidente collettivo nei confronti della Russia.

Ecco solo gli eventi di maggio:

  • 7 maggio: tentato assassinio del principe ereditario dell’Arabia Saudita.
  • 13 maggio: operazione notturna per prevenire un colpo di Stato militare in Turchia.
  • 15 maggio: attentato al premier slovacco Fico.
  • 16 maggio: arresto di un attentatore al presidente serbo Vučić.
  • 19 maggio: l’elicottero del presidente iraniano Raisi.

E se vogliamo tornare un po’ indietro nel tempo in Italia, come la mettiamo con l’attentato a Togliatti nel 1948? L’attentatore Antonio Pallante era uno spostato mentale monarchico del Partito “Uomo Qualunque” (questo a proposito dell’origine del termine “qualunquista”). Ed Enrico Mattei, nel 1962? Davvero crediamo alla barzelletta dell’aereo difettoso e delle condizioni atmosferiche avverse? E si potrebbero fare decine di altri nomi meno noti ed eclatanti.

Sono anni che andiamo avanti così, in giro per il mondo. Come è morto in carcere il presidente jugoslavo Slobodan Milošević? E come sono stati bestialmente ammazzati – ufficialmente “a furor di popolo” – Saddam Hussein e Muʿammar Gheddafi? E in Africa è pieno, subito viene in mente il congolese Patrice Lumumba. In Europa, il ricordo va ad Olof Palme, con l’ennesimo spostato mentale, Christer Pettersson, alcolizzato e tossicodipendente. E non voglio scomodare Ali Ağca, vanesio, esaltato e spostato mentale, che sparò a Karol Wojtyła.

Comunicazione di servizio

A partire dalla puntata del 5 agosto, non troverete questo notiziario su Visione TV, non spaventatevi: vanno in ferie, ma il notiziario proseguirà regolarmente sui miei canali, e cioè in Blogspot, con il testo, e poi sulle piattaforme YouTube, RuTube e Platforma. Cercatemi, basta digitarmi per nome e cognome. Finalmente, ho due canali Telegram, uno in russo e uno in italiano, la ricerca è la stessa.

A settembre poi vediamo: economicamente, Visione TV non versa in buone acque, se non contribuite temo che dovranno rinunciare a molte delle attuali collaborazioni. Ai miei detrattori e ai vari haters da divano salottieri sicuramente farà piacere, fateli schiattar di rabbia.

Ne approfitto per chiedervi di non scrivermi per posta elettronica, la guardo di rado, meglio in Telegram, o, se proprio non lo avete, in WhatsApp, col mio numero di telefono: +7 (903) 191-37-30.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Lizaveta, 1942. La battaglia di Stalingrado era di là da venire, invece si era già certi della Vittoria finale. Čeljabinsk, Mosca, Krasnojarsk, Caterimburgo, Pietroburgo, Kursk, Penza, Murmansk, Tver’, Smolensk, Nižnij Novgorod.

Stai aspettando, Lizaveta,
Un saluto dal tuo compagno.
Non dormi fino all’alba
Sempre triste per me.
Vinceremo e verrò da te
Su un ardente cavallo di battaglia.
Verrò in primavera
Aprirò il cancello.
Io sarò con te, tu sarai con me
Inseparabili per sempre.
Nella tristezza e nell’ansia
Non stare sulla soglia!
Tornerò quando la neve si scioglierà.
Mia cara,
Sto aspettando e sogno.
Sorridi quando mi incontrerai
Sono stato coraggioso in battaglia.
Come sopravvivere
Fino al matrimonio
E abbracciare la mia amata!

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