Discorso del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, all’Assemblea Federale (al Parlamento), estratto sulle questioni internazionali
Mosca, 29 febbraio 2024
[…]
Il cosiddetto Occidente, con le sue abitudini coloniali, la sua abitudine ad incitare a conflitti nazionali in tutto il mondo, cerca non solo di frenare il nostro sviluppo: invece della Russia, ha bisogno di uno spazio dipendente, in declino e morente dove può fare quello che vuole. In sostanza, vorrebbero fare alla Russia la stessa cosa che hanno fatto in molte altre regioni del mondo, compresa l’Ucraina: portare la discordia in casa nostra, indebolirla dall’interno. Ma hanno sbagliato i calcoli, questo è già oggi assolutamente ovvio: si sono trovati di fronte alla ferma posizione e alla determinazione del nostro popolo multietnico.
I nostri soldati e ufficiali – cristiani e musulmani, buddisti e seguaci dell’ebraismo, rappresentanti di diversi gruppi etnici, culture, regioni – hanno infatti dimostrato meglio di mille parole che la coesione e l’unità secolari del popolo russo sono una forza colossale che conquista tutto. Tutti insieme, spalla a spalla, combattono per un’unica Patria comune.
Tutti noi, cittadini russi, difenderemo insieme la nostra libertà, il diritto a una vita pacifica e dignitosa, determineremo noi stessi e solo noi stessi il nostro percorso, proteggeremo il legame tra le generazioni, e quindi la continuità dello sviluppo storico, risolveremo i problemi che deve affrontare il Paese, in base alla nostra visione del mondo, alle nostre tradizioni, alle credenze che trasmetteremo ai nostri figli.
La difesa e il rafforzamento della sovranità avvengono oggi in tutte le direzioni e soprattutto, ovviamente, al fronte, dove i nostri soldati combattono con fermezza e altruismo.
[…]
Le capacità di combattimento delle Forze Armate sono aumentate di molte volte. Le nostre unità mantengono fermamente l’iniziativa, avanzano con sicurezza in una serie di aree operative e liberano sempre più territori.
Non siamo stati noi a iniziare la guerra nel Donbass, ma, come ho detto più di una volta, faremo di tutto per porvi fine, sradicare il nazismo, raggiungere tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale, proteggere la sovranità e la sicurezza dei nostri cittadini.
Le forze nucleari strategiche sono in stato di piena prontezza per l’uso garantito.
[…]
La Russia è pronta al dialogo con gli Stati Uniti d’America su questioni di stabilità strategica. Ma ecco ciò che vorrei sottolineare, affinché tutti mi capiscano correttamente: in questo caso abbiamo a che fare con uno Stato i cui ambienti dirigenti stanno intraprendendo azioni apertamente ostili contro di noi. E allora? Discuteranno seriamente con noi questioni di stabilità strategica, cercando allo stesso tempo di infliggere, come dicono loro stessi, una sconfitta strategica alla Russia sul campo di battaglia?
Si può fornire un chiaro esempio di tale ipocrisia. Recentemente si sono sentite sempre più accuse infondate, ad esempio, contro la Russia, secondo cui collocheremo armi nucleari nello spazio. Tali falsità – e queste non sono altro che falsità – sono solo uno stratagemma per trascinarci in negoziati alle loro condizioni, che sono vantaggiosi esclusivamente per gli Stati Uniti.
Allo stesso tempo bloccano la nostra proposta, che è sul loro tavolo da più di 15 anni. Mi riferisco al progetto di trattato sulla prevenzione del posizionamento di armi nello spazio, che abbiamo preparato nel 2008. Non c’è reazione. Di cosa stiano parlando non è affatto chiaro.
Pertanto, abbiamo tutte le ragioni per credere che le parole delle attuali autorità americane sul loro presunto interesse a negoziare con noi su questioni di stabilità strategica siano demagogia. Alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, vogliono solo dimostrare ai loro cittadini, e a tutti gli altri, che sono ancora loro a governare il mondo. Dicono che su quelle questioni su cui è vantaggioso per l’America negoziare, converseremo con i russi, e dove non è vantaggioso per loro, non c’è nulla da discutere, come loro stessi dicono, “business as usual”, lì cercheranno di sconfiggerci.
Ma certamente non funzionerà. La nostra posizione è chiara: se vogliamo discutere importanti questioni di sicurezza e stabilità che sono importanti per l’intero pianeta, allora è necessario farlo solo in un unico complesso, naturalmente, includendo tutti quegli aspetti che riguardano i nostri interessi nazionali e influenzano direttamente la sicurezza del nostro Paese, la sicurezza della Russia.
Comprendiamo anche che l’Occidente sta cercando di trascinarci in una corsa agli armamenti, esaurendoci, ripetendo il trucco che riuscì negli anni ‘80 con l’Unione Sovietica. Permettetemi di ricordarvi che nel periodo 1981-1988 le spese militari dell’URSS ammontavano al 13% del prodotto nazionale lordo.
[…]
L’Occidente ha provocato conflitti in Ucraina, Medio Oriente e in altre regioni del mondo e continua a mentire. Ora, senza alcun imbarazzo, dichiarano che la Russia avrebbe intenzione di attaccare l’Europa. E’ solo che, lo capiamo tutti, stanno dicendo assurdità. E allo stesso tempo, loro stessi scelgono gli obiettivi per colpire il nostro territorio, scegliendo i mezzi di distruzione più efficaci, come pensano. Si è cominciato a parlare della possibilità di inviare contingenti militari della NATO in Ucraina.
Ma ricordiamo il destino di coloro che un tempo inviavano i loro contingenti nel territorio del nostro Paese. Ora però le conseguenze per i possibili interventisti sarebbero molto più tragiche. Alla fine devono capire che abbiamo anche armi – anzi, lo sanno – che possono colpire obiettivi sul loro territorio.
E tutto ciò che stanno inventando ora, come spaventano il mondo intero, che tutto ciò minaccia davvero un conflitto con l’uso di armi nucleari e quindi la distruzione della civiltà – non lo capiscono o cosa? Sono persone che non hanno attraversato prove difficili: hanno già dimenticato cos’è la guerra. Anche noi, la nostra generazione attuale, abbiamo attraversato prove così difficili durante la lotta al terrorismo internazionale nel Caucaso, e ora, nel contesto del conflitto in Ucraina, sta accadendo la stessa cosa. E pensano che per loro questi siano tutti cartoni animati.
Che dire, infatti, la russofobia, come altre ideologie di razzismo, superiorità nazionale ed esclusivismo, acceca e priva della ragione. Le azioni degli Stati Uniti e dei loro satelliti hanno effettivamente portato allo smantellamento del sistema di sicurezza europeo. Ciò crea rischi per tutti.
E’ ovvio che è necessario lavorare per formare un nuovo contorno di sicurezza uguale e indivisibile in Eurasia nel prossimo futuro. Siamo pronti per un dialogo sostanziale su questo argomento con tutti i Paesi e le associazioni interessate. Allo stesso tempo, voglio sottolinearlo ancora una volta (penso che questo sia importante per tutti oggi): senza una Russia sovrana e forte, nessun ordine mondiale duraturo è possibile.
Ci sforziamo di unire gli sforzi della maggioranza mondiale per rispondere alle sfide globali, inclusa la rapida trasformazione dell’economia mondiale, del commercio, della finanza e dei mercati tecnologici, mentre molti ex monopoli e gli stereotipi ad essi associati stanno crollando.
Pertanto, già nel 2028, i Paesi BRICS, tenendo conto degli Stati recentemente diventati membri di questa associazione, rappresenteranno circa il 37% del PIL globale, mentre la cifra del G7 scenderà al di sotto del 28%. Queste cifre sono molto convincenti perché 10-15 anni fa la situazione era completamente diversa. Queste sono le tendenze. Le tendenze globali, e non c’è scampo, sono di natura oggettiva.
Guardate, la quota del PIL mondiale a parità di potere d’acquisto del G7 nel 1992 era del 45,7%, e i BRICS, anche senza tener conto dell’espansione (nel 1992 questa organizzazione non esisteva, ma i pAesi BRICS) era solo del 16,5, e nel 2022, il G7 aveva già solo il 30,3% e i BRICS il 31,5%. Entro il 2028 la situazione cambierà ancora di più a favore dei BRICS: sarà del 36,6%, per il G7 la previsione per il 2028 è del 27,8. Non c’è scampo, questa è una realtà oggettiva, sarà così qualunque cosa accada, anche in Ucraina.
Noi, insieme agli Stati amici, continueremo a creare corridoi logistici efficienti e sicuri e a costruire una nuova architettura finanziaria globale, libera da interferenze politiche, su una base tecnologica avanzata. Inoltre, lo stesso Occidente sta screditando le proprie valute e il proprio sistema bancario: stanno tagliando il ramo su cui sono seduti da decenni.
Fonte, intervento originale completo in russo:Cremlino
Sessantaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 26 febbraio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
Gira un video in rete, che io ho tradotto per Visione TV, attribuito alla madre di Aleksej Naval’nyj, in cui lancia una serie di precise accuse alla vedova. Apriti cielo. I primi a parlare di fake sono stati il canale TV Dožd’ (Rain) ed il canale Telegram Meduza, sedicenti russi, ma che in realtà trasmettono rispettivamente dall’Olanda e dalla Lettonia. Dicono che sia frutto della propaganda del Cremlino, dunque falso per antonomasia.
E in Italia? L’immancabile Enrico Mentana, su Open. Chi è Mentana? Riccioli d’oro, ex militante di Lotta Continua, poi conduttore al democristiano TG 1, poi fedele voce di Berlusconi al TG 5. E cos’è Open? E’ quella testata che da due anni vi spiega che entro un mese la Russia perderà la guerra in Ucraina, che i russi rubano i chip nelle lavatrici e nei frigoriferi ucraini per i loro missili e che combattono con le pale perché non hanno armamenti. E’ così che Open è stata premiata dalla statunitense Facebook, stabilendo per l’Italia cosa sia vero e cosa falso, e, conseguentemente, cosa sia lecito dire e scrivere, e cosa no. Per la faccenda della madre di Naval’nyj, Mentana si è spinto oltre i suoi padroni: sarebbe un’invenzione dell’intelligenza artificiale. Lasciamo perdere Ljudmila Naval’naja, concentriamoci sulle sue affermazioni.
Julija Naval’naja si è vista l’ultima volta col marito nel febbraio 2022.
Non ha alcuna restrizione all’ingresso in Russia.
Non c’è alcuna causa penale contro di lei.
In due anni, non è mai venuta a visitarlo.
Di fatto, è dalla primavera del 2021 che non è maritata con Naval’nyj.
Compare pubblicamente in società con altri uomini, tra l’altro oligarchi russi ben noti residenti a Londra.
Lo ha costretto a venire in Russia, quando era appena uscito dal coma e non poteva valutare adeguatamente la situazione.
Ha costretto Naval’nyj a riregistrare tutti i suoi beni.
Ha diseredato suo figlio, che è la ragione per cui questi si rifiuta di parlare con lei.
Ha aizzato sua figlia contro suo figlio.
Col sorrisino, poche ore dopo la morte di Naval’nyj, è intervenuta a nome suo a Monaco.
Adesso attendo che Mentana smentisca questi undici punti, e soprattutto producendo prove inconfutabili. Altrimenti, io posso accusare Mentana di rubare i portafogli alle vecchiette per strada. Poi, però, sarei io a dover produrre prove della sua colpevolezza, non lui a dover dimostrare la sua innocenza.
Aggiungerei anche un’altra constatazione. Finché non finirà l’autopsia, nessuno ha visto il corpo. Ciò nonostante, Julija Naval’naja è già sicura che sia stato avvelenato col gas nervino Novičok. Il che è abbastanza offensivo per la Russia: esistono decine di gas nervini, e nel mondo sono centinaia. Tra l’altro, i Paesi che, negli anni, li abbiano usati non internamente, bensì contro altri Paesi sono Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Romania, Francia, Spagna, Italia, Giappone. Ma proprio il Novičok? Siamo ancora all’highly likely di Theresa May? Il punto non è questo: la Naval’naja ha visto il corpo? No.
Poi però in occidente è cambiata la narrazione, smentendo di fatto la Naval’naja: Naval’nyj è stato ammazzato con un pugno al cuore, che, secondo loro, è una tecnica tipica del KGB. Francamente, mai saputo, ma non importa: hanno visto il corpo? No. Di più: il pugno è stato sferrato dopo averlo esposto per ore a quaranta gradi sotto zero. Peccato che basta aprire le previsioni del tempo (io l’ho fatto) per scoprire che quel giorno a Salechard, il capoluogo di provincia, di gradi sotto zero ce n’erano sette, e cinque a Mosca. E d’altra parte, stiamo parlando di un Paese settentrionale, non sarà mica colpa di Putin. Le stesse temperature in quei giorni c’erano nei tre Paesi scandinavi (Svezia, Finlandia e Norvegia), e poi in Danimarca, e persino nel nord del Regno Unito, non siamo mica in Italia. Insomma, tutte queste colpevoli narrazioni romanzate sanno davvero di stantio.
Il 22 febbraio Repubblica ha pubblicato un articolo di Aleksej Paramonov, l’ambasciatore russo a Roma. Ve lo riassumo.
Nella sua storia plurisecolare, la Russia non ha mai mostrato aspirazioni espansionistiche verso l’Occidente, ha solo risposto ad antecedenti atti di aggressione. L’Occidente, invece, compie regolarmente robusti tentativi di indebolire e spingere la Russia verso il cortile del mondo, lo fa con invidiabile ostinazione, circa una volta ogni secolo.
Durante il periodo della pandemia e sullo sfondo del conflitto in Ucraina, siamo stati testimoni del fatto che nel sistema politico occidentale le élite dirigenti ascoltano sempre meno le voci dei cittadini e sempre più si fanno pilotare da varie lobby e gruppi di influenza politici, industriali e finanziari, i cui interessi non hanno nulla a che fare con le richieste della popolazione, anzi, nella maggior parte dei casi, le contraddicono direttamente.
Anche durante la Guerra Fredda, gli Stati dell’Europa continentale erano meno subordinati agli Stati Uniti di quanto lo siano ora. I nostri ex partner europei – alcuni in misura maggiore, altri in misura minore – sono stati trascinati in un conflitto che contrasta con i loro interessi e li porta all’autodistruzione.
Il livello di aggressività dell’Europa nei confronti della Russia può aumentare significativamente con il continuo deterioramento della situazione socioeconomica e l’aumento del numero di persone impoverite e moralmente degradate.
Il fallimento dei piani dell’Occidente collettivo in Ucraina potrebbe essere una vera e propria vittoria per l’Europa, che sarebbe finalmente in grado di respirare “con entrambi i polmoni”, liberandosi dalla necessità di essere una base territoriale degli Stati Uniti in Eurasia, di scontrarsi con la Russia “ad ogni costo”, pagandone un prezzo ogni anno più alto.
Sempre Paramonov, il 21 febbraio è stato convocato alla Farnesina, e gli è stato manifestato il desiderio, da parte italiana, di ricevere chiarimenti in merito alle cause della morte di Naval’nyj. Inoltre, all’Ambasciatore sono state manifestate alcune valutazioni politicamente faziose in merito alla situazione politica interna della Russia, in linea con quella lettura antirussa parziale dei fatti che è concordata a livello dei Paesi occidentali.
Come risposta ai diplomatici italiani, è stato spiegato che il motivo alla base della convocazione dell’Ambasciatore russo in Italia presso il Ministero degli Esteri italiano è una questione puramente interna che riguarda solo la parte russa; la quale, come già dichiarato, sta effettuando tutte le perizie e gli accertamenti investigativi necessari, in conformità con la legislazione della Federazione Russa, al fine di individuare le cause reali dell’incidente e, ove sussistono, le relative responsabilità.
Inoltre è stato sottolineato che i tentativi dei Paesi occidentali di strumentalizzare politicamente la morte di Naval’nyj nonché di formulare accuse di vario genere contro Mosca, che fomentano artificiosamente sia la critica e l’ostilità nei confronti delle autorità russe, sia il sentimento generale contro la Federazione Russa, sono inutili e inaccettabili da tutti i punti di vista.
Il 21 febbraio 2014, con la garanzia dei Paesi occidentali, il Presidente ucraino in carica Viktor Janukovič e la leadership politica di Euromajdan, tra cui il leader del Partito “Bat’kovščina”, Arsenij Jacenjuk, il leader del partito “Udar”, Vladimir Kličko, e il leader del partito filonazista “Svoboda”, Oleg Tjagnibok, hanno firmato un accordo sulla risoluzione della crisi politica in Ucraina. I ministri degli Esteri di Germania e Polonia, Frank-Walter Steinmeier e Radosław Sikorski, e il capo del Dipartimento Europa Continentale del Ministero degli Esteri francese, Éric Fournier, sono intervenuti in qualità di garanti della sua implementazione. Tra le altre cose, l’opposizione si è impegnata a “normalizzare la vita nelle città e nei villaggi”, “liberando gli edifici amministrativi e pubblici e sbloccando strade, parchi e piazze”, consegnando le armi illegalmente detenute al Ministero degli Interni ucraino e “rinunciando a posizioni conflittuali con le autorità”.
Dopo la firma dell’Accordo, nell’ambito della sua realizzazione, il Presidente ucraino Viktor Janukovič ha dato istruzione di ritirare le forze dell’ordine dal centro di Kiev. In seguito, in violazione dell’Accordo firmato con la garanzia dei Paesi occidentali, il 22 febbraio 2014 i militanti di Euromajdan si sono impadroniti degli edifici governativi e la Verchovna Rada, caduta sotto il loro controllo, ha deciso di rimuovere il legittimo presidente del Paese in violazione della Costituzione ucraina.
Dopo il colpo di Stato anticostituzionale, i Paesi occidentali ne hanno subito riconosciuto gli effetti.
La propaganda occidentale opera in modo che fatti ed eventi scomodi possano deliberatamente essere tenuti nascosti. La gente comune ha appreso della crisi in Ucraina soltanto due anni fa, quando la Russia ha dato inizio all’Operazione Militare Speciale.
E per qualche ragione, nessuno ricorda più quanto accaduto ormai dieci anni fa, quando la crisi ucraina ebbe effettivamente inizio:
Le proteste di Euromajdan (21 novembre 2013);
Il successivo colpo di Stato anticostituzionale (febbraio 2014);
L’inizio della guerra civile, in corso da ormai un decennio, nel sud-est dell’Ucraina.
Analizziamo più nel dettaglio la crisi ucraina attraverso i fatti accaduti:
Dieci anni fa, il 18 febbraio 2014, a Kiev ebbero inizio violenti e sanguinosi scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
In soli due giorni di scontri, tra il 18 e il 19 febbraio 2014, ci furono 29 morti tra i manifestanti di Majdan e 11 morti tra gli agenti delle forze dell’ordine, mentre centinaia di altre persone rimasero ferite.
Gli agenti delle forze dell’ordine, che si rifiutavano di usare le armi contro i loro connazionali civili, vennero assaliti dai manifestanti (i quali, di fatto, erano armati).
Il 20 febbraio del 2014, il Presidente ucraino Viktor Yanukovič istituì una giornata di lutto nazionale per le vittime degli scontri. Nello stesso giorno, ignoti spararono sia contro i manifestanti che gli uomini dell’unità speciale antisommossa “Berkut”.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Oggi una canzone del 1941: Давай закурим, più o meno “Fumiamoci una sigaretta”. Sempre in versione contemporanea, dalle repubbliche popolari del Donbass.
Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.
ZTL è un appuntamento con accesso limitato agli ascoltatori dotati di analisi critica, alto senso di responsabilità, altezza variabile tra 1,50 e 2 metri e attenti a seguire la trasmissione fuori dai luoghi comuni, senza pregiudizi e censure. ZTL è in onda su Giornale Radio, dal lunedì al venerdì dalle 18 alle 20.
Dalla politica interna ai grandi fatti del mondo, all’economia e finanza, alla cronaca nera e bianca, ai grandi casi della giudiziaria, alla cultura e spettacolo. Si tratta di una guida ragionata e approfondita sui temi forti della giornata che non esclude le mille notizie curiose e solo apparentemente frivole. “Il Timone” è nei fatti la bussola che racconta l’Italia e il mondo visti con altri occhi.
Sessantacinquesimo notiziario settimanale di lunedì 19 febbraio 2024 degli italiani di Russia. Questa settimana, inevitabile iniziare con Naval’nyj. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
La reazione dei leader, dei politici e dei media occidentali alla notizia della morte di Aleksej Naval’nyj ha dimostrato ancora una volta la loro ipocrisia, cinismo e mancanza di principi. Lo schema “in ogni situazione, incolpa la Russia” è in azione. Inoltre per ogni caso c'è una preparazione preventiva come da manuale.
Diamo un'occhiata alla cronologia.
Venerdì 16 verso le 14:19 ora di Mosca (mezzogiorno in Italia) sul sito web del Servizio penitenziario federale russo per il circondariato autonomo di Jamalo-Nenec è stato pubblicato un messaggio sulla morte del condannato Aleksej Naval’nyj nella colonia correzionale N°3.
Letteralmente 15 minuti dopo, ha cominciato a riversarsi un torrente di accuse in copia carbone:
14:35: Il ministro degli Esteri svedese Tobias Billström: “Notizie terribili su Naval’nyj. Se le informazioni sulla sua morte in una prigione russa saranno confermate, questo sarà un altro atroce crimine del regime di Putin”;
14:35: Il ministro degli Esteri norvegese Bart Eide: “Profondamente rattristato dalla notizia della morte di Naval’nyj. Il governo russo porta con sé un pesante fardello di responsabilità”;
14:41: Il ministro degli Esteri lettone Edgar Rinkevich: “Qualunque cosa si pensi di Naval’nyj come politico, è stato semplicemente brutalmente assassinato dal Cremlino. Questo è un dato di fatto e qualcosa che tutti dovrebbero sapere sulla vera natura dell'attuale regime russo";
14:50: Il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavsky: “La Russia tratta ancora le questioni di politica estera nello stesso modo in cui tratta i suoi cittadini. Si è trasformato in uno Stato crudele che uccide persone che sognano un futuro bello e migliore, come Nemcov e ora Naval’nyj, che è stato imprigionato e torturato a morte";
14:51: Il ministro degli Esteri francese Stephane Sejournet: “Naval’nyj ha pagato con la vita la lotta contro il sistema di oppressione. La sua morte in una colonia penale ci ricorda la realtà del regime di Vladimir Putin”;
15:02: Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel: “L'UE ritiene il regime russo l'unico responsabile di questa tragica morte”;
15:10 (durante una conferenza stampa): Il leader del regime di Kiev Zelenskyj: "Ovviamente è stato ucciso da Putin, come migliaia di altri che sono stati torturati".
15:16 (nei media), 16:50 (nei social network): Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg: "La Russia deve stabilire tutti i fatti, rispondere a domande molto serie";
15:20: Il primo ministro olandese Mark Rutte: “La morte di Naval’nyj illustra la crudeltà senza precedenti del regime russo”;
15:30: La presidente della Moldavia Maia Sandu: “La morte di Naval’nyj in una prigione russa ricorda la palese oppressione del dissenso da parte del regime”;
15:35: Il ministro degli Esteri tedesco Annalena Bärbock: “Naval’nyj, come nessun altro, era il simbolo di una Russia libera e democratica. Ecco perché doveva morire";
15:43: La presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen: “Un triste promemoria di cosa siano Putin e il suo regime”;
15:49: Il primo ministro svedese Ulf Kristersson: “Le autorità russe e il presidente Putin sono personalmente responsabili del fatto che Naval’nyj non è più con noi”;
16:14: Il cancelliere tedesco Olaf Scholz: “Naval’nyj ha pagato con la morte il suo coraggio. Questa terribile notizia dimostra ancora una volta come è cambiata la Russia e che tipo di regime è al potere a Mosca”;
16:25: Il Segretario di Stato americano Antony Blinken: “La morte di Naval’nyj in una prigione russa, così come l’ossessione e la paura di un uomo, non fanno altro che evidenziare la debolezza e il marciume nel cuore del sistema costruito da Putin. La Russia ne è responsabile”;
17:28: Il presidente francese Emmanuel Macron: “Nella Russia di oggi, le persone libere vengono rinchiuse nei Gulag e condannate a morte”.
In un breve lasso di tempo, nel giro di due ore (dalle 14:19), i politici occidentali e i media al loro fianco sono riusciti, per così dire, a ottenere i risultati di un esame forense non ancora effettuato, a condurre un’indagine, incolpare Mosca ed emettere un verdetto.
Non c'è altra spiegazione se non il fatto che tutte queste reazioni erano preparate in anticipo.
Potremmo ancora credere in questa velocità incredibile e miracolosa se il mondo intero non avesse assistito all'impotente "indagine" sugli attacchi terroristici al gasdotto Nord Stream che si è protratta per molti mesi e si è conclusa nel nulla.
Una caratteristica distintiva di tutte queste dichiarazioni è la completa assenza anche di un accenno alla necessità di attendere i risultati di un esame forense e di un'indagine.
Insomma, siamo allo stantio “highly likly” di Theresa May sul caso Skripal’.
Aggiungerei la totale ignoranza di Macron, cosa imperdonabile per un presidente della Repubblica francese: i Gulag, al di là dell’ipocrisia della denominazione, che letteralmente stava per “Direzione principale dei campi di lavoro correttivi”, non come dicono in Italia “lager” o “campi di concentramento”, ma d’altra parte anche in Italia ufficialmente le carceri non sono luoghi di punizione, bensì di correzione, ebbene furono chiusi da Chruščëv nel 1959, persino io non ero ancora nato.
Aggiungerei anche di non aver letto tanta rilevanza mediatica e soprattutto dei potentati mondiali in merito alla detenzione di Julian Assange, né alla morte del giornalista statunitense Gonzalo Lira Lopez nelle carceri ucrofasciste.
Un particolare mi colpisce di più. Tutti i giornalisti, e probabilmente molti dei miei spettatori, sanno che nel giornalismo esiste il concetto di “coccodrillo”. Si tratta di necrologi preventivi preparati per l’eventualità, non sia mai, che accada qualcosa ai personaggi pubblici, indipendentemente dall’età: esiste sicuramente un coccodrillo sia per l’anziano Mattarella, sia per la ben più giovane Meloni. Lo scopo è quello di pubblicare la notizia prima degli altri, per qualche copia in più, per qualche visualizzazione in più, per qualche like in più. Tutto questo è monetizzabile, dunque parliamo di soldi.
Io ho buona memoria. Negli anni, ricordo i suoi “morte agli ebrei” e “la Russia ai russi” (ricorda niente, in Italia?). E ricordo quante volte è stato beccato a fare il saluto nazista (e anche questo, in Italia, dovrebbe ricordare qualcosa). Naturalmente, tutto questo non può e non deve essere motivo per l’eliminazione fisica di chicchessia. Al momento pare che sia successa una cosa tanto fatale e naturale, quanto disarmante: embolia. Si è staccato un trombo. Chiunque di noi ha avuto un parente, un amico, un conoscente che sia morto in tale modo beffardo. Solo che non si chiamava Naval’nyj, perciò nessuno ne ha parlato, nessuno ha esecrato. Ma supponiamo pure che questa morte non sia naturale. Davvero convinti che sia inconfutabile un’indicazione del Cremlino? E se invece ci fosse lo zampino esterno, tipo MI6 o CIA? Non voglio essere complottista, ma perché escluderlo?
Guardatevi questo piccolissimo video. E’ di ben 12 anni fa. Il principale aiutante di Naval’nyj, Vladimir Ašurkov, chiede all'ufficiale dell'MI6, James William Thomas Ford, 10-20 milioni di dollari all'anno per avviare una rivoluzione colorata in Russia. Questo nel caso vi chiedeste "perché Naval’nyj è stato arrestato?".
Repetita juvant. Il video registrato nel 2012 mostra un incontro avvenuto in un bar di Mosca, la capitale russa, tra il direttore esecutivo della cosiddetta Fondazione anticorruzione (FBK) di Naval’nyj, Vladimir Ašurkov, e l'allora secondo segretario agli affari politici dell’ambasciata del Regno Unito in Russia, James William Thomas Ford. L'FSB sospettava che il diplomatico in questione lavorasse per il Secret Intelligence Service (MI6) del Regno Unito, operando sotto copertura diplomatica.
In ogni caso, riassumiamo e ribadiamo una cosa. Il cui prodest degli antichi romani era e resta geniale nella sua semplicità. Di cosa si parlava fino a venerdì, in Occidente? Dell’intervista di Putin a Carlson, con la quale, per la prima volta in due anni, è stata rotta la spessa coltre censoria, tutti parlavano di Putin, attribuendogli tutto e il contrario di tutto, e nessuno ascoltava cosa avesse da dire Putin. Dell’avanzata dell’esercito russo sulla linea del fronte. Di cosa si parla, invece, ora? Di Naval’nyj, eleggendolo a ennesimo martire e “principale oppositore di Putin”. In Russia non gliene frega niente a nessuno, ma pazienza. E dunque la domanda è legittima: a chi conviene, a chi fa comodo? A che pro per Putin ordinarne l’eliminazione, cosa ci guadagna?
Dichiarazione del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa in merito all’ennesimo crimine commesso dal regime di Kiev
Il regime criminale di Kiev non smette di mostrare al mondo la sua natura neonazista.
Il 15 febbraio, in pieno giorno, le Forze armate ucraine hanno condotto un ennesimo, pesante attacco sui quartieri residenziali della città di Belgorod. Secondo le prime informazioni, ci sono stati 6 morti, tra i quali anche un bambino. Sono invece 17 i cittadini rimasti feriti, di cui 4 sono bambini. Sono stati danneggiati condomini, automobili, un negozio e un’attività industriale della zona. Dal punto di vista militare, si è trattato di un’azione del tutto priva di senso.
Secondo quanto riferito dal Ministero della Difesa della Federazione Russa, nello stesso giorno, sopra il territorio della regione di Belgorod, i sistemi di difesa antiaerea hanno abbattuto 14 missili ucraini “Vampire”, provenienti da sistemi missilistici a lancio multiplo.
Il Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa condanna fermamente questo mostruoso crimine commesso ai danni della popolazione e delle infrastrutture civili. Su questo crimine verranno svolte le dovute indagini, e coloro che lo hanno commesso saranno puniti duramente.
E’ evidente che i nazisti di Kiev, che stanno subendo una sconfitta dopo l’altra sul campo di battaglia, sfogano con ferocia tutta la loro rabbia sulla popolazione civile russa. Tale atto terroristico compiuto dai banderisti ucraini ha nuovamente messo in luce il ruolo criminale dell’”Occidente collettivo” capeggiato dagli USA, che sta continuando a fornire armamenti letali in grande quantità a un regime dalle tendenze fasciste; un regime che, a sua volta, punta queste armi contro dei civili assolutamente innocenti.
Esortiamo la comunità internazionale a condannare questo vergognoso atto criminale. Abbiamo intenzione di avviare le attività per la presa in esame di quanto accaduto presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nonché presso altre istituzioni internazionali.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Nell'estremo oriente russo, c'è un'isola. E' molto grande, si chiama Sachalin. A sud confina col Giappone, e la latitudine è quella del confine tra Italia e Svizzera, a nord è all'altezza di Amburgo.
Godetevi i panorami, e pensate che anche questo è Asia.
Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.
Ascolta “L’Attimo Fuggente”, programma condotto da Luca Telese e Giuliano Guida Bardi, oggi hanno parlato con Mark Bernardini (politologo e sociologo in Russia).
Dal lunedì al venerdì dalle 07.00 alle 09.00 e sabato dalle 08.00 alle 10.00, dove la vita italiana verrà analizzata, messa in discussione e a volte apprezzata con le interviste spigolose di Luca Telese e Giuliano Guida Bardi a tutti gli interpreti della vita politica e sociale di tutti i giorni.
“Joe Biden è più esperto di politica e per questo la Russia preferirebbe lui rispetto a Donald Trump come presidente degli Stati Uniti”. Perché Putin loda (o forse trolla) Biden? È la domanda che si sono fatti in molti quando è emerso il commento rilasciato dal leader russo, nel corso di un’intervista al giornalista Pavel Zarubin. Ne parlano stasera a Dietro il Sipario, Mark Bernardini, Pino Cabras e Davide Rossi.
Recentemente, ho tradotto l’intervista
di Tucker Carlson con Vladimir Putin. Non avendo nulla da contestare nel
merito, i soliti sfaccendati leoni da tastiera si sono concentrati sul
sottoscritto: e chissà se la traduzione era fedele, e il sonoro non
corrispondeva all’immagine, e la voce di entrambi era sempre la stessa, e via
sproloquiando.
Bene mettetevi comodi, perché non
sarò breve. Una volta per tutte, voglio chiarire alcuni concetti che a me
appaiono scontati, ma che evidentemente per i più non lo sono. A partire da questo
mio comunicato, in futuro rimanderò a quest’ultimo.
Il primo concetto da chiarire è
cosa sia una traduzione. Devo dire, vista la mia età, che preferisco le fonti
cartacee, e nella fattispecie vi leggo come la definisca il Grande Dizionario
Enciclopedico UTET del 1972 in diciannove volumi.
Dal latino traducĕre, trasportare. E’ la
trasposizione del discorso da una lingua naturale a un’altra. Si dice
interprete chi fa la traduzione orale e istantanea di un messaggio orale;
traduttore è chi opera sulla lingua scritta.
La distinzione tradizionale fra traduzione
letterale e traduzione libera, secondo alcuni corrispondente in parte alla differenza
tra versione e traduzione
propriamente detta, riproduce l’antitesi ciceroniana del tradurre ut interpres o ut orator opponendo le trasposizioni fedeli, anche a costo di
apparire rozze, alle cosiddette “belle infedeli”, vicine alla parafrasi e al
libero adattamento. Nelle sue migliori prove la moderna traduzione, avvalendosi
delle molteplici e talora contraddittorie esperienze del passato, è il
risultato della perfetta comprensione di contenuto ed espressione del messaggio
di cui si cerca di riprodurre integralmente non solo il significato, ma anche i
tratti formali caratterizzanti: la traduzione ideale è quella capace di
ricreare nella nuova lingua la stessa trama di opposizioni e di relazioni dei
valori semantici, sintattici, ritmici, ecc., della lingua originale.
Diverse dalle traduzioni, benché
talvolta designate impropriamente come tali, sono le seguenti operazioni traspositive:
le trascrizioni, o notazioni,
compiute dal dialettologo che dà forma scritta a un idioma parlato, le translitterazioni (o trans ili ab azioni quando si passa da
una scrittura alfabetica a una sillabica), che consistono nel ricevere un testo
in simboli stenografici o in alfabeto Morse o in caratteri Braille o in simboli
crittografici.
Se solo recentemente si è posto
il problema di una teoria scientifica della traduzione, antichissima è
l’attività dell’interprete, fiorente già nell’antico Egitto, e testimonianze di
traduzioni sono le liste e i glossari bilingui e plurilingui in tavolette di
terracotta dell’Asia Minore. A Roma la letteratura si inizia all’insegna della traduzione
(Livio Andronico), e Cicerone formula il problema teorico fondamentale: se si
debba rimanere fedeli alla lettera del testo o al pensiero in esso contenuto.
Grande incremento ha avuto nei secoli la traduzione delle Sacre Scritture, a
cominciare dalla versione dei Settanta
(secolo III a. C.) e dalla Vulgata di
S. Girolamo fino alle numerosissime traduzioni nelle varie lingue nazionali dal
secolo XVI (Bibbia di Lutero) ai giorni nostri, in cui si calcola che la Bibbia
sia tradotta in poco meno di 1200 lingue. In Europa la diffusione del cristianesimo
è legata alla traduzione dei testi sacri: operarono in Inghilterra il
Venerabile Beda (secolo VIII), re Alfredo (secolo X) e Alfric (secolo XI), in
Irlanda i monaci traduttori di Bangor, nel convento di S. Gallo in Svizzera
Notker il Balbo, nei Paesi slavi Cirillo e Metodio. Traduzioni e adattamenti di
testi latini troviamo fra i primi documenti dei volgari romanzi, in cui per
tutto il Medioevo i volgarizzamenti
(liberi rifacimenti di opere antiche e medievali) rappresentano una parte non
trascurabile dell’attività letteraria. In Spagna, al punto di incontro delle
civiltà ebraica, araba e cristiana, fin dal secolo XII fiorì la prima scuola di
traduttori, a Toledo. Benché nel Medioevo non siano mancate in Italia (Dante) e
in Francia (Nicole Oresme) riflessioni sul problema della traduzione, questo è
impostato e discusso sistematicamente solo nel Rinascimento, da trattatisti e scrittori
di varie nazionalità, che abbandonano la pratica medievale sia dell’arbitrario
rimaneggiamento sia della versio
legata alla lettera del testo (e applicata per ragioni di ortodossia teologica
ai libri sacri) per stabilire norme di “ben tradurre” accettabili ancor oggi.
Classificata fra i generi letterari, la traduzione è soggetta, nei secoli
seguenti, alle teorizzazioni e alle tendenze che di volta in volta dominano la
prassi scrittoria, fino al nostro secolo, ove i motivi di disaccordo appaiono
acutizzati dalla maggiore consapevolezza teorica e dall’affinamento dei mezzi
tecnici.
Una teoria della traduzione,
quale oggi si impone per l’incremento degli studi e per le necessità pratiche
del comunicare, deve fondarsi su una teoria linguistica generale, in quanto
l’operazione del tradurre coinvolge tutti i livelli di attuazione del messaggio
linguistico; particolarmente interessate sono la semantica, la stilistica e la
teoria della comunicazione. Le varie specie di traduzione (religiosa,
letteraria, poetica, teatrale, cinematografica, diplomatica, commerciale,
tecnico-scientifica) propongono ciascuna problemi diversi, connessi con la
natura specifica del “genere” a cui i singoli tipi appartengono e con le
discipline da cui questi dipendono. Sono noti, per esempio, gli ostacoli spesso
insormontabili che incontra il traduttore nel rendere certe peculiarità del
linguaggio poetico, particolarmente quelle legate agli aspetti fonici o
ritmici, o le preoccupazioni di fedeltà alla lettera e allo spirito dei testi
religiosi e la difficoltà di renderne accessibile la simbologia a destinatari
di cultura diversa, a cui certi simboli possono apparire incomprensibili o
privi di significato. La traduzione richiede infatti non solo competenza
linguistica, in senso tecnico e teorico, ma sicuro possesso delle discipline a
cui si riferiscono i contenuti da tradurre, e soprattutto dell’ambiente
socioculturale, delle condizioni storiche, etniche e antropologiche in genere,
in cui l’opera è maturata. E’ questo un aspetto di capitale importanza per l’esatta
trasmissione di un messaggio in tutte le sue implicazioni, specie quando le due
lingue siano lontane nel tempo o appartengano a comunità di parlanti di civiltà
radicalmente diverse.
Sono state anche sperimentate per
la prima volta (a New York nel 1954, poi a Londra e a Mosca nel 1955) delle
macchine per tradurre (le MT): calcolatori elettronici funzionanti come
dizionari automatici. I risultati finora sono stati poco incoraggianti: per
funzionare, una MT dovrebbe disporre di algoritmi di traduzione, derivanti da
un’analisi adeguata di tutti i livelli della struttura grammaticale (semantico,
fonematico e sintattico), ma una tale descrizione è ancor lungi dall’essere attuata,
specialmente al livello dell’organizzazione sintattica.
E veniamo ora alla Treccani
online, di cui purtroppo negli anni mi fido sempre meno, ma che nel caso in
questione non differisce granché da quanto ho narrato sin qui in versione
cartacea UTET. Eppure, adesso capirete perché cito anch’essa, proprio per le
differenze.
L’azione, l’operazione e
l’attività di volgere da una lingua a un’altra un testo scritto od orale.
Traduzione letterale e traduzione
a senso.
La traduzione si presenta come un
caso speciale di un’attività più vasta, che consiste nel trasferimento di senso
da una forma in un’altra e nella riformulazione di un messaggio. La traduzione
si rende necessaria per superare un ostacolo alla comprensione. Tale ostacolo
può essere costituito da una lingua sconosciuta, ma anche da parole sconosciute
della propria lingua, da uno stile complesso o arcaico o involuto, da un codice
ignoto. Affinché la comunicazione si stabilisca, serve allora che qualcuno o
qualcosa riproduca il messaggio in modo tale che possa essere compreso dal
destinatario.
Il linguista e semiologo Roman
Jakobson è autore di un’ormai classica tripartizione: la traduzione fra due
lingue verbali umane (interlingual translation), o traduzione propriamente
detta; la traduzione che avviene all’interno della medesima lingua
(intralingual translation), o riformulazione; la traduzione intersemiotica
(intersemiotic translation), detta anche trasmutazione, che ha luogo fra codici
semiotici differenti, di cui almeno uno non verbale (per esempio, nella trasposizione
cinematografica, pittorica, musicale di un testo letterario). Per secoli la
specificità della traduzione interlinguistica è stata individuata nel
trasferimento del significato dall’involucro di una lingua in quello di
un’altra, senza nulla togliere e nulla aggiungere: sarebbe questa la traduzione
fedele. L’aspirazione a un ancoraggio fermo ha indotto inoltre ad attribuire un
valore di sicurezza alla traduzione detta letterale, cui l’unità di misura
della parola conferirebbe un valore oggettivo. L’opposizione traduzione letterale/traduzione
a senso è dicotomia ricorrente nella storia del pensiero relativamente alla traduzione;
a questo proposito, già S. Girolamo, nell’Epistola
LVII ad Pammachium composta alla fine del IV secolo, rigettava il metodo
della traduzione parola per parola, fonte di goffaggini, astrusità e
controsensi, preferendo un metodo di traduzione fondato sul senso. Alla
corrispondenza parola per parola, talvolta addirittura morfema per morfema,
come capita di rilevare in molti volgarizzamenti medievali, si contrapposero
metodi di traduzione, prediletti in certe epoche e in certe culture, come
quella neoclassica francese, che lasciavano o richiedevano al traduttore una
grande libertà. Nasce proprio nella Francia del XVIII secolo il mito delle “belle
infedeli”: la fedeltà al testo di partenza diventa sinonimo di ineleganza,
contorsione, goffaggine, rozzezza e denota in chi la persegue una debolezza
d’arte e d’ingegno. Gli idealisti e i romantici tedeschi del secolo seguente,
intrisi di un profondo senso della storia e delle peculiarità distintive di
ogni singolo prodotto dell’arte e della scienza, condannarono però le belle
infedeli come anacronistici travestimenti di ciò che è irrimediabilmente altro
da noi. L’opinione corrente secondo cui bisognerebbe tradurre come se fosse
l’autore dell’originale medesimo a scrivere direttamente nella lingua del
traduttore viene respinta come vuota e inconsistente. Nessuno, infatti, può
sapere che cosa una persona avrebbe scritto, se fosse nata e cresciuta
nell’epoca, nella cultura e con la lingua del traduttore, e ancor meno come
l’avrebbe scritto. Così la vera essenza e il valore positivo della traduzione
sono individuati nell’esperienza della distanza che separa il traduttore e il
lettore dal testo originale. Le traduzioni ispirate ai principi romantici si
rivelarono però spesso di non facile lettura, al punto che la critica ai
risultati finì con il coinvolgere le idee da cui muovevano.
Teorie della traduzione
L’antica funzione rassicurante di
ancoraggio che si suole attribuire alla traduzione letterale si scorge anche
dietro i primi tentativi di traduzione automatica condotti negli Stati Uniti a
partire dagli anni 1950. Il presupposto teorico è ancora una particolare
visione del linguaggio umano, secondo cui sarebbe possibile separare
perfettamente il significato dall’elemento sensibile che lo veicola, dal segno
in cui s’incarna (parola, frase, testo) e rivestirlo di una diversa forma senza
pregiudizio alcuno della sua integrità. Sarebbe allora possibile procedere,
schematicamente, nel modo seguente: box→‘scatola’→scatola e viceversa, dove
‘scatola’ è la rappresentazione concettuale che funge da cerniera fra i due
segni linguistici.
Gli studi avviati in Europa già a
partire dal XIX secolo sui rapporti fra lingua, pensiero e realtà, ma
soprattutto la semiotica, la linguistica, la filosofia del linguaggio, la teoria
della letteratura e, successivamente, la teoria della traduzione hanno
progressivamente minato questa antica concezione del tradurre sia sul versante
teorico sia su quello della descrizione fenomenica. La linguistica e la
semiotica strutturali hanno affermato che il significato di ogni segno
linguistico è determinato dalla funzione che esso svolge all’interno del
sistema, vale a dire che ogni segno, da un lato, è delimitato dall’insieme
degli altri segni compresenti nel codice che l’utente adopera, dall’altro è
definito dall’insieme dei suoi usi possibili. Pertanto, poiché il segno box
riceve il suo autentico valore dalla rete dei rapporti che intesse con tutti
gli altri segni del codice lingua inglese, sia sul piano del sistema sia sul
piano dei suoi usi concreti, ne discende che il segno scatola non può né in
teoria né di fatto avere lo stesso valore. Di qui si può anche giungere alla
conclusione che la traduzione sia impossibile (e alcuni lo hanno sostenuto). E
in effetti così è, se con traduzione s’intende una riproduzione dei medesimi
valori presenti nei segni che compongono l’originale. Si è però obiettato,
opportunamente, che se dal piano dei confronti fra sistemi linguistici si passa
al piano del confronto fra messaggi emessi da un locutore a un destinatario in
un contesto situazionale e comunicativo determinato, le variabili si riducono
sensibilmente e la traduzione diviene praticabile. Nei messaggi concreti,
infatti, non tutto lo spettro del significato di un segno viene attivato.
Occorre riconoscere, però, che anche sul piano dell’atto locutorio concreto
possono presentarsi, soprattutto in determinati generi testuali, quelli che
lasciano margini maggiori all’interpretazione o all’evocatività (come, per esempio,
i testi letterari, in particolare poetici, o quelli filosofici, religiosi,
giuridici, politici), ostacoli difficilmente sormontabili.
Le teorie della traduzione
sviluppate alla fine del Novecento insistono sul ruolo decisivo del traduttore
come interprete. Con gli strumenti culturali e linguistici a sua disposizione
egli stabilisce una gerarchia di valori presenti nel testo di partenza, che
funge da guida nella scelta del metodo più appropriato per la traduzione e
delle soluzioni ai problemi che via via si pongono. Sulla base della sua
comprensione e della sua interpretazione e con riferimento agli scopi
comunicativi che persegue, il traduttore procede attraverso singole scelte che
comportano perdite, acquisti e alterazioni più o meno consistenti rispetto a
quanto si può isolare nell’originale. Questo è ciò che avviene normalmente,
anzi inevitabilmente.
La dimostrazione
dell’impossibilità di non alterare il testo traducendolo è fornita dai casi
estremi della traduzione automatica o dell’autotraduzione. Riguardo alla prima,
nata negli USA per la traduzione di testi scientifici in cui il fattore
strettamente informativo prevale sull’aspetto stilistico, bisogna considerare
che gli impedimenti, più ancora che legati allo sviluppo tecnico, sono di
natura teorica. Costruire una macchina capace di tradurre a un livello
accettabile presuppone innanzitutto una teoria del linguaggio e della traduzione
interamente formalizzabili, di cui non si dispone: significherebbe, di fatto,
approntare un sistema in grado di capire il linguaggio usato nel contesto e di
generarlo autonomamente. E infatti, nonostante siano stati fatti tentativi
interessanti, privilegiando, volta a volta, l’aspetto lessicale, l’aspetto
morfologico (isolando le radici o la base lessicale e fornendo una serie di
istruzioni atte a ricostruire le parole nel contesto), l’aspetto grammaticale
per la costruzione di frasi a partire da istruzioni di partenza eccetera, i
problemi che rimangono da risolvere sono ancora quelli legati al valore
semantico degli insiemi costruiti sintatticamente. Le tendenze recenti della traduzione
automatica pertanto si indirizzano verso soluzioni interattive, ossia verso
interventi “meccanici” con successivi riaggiustamenti umani. L’autotraduzione
costituisce un fenomeno marginale, ma interessante per il contributo che porta
alla riflessione sui problemi generali della traduzione. L’autore che traduce
un proprio testo in una lingua diversa da quella in cui era stato concepito
originariamente sembrerebbe offrire la migliore garanzia di affidabilità. In
realtà, ammessa l’ottima conoscenza di entrambe le lingue, l’autore di un testo
si trova in una condizione non dissimile da quella del traduttore comune. Data
la natura del tradurre, infatti, dovrà comunque scegliere un’interpretazione
possibile di quanto aveva originariamente scritto, visto che la lingua e la
cultura d’arrivo non consentono di riprodurre un testo esattamente conforme,
anche perché non sono conformi le coordinate di ricezione da parte del
pubblico, inserito in un sistema di riferimenti in qualche modo comunque
dissimile da quello del pubblico cui era destinato il testo di partenza.
Dall’osservazione che le traduzioni
circolanti in un determinato contesto linguistico-culturale ben raramente
rispondono alle esigenze delle definizioni tradizionali di traduzione,
generalmente fondate su criteri normativi e su nozioni oggi ampiamente
ridiscusse, come quella di equivalenza, si sono sviluppati, negli ultimi
decenni del XX secolo, nuovi orientamenti negli studi sulla traduzione, che
hanno sottolineato l’importanza degli aspetti socioculturali (a lungo
trascurati a favore di quelli puramente linguistici) e del contesto in cui la traduzione
è eseguita, accolta e inserita (talora ignorati a favore di un interesse
incentrato solo sul contesto da cui è scaturito l’originale). In conclusione,
più che una definizione chiusa, prescrittiva e atemporale, il fenomeno del
tradurre sembra richiedere un trattamento più aperto, sottoposto a un fascio di
condizioni più o meno cogenti a seconda delle richieste che dai gruppi
culturali e sociali di una determinata collettività storica vengono rivolte ai
traduttori dei diversi generi testuali.
Qui finisce la Treccani. Insomma,
che vi piaccia più lo sguardo profondo della UTET di mezzo secolo fa, o quello
pressappochista incentrato sugli Stati Uniti della Treccani moderna, un’idea
comunque ve la sarete fatta. E comunque è ciò di cui mi occupo dal 1979, cioè
da 45 anni.
Resta un concetto che nella UTET
di allora non si poteva ancora trovare. Mi riferisco al doppiaggio, ossia a
quel che mi viene imputato come scarsamente professionale, anziché alla
traduzione, che invece mi viene universalmente riconosciuta come eccelsa. Beh,
ma infatti non mi sono mai piccato di essere un doppiatore. Ecco di nuovo la
Treccani.
Il doppiaggio è un’operazione con
cui un film viene dotato di un sonoro diverso da quello originale, per
eliminare difetti tecnici o di recitazione, o trasferire il parlato in una
lingua diversa.
L’avvento del sonoro colse
impreparate le strutture del cinema italiano, che non era in grado di far
parlare i suoi film. Nell’aprile del 1929 uscì in Italia The jazz singer di Crosland
e in quello stesso anno il governo fascista decretò che le pellicole straniere
non potevano circolare in lingua originale. I film stranieri erano quindi
distribuiti con le musiche e i rumori della colonna sonora originale, ma privi
dei dialoghi che venivano tradotti in lunghe didascalie. Ciò causò una
disaffezione da parte del pubblico mettendo a rischio l’occupazione per
migliaia di lavoratori del settore cinematografico. Data l’importanza del
mercato italiano per l’industria cinematografica statunitense, Metro Goldwyn
Mayer, Fox e Warner Bros realizzarono versioni plurime nei loro stabilimenti di
Hollywood, utilizzando attori oriundi che parlavano l’italiano con forti
inflessioni americane. Ma i produttori, non soddisfatti dei risultati,
pensarono di sperimentare il doppiaggio, il cui “prototipo” fu un sistema
inventato dal fisico austriaco Karol, detto dubbing, che consisteva nel
sostituire la colonna sonora relativa al parlato con un’altra dove i dialoghi
tradotti erano recitati in una lingua diversa dall’originale.
Nel 1932 entrò in funzione il
primo stabilimento di doppiaggio italiano presso la società Cines-Pittaluga cui
seguirono la Fotovox e la ItalaAcustica nel 1933, anno in cui lo stabilimento
di doppiaggio Fono Roma fu attrezzato con l’apposito strumentario tecnico. Nel
1934 il governo fascista vietò la circolazione dei film doppiati all’estero e
le grandi case di produzione statunitensi dovettero affidarsi agli stabilimenti
romani, che videro crescere il loro lavoro in maniera considerevole. Nella
seconda metà degli anni 1930 il doppiaggio italiano cominciò ad assumere
precise caratteristiche tecniche, artistiche ed espressive e si delinearono i
requisiti del doppiatore: la duttilità e l’espressività della voce, la dizione
tornita, le doti recitative capaci di adeguarsi ai modelli timbrici della voce
originale, la particolarità dei toni, la capacità di interpretare tempi e
modalità cinematografici e di controllare le inflessioni e i ritmi. Queste
qualità hanno reso celebre la scuola di doppiaggio italiana, che nel tempo ha
visto impegnati attori prestigiosi, sia di teatro (Paolo Stoppa, Giorgio
Albertazzi, Gino Cervi, Arnoldo Foà, Enrico Maria Salerno) sia di cinema (Alberto
Sordi, Giancarlo Giannini), o doppiatori specializzati, Nando Gazzolo (David
Niven), Oreste Lionello (Woody Allen).
Inizialmente i doppiatori, costantemente
nell’ombra, non condividevano il successo degli attori celebri cui prestavano
la voce e non venivano mai alla ribalta. Solo nel 1937 alcune riviste di cinema
cominciarono a parlare del doppiatore e dei suoi maggiori esponenti e nello
stesso periodo si affermò la pratica di doppiare anche alcuni attori italiani. Una
certa diffidenza dei produttori rispetto alle voci di alcuni attori e attrici
italiani, considerate troppo ruvide o sgradevoli nei loro timbri e toni, si
manifestò anche in seguito, e, soprattutto agli inizi, furono doppiati nomi
illustri del cinema italiano come Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano,
Lucia Bosé, Claudia Cardinale, Ornella Muti, Stefania Sandrelli, Raf Vallone, Renato
Salvatori, Maurizio Arena, Franco Nero, Giuliano Gemma, e perfino Anna Magnani.
Nel secondo dopoguerra era invalso d’altronde l’uso di scegliere gli attori per
l’aspetto fisico, senza tenere conto della loro dizione; persino uno dei
capolavori-manifesto del Neorealismo, Roma città aperta (1945) di Roberto
Rossellini, utilizzò il doppiaggio: un bambino aveva la voce di Ferruccio
Amendola.
Già negli anni 1940, però, gli
intellettuali si schierarono contro il doppiaggio dei film stranieri,
proponendo in alternativa i sottotitoli. Ma il referendum proposto da Michelangelo
Antonioni, che per il suo film d’esordio Cronaca di un amore (1950) fece
doppiare Lucia Bosé e un altro personaggio da Alberto Sordi, evidenziò che lo
spettatore italiano era ormai abituato alle straordinarie voci dei doppiatori e
apprezzava la tecnica del doppiaggio. Nel 1944 fu fondata la prima e più
importante cooperativa di doppiaggio, la CDC (Cooperativa Doppiatori
Cinematografici), che comprendeva circa 150 iscritti divisi in varie categorie
(direttori di doppiaggio, protagonisti, comprimari, caratteristi, generici), e
nel 1945 era nata la ODI (Organizzazione Doppiatori Italiani), che raggruppava
attori teatrali decisi a svincolare la pratica del doppiaggio dalla
corrispondenza rigida del rapporto fra la voce e il volto, o che si sentivano
schiacciati dalla presenza dei doppiatori storici. Si affermarono così quelle
voci che ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione del cinema, soprattutto
statunitense, degli anni 1940 e 1950, e che contribuirono a creare un feeling
esclusivo fra gli spettatori italiani e i divi dell’epoca; accanto a queste si
moltiplicarono le voci prestate, negli anni 1960 e 1970, ad attori francesi,
inglesi, tedeschi: i già citati Gino Cervi e Alberto Sordi (le cui esperienze
radiofoniche lo avevano reso adatto alla carriera di doppiatore ancor prima di
divenire attore), per arrivare a Ferruccio Amendola, forse l’esempio più
indicativo della duttilità e della modernità nell’ambito delle voci del doppiatore
italiano, per la sua grande capacità di scardinare la rigidità della tecnica
tradizionale prestando inflessioni e cadenze ad attori innovativi come Dustin
Hoffmann, Robert De Niro, Al Pacino.
All’inizio degli anni 1950, le
due maggiori organizzazioni si separarono e sorsero nuove società, tra cui la
Sinc nel 1967 e la CVD (Cine-Video Doppiatori) nel 1970, alle quali si
aggiunsero il Gruppo Trenta e altre società che proliferarono dai primi anni
1980 in seguito al boom di telenovelas, serie televisive e soap opera.
L’avvento delle televisioni private favorì l’incremento delle società di doppiaggio
che da una decina divennero un centinaio; parallelamente i doppiatori, che alla
fine degli anni 1950 erano circa 300, sono passati nel nuovo millennio a oltre
1500. Si sono moltiplicate anche le organizzazioni di postsincronizzazione,
mentre i tempi di lavorazione sono calati, a scapito della qualità, a partire
dalla seconda metà degli anni 1970, quando telefilm, telenovelas e film per la
televisione hanno costretto i doppiatori a ritmi frenetici. Il doppiaggio è
entrato così in una nuova era: la concorrenza esasperata ha costretto infatti
le società ad attingere al libero mercato delle voci, risparmiando sui tempi e
sui costi e stimolando molti doppiatori a lavorare free lance. Nel 1978 è nata
la CDL (Cooperativa Doppiatori Liberi), trasformatasi nel 1983 in ente morale
con il nome di ADL (Attori Doppiatori Liberi).
Il procedimento che consente di
vedere/ascoltare un film straniero in un’altra lingua è lungo e complesso.
Prima di arrivare al doppiaggio vero e proprio bisogna adattare l’opera
originale. Nella prima fase si procede a comparare la copia lavoro con la “colonna
internazionale”, in modo che l’integrazione preservi rumori riproducibili in
sala e adattabili all’immagine sullo schermo, per esempio il cigolio di una
porta (effetti sala), effetti sonori di repertorio (effetti speciali) e rumori
di fondo e atmosfere sonore legate all’ambiente in cui si svolge l’azione
(effetti ambiente). La copia del film serve inoltre al dialoghista-adattatore
che appronterà una versione tradotta in italiano per l’utilizzo nel doppiaggio.
L’operazione consiste nella trasposizione e nell’elaborazione in lingua
italiana dei dialoghi originali in modo che il labiale e il visivo siano
adattati in perfetto sincronismo.
Il filmato viene suddiviso in
segmenti costituenti unità separate su cui effettuare il doppiaggio, i
cosiddetti anelli contrassegnati da un codice numerico. Si procede a incidere
le voci su una o più piste sonore, oppure su piste e colonne audio separate.
Nella sala di doppiaggio ci sono due spazi attigui insonorizzati divisi tra
loro da un grande vetro. In un ambiente lavora il regista con il direttore di doppiaggio
e il fonico e nell’altro si dispongono gli attori-doppiatori con l’assistente
al doppiaggio, che controlla sia il sincronismo labiale sia il coordinamento
del lavoro, mentre gli attori-doppiatori, di fronte al leggio con il copione
italiano, seguendo sullo schermo il filmato, che passa più volte ad anello, e
ascoltando in cuffia il sonoro originale, procedono a provare ripetutamente le
battute mettendole in sincrono con le immagini e con il movimento labiale degli
attori, fin quando non si è pronti a incidere. A questo punto interviene il
sincronizzatore che ha il compito di far coincidere le voci italiane registrate
con il movimento labiale originale, e che, con l’ausilio di una strumentazione
elettronico-digitale, può accorciare o allungare le pause e effettuare
accorgimenti per spostare frasi o interi pezzi di dialoghi rispetto al visivo.
Nella fase del missaggio si miscelano le colonne doppiate con la colonna
internazionale e con le musiche, e infine si aggiungono i titoli in italiano,
cioè quelli inerenti all’edizione che verrà distribuita. In oltre 50 anni tale
procedimento è stato reso più agile ed efficace dalle sofisticate innovazioni
tecnologiche.
Ora capite perché io mi inalberi
tanto quando mi dicono che il mio doppiaggio non corrisponde al parlato? Il mio
non è un doppiaggio, è una traduzione! Inoltre, come potete intuire, nel
doppiaggio la fa da padrone il labiale, anche a scapito della precisione della
traduzione. Io faccio l’interprete e il traduttore. Se dovessi dirvi […] tutti
voi capite dove io vi stia mandando, vero? E cambia poco se vi ci mando in
russo […]
Come che sia, d’ora in avanti
seguite quel che dico, non il come lo dico. O per meglio dire, quel che dice
Putin, Lavrov, Šojgu, Nebenzja e le altre figure pubbliche che traduco per voi.
Carlson-Putin spezzano la censura mainstream – Che idea ti sei fatto?
La copertura giornalistica in Occidente è diventata uno strumento di repressione e controllo. I giornalisti non rivelano più informazioni essenziali al pubblico; lavorano per nasconderle. I giornalisti agiscono come censori per conto del potere radicato. In questo scenario l’intervista a Vladimir Putin da parte del giornalista Tucker Carlson riequilibra il livello di informazione sul conflitto Russia-Ucraina, ponendo domande anche a chi è stato silenziato da oltre un anno.
Ne discutiamo, analizzando alcuni passaggi dell’intervista, con il saggista David Colantoni, il conduttore radiofonico e interprete Mark Bernardini, in collegamento da Mosca, e in studio con lo storico Davide Rossi.
Ascolta “L’Attimo Fuggente”, programma condotto da Luca Telese e Giuliano Guida Bardi, oggi hanno parlato con Mark Bernardini (politologo e sociologo in Russia).
Dal lunedì al venerdì dalle 07.00 alle 09.00 e sabato dalle 08.00 alle 10.00, dove la vita italiana verrà analizzata, messa in discussione e a volte apprezzata con le interviste spigolose di Luca Telese e Giuliano Guida Bardi a tutti gli interpreti della vita politica e sociale di tutti i giorni.
Sessantaquattresimo notiziario settimanale di lunedì 12 febbraio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
Il 7 febbraio Aleksej Paramonov, l’ambasciatore russo in Italia, ha rilasciato un’intervista a Repubblica, andatevela a cercare, io vi riporto solo i punti chiave.
Con l’avvio dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina, Roma ha aderito pienamente alle misure di pressione esercitate dall’Occidente collettivo sulla Russia, tanto che in Italia si parla ormai apertamente di guerra ibrida contro il nostro Paese.
Nel 1924 il governo italiano, nell’adozione di decisioni sovrane e indipendenti, godeva di margini di manovra molto più ampi rispetto ad oggi.
Nell’Italia di oggi il tema della Russia è ufficialmente tabù. Del nostro Paese si può solo dire male o non parlarne.
Un calo così netto dei rapporti
bilaterali non poteva non ripercuotersi sullo stato generale dell’economia
italiana. L’anno scorso il tasso di crescita del PIL è stato solo dello 0,7%,
uno dei più bassi della UE, la produzione industriale ha registrato un calo del
3,1% e la disoccupazione ha superato il 7%. I funzionari del governo italiano
non ammetteranno mai che esista un collegamento tra l’attuale stato deplorevole
dell’economia e il rifiuto di commerciare con la Russia.
L’obiettivo fissato dal governo
di Mario Draghi di un’immediata e completa rinuncia al gas russo si è rivelato
irrealizzabile.
Con l’inizio del graduale
allontanamento dell’umanità dalla globalizzazione liberale attorno all’asse
anglo-americano, il Gruppo dei Sette, originariamente concepito come il
principale organo di governo del mondo, ha perso gran parte del suo
significato.
Il flusso turistico di massa
dalla Russia è completamente scomparso a causa delle sanzioni.
L’allestimento di qualsiasi
evento in Italia a partecipazione russa, anche su iniziativa di attivisti
italiani, può correre il rischio di essere dichiarato azione di propaganda e
quindi annullato dalle autorità italiane. Si è arrivati persino al punto di
negare l’ingresso in Italia agli organizzatori russi di relazioni culturali e
pubbliche.
Oggi vi parlerò parecchio di YouTube. Il sito americano di hosting video ha effettuato un’altra ondata di blocchi permanenti degli account dei media russi. Questa volta, i canali di notizie nelle regioni russe sono stati attaccati dalla censura occidentale. Senza preavviso e unilateralmente è stato chiuso l’accesso a decine di filiali regionali della VGTRK, il corrispettivo dell’italiana RAI, di Stato. Si tratta di una epurazione senza compromessi dello spazio informativo da ogni germoglio di dissenso. Questa è arbitrarietà, censura politica, la norma quotidiana per le piattaforme americane. Allo stesso tempo, consentono e spesso incoraggiano la pubblicazione sulle loro risorse di contenuti illegali, che incitano all’inimicizia e all’odio, contenuti falsi, materiali di natura estremista e terroristica.
Tenendo conto del fatto che il pubblico principale degli account bloccati sono i cittadini russi, questo passo dovrebbe essere chiaramente qualificato come un atto palese di ingerenza negli affari interni dello Stato russo e un tentativo di influenzare i meccanismi di informazione della popolazione e di formazione dell’opinione pubblica.
Dietro la repressione dell’azienda
americana presunta indipendente c’è la Washington ufficiale. E’ anche ovvio che
tali misure volte a bloccare fonti di informazioni scomode sono legate alle
imminenti elezioni presidenziali nella Federazione Russa di marzo e sono in
gran parte provocate dalla crescente domanda pubblica di informazioni obiettive
negli stessi Stati Uniti. Tale aggressione mediatica dimostra ancora una volta
chiaramente il vero atteggiamento dell’”Occidente collettivo” nei confronti del
pluralismo delle opinioni e della libertà di accesso all’informazione e della
libertà di parola.
In definitiva, tali azioni
diventano un ulteriore impulso per la formazione di un ecosistema digitale
nazionale completamente indipendente dai capricci degli “azionisti” occidentali
e resistente alle influenze ostili esterne, la cui necessità non è contestata
da nessuno.
Iscrivetevi a RuTube, pubblicate
lì i vostri contenuti, questa è la chiave per la sovranità dell’informazione,
che sognavamo da tempo e ora la stiamo mettendo in pratica.
Come molti sanno, questa
settimana per Visione TV ho tradotto l’intervista di Tucker Carlson a Vladimir
Putin. Tralasciando Visione TV (è ovvio, 159.000 visualizzazioni, dati di
domenica 11 febbraio, cioè due giorni dopo la pubblicazione), è abbastanza
logico che i miei video in italiano nei miei canali personali abbiano più visualizzazioni
su YouTube piuttosto che su RuTube. Invece, 1.342 su YouTube e 11.300 su
RuTube. I casi sono due: o gli italiani preferiscono guardarmi su RuTube (e mi
pare poco probabile), oppure YouTube abbassa scientemente i dati ai video non
graditi.
Prevedibilmente, con quasi due
migliaia e mezzo di commenti, è arrivato uno stuolo di sfaccendati troll leoni
da tastiera che procedono a suon di copia&incolla a sporcare
provocatoriamente questo spazio di discussione e riflessione collettive. E mi
si dice: lasciali perdere. No. Il paragone che faccio spesso è come quando
qualcuno viene a casa vostra, ospite autoinvitato, a defecare sui vostri
tappeti. Io vi invito tutti a segnalarli. Se a YouTube arriveranno decine,
centinaia di segnalazioni, non potranno fare finta di niente, prima o poi
dovranno per forza inibirli in scrittura. Altrimenti, come un anno fa, torniamo
al “togliti la cravatta, mettiti la cravatta, sorridi, non sorridere, fatti la
barba, lasciati la barba”. Ma anche “chissenefrega”.
Veniamo all’intervista in se. C’è
chi lamentava che io abbia usato l’espressione “a babbo morto”. Preferivate “gettare
la pelliccia al volgo dalla spalla del boiardo di turno”? Altro che il suo “affogare
i terroristi nella tazza del cesso” degli anni zero.
La settimana scorsa ho ricordato
il centenario delle relazioni tra Unione Sovietica e Regno d’Italia. Oggi
voglio ricordare Michail Kostylëv. Nominato rappresentante dell’URSS presso il
Governo italiano nell’aprile 1944, si adoperò per ripristinare le relazioni
diplomatiche complete e organizzare il funzionamento della missione diplomatica
dell’URSS a Roma. Nel 1947 partecipò al processo di stesura del Trattato di
Pace con l’Italia e del Trattato tra URSS e Italia sul Commercio e la
Navigazione. E’ stato in gran parte grazie agli sforzi di Kostylëv se le
relazioni politiche ed economiche italo-sovietiche hanno poggiato su buone
basi. Rimase ambasciatore in Italia fino al 1954.
Cultura
Ci sono degli oggetti che si
trovano in tutta Europa, ma gli esperti non hanno ancora un’idea chiara di cosa
si tratti. I dodecaedri sono un mistero che gli antichi romani hanno lasciato
ai loro discendenti. Esistono molte versioni: da semplice divertimento per
bambini a oggetto di culto segreto.
Alcuni archeologi dilettanti hanno
trascorso due settimane negli scavi tanto attesi vicino al villaggio di Norton
Disney (Lincolnshire, Inghilterra). L’esplorazione geofisica ha dimostrato che
c’è una grande cavità sotto il campo di un contadino. Forse un antico cimitero
romano. Ce ne sono parecchi sul territorio di Foggy Albion, un’ex provincia
dell’impero.
Il tempo passava, ma non accadeva
nulla di interessante. Solo il penultimo giorno della spedizione la fortuna ha
sorriso a questi appassionati. Uno di loro si è imbattuto in qualcosa di
insolito.
Era di metallo, anche se in quel
punto gli strumenti mostravano un segnale minimo. “Si tratta di un oggetto
fatto di una lega di rame: 75% di rame, 7% di stagno e 18% di piombo. La sua
altezza totale è di otto centimetri, la sua larghezza è di 8,6 e il suo peso è
di 254 grammi”, ha affermato il gruppo di ricerca in un rapporto.
Cosa è apparso davanti agli occhi
degli archeologi? Il dodecaedro è un poliedro vuoto di 12 pentagoni. Su ciascun
lato sono presenti fori rotondi di diverso diametro. E agli angoli ci sono
delle palline.
Negli ultimi due secoli, più di
un centinaio di oggetti simili sono stati rinvenuti nel Nord Europa e in Gran
Bretagna. Ma l’esemplare Norton-Disney è stato definito “unico” dagli
scienziati.
In primo luogo, è stato preservato
interamente: molto spesso vengono dissotterrati poliedri rotti o parti di essi.
In secondo luogo, è piuttosto grande: la dimensione di un pompelmo. Mentre la
dimensione della maggior parte dei suoi “consimili” non supera una pallina da
ping-pong.
Tuttavia, non è stato possibile
scoprire la cosa principale: per cosa gli antichi romani usavano questi oggetti
intricati. Il gruppo Norton Disney potrà ritornare sulla soluzione più tardi,
quando saranno disponibili i soldi per continuare gli scavi.
I primi dodecaedri furono
ritrovati nel XVIII secolo, tutti in Inghilterra. Quindi, nei Paesi Bassi,
Belgio, Francia, Germania, Austria e Svizzera.
Si sono incontrati anche più a
sud, in Ungheria e Italia. Ma molto meno spesso. Un’acuta mente scientifica
notò immediatamente uno schema: bisogna cercarlo nella periferia settentrionale
del potente Impero Romano. Ma sorsero nuove difficoltà.
Per molto tempo non è stato
possibile determinare il tempo approssimativo di creazione di questi oggetti:
non è stato possibile datare il bronzo e lo stagno. I geologi sono venuti in
soccorso: si è scoperto che la stragrande maggioranza dei manufatti si trova in
strati risalenti al I-V secolo circa.
L’attuale Inghilterra a quel
tempo era sotto il dominio dell’Impero Romano. Lo stesso vale per la Francia e
la Germania moderne. Considerando che tutti i dodecaedri sono, senza esagerare,
veri e propri capolavori, sorge la domanda su chi li ha creati. La popolazione
locale (Celti e Franchi) era ad un livello culturale inferiore a quello dei
Romani.
Si scopre che gli stessi latini
realizzarono i poliedri miracolosi. Per quale scopo? Fino ad ora, non abbiamo
trovato una sola fonte che descriva i dodecaedri e il loro scopo. Cominciarono
ad essere proposte varie versioni.
La prima diceva che venivano
usati come dadi. Però, in questo stato sarebbero adatti solo ai truffatori.
Infatti, a causa dei diversi diametri dei fori, un lato sarà sempre più pesante
e quindi cadrà molto più spesso.
Un’altra teoria si è concentrata
sulle palline alla fine di ogni calcio d’angolo. Per questo motivo i dodecaedri
sono abbastanza stabili. Ciò significa che possono essere usati come
candelieri. Ma solo su uno dei tanti manufatti sono state rinvenute tracce di
cera.
La terza ipotesi è che i quadrati
metallici non fossero altro che calendari agricoli. Infatti, attraverso fori di
diverso diametro, la luce solare passa con angolazioni diverse a seconda del
periodo dell’anno. Ma è improbabile che i contadini comuni, anche romani, potessero
eseguire ulteriori calcoli matematici. E non puoi farne a meno.
Guido Creemers, curatore del
Museo Gallo-Romano nella città belga di Tongeren, ha suggerito l’anno scorso
che i dodecaedri avrebbero potuto essere usati nei rituali religiosi. La
stragrande maggioranza è stata ritrovata nelle sepolture, insieme a vari
utensili funebri.
E’ d’accordo con lui lo storico
Tibor Grül dell’Università di Pécs (Ungheria), che ha studiato a fondo tutti i
dati sugli oggetti misteriosi. I poliedri, secondo gli esperti, potrebbero
essere utilizzati in varie pratiche di predizione del futuro. Ed erano molto
amate nell’antica Roma.
Anche i partecipanti agli scavi
di Norton Disney hanno parlato dello scopo religioso. Dopo aver esaminato in
dettaglio il dodecaedro trovato, non hanno trovato alcun danno o segno di usura
su di esso, caratteristici degli strumenti o delle armi di uso quotidiano.
Inoltre, le giunture sono
realizzate in modo incredibilmente abile, il che indica molto impegno e tempo
per creare un tale capolavoro. Sarebbe stupido usarlo nella vita di tutti i
giorni.
Forse l’ultima versione degli
scienziati sarà vera. Ma poi rimane un’altra domanda: da quale dio o spirito
gli antichi riconoscevano il futuro con l’aiuto dei dodecaedri? La maggior
parte dei reperti proviene dalla periferia dell’Impero Romano, che deve essere
protetta dai barbari bellicosi. E tra i legionari era popolare il culto mistico
del dio Mitra. Le sue radici risalgono all’antica Persia. Quindi, potrebbe
risultare che la risoluzione del mistero dei poliedri porterà i ricercatori molto
più a Oriente.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate
in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Oggi una canzone del 1956, “Vita,
io ti amo, e spero che sia reciproco”, tradotta negli anni anche in inglese, “I’m
in Love With You, Life”, francese, “Oui, je t’aime, la vie”, e finlandese, “Rakastan
elämää”. Chiedo scusa per la pronuncia, e non chiedetemi cosa voglia dire.
Le note di apertura della canzone
furono usate come segnale di chiamata della stazione radiofonica straniera dell’organizzazione
pubblica sovietica “Pace e progresso”.
In questa esecuzione moderna, mi
fa piacere che siano dei semplici lavoratori, a cantarla.
Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.