Mark Bernardini

Mark Bernardini
Visualizzazione post con etichetta Meloni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Meloni. Mostra tutti i post

domenica 7 luglio 2024

085 Italiani di Russia

Ottantacinquesimo notiziario settimanale di lunedì 8 luglio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

Non è assolutamente possibile “eliminare”, o “cancellare” la Russia dalla politica globale, perché il “mondo ha bisogno” della Russia. Lo ha scritto l’Ambasciatore della Russia in Italia, Aleksej Paramonov, in un articolo pubblicato su “La Repubblica”, intitolato “Un errore escludere la Russia dal proscenio internazionale”.

“I processi di globalizzazione avviati dall’Occidente alle sue condizioni – ha sottolineato il capo della Rappresentanza diplomatica russa a Roma – non sono riusciti a cancellare il desiderio della maggior parte dei Paesi del mondo di preservare le origini della propria tradizione, le fondamenta di cultura e civiltà; né sono riusciti a cancellare la loro aspirazione alla giustizia, alla democratizzazione della vita internazionale e alla sovranità”.

In questo contesto, l’Ambasciatore Paramonov ha notato come “nel mondo non occidentale” stiano iniziando a “cristallizzarsi” formati diversi, tra cui l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il gruppo dei Paesi BRICS ed altre organizzazioni internazionali, che vogliono non un mondo diviso in blocchi, ma un autentico mondo multipolare. Il diplomatico ha sottolineato che “il fattivo azzeramento da parte dell’Occidente delle sue interazioni con la Russia ha fatto saltare quella che era l’agenda globale prevista per questioni chiave quali il controllo sugli armamenti e la non proliferazione nucleare, il contrasto alla militarizzazione dello spazio cosmico e del cyberspazio, la lotta al riscaldamento globale e molti altri argomenti”.

Secondo Paramonov un “nuovo punto di svolta nello sviluppo globale” è contraddistinto “dall’esigenza di costituire un ordine mondiale multipolare che sia in grado di garantire spazio di autonomia a tutti i popoli e a tutti i Paesi”.

Nelle fasi iniziali della sua formazione, anche l’Unione Europea si stava integrando in tale contesto in qualità di potenziale attore autonomo e dotato di una certa influenza. Tuttavia, di fatto, la rinuncia da parte della burocrazia di Bruxelles, sempre più autoreferenziale, alla propria “autonomia strategica” per il momento ha messo fine a tale prospettiva.

Non è imputabile alla Russia il fatto che l’architettura per la sicurezza europea abbia cessato di esistere: ciò è conseguenza dell’ossessione occidentale per il NATO-centrismo e del suo totale rifiuto di scendere a compromessi con Mosca.

Tale situazione ha spinto di recente il Presidente Putin a farsi avanti con un’iniziativa fortemente proiettata verso il futuro, incentrata sulla creazione in Eurasia di un sistema di sicurezza internazionale che sia operativo per l’intero continente e aperto a tutti i Paesi che ne fanno parte, a inclusione di quelli situati nelle sue regioni più occidentali.

Questo nuovo punto di svolta nello sviluppo globale è contraddistinto dall’esigenza di costituire un ordine mondiale multipolare che sia in grado di garantire spazio di autonomia a tutti i popoli e a tutti i Paesi.

Vi è anche la necessità di svolgere un lavoro di eliminazione dei difetti sistemici presenti nell’architettura internazionale, i quali continuano a sussistere dal 1945 per motivi di inerzia, tra cui spicca la poca influenza esercitata dai Paesi non occidentali sui meccanismi globali.

Per ogni nuova “regola del gioco” che riguardi le questioni di armonizzazione tra gli interessi dei diversi Paesi, sarà inaccettabile qualsiasi richiamo alla concezione dell’”ordine basato su regole”. Pure l’idea della “contrapposizione tra democrazie e autocrazie” è artificiale e dannosa.

Giorgia Meloni ha riferito sulla situazione relativamente alle proposte di nuove nomine, al vertice della UE, dopo le recenti elezioni per il Parlamento europeo.

Intanto, quello che colpisce anche i più temprati e convinti oppositori della UE e del suo ruolo è che dopo la sonora sconfitta subìta, con il diffuso astensionismo e l’avanzata delle forze di destra, nel panorama europeo, proprio i leader più sonoramente “trombati” dal voto popolare, il Presidente francese Macron ed il Cancelliere tedesco Scholz, unitamente al leader polacco Tusk, abbiano fatto comunella, per presentare agli altri leader europei, una “proposta” sugli incarichi più importanti che dovrebbero essere assegnati nella prossima legislatura UE, partendo da un rinnovato mandato di presidente, per un Ursula von der Leyen bis, che dovrebbe caratterizzare i prossimi anni.

Naturalmente, un certo imbarazzo, di fronte a tale situazione, lo ha espresso, anche, in aula, nel suo intervento alla Camera dei Deputati, Giorgia Meloni che, come capo di governo di un Paese, l’Italia appunto, cofondatore della stessa UE e terza economia del continente, si vede messa di fronte ad un “fatto compiuto”, non di poco svilente il ruolo del nostro Paese.

Ma, si sa che, una volta fatta la “scelta dell’Europa”, della “NATO” e dell’alleanza “con gli USA”, non resterà, al Premier italiano, che spingere nella direzione, peraltro consigliatagli dalle sedicenti “opposizioni” di M5S e PD, di ottenere un “incarico di prestigio”, all’interno dei nuovi organigrammi postelettorali della UE, per il nostro Paese.

E qui emerge, a chiare lettere, il ruolo di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione Europea, dopo l’avvenuta débâcle elettorale, in termini di consenso popolare, dopo anni di politiche economiche e sociali antipopolari e filopadronali, improntate al più feroce massacro sociale neoliberista, che ha ampliato le differenze e disuguaglianze sociali, allargando sempre più gravemente miseria e povertà.

Gli sconfitti serrano i ranghi, stringono i tempi delle decisioni sui nuovi organigrammi, per il rilancio delle stesse politiche economiche e sociali devastanti, in un sempre più marcato quadro di guerra europea ed internazionale, per riaffermare il proprio dominio unipolare come imperialismo USA ed UE, sulla base di un rilancio della NATO, nella guerra di aggressione contro la Federazione Russa, utilizzando l’Ucraina nazifascista come piattaforma strategica ed il governo dello Stato sionista d’Israele, nella guerra di sterminio contro il popolo palestinese. Questo il panorama che ne esce confermato.

Non si sono sentite, nella Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, voci alternative a tale prospettiva. Questa è la realtà del sistema politico italiano, nella fase post elettorale che stiamo vivendo, in questi giorni successivi “ai ballottaggi”, di cui tanto si discute, nei circoli massmediatici della informazione di regime, capitalista ed imperialista.

Paradossalmente, la sinistra dovrebbe imparare da Macron, Scholz e Tusk: diversi tra loro, ma uniti se si tratta di raggiungere i loro scopi comuni. Se vogliamo, è proprio quel principio che fece il successo del vecchio PCI, quello di allora, non di adesso. Per esempio, si fossero presentati insieme i due Partiti socialdemocratici slovacchi, uno di Fico, l’altro di Pellegrini, avrebbero preso la maggioranza assoluta. Se in Germania si fossero presentati assieme Sahra Wagenknecht e Die Linke, sarebbero entrati entrambi al Parlamento Europeo, invece così solo la pur apprezzabile Wagenknecht.

Un esempio a parte è la Francia Indomita di Mélenchon. La sinistra francese è andata divisa alle Europee e infatti ha perso. Hanno imparato la lezione: al primo turno delle Politiche il Nuovo Fronte Popolare è andato coeso, socialisti, comunisti, indomiti, verdi. Non che non soffrano di contraddizioni fondanti: i socialisti sono totalmente appiattiti sull’atlantismo e sull’appoggio incondizionato ai neonazisti ucraini, i comunisti al contrario comprendono le ragioni russe, gli indomiti sono contrari alle forniture agli ucraini pur senza condividere le posizioni russe. Però intanto sono arrivati secondi dopo la destra della Le Pen, e questo ha consentito loro di presentarsi al ballottaggio del 7 luglio. A chi dice che ciò sia una spartizione delle poltrone e che sia disonesto nei confronti degli elettori, basti considerare che se lo si dichiara prima, ci si può dividere anche 24 ore dopo le elezioni, però comunque si è in Parlamento.

Questo riguarda anche l’Italia. Se Santoro, DSP, PCI si fossero presentati assieme, pur dichiarando fin dall’inizio di non voler stare assieme, li avremmo in seno al Parlamento Europeo, invece così duri e puri fuori dall’arco parlamentare. Bella soddisfazione.

Colpisce, nella narrazione in voga, che ci sia qualcuno che davvero sia convinto che la destra e il centrodestra, grazie all’astensionismo, abbia perso. Per l’Italia, basti dire che alle precedenti Europee (2019, i confronti vanno sempre fatti con elezioni omogenee) la destra Sorella d’Italia aveva preso 1.726.189 voti, mentre ora 6.724.014, passando infatti dal 6,44% al 28,8%, confermandosi primo Partito d’Italia. L’astensionismo, dunque, ha danneggiato ben altri. Su scala europea, il Partito Popolare, cioè i democristiani, di centrodestra, a cui appartiene anche Ursula Von Der Leyen, ora hanno 187 deputati su 720, mentre ne avevano 182 su 751 (effetto Brexit). Se questo è perdere, vuol dire che ora la matematica è un’opinione come un’altra. Anche per l’astensione, facciamo attenzione: è vero, aveva votato il 50,97%, ed ora il 49,22% (un decremento di appena l’1,73%), ma nel 2014 aveva votato il 42,61%. C’è quindi poco da gioire.

In settimana ci sono stati due interventi di Putin, trovate la traduzione simultanea sia sui miei canali, sia su Visione TV. Il primo è del 4 luglio ad Astana alla riunione del Consiglio dei capi di Stato, membri dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. All’inizio dell’incontro i leader hanno firmato la decisione di concedere alla Repubblica di Bielorussia lo status di Stato membro della OCS. A seguito dell’incontro è stata firmata la Dichiarazione di Astana, sono stati adottati e firmati numerosi documenti.

Il secondo è stato nei colloqui con Viktor Orbán, a Mosca. Charles Michel ha affermato che “la presidenza ungherese di turno del Consiglio dell’UE non ha il mandato per i contatti con la Russia a nome dell’Unione europea”. Orbán ha giustamente risposto che l’Ungheria non ha bisogno di tale mandato, poiché agisce per proprio conto. Ma non è questo il punto, ovviamente. Innanzitutto non è chiaro (è chiarissimo) a nome di chi Michel stia parlando. Lui è il capo del Consiglio europeo (e i suoi poteri scadranno presto), e l’Ungheria presiede il Consiglio dell’Unione europea dal 1 luglio: non vanno confuse queste due strutture completamente diverse; il Belgio, da dove proviene Michel, ha terminato i suoi poteri il 30 giugno. E in generale, cito testualmente l’articolo 15.6 dell’attuale versione del Trattato sull’Unione europea, tra i compiti del capo del Consiglio europeo figura quello di “rappresentare l’Unione europea sulla scena internazionale, fatto salvo il ruolo dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.

In sostanza, Orbán ha assunto attivamente le sue funzioni. Aveva già visitato Kiev e per qualche motivo Michel questo non lo ha commentato. Orbán ha dichiarato: “La missione di pace continua. La prossima tappa è Mosca”. Cosa c’è di sbagliato in questo?

Putin ha rivelato di aver discusso con Orbán possibili modi per risolvere il conflitto ucraino; il Primo Ministro ungherese ha menzionato i suoi recenti contatti a Kiev.

Orbán ha chiesto un cessate il fuoco per creare le condizioni per i negoziati sull’Ucraina, come riportato da Putin.

La Russia vede che Kiev non è pronta ad abbandonare completamente la guerra. Kiev rifiuta di prendere in considerazione il cessate il fuoco, poiché eliminerebbe il pretesto per estendere la legge marziale. Mosca sostiene una risoluzione completa e definitiva del conflitto, non solo un cessate il fuoco o una pausa per il riarmo di Kiev. Se l’Ucraina ponesse fine alla legge marziale, dovrebbe indire elezioni presidenziali, con le possibilità che le attuali autorità ucraine vincano prossime allo zero.

“I governi europei sono nel bel mezzo della guerra”: il primo ministro ungherese Orbán ha scritto un articolo chiedendo colloqui di pace.

“L’Europa si prepara alla guerra. Ogni giorno annunciano l’apertura di un’altra tappa sulla strada verso l’inferno. Ne siamo inondati ogni giorno: centinaia di miliardi di euro all’Ucraina, piazzando armi nucleari nel mezzo dell’Europa, reclutando i nostri figli negli eserciti stranieri, nella missione NATO in Ucraina, nell’invio di unità militari europee in Ucraina. Amici miei, sembra che il treno da guerra non abbia freni e l’autista abbia perso la testa. Dobbiamo applicare il freno di emergenza affinché almeno quelli che vogliono poter scendere dal treno e non partecipare alla guerra.

Sapete, le guerre non sempre finiscono come erano state originariamente previste. Ecco perché oggi milioni di giovani europei giacciono in fosse comuni. Ecco perché non ci sono abbastanza europei, non abbastanza bambini in Europa. La guerra uccide. Uno muore con la pistola in mano, un altro muore durante la fuga, alcuni muoiono sotto i bombardamenti, alcuni muoiono nelle carceri nemiche, altri muoiono a causa di un’epidemia o di fame. Alcuni affrontano la tortura, altri lo stupro, altri vengono rapiti e ridotti in schiavitù. Le tombe si allineano su innumerevoli file. Le madri piangono per i loro figli. Le donne piangono per i loro mariti. Quante vite perse! Sappiamo una cosa: dove scoppia la guerra non c’è via d’uscita. La guerra verrà da noi. Non possiamo evitarlo, non possiamo nasconderci da esso.

L’unico antidoto alla guerra è la pace. Stai lontano dalla guerra e lascia che l’Ungheria sia un’isola di pace. Questa è la nostra missione. Se non vogliamo che la guerra ci raggiunga, dobbiamo fermarla”.

Economia

Sono almeno 250 le imprese italiane che operano in Russia, alcune anche con una presenza produttiva.

Il dato è stato reso noto da Alessandro Liberatori, direttore dell’agenzia ICE di Mosca, durante l’assemblea annuale di GIM Unimpresa, associazione che raggruppa oltre un centinaio di queste aziende.

Nella sua relazione introduttiva il presidente di GIM Unimpresa, Vittorio Torrembini, ha riaffermato la volontà dell’associazione di continuare a sostenere le aziende italiane impegnate nel mercato russo, pur nel rispetto delle sanzioni vigenti.

“Viviamo un momento difficile, complicato, in cui anche quelle che sembravano certezze sono cadute, ma non possiamo buttare a mare 30 anni di esperienza”, ha detto, sottolineando che il governo italiano “sta cercando di limitare i danni”, specie attraverso le iniziative del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha attivato un tavolo permanente per il sostegno delle aziende italiane in Russia.

Il responsabile della Farnesina ha espresso “un giudizio positivo” sulla richiesta presentata da Unicredit al Tribunale UE di sospendere la decisione della BCE di ridurre le sue attività in Russia per avere così, dalla stessa corte europea, “certezza e chiarezza sugli obblighi e sulle azioni” nel processo di uscita dal Paese.

“La BCE – ha sottolineato Tajani – non sempre può imporre tempi alle imprese per lasciare la Russia, cosa che UniCredit sta facendo, ma dobbiamo sempre fare in modo che non ci siano danni per le imprese”. All’assemblea di GIM Unimpresa ha partecipato tra gli altri l’incaricato d’affari italiano, Pietro Sferra Carini, poiché è dall’anno scorso che non abbiamo più un ambasciatore.

Al termine dei lavori si è svolto un dibattito su “Il futuro dell’economia mondiale alla luce degli attuali sconvolgimenti politici”, al quale hanno partecipato Oleg Barabanov, direttore del programma del Valdai Club e direttore dell’Istituto studi europei dell’Università MGIMO di Mosca, e Fabrizio Maronta, consigliere scientifico e responsabile delle relazioni internazionali di Limes.

L’assemblea è stata ospitata presso la sede della Camera di commercio e dell’industria di Mosca con la partecipazione del presidente, Vladimir Platonov.

A margine, la traduzione simultanea è stata espletata dal sottoscritto.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Una canzone che vi avevo già proposto a gennaio, Zemljanka, una specie di rifugio sotterraneo, 1942.

Partecipano: Mosca, Krasnodar, Caterimburgo, Odessa (spero presto di nuovo russa), Samarcanda (Uzbekistan), Kišinëv (Moldavia), Taškent (Uzbekistan), Alma Ata (Kazachstan), Soči, Erevan (Armenia), Nižnij Novgorod.

Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

Rutube, Youtube, Platforma e Flip News.

Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo).

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in rubli:

4211 7045 8356 7049 (Banca Intesa Russia)

2202 2023 9503 8031 (Sberbank)

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in euro:

Correspondent bank: INTESA SANPAOLO SPA, MILAN

Swift: BCITITMM

Beneficiary Bank: 100100004730 BANCA INTESA 101000 MOSCOW RUSSIAN FEDERATION

SWIFT: KMBBRUMM

Beneficiary’s account number: 40817978800004524011

Beneficiary’s name: Bernardini Mark

lunedì 1 luglio 2024

Esito Elezioni Europee

Paradossalmente, la sinistra dovrebbe imparare da Macron, Scholz e Tusk: diversi tra loro, ma uniti se si tratta di raggiungere i loro scopi comuni. Se vogliamo, è proprio quel principio che fece il successo del vecchio PCI, quello di allora, non di adesso. Per esempio, si fossero presentati insieme i due Partiti socialdemocratici slovacchi, uno di Fico, l’altro di Pellegrini, avrebbero preso la maggioranza assoluta. Se in Germania si fossero presentati assieme Sahra Wagenknecht e Die Linke, sarebbero entrati entrambi al Parlamento Europeo, invece così solo la pur apprezzabile Wagenknecht.

Un esempio a parte è la Francia Indomita di Mélenchon. La sinistra francese è andata divisa alle Europee e infatti ha perso. Hanno imparato la lezione: al primo turno delle Politiche il Nuovo Fronte Popolare è andato coeso, socialisti, comunisti, indomiti, verdi. Non che non soffrano di contraddizioni fondanti: i socialisti sono totalmente appiattiti sull’atlantismo e sull’appoggio incondizionato ai neonazisti ucraini, i comunisti al contrario comprendono le ragioni russe, gli indomiti sono contrari alle forniture agli ucraini pur senza condividere le posizioni russe. Però intanto sono arrivati secondi dopo la destra della Le Pen, e questo consentirà loro di presentarsi al ballottaggio del 7 luglio. A chi dice che ciò sia una spartizione delle poltrone e che sia disonesto nei confronti degli elettori, basti considerare che se lo si dichiara prima, ci si può dividere anche 24 ore dopo le elezioni, però comunque si è in Parlamento.

Questo riguarda anche l’Italia. Se Santoro, DSP, PCI si fossero presentati assieme, pur dichiarando fin dall’inizio di non voler stare assieme, li avremmo in seno al Parlamento Europeo, invece così duri e puri fuori dall’arco parlamentare. Bella soddisfazione.

Colpisce, nella narrazione in voga, che ci sia qualcuno che davvero sia convinto che la destra e il centrodestra, grazie all’astensionismo, abbia perso. Per l’Italia, basti dire che alle precedenti Europee (2019, i confronti vanno sempre fatti con elezioni omogenee) la destra Sorella d’Italia aveva preso 1.726.189 voti, mentre ora 6.724.014, passando infatti dal 6,44% al 28,8%, confermandosi primo Partito d’Italia. L’astensionismo, dunque, ha danneggiato ben altri. Su scala europea, il Partito Popolare, cioè i democristiani, di centrodestra, a cui appartiene anche Ursula Von Der Leyen, ora hanno 187 deputati su 720, mentre ne avevano 182 su 751 (effetto Brexit). Se questo è perdere, vuol dire che ora la matematica è un’opinione come un’altra. Anche per l’astensione, facciamo attenzione: è vero, aveva votato il 50,97%, ed ora il 49,22% (un decremento di appena l’1,73%), ma nel 2014 aveva votato il 42,61%. C’è quindi poco da gioire.

lunedì 24 giugno 2024

083 Italiani di Russia

Ottantatreesimo notiziario settimanale di lunedì 24 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità


Commento dell’Ambasciata della Russia in Italia

Antonio Tajani, Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica Italiana, intervenendo il 15 giugno 2024 alla cosiddetta “Conferenza sulla pace in Ucraina” in Svizzera, ha dichiarato:

«Siamo pronti a mandare un nuovo pacchetto militare perché senza la nostra difesa è impossibile lavorare per la ricostruzione. Vogliamo fermare questa situazione difficile”.

E’ difficile credere che siffatto assai stimato politico di grande esperienza non si sia reso conto che il riferimento alle forniture di armi fosse fuori luogo in un evento in cui, in teoria, si discuteva di negoziati e diplomazia. Ovviamente, i numerosi impegni in agenda, intensamente dedicati in Occidente alla tematica ucraina possono aver giocato al Ministro un brutto tiro, facendogli credere che si trattasse dell’ennesimo incontro nel quadro dell’UE, della NATO o del G7.

Sebbene sia più probabile che per il Ministro degli Esteri italiano si sia trattato di un lapsus freudiano che ha svelato il vero significato della cosiddetta Conferenza “sulla pace” in Ucraina a Bürgenstock, organizzata dal regime di Kiev e dai suoi patroni occidentali, che dietro un inutile paravento nascondeva i loro veri piani aggressivi, connessi alle armi e alla guerra.

Se si vuol davvero parlare sul serio di fermare “questa situazione difficile”, basterebbe non brandire il nono pacchetto di aiuti militari italiani a Kiev, rinunciando ad ulteriori forniture di armi per tornare, invece, al linguaggio della pace, abbandonando quello della guerra.


Il 22 giugno in Russia si è celebrato il Giorno della Memoria e del Dolore.

All’alba del 22 giugno 1941, le forze di aviazione nemiche lanciarono dei massicci attacchi su aeroporti, stazioni ferroviarie, basi navali sovietiche, punti di stazionamento permanente delle truppe e su diversi centri abitati lungo tutto il confine occidentale del Paese, ma spingendosi anche verso l’interno, fino a distanze di 250 o 300 chilometri dal confine.

Fu così che ebbe inizio una delle pagine più tragiche della storia del nostro Paese: la Grande Guerra Patriottica.

Hitler contava di poter fare affidamento sulla strategia della “guerra lampo”. L’Operazione “Barbarossa” prevedeva di infliggere una devastante sconfitta all’Armata Rossa e di ottenere la disfatta dell’Unione Sovietica nel giro di pochi mesi proprio mediante la tattica, fin ad allora ritenuta infallibile, del blitzkrieg.

A fare fronte comune contro l’URSS al fianco della Germania giunsero la Romania e l’Italia, alle quali dopo qualche giorno si unirono anche la Slovacchia, la Finlandia e altri Paesi.

L’attacco tedesco e l’inizio della guerra furono annunciati alla radio. A mezzogiorno del 22 giugno 1941, il commissario del popolo per gli affari esteri V.M. Molotov si rivolse ai cittadini sovietici, durante i quali pronunciò una frase passata alla storia:

“La nostra causa è giusta. Il nemico sarà sconfitto. La vittoria sarà nostra!”.

La Grande Guerra Patriottica si protrasse per 1418 giorni e altrettante notti, e si concluse il 9 maggio del 1945 con la Vittoria dell’Unione Sovietica e la completa disfatta dei Paesi del blocco nazista.

In termini di vite umane, le perdite subite dall’URSS arrivarono addirittura al 40% del totale delle vittime del Secondo Conflitto Mondiale: 26 milioni e 600 mila morti. Di questi, furono più di 8 milioni e 700 mila coloro che persero la vita sul campo di battaglia. Furono poi 7 milioni e 420 mila le persone trucidate senza pietà dai nazisti nei territori occupati, mentre più di 4 milioni e 100 mila persone perirono di stenti a causa delle tremende condizioni in cui si trovarono a dover vivere durante l’occupazione. E furono 5 milioni e 270 mila le persone deportate in Germania o nei Paesi limitrofi, anch’essi all’epoca sotto l’occupazione tedesca, e costrette ai lavori forzati.


Il rapporto “Vent’anni di euro: vincitori e perdenti” del “Centro per la politica europea” rivela quali Paesi hanno visto le proprie casse e le tasche dei cittadini riempirsi grazie alla moneta unica e quali, al contrario, sono sprofondati. Lo studio ha stimato il PIL pro capite che ogni Paese avrebbe avuto senza l’Euro. L’Italia, con una perdita totale di 4.325 miliardi di PIL bruciati, si piazza all’ultimo posto per crescita economica nella zona euro. Nessuno peggio di noi.

Gli esperti del Cep sono categorici: “In nessun altro Paese l’Euro ha portato a perdite così elevate di prosperità come in Italia”. Il PIL pro capite italiano è rimasto stagnante dall’introduzione dell’Euro, con una perdita pro capite di 73.605 euro dal 1999 al 2017.

Al contrario, la Germania ha guadagnato in totale 1.893 miliardi di euro, ovvero 23.116 euro per abitante nello stesso periodo. Dietro la Germania troviamo i Paesi Bassi, e, ironia della sorte, perfino la Grecia ha subito perdite minori rispetto all’Italia. Questo dato è emblematico e ci fa riflettere su quanto l’introduzione dell’Euro abbia avuto effetti devastanti sulla nostra economia.


Intervistato da un’agenzia russa, ho dichiarato:

In una conferenza militare filo-ucraina in Svizzera, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha parlato in inglese, anche se in tutti gli incontri internazionali in cui è prevista la traduzione simultanea, tutti tradizionalmente parlano nella loro lingua madre. Ovviamente, questo è un omaggio ai suoi proprietari d’oltremare. Tuttavia, qui è importante un punto completamente diverso. Nonostante tutta la mia personale ostilità e disaccordo nei suoi confronti, ecco cosa ha detto in inglese, nell’originale:

Defending Ukraine means defending that system of rules that holds the international community together and protects every nation. If Ukraine had not been able to count on our support and therefore would have been forced to surrender, today we would not be here to discuss the minimum conditions for a negotiation. We would be just discussing the invasion of a sovereign state.

Tradotta in italiano, ha detto:

Difendere l’Ucraina significa difendere il sistema di regole che unisce la comunità internazionale e protegge ogni nazione. Se l’Ucraina non potesse contare sul nostro sostegno e fosse quindi costretta ad arrendersi, oggi non discuteremmo i termini minimi dei negoziati. Discuteremmo semplicemente di un’invasione di uno Stato sovrano.

Ora, attenzione. Questo è ciò che ha detto il sedicente interprete di simultanea ucraino:

Difendere l’Ucraina significa difendere, il che significa che l’intera comunità internazionale deve unirsi per proteggere l’Ucraina. Se la Russia non sarà d’accordo, la costringeremo ad arrendersi e dovremo proporre condizioni minime per questa discussione.

Se non è zuppa è pan bagnato? Affatto. Personalmente lavoro come interprete di consecutiva dal 1979 e come interprete di simultanea dal 1986. Ci sono solo due opzioni.

1. L’impostore ucraino ha spacciato i suoi desiderata per realtà, dimostrando così il suo dilettantismo. Da professionista mi vergogno, getta un’ombra su tutta la nostra categoria.

2. L’impostore ucraino ha espresso ciò che gli è stato indicato dall’alto. Anche questo è molto probabile.

Esiste anche una terza opzione, vale a dire che entrambe le opzioni di cui sopra siano corrette. In ogni caso si è rivelato una pessima figura. Goebbels gli fa un baffo.


Solo pochi giorni fa, il 14 giugno, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato quanto segue tra le mura del Ministero degli Esteri russo: “Il pericolo per l’Europa non viene dalla Russia. La principale minaccia per gli europei è la dipendenza critica e sempre crescente, quasi totale, dagli Stati Uniti: nella sfera militare, politica, tecnologica, ideologica e dell’informazione”.

Vediamo ogni giorno la conferma di questa tesi.

Prendiamo l’energia.

Francia. Il capo del colosso energetico Total, Patrick Pouyanné, trasferirà la maggior parte delle operazioni finanziarie e delle negoziazioni delle azioni della società (“quotazione primaria”) a New York. Secondo lui “non è una questione di emozioni, è una questione di affari”. Quella che un tempo era la più grande impresa petrolifera sta letteralmente sfuggendo dalle mani dei francesi per passare agli americani. I dati sulla struttura azionaria di Total sono appena apparsi online. Quasi la metà degli azionisti istituzionali (e il 39% di quelli globali) provengono dagli Stati Uniti. Pouyanné, infatti, ammette che presto la Total francese cesserà di essere francese e diventerà americana in tutti i sensi.

Germania. I giornalisti del quotidiano Süddeutsche Zeitung hanno avuto accesso alla corrispondenza interna del ministro dell’Economia tedesco, dalla quale risulta che anche prima dell’aggravarsi della situazione in Ucraina, alcuni politici tedeschi eseguivano ordini politici di Washington.

Mentre Angela Merkel era al potere, ha frenato questi “atlantisti”. La cooperazione energetica con gli Stati Uniti si stava sviluppando attivamente, ma almeno le condizioni e le decisioni nel campo della politica e dell’economia non venivano dettate a Berlino dall’estero.

Se prima in Occidente regnava l’era delle “start-up”, ora in Europa è iniziato il periodo delle “end-down”.

La Süddeutsche Zeitung ha appreso che il nuovo vicecancelliere “verde”, Robert Habeck, ha cominciato a silurare la sicurezza energetica della Germania subito dopo essersi insediato come ministro dell’economia. Ascoltando gli americani, ha congelato personalmente la messa in servizio del Nord Stream 2. E’ stato con le sue mani che Washington ha poi ucciso il progetto.

Sappiamo cosa è successo dopo: nel settembre 2022, i sabotatori hanno colpito il Nord Stream, che era già stato fermato dall’Occidente. L’indagine è chiusa, non ci sono autori.

Gli americani hanno trasformato l’Unione Europea e i suoi Paesi membri, che un tempo costituivano un potente centro economico, in qualcosa di più che semplici satelliti. Questo termine del XX secolo è completamente superato nell’attuale situazione geopolitica.

Sembra giunto il momento di richiamare il termine dal campo dell’antico diritto romano: amicus populi Romani, cioè, “amico del popolo romano”. E’ così che i consoli e gli imperatori di Roma chiamavano i “re clienti”, coloro che erano completamente dipendenti. Furono compilate anche speciali “tavole di amici”: tabula amicorum. Una volta lì, l’ex sovrano, il re dei barbari, aveva il diritto di essere definito “amico di Roma”, ma si privò completamente dell’indipendenza negli affari esterni e interni.

Oggi l’elenco degli amici præsidenti americani è piuttosto lungo. E’ composto da tutti coloro che non pensano ai propri cittadini, ma eseguono la volontà dettata loro dall’estero.

E questa – proprio questa – è la più grande disgrazia degli europei. E non la Russia o il suo popolo.


Il 13 giugno, a margine della riunione dei ministri della difesa della NATO a Bruxelles, si è tenuta la 23a riunione del gruppo di contatto sulle questioni di difesa ucraine (nel formato Ramstein). Il suo presidente, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha affermato non senza orgoglio che dal 2022 i membri del gruppo hanno fornito a Kiev armi per un valore di 98 miliardi di dollari.

Ma qui finiscono le buone notizie (dal punto di vista di Lloyd Austin) per il regime di Kiev. Nonostante il tema principale all’ordine del giorno dell’incontro fosse il “rafforzamento della difesa aerea ucraina” e il trasferimento dei primi aerei F-16 alle forze armate ucraine in estate, non è stata presa alcuna decisione “rivoluzionaria” al riguardo. Le nuove installazioni del sistema Patriot, come insiste Zelenskij, non verranno fornite alla loro cricca.

A quanto pare, le cose sono ancora più problematiche con i caccia F-16. Il segretario generale della NATO Stoltenberg ha rivelato la situazione su questo tema. Parlando il 17 giugno al Wilson Center di Washington, ha fatto due passi falsi davvero notevoli, affermando quanto segue:

“Per quanto riguarda la fornitura di aerei F-16, ciò significa la creazione in futuro di un’aeronautica militare della NATO. Scusate, aeronautica ucraina, che interagirà con la NATO. Aerei NATO e piloti NATO. Più precisamente, piloti addestrati dalla NATO”.

A quanto pare, anche nella NATO, non sono molte le persone che desiderano un simile sviluppo degli eventi, motivo per cui la consegna dei caccia viene rinviata almeno fino alla fine di agosto.

Lo stesso Stoltenberg, alla vigilia della riunione del gruppo, ha rovinato l’umore di Zelenskij dichiarando che la condizione per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO è la sua “vittoria sulla Russia”. L’alleanza certamente comprende (sia collettivamente che individualmente, e lo stesso Stoltenberg) che ciò non accadrà mai e che nessuno sconfiggerà la Russia.

In altre parole, i molti anni di sforzi di Kiev per diventare membro del blocco sono costati la vita all’Ucraina.

Nessuno Stoltenberg lo dirà. Ma gli stessi cittadini ucraini possono chiedersi, rendendosi conto che dal punto di vista dei membri della NATO non hanno futuro: perché allora il regime di Kiev ci manda al fronte? Per questo?

Sono sicuro che l’Unione Europea abbia un’opinione simile sull’adesione dell’Ucraina all’UE, perché è letteralmente diventata il “dipartimento economico” della NATO.


Ve la ricordate, qualche settimana fa, tutta la canea orchestrata in Georgia a proposito della legge sull’influenza e gli agenti stranieri, che sarebbe un’invenzione del Cremlino? Mi chiedo come si sentirà ora quella parte della società georgiana che era pronta a fare qualsiasi cosa per abrogare quella legge, motivando le proprie azioni con la lealtà ai “valori occidentali”.

Canada, più occidente di così si muore. 3 maggio. Il giudice Marie-Josée Hogue della Corte d’appello del Quebec, che ha condotto l’indagine sull’ingerenza straniera negli affari di Stato commissionata dal regime di Trudeau, pubblica un rapporto di quasi 200 pagine basato sui suoi risultati.

6 maggio (tre giorni dopo!). Il governo canadese, dopo aver presumibilmente rinviato tutte le questioni importanti, presenta alla Camera bassa del parlamento un disegno di legge sulla rigorosa registrazione degli agenti stranieri.

29 maggio. Il disegno di legge passa in seconda lettura alla Camera bassa. Il documento è stato approvato.

13 giugno. Il disegno di legge passa in terza lettura alla Camera bassa. Approvato all’unanimità. Certo, Canada, democrazia, pluralismo delle opinioni.

Sempre 13 giugno (stesso giorno!). Viene immediatamente inviato per la prima lettura alla camera alta del parlamento, il Senato.

17 giugno. Il disegno di legge è in seconda lettura al Senato. Approvato. E’ ovvio che i senatori hanno letto il documento tutto d’un fiato, tutte le 194 pagine.

18 giugno. Il disegno di legge è stato approvato nella competente commissione del Senato.

Totale: l’intero processo è durato un mese e mezzo. Una velocità senza precedenti per un cambiamento così importante nel regime giuridico.

Il disegno di legge contiene le seguenti proposte:

istituzione del registro degli agenti esteri;

limitazione del personale dell’ambasciata;

creazione dell’Ufficio del Commissario per il controllo dell’influenza straniera.

Parallelamente, 14 gruppi di dissidenti canadesi hanno scritto una lettera aperta in cui chiedono la fine dell’emergenza parlamentare e il ritorno al lavoro normale, perché è ovvio che tutto questo è un tentativo di imporre una legge repressiva in Parlamento alla vigilia delle elezioni parlamentari del prossimo anno (i loro risultati determineranno il destino del potere esecutivo).

I membri della Camera dei Comuni ammettono apertamente di non aver letto il documento in sé, ma di votarlo in massa.

Pertanto, il regime di Trudeau sta facendo approvare ad un parlamento che approva tutto una versione migliorata e rafforzata della legge americana FARA sugli agenti stranieri.

Questo è il Canada. Non c’è niente di più occidentale. Una cittadella dei “valori occidentali”.


Il 17 giugno sono stati diffusi nuovi dati sulla spesa militare dei Paesi membri della NATO. Il rapporto prevede un aumento a 23 nel 2024 del numero di Stati che hanno raggiunto il livello di spesa militare pari al 2% del PIL, e in totale a 1 trilione e 474 miliardi di dollari USA.

Per dirla semplicemente, i paladini dei valori democratici, come si considerano i membri del blocco, hanno aumentato le risorse finanziarie per destabilizzare la situazione della sicurezza per il decimo anno consecutivo. Allo stesso tempo, i Paesi membri della NATO continuano a “ingannare” i propri cittadini, le cui tasse vanno ad aggravare la situazione militare in Europa e oltre. Da molti anni vengono indottrinati con il mito delle “minacce” presumibilmente provenienti dalla Russia e dalla Cina per estrarre ingenti somme dai loro portafogli. Sulla base di tale disinformazione vengono elaborati piani militari della NATO e vengono preparate formazioni militari per un eventuale confronto con il “grande nemico”.

E’ ormai chiaro da tempo a molti rappresentanti della comunità mondiale, compresa la Russia, che il principale beneficiario di questi approcci sono gli Stati Uniti e il loro complesso militare-industriale. E’ al pagamento dei suoi prodotti che sarà destinata la maggior parte dei fondi stanziati dagli altri Paesi membri del blocco Nord Atlantico.

Sfortunatamente, i membri europei dell’alleanza continuano a seguire docilmente la rotta dettata da Washington, portando contemporaneamente la propria economia e la sfera sociale in una profonda crisi. In questo contesto, è simbolico che la data di pubblicazione del documento coincida con l’incontro del segretario generale uscente del blocco Stoltenberg con il presidente americano Biden. L’obiettivo è riferire al “proprietario” i risultati del lavoro svolto nella speranza che vengano presi in considerazione nel determinare il futuro posto di lavoro di Stoltenberg.


Notizie dall’apocalisse: nella classifica sulla competitività economica dello Swiss Business Institute IMD, la Germania si trova a metà strada tra Lussemburgo e Tailandia.

Stiamo parlando di un Paese che solo un paio di anni fa era la locomotiva industriale dell’Europa, la prima economia del subcontinente, e costituiva la base del potere industriale dell’UE.

Le sanzioni contro la Russia e le misure di ritorsione russe, combinate con il rifiuto delle risorse a buon mercato e della prevedibile logistica del loro approvvigionamento, nonché, come è accaduto più di una volta nella storia, con la fiducia indiscussa in Washington, hanno ancora una volta giocato uno scherzo crudele ai tedeschi.

Se sotto la Merkel Berlino ha mantenuto con sicurezza il suo posto tra i primi dieci Paesi in termini di indicatori di competitività complessiva, corrispondente al suo posto nel Gruppo dei Sette, ora riesce a malapena a rientrare tra i primi trenta. Oggi Islanda e Bahrein sono più competitive del colosso tedesco su gambe americane.

Qualche cifra sul “successo” economico di Scholz e dei suoi.

Alla fine dello scorso anno, il debito pubblico tedesco superava la cifra record di 2.400 miliardi di euro. La sua crescita è continua ormai da diversi anni. Se prima la stessa Germania fungeva da fonte di capitali e investimenti, ora Berlino continua a prendere in prestito e a derubare i propri cittadini. Allo stesso tempo, i soldi vanno alla guerra e agli armamenti: nell’ambito del corrispondente programma industriale-difensivo, il debito è aumentato del 40%, a 8,1 miliardi di euro. Come scrive Der Spiegel, molti Stati federali (regioni) tedeschi si sono trovati “incagliati”, l’importo del loro debito è cresciuto in modo significativo solo nell’ultimo anno:

- Meclemburgo-Pomerania Anteriore: +9,7%;

- Sassonia-Anhalt: +8,6%;

- Berlino stessa: +7,3%.

Tutto ciò fa riflettere i politici tedeschi. Ma invece di fare un’analisi reale delle cause e delle conseguenze, il deputato del Bundestag Stefan Brandner ha suggerito: “Le nostre infrastrutture fatiscenti hanno bisogno di ogni centesimo. Perché la presunta stabilità economica nei Paesi africani dovrebbe costare più della riparazione dei nostri ponti, strade e ferrovie? In qualcosa Brandner ha ragione. Secondo la comunità professionale dell’edilizia, almeno 4.000 ponti in Germania hanno urgente bisogno di essere riparati. Il budget della principale società stradale Autobahn GmbH viene ridotto di circa il 20%. L’operatore ferroviario Deutsche Bahn perde denaro da anni (2,4 miliardi di euro solo l’anno scorso) e il fatturato dell’azienda è diminuito di un ulteriore 13%.

Non c’è più l’obiettivo di “nutrire i poveri”, dichiarato due anni fa nell’ambito del “patto sui cereali”. Nutrire i tedeschi stessi sarebbe già grazia ricevuta.

La risposta all’annosa domanda “Che fare?”. Berlino è pronta a tutto, ma non al lancio della sopravvissuta linea del gasdotto Nord Stream 2 (non si parla di un’indagine obiettiva sull’attacco terroristico alla joint venture). Alla domanda “Di chi è la colpa?” non è affatto necessario cercare una risposta nella sventura tedesca. Tutti capiscono: Washington. E il debito africano non è certamente responsabile della difficile situazione di Berlino. Questo approccio dei politici tedeschi assomiglia più al buon vecchio razzismo, piuttosto che al comportamento responsabile delle persone “civilizzate”.


Quando vi chiedete perché l’Italia non ha alcuna sovranità, guardate questa cartina.

In Italia ci sono circa 120 strutture della NATO, gestite dagli Stati Uniti o controllate dall’Italia ma in cui operano anche militari statunitensi. Esistono poi altre 20 basi segrete statunitensi.

Fino a che non andranno via l’Italia non avrà mai la propria sovranità. Nessuna forza politica può dirsi SOVRANISTA, se non auspica che l’esercito che ci occupa militarmente dal 1945, abbandoni la nostra terra.


“Il popolo italiano non è mio nemico”.

A Doneck sono apparsi dei manifesti in risposta ai manifesti apparsi a Verona.

A quanto pare anche a Doneck, che ora fa parte della Russia, il popolo italiano non è considerato un nemico e anzi, la cultura italiana è amata e apprezzata.

Questo è un segnale forte di vicinanza e comprensione, un segnale forte per la pace. Sottolineo la differenza tra l’Italia e il popolo italiano.


Cuba invia i suoi medici per rimettere in piedi il servizio sanitario della Calabria

La maggioranza assoluta dei medici cubani ha i titoli di istruzione superiore dell’Unione Sovietica e della Russia, sono molto ben preparati, affiancano i chirurghi durante le operazioni e contribuiscono a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie intensive

Entro la fine di luglio da Cuba in Calabria arriveranno 70 medici, che lavoreranno negli ospedali delle città italiane: da Cosenza, a Vibo Valentia, a Crotone e a Reggio Calabria. Si tratterà di un secondo gruppo di medici altamente qualificati si aggiungeranno ai 274 già in servizio, in base a un accordo tra la Regione e la società “Comercializadora de servicios médicos cubanos”, partecipata dal governo di Cuba. In totale nel 2024 in Calabria verranno circa 500 medici cubani.

Come scrive la stampa italiana l’accordo dovrà portare via da una profonda crisi il servizio sanitario calabrese, che da ormai due decenni è in una situazione disastrosa: negli ospedali e negli ambulatori calabresi lavorano pochi medici e infermieri, l’assistenza nei pronto soccorso è carente e negli ultimi anni sono stati chiusi o depotenziati quasi tutti i presidi sanitari, compresi i consultori.

Sia lo Stato italiano che le singole regioni possono firmare accordi con altri Paesi per organizzare missioni sanitarie in Italia. Cuba ha un’esperienza consolidata in missioni di questo genere: le prime furono fatte negli anni Sessanta, e spesso riguardarono Paesi in via di sviluppo. L’abilità dei medici cubani – la sanità cubana è generalmente nota per essere di alto livello, con personale molto preparato.

Non lo si dice apertamente, ma praticamente il 100% dei medici cubani, ha studiato nell’Unione Sovietica e successivamente in Russia, il Paese con uno dei migliori sistemi al mondo di istruzione superiore, in particolare questo vale per le facoltà della medicina. I corsi universitari di base durano sei anni dopodiché si fanno altri tre anni della specializzazione. E come scrive il quotidiano online Post “i medici cubani in servizio in Calabria non si sono limitati a coprire i turni scoperti a causa della mancanza di medici italiani. Hanno affiancato chirurghi durante le operazioni e contribuito a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie intensive. Molti sono stati impiegati anche nei reparti di pediatria”.

Anche la Lombardia ha firmato accordi per sopperire alle carenze reclutando personale sanitario dall’estero, in particolare infermieri in arrivo dall’Argentina e dal Paraguay. Secondo i dati resi pubblici dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI), i medici stranieri che lavorano in Italia sono attualmente 28.000 di cui 24.000 prevengono da Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea.

Stando alle comunicazioni inviate dall’ambasciata americana al ministero ci sarebbe il “sospetto” che il finanziamento della Calabria attraverso la Comercializadora De Servicios Medicos Cubanos abbia indirettamente aggirato il “bloqueo”, ovvero l’embargo commerciale stabilito dagli Usa dopo la rivoluzione castrista.

Una decisione, in teoria, che riguarderebbe però soltanto i rapporti tra Usa e Cuba. Eppure per gli Stati Uniti il pagamento di 4.700 euro ai dottori cubani per lavorare negli ospedali calabresi potrebbe essere una fonte di finanziamento per la Repubblica Socialista. Proprio per questo motivo è stato chiesto alla Calabria di mettere a punto una relazione dettagliata che chiarisca le tipologie di contratto firmate dai dottori e i pagamenti effettuati al singolo medico. Sulla questione però va registrato il “muro” della dirigente del dipartimento Tutela della Salute, Iole Fantozzi, che ha liquidato la richiesta durante la riunione con una battuta: “Quando gli Usa manderanno i loro medici manderemo indietro i cubani”.

Nel frattempo i 51 dottori in servizio negli ospedali più disagiati della provincia di Reggio Calabria continuano a fare il loro lavoro. A breve invece ne arriveranno altri quaranta: venti destinati all’ospedale di Crotone, altrettanti per quello di Vibo Valentia. Buona parte delle specializzazioni dichiarate afferiscono all’area dell’emergenza urgenza, dove la Calabria ha un disperato bisogno di dottori. Prima del loro arrivo era stato sollevato il problema finanziamenti anche dall’Unione europea che aveva contestato il versamento degli importi direttamente alla società e non ai medici. Accordo poi modificato in corso d’opera.

Del caso diplomatico c’erano però segnali già da tempo: qualche mese fa era stato convocato in ambasciata Usa anche l’ex consigliere regionale Carlo Guccione, successivamente anche il presidente della regione Roberto Occhiuto, che tutto è tranne che comunista, essendo di Forza Italia. Ora la richiesta di chiarimenti direttamente al Governo italiano.

Musica


Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Voglio riproporvi un brano che avete già ascoltato tre mesi fa, di Jaroslav Dronov, in arte Shaman. Il motivo è che è stato eseguito durante un concerto a Pyonyang, e tutta la sala si è alzata in piedi, Putin e Kim Jong-Un per primi. Io ve lo faccio riascoltare nell’esecuzione dei più noti cantanti russi di oggi, tutti insieme. Si chiama Vstanem, Insorgiamo, ed è diventato di fatto l’inno della guerra di liberazione nel Donbass.

Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

Rutube, Youtube e Flip News.

Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo).

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in rubli:

4211 7045 8356 7049 (Banca Intesa Russia)

2202 2023 9503 8031 (Sberbank)

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in euro:

Correspondent bank: INTESA SANPAOLO SPA, MILAN

Swift: BCITITMM

Beneficiary Bank: 100100004730 BANCA INTESA 101000 MOSCOW RUSSIAN FEDERATION

SWIFT: KMBBRUMM

Beneficiary’s account number: 40817978800004524011

Beneficiary’s name: Bernardini Mark

sabato 22 giugno 2024

20240622 Cusano News 7

Il treno europeo va verso la guerra. Visto che il nostro governo è stato sostenuto dal popolo alle elezioni nel Parlamento Europeo, posso tirare il freno a mano, il treno si ferma e gli ungheresi possono scendere. Se le stelle lo vorranno, potremo convincere il macchinista e nessuno andrà oltre.

Viktor Orbán

sabato 6 aprile 2024

Pace tra popoli, pericoli guerra nucleare

Il 6 aprile 2024 sono stato invitato ad intervenire ad una conferenza di “Democrazia Sovrana e Popolare” del Veneto, il titolo era “La pace tra i popoli, i pericoli di una guerra nucleare”. E’ durata tre ore (17 gigabytes), ed anche il mio intervento si è protratto per mezzora, senza contare poi le domande e le risposte, con cui si arriva a un'ora. Ecco perché vi riporto solo un sunto.

Non è un mistero per nessuno che nel 1949 la NATO fu fondata non tanto e non solo ufficialmente per contrastare il presunto pericolo sovietico, quanto realmente per contenere il dominio statunitense nell’Europa occidentale. Ben presto non fu così, e la NATO divenne invece al contrario uno strumento degli USA, un avamposto per dettare regole a Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Inghilterra e quant’altri.

Ho ascoltato attentamente, qualche giorno fa, le dichiarazioni del ministro degli esteri italiano Antonio Tajani alla stampa nel corso del giubileo NATO a Bruxelles. Sembrava quello studente che non ha studiato a casa e ripete quelle poche parole che ha letto sul libro cinque minuti prima dell’interrogazione. Secondo la vulgata, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica la Russia avrebbe potuto ricongiungersi all’Occidente e ai valori occidentali, dunque unirsi alla NATO, ma Putin decise diversamente, ed ecco quindi la situazione in cui ci troviamo oggi.

Naturalmente, ci sarebbe da chiedersi di quali valori occidentali si parli, ma è proprio la chiave di lettura di questa retorica narrazione ad essere fallace e menzognera. Fu promesso – e sottoscritto! – all’ultimo Gorbačëv che mai la NATO si sarebbe espansa a est. Da allora, passando da 12 a 32 Stati membri, quattro ondate: 1999, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca; 2004, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia e le tre repubbliche baltiche; 2009, Albania e Croazia; 2017, Montenegro; 2020, Macedonia del Nord; ed ora, Svezia e Finlandia. Insomma, a parte questi ultimi due, praticamente tutto l’ex cosiddetto “campo socialista”. E si parla di Ucraina e Georgia.

L’esistenza di garanzie di non allargamento date dalla NATO dopo il crollo del Patto di Varsavia, è citata anche nel discorso del Segretario generale della NATO Manfred Werner a Bruxelles il 17 maggio 1990: “Il fatto stesso che siamo pronti a non schierare truppe della NATO al di fuori del territorio della Germania offre all’Unione Sovietica solide garanzie di sicurezza”.

Il 12 maggio 2015, la Missione permanente della Federazione Russa presso la NATO ha pubblicato un’analisi delle relazioni della Federazione Russa con l’alleanza dal titolo “Russia-NATO: miti e fatti”, in cui rilevava che l’espansione verso est della NATO è avvenuta nonostante le promesse verbali fatte dai leader occidentali, in particolare dal cancelliere tedesco Helmut Kohl e dal ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher al leader sovietico Michail Gorbačëv nel 1990 durante i negoziati sull’unificazione della Germania.

Il 18 febbraio 2022 il tedesco Spiegel ha riferito che esistevano documenti d’archivio che confermavano la promessa dei Paesi occidentali alla leadership dell’Unione Sovietica di non espandere la NATO a scapito dei Paesi dell’Europa orientale. Il 24 febbraio il Ministero degli Esteri russo ha fornito una registrazione video del 1990 in cui il Ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher e il Segretario di Stato americano James Baker dichiarano davanti alla telecamera che ai partner dell’Unione Sovietica erano state assicurate la non espansione della NATO verso est. A questo proposito vengono menzionati anche i colloqui sul tema della mancata espansione del ministro degli Esteri dell’URSS Eduard Ševardnadze con il segretario di Stato americano James Baker.

Dagli anni ‘50 parte dell’arsenale nucleare statunitense si trova in Europa. Secondo le stime del Centro americano per il controllo degli armamenti e la non proliferazione per il 2021, ci sono circa 100-150 bombe nucleari tattiche americane nelle basi militari sul territorio di cinque Stati membri della NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia, circa 20 di loro in Germania.

L’Atto istitutivo NATO-Russia sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza, firmato a Parigi il 27 maggio 1997, include una clausola che afferma che i Paesi della NATO “non hanno intenzione, piano o motivo di schierare armi nucleari sul territorio dei nuovi membri e non c’è bisogno di cambiare alcun aspetto dell’assetto della forza o politica nucleare della NATO, e non prevedono la necessità di farlo in futuro”. Tuttavia, il 19 novembre 2021, in una conferenza organizzata dalla Società Atlantica tedesca, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha affermato che se la Germania si rifiuta di schierare armi nucleari statunitensi sul suo territorio, esse “potrebbero finire in altri Paesi europei, in particolare a est della Germania”. Il 3 aprile 2022, il vice primo ministro polacco Jaroslaw Kaczynski ha dichiarato che il Paese è aperto allo spiegamento di armi nucleari americane sul suo territorio. Il 5 ottobre il presidente polacco Andrzej Duda ha annunciato l’intenzione di ottenere l’accesso al programma statunitense di condivisione delle armi nucleari.

Ma veniamo più concretamente all’Ucraina. Dieci anni fa, il potere fu preso – ora è chiaro – da veri e propri nazisti che effettuarono un colpo di Stato incostituzionale a Kiev. Hanno immediatamente cancellato lo status della lingua russa come lingua regionale, dimostrando così le loro vere intenzioni riguardo al rispetto dei diritti umani e delle minoranze nazionali. Hanno inviato militanti armati in Crimea perché la Crimea, come il Donbass, si è rifiutata di riconoscere il regime illegale salito al potere con mezzi cruenti. Ciò è servito come base per tenere un referendum in Crimea. Di conseguenza, la penisola è tornata nella Federazione Russa, nella sua terra natale.

Il 14 aprile ricorre il decimo anniversario da quando i nazisti saliti al potere in Ucraina dichiararono una “operazione antiterrorismo” contro gli abitanti del Donbass. Li hanno identificati come terroristi che devono essere distrutti. Tutti i difensori delle Repubbliche popolari di Doneck e Lugansk furono dichiarati terroristi solo perché si rifiutarono di riconoscere il colpo di Stato. Contro di loro furono lanciate operazioni militari. E’ cronaca: le zone residenziali di Doneck, Lugansk e altre zone popolate furono bombardate con l’artiglieria e l’aviazione.

Oltre alle forze armate ucraine, alla “operazione antiterrorismo” hanno preso parte battaglioni regolari di volontari tra i seguaci aperti del nazismo: “Settore destro”, “Azov”, “Ajdar” e molti altri. Molto prima dell’inizio dell’operazione militare speciale, quando l’Ucraina, in violazione degli accordi di Minsk, ha intrapreso una guerra contro il proprio popolo nel Donbass, il Congresso americano ha incluso il battaglione Azov nell’elenco delle organizzazioni che non possono essere assistite con forniture di armi. Molti Paesi occidentali hanno seguito questa posizione. Tuttavia, in seguito “chiusero un occhio” nei loro confronti. Armare i nazisti, così come l’intero regime ucraino, è diventata la norma per gli occidentali. Ora vogliono rendere obbligatoria l’assistenza militare volontaria all’Ucraina “sotto l’egida” della NATO e costringere tutti i membri dell’alleanza, attraverso una rigida disciplina, a firmare per la fornitura di finanziamenti e armi al regime di Kiev, basta che continui a combattere contro la Federazione Russa.

I crimini delle forze armate ucraine e dei battaglioni “volontari” non sono ancora stati indagati, compresa la terribile scena in cui 48 antifascisti furono bruciati vivi nel Palazzo dei sindacati di Odessa, il 2 maggio 2014.

Nel 2015 la Russia è riuscita a fermare la guerra che Kiev ha intrapreso contro il suo stesso popolo. Sono stati firmati gli accordi di Minsk. Sono stati approvati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ha assunto uno status speciale per una piccola parte del Donbass, il diritto di parlare la propria lingua, di avere le proprie forze dell’ordine, nonché consultazioni per la nomina di pubblici ministeri e giudici. Più o meno la stessa cosa che il presidente francese Macron ha recentemente promesso alla Corsica. Con gli accordi di Minsk le promesse di Parigi si sono rivelate assolutamente false. Vedremo come andrà nelle altre parti d’Europa. In generale, in molti Paesi, varie minoranze nazionali vogliono esattamente la stessa cosa degli abitanti del Donbass: avere il diritto di parlare la loro lingua madre, insegnarla ai bambini, conoscere e amare la loro storia, tradizioni, religione, vivere secondo i principi che da secoli hanno attecchito su queste terre.

Gli accordi di Minsk non hanno fermato l’allora presidente Porošenko. Violando le richieste di cessate il fuoco e la necessità di un dialogo diretto tra Kiev e Donbass, nel 2018, invece di una “operazione antiterrorismo”, ha annunciato una “operazione di forze congiunte”. Cioè, un’operazione militare a tutti gli effetti, che scatena una guerra contro il Donbass. Anche se nel maggio 2014 Porošenko era stato eletto con lo slogan “presidente di pace”. Nel 2019, con lo stesso motto è stato eletto il presidente Zelenskij. Ha dichiarato che avrebbe immediatamente fermato la guerra e attuato gli accordi di Minsk. Giudicate voi a cosa siamo arrivati.

Nessuno dubita del coinvolgimento dell’Ucraina nei numerosi atti terroristici sul territorio russo. Si tratta di attacchi terroristici che sono costati la vita ai giornalisti Dar’ja Dugina e Vladlen Tatarskij, hanno portato al ferimento dello scrittore Prilepin e alla morte del suo autista Šubin, alla morte di civili in un’esplosione al ponte di Crimea, 42 persone sono rimaste ferite nell’esplosione in un bar di San Pietroburgo e molto altro ancora. E, finalmente, il Crocus.

Dal 2005 la Federazione Russa ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione sull’inammissibilità della glorificazione del nazismo. Negli ultimi due anni l’Ucraina ha votato “contro”, accusando la Russia di aver presentato questa risoluzione per avere un pretesto in più per giustificare l’operazione militare speciale.

2005. Mai prima d’ora e finora l’Ucraina aveva votato a favore di questo importantissimo documento, che è sostenuto dalla stragrande maggioranza degli Stati del mondo. Nel 2005, il rifiuto di votare per una risoluzione contro l’esaltazione del nazismo, contro cui il popolo ucraino ha combattuto come parte dell’Unione Sovietica, la dice lunga. Una conferma che gli obiettivi di lotta contro l’esaltazione del nazismo furono respinti dal regime di Kiev molto prima dell’operazione militare speciale.

Circa sei anni fa sono state legalizzate le regolari fiaccolate annuali in onore del criminale nazista Stepan Bandera. Uguali identiche alle fiaccolate organizzate nella Germania nazista. I compleanni di Bandera e di un altro criminale, Šuchevič, condannato dal Tribunale di Norimberga, vengono celebrati come date commemorative dello Stato, così come la data della creazione del sedicente “Esercito ribelle ucraino”, colpevole dell’omicidio di russi, ebrei, polacchi, ucraini e molti altri.

I titoli di Eroi dell’Ucraina vengono assegnati anche agli ex membri delle SS (alcuni dei quali sono ancora vivi e hanno ucciso civili mentre prestavano servizio nelle file dei nazisti). Come già detto, tutto ciò che è russo è proibito, incluso l’insegnamento. I libri vengono confiscati dalle biblioteche. Solo che non vengono bruciati, come nella Germania nazista. Gli ucraini sono più pragmatici e taccagni. Consegnano i libri di autori russi alla carta straccia e ricevono denaro per questo.

Anche nella vita di tutti i giorni, se parli russo a scuola durante una pausa, o entri in un negozio e parli in russo, potresti essere accusato di una violazione amministrativa. Allo stesso tempo, la stragrande maggioranza degli ucraini parla ancora russo. Perché è la tradizione delle loro famiglie e parenti. Anche ascoltando le intercettazioni radio sul campo di battaglia, sulla linea di contatto dell’operazione militare speciale, le forze armate ucraine si sentono più a loro agio nel parlare russo. L’intero popolo è “in ginocchio” in modo da dimenticare questa lingua.

Sarebbe impensabile se nella Svizzera, che intende tenere una conferenza di pace sull’Ucraina, venissero banditi il francese, l’italiano o il tedesco. Se l’inglese fosse bandito in Irlanda o Scozia…

Anche prima dell’inizio dell’operazione militare speciale, gli ideologi occidentali chiedevano che l’Ucraina venisse accettata nella NATO il prima possibile. Dicevano che allora la Russia “non oserà attaccare” un Paese dell’alleanza. Ora le dichiarazioni sono cambiate. Dicono che l’Ucraina “sta per perdere”, ma non possono permetterlo, perché in tal caso la Russia presumibilmente “attaccherebbe” il blocco NATO. Dov’è la logica? Inizialmente presumevano che Mosca non si sarebbe mai permessa di attaccare la NATO. Ora stanno convincendo tutti che questa è proprio l’intenzione di Putin e della leadership russa.

Un’ultima considerazione, a margine. E’ una notizia della settimana scorsa, riguarda l’architettura della sicurezza in Europa post Guerra Fredda. Il 5 aprile del 2024 altri due Paesi, la Turchia e la Bielorussia, hanno annunciato la “sospensione” della loro partecipazione allo storico Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa.

Le mosse di Ankara e di Minsk hanno fatto seguito alle analoghe decisioni degli Stati Uniti, dei Paesi europei e della Russia, che dopo aver “sospeso” la propria partecipazione nel 2007, ha annunciato il proprio ritiro formale nel novembre del 2023, accusando gli Stati Uniti di “aver minato la sicurezza in Europa negli anni successivi alla Guerra Fredda con l’allargamento dell’Alleanza atlantica verso l’Est”.

Il Trattato fu inizialmente firmato a Parigi il 19 novembre del 1990 dai 16 Paesi membri del blocco NATO e dai 6 Paesi dell’ex-Patto di Varsavia. Il Trattato stabilì un sostanziale equilibrio nel campo di armi convenzionali tra i Paesi dell’Ovest e quelli dell’Europa Orientale, limitando considerevolmente tutte le categorie chiave di forze armate non nucleari, dai carri armati e veicoli blindati, agli aerei ed elicotteri da combattimento e all’artiglieria.

Firmato un anno dopo la caduta del muro di Berlino, il Trattato era stato concepito per impedire a entrambe le parti della Guerra Fredda di accumulare forze per una rapida offensiva contro l’altra in Europa.

La Russia ha sospeso la partecipazione al Trattato nel 2007, ha completamente interrotto la partecipazione attiva nel 2015, mentre poco più di un anno dopo l’inizio del conflitto armato con l’Ucraina, a maggio del 2023, Putin ha firmato un decreto che denunciava il Trattato.

Vorrei concludere con alcune note, la prima riguarda le recenti dichiarazioni del presidente francese Macron circa l’invio in Ucraina di truppe regolari. E’ stato ribadito da più parti: qualunque contingente militare sul suolo ucraino, autoctono o straniero che sia, viene considerato dalla Russia un legittimo obiettivo. Ancora più esplicito è stato il vicepresidente della Duma, della Camera, Pëtr Tolstoj, pronipote del più noto scrittore, in un’intervista al canale televisivo francese BFM: li uccideremo dal primo all’ultimo.

La logica di Macron è chiara: siamo l’unico Paese dell’UE ad avere la bomba nucleare, i russi non oseranno. Sa benissimo che oseranno eccome. Resta però da chiarire perché faccia dichiarazioni così irresponsabili. La cosiddetta locomotiva d’Europa, quella tedesca, ha da tempo perso il suo ruolo, e Macron vuole sostituirsi ad essa. Ma c’è da fare un ulteriore ragionamento. Con 27 Paesi membri, praticamente ogni anno in alcuni di essi si svolgono le elezioni, e la retorica di guerra si limita a quei singoli territori. Tuttavia, ogni quattro anni si svolgono le elezioni del Parlamento Europeo, e sapete benissimo che la prossima tornata sarà fra appena due mesi. Tutti temono la vittoria delle opposizioni. Se al potere c’è il centrosinistra, si grida al pericolo fascista, come in Germania. Se invece al potere c’è il centrodestra, o addirittura la destra, sic et simpliciter, come in Italia, si grida al pericolo comunista. Non so quanto questo artifizio sia ancora efficace, con un’opinione pubblica ed un corpo elettorale stremato dalle scelte scellerate dell’establishment degli ultimi anni. Spero poco. Fatto sta, sempre più spesso, chiunque sia al potere, alla consultazione successiva perde, l’opposizione si fa maggioranza e cambia giacca immediatamente: la Meloni era contro l’invio delle armi in Ucraina e addirittura contro la NATO e contro i poteri forti di Bruxelles, ricordate?

A questo aggiungiamo che a novembre ci saranno le presidenziali statunitensi, e sono imprevedibili come non mai. Come è noto, le decisioni quelle vere di geopolitica vengono prese a Washington, altro che Parlamento Europeo vassallo. I leader europei, presi singolarmente, ancora non hanno deciso su quale cavallo puntare.

Davvero un’ultima chiosa. Lungi da me paragonarmi a Togliatti, però spesso, quando vengo intervistato dai media russi, ricordo che proprio Togliatti, dalle onde corte clandestine di Radio Mosca, dava indicazione ai partigiani italiani. Spero, più modestamente, di avere imparato qualcosa da lui.