Da Mosca, Mark Bernardini. Novantaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 23 settembre 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
La risposta del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin alla domanda sulla possibilità dell’utilizzo di armamenti occidentali a lunga gittata per attacchi sul territorio russo.
Ciò significherà che i Paesi della NATO, gli USA e i Paesi europei saranno in guerra con la Russia. E se sarà così, tenendo conto di tale cambiamento sostanziale nella natura del conflitto, noi ci troveremo a dover prendere le opportune decisioni sulla base delle minacce che ci verranno rivolte.
Il presidente del Kazachstan Kassym-Žomart Tokaev in un incontro con Scholz sul conflitto in Ucraina.
Il fatto è che militarmente la Russia è invincibile. Un’ulteriore escalation della guerra porterà a conseguenze irreparabili per tutta l’umanità e, soprattutto, per tutti i Paesi direttamente coinvolti nel conflitto russo-ucraino. Purtroppo, con il rifiuto di concludere l’accordo di Istanbul, è andata perduta una buona occasione per raggiungere almeno una tregua. Ma l’opportunità per la pace esiste ancora.
E’ necessario considerare attentamente tutte le iniziative di pace dei vari Stati e prendere la decisione di fermare le ostilità, per poi passare alla discussione delle questioni territoriali. A nostro avviso, il piano di pace proposto da Cina e Brasile merita sostegno. I leader degli Stati vanno e vengono, ma i popoli, soprattutto quelli vicini, devono vivere in pace e comprensione reciproca.
Insieme alla Russia, il Kazachstan ha il confine terrestre delimitato più lungo del mondo e la cooperazione tra i nostri Paesi si sta sviluppando nel quadro di partenariati e alleanze strategiche.
Queste dichiarazioni sono state fatte da Tokaev in un incontro con il cancelliere tedesco il 16 settembre 2024. La conferenza stampa congiunta del Presidente kazacho e di Olaf Scholz però è stata annullata prima dell’inizio su iniziativa della parte kazacha, riferisce l’agenzia tedesca DPA.
Scholz ha tenuto la conferenza stampa da solo. Al termine dell’evento gli è stato chiesto se considerasse inospitale la decisione dei rappresentanti del Kazachstan, ma il cancelliere ha evitato di rispondere.
Nella lista dei componenti italiani del Parlamento Europeo che hanno approvato la risoluzione per un attacco in territorio russo risaltano:
Quando e se vi faranno ancora votare, ricordatevelo.
I BRICS si stanno preparando per un ripristino finanziario. La de-dollarizzazione è solo questione di tempo, afferma Asia Times.
Al vertice dei BRICS, che si terrà a Kazan- dal 22 al 24 ottobre, potrebbe essere svelata una “road map” per lo sviluppo di un’alternativa all’attuale sistema finanziario globale basato sul dollaro. Secondo gli analisti potremmo parlare di una piattaforma di pagamento multivaluta. E’ anche possibile il lancio di una valuta commerciale BRICS sostenuta dall’oro.
L’emergere di un’alternativa all’attuale sistema del dollaro avrà un significato storico. Questo sarà il primo serio tentativo di andare oltre l’accordo di Bretton Woods del 1944, che delineò i contorni del sistema finanziario globale del dopoguerra.
Il sistema di Bretton Woods si incrinò nel 1971 quando il presidente Richard Nixon svincolò il dollaro dall’oro. Libero dai vincoli del gold standard, il governo americano abbandonò la disciplina fiscale. Dal 1971 al 2024, il debito nazionale degli Stati Uniti è cresciuto da 400 miliardi di dollari a 35mila miliardi di dollari.
Oggi, il servizio del debito nazionale è diventato la voce più importante del bilancio nazionale degli Stati Uniti e sempre più importanti economisti e capi di aziende lanciano l’allarme. Gli Stati Uniti potrebbero rimanere senza creditori disposti ad acquistare il suo debito.
I BRICS potrebbero decidere di lanciare un’unità monetaria parzialmente sostenuta da oro e risorse naturali, in particolare petrolio, minerali e metalli. Il gruppo ha una leva finanziaria significativa dato che controlla una parte significativa delle risorse minerarie del pianeta, abbastanza da dettare i prezzi globali.
Un segnale che i BRICS si stanno preparando per un tale ripristino finanziario è l’accumulo senza precedenti di oro. Negli ultimi due anni, i membri del BRICS hanno acquistato oro a un ritmo record. Storicamente, questo metallo prezioso è stato utilizzato per ricalibrare le valute dopo una crisi finanziaria o monetaria.
Il “Growth Crystal” ha precedentemente riferito che, secondo l’American Responsible Statecraft, la valuta BRICS porterà alla dedollarizzazione e al crollo del dominio statunitense.
Il Parlamento europeo ha invitato i Paesi dell’UE ad eliminare le restrizioni sugli attacchi di Kiev con armi a lungo raggio sul territorio del nostro Paese, a rafforzare il sostegno militare all’Ucraina e ad annunciare anche la raccolta di fondi dalla popolazione europea per i bisogni delle Forze Armate dell’Ucraina.
Lo spiegherò di nuovo:
Se succede qualcosa del genere la Russia darà una risposta dura utilizzando armi più potenti.
Nessuno dovrebbe farsi illusioni su questo. La Duma di Stato insiste su questo.
Domande per i membri del Parlamento europeo:
Vi siete consultati con i vostri elettori prima di prendere questa decisione?
I cittadini dei Paesi europei vogliono che la guerra arrivi a casa loro?
Ciò che il Parlamento europeo chiede può portare a una guerra mondiale con armi nucleari.
Prima di prendere una decisione del genere, era necessario ricordare le lezioni della Seconda Guerra Mondiale. 27 milioni di cittadini sovietici morirono nella lotta contro il nazi-fascismo.
E’ stato il nostro Paese a liberare voi e tutta l’Europa.
Ricordatelo. Non dimenticatelo.
A giudicare dalla dichiarazione del Parlamento europeo, a quanto pare ve ne siete dimenticati.
I cittadini del nostro Paese sanno cos’è la guerra, ha attraversato ogni famiglia.
La vittoria sul nazismo arrivò a caro prezzo.
Gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che oggi si definiscono vincitori, hanno perso meno di 800.000 persone nella Seconda Guerra Mondiale.
Le nostre perdite nella sola battaglia di Stalingrado ammontano a 1.130.000 persone.
L’unica cosa che il Parlamento europeo dovrebbe fare dopo una simile dichiarazione è sciogliersi.
Per vostra informazione, il tempo di volo del razzo Sarmat verso Strasburgo è di 3 minuti e 20 secondi.
Vjačeslav Volodin, Presidente della Duma di Stato russa.
Continuando rigorosamente sulla strada della cancellazione totale di ogni forma di dissenso, gli Stati Uniti hanno lanciato un’altra ondata di restrizioni contro i media e i giornalisti russi.
Il 13 settembre il Segretario di Stato americano Blinken ha annunciato nuove sanzioni contro due holding mediatiche russe “Russia Today” (agenzie RIA Novosti e Sputnik), “TV-Novosti” (canale televisivo RT e agenzia video Ruptly) e “Eurasia”. Le restrizioni includono anche il Direttore generale di “Russia Today” Kiselëv e il capo della ONG Eurasia Parutenko. Inoltre, le sanzioni precedenti erano state proclamate solo pochi giorni prima, il 4 settembre, quando erano state applicate misure restrittive contro gli stessi media e contro la Direttrice di Russia Today Margarita Simon’jan, nonché contro una serie di altri dipendenti del medesimo canale televisivo.
Le forze di sicurezza americane hanno preso parte con zelo particolare alla persecuzione dei giornalisti russi. Evidente prova d’illegalità commissionata “dall’alto” è stata la perquisizione dell’abitazione di una giornalista di Russia Today da parte di una ventina di agenti dell’FBI, che hanno sottoposto la donna russa a procedure umilianti. Temendo per la propria sicurezza e salute, la dipendente del canale televisivo ha dovuto rapidamente lasciare il Paese. Sono stati aperti casi legali con accuse inventate contro alcuni dipendenti dei media russi e persino contro i cittadini americani che hanno osato apparire nelle loro trasmissioni. In caso di arresto, rischiano condanne pesanti.
L’attuale amministrazione americana, in modo estremamente cinico, sta cercando di giustificare la repressione senza precedenti dei media russi, accusandoli d’“ingerenza” negli affari politici interni. In sostanza, stiamo parlando di un’altra campagna personalizzata, di una “caccia alle streghe”, quando un’atmosfera appositamente coltivata di paura generale e mania di spionaggio consente alle cerchie più potenti in USA di manipolare l’opinione pubblica e impedire alla popolazione qualsiasi accesso alle informazioni scomode.
Questa volta, inoltre, Washington esercita il ruolo di “guardiano” della stabilità pubblica e dell’integrità dei processi democratici, impiegando metodi di censura totalitaria non solo sul suo territorio, ma ben oltre i suoi confini. Avendo in definitiva calpestato i propri obblighi internazionali nel campo del pluralismo e perfino della propria Costituzione, gli Stati Uniti hanno di fatto dichiarato guerra in tutto il mondo alla libertà di parola, ricorrendo a minacce aperte e ricatti contro altri Stati per stabilire un controllo esclusivo sullo spazio dell’informazione globale.
Non riescono a fare i conti con la crescente popolarità in molti Paesi del mondo dei canali russi d’informazione, in contrasto con la visione unilaterale e falsata di ciò che sta accadendo sul pianeta dettata dal mainstream occidentale. Washington, de facto, sta cercando di estendere la famigerata “dottrina Monroe” alla sfera dei media.
Non ci illudiamo che la censura dilagante negli Stati Uniti ottenga adeguata condanna dalle strutture internazionali specializzate (le cui attività sono dirette da Washington). Al tempo stesso, valutiamo il loro silenzio come tacito assenso ed effettiva complicità nell’arbitrio commesso verso i media russi.
Sabato scorso sono stato intervistato dal canale TV 234 del digitale terrestre Cusano News 7, dell’Università romana Niccolò Cusano. Devo dire che in genere mi intervistano settimanalmente da ormai un paio d’anni, ma non lo riporto in questo notiziario per non farlo troppo lungo. Questa settimana, ci sono meno materiali del solito, quindi ne approfitto. Parlo della città di Togliattigrad e della decisione del Parlamento Europeo di bombardare l’entroterra russo.
Per quanto riguarda il mercato automobilistico in Russia, voglio citarvi un articolo dal portale Pluralia, per il quale traduco verso il russo. Russia: importazioni da record di auto cinesi. Ad agosto la Russia ha importato oltre il 19% di auto fabbricate in Cina.
Mentre il mercato europeo dell’auto si lecca le ferite – nel mese di agosto le immatricolazioni di auto nuove sono crollate del 16,5% – la Russia nell’ultimo mese estivo ha importato dalla Cina delle autovetture per un valore record di 1,6 miliardi di dollari.
Secondo i dati delle dogane cinesi ad agosto del 2024 la Russia ha aumentato rispetto a luglio gli acquisti di auto “made in China” del 26%, mentre su base annua la crescita è stata di 1,5 volte. Dopo la fuga precipitosa delle case automobilistiche europee dalla Russia il mercato è stato subito occupato dai produttori cinesi, che nei primi otto mesi di quest’anno hanno venduto sul mercato russo autovetture per un valore stimato in 9,15 miliardi di dollari, contro i 6,8 miliardi del periodo gennaio-agosto di un anno prima. E mentre gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno bloccando le esportazioni cinesi di autovetture sia “tradizionali” che elettriche, lo scorso mese la quota russa nelle esportazioni cinesi di auto ha raggiunto l’inedito 19,1 per cento.
Avete presente la canea che avevano scatenato per la visita ufficiale di Putin in Mongolia? Una superlativa pagina di giornalismo di Spiegel, uno dei maggiori quotidiani tedeschi. Prima rispolvera la storia del sangue di cervo di Putin, poi scrive:
“A Mosca circola la voce che Putin abbia bisogno della benedizione degli sciamani per usare le armi nucleari. Senza il loro consenso, non poteva fare un passo così serio per paura di far arrabbiare gli spiriti. E presumibilmente è tornato dalla Mongolia soddisfatto”.
Naturalmente, a Mosca non si parla affatto di queste sciocchezze. E non finisce qui.
Israele compie attentati terroristici facendo esplodere i cercapersone in Libano. Media occidentali: “Putin potrebbe far esplodere milioni di iphone senza preavviso”.
“La storia ci insegna che nessuna nuova tecnica militare rimane a lungo monopolio del suo inventore. Quanto ci vorrà prima che Vladimir Putin o Xi Jinping scoprano come far bruciare milioni di iPhone in tutto il mondo nelle tasche dei loro nemici?”. Daily Mail.
Non ha stato Putin? Avrebbe stato Putin.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
«Корреспондентская застольная» («Песня военных корреспондентов»), “Il convivio dei corrispondenti” (“Canzone dei corrispondenti di guerra”) è una canzone scritta nel 1943.
Da Mosca a Brest
Non esiste un posto
Dove non vaghiamo nella polvere,
Con una macchinetta fotografica e un blocco note,
O anche con una mitragliatrice
Abbiamo attraversato il fuoco e il freddo.
Senza un sorso, compagno,
Non puoi fare una canzone,
Quindi versiamone un po’!
Brindiamo a chi ha scritto,
Beviamo a chi ha filmato,
Beviamo a coloro che hanno camminato sotto il fuoco.
Nel 1943, Konstantin Simonov, corrispondente del quotidiano Krasnaja Zvezda, Stella Rossa, su incarico della redazione andò da Krasnodar a Rostov. Il percorso era difficile, l’autista era taciturno. Per distrarsi, Simonov, seduto nella cabina della jeep, ha trascorso due giorni a comporre una canzone dedicata ai giornalisti di prima linea. L’autore non aveva l’opportunità di scrivere il testo, quindi ha ripetuto in continuazione ogni riga ad alta voce.
A Batajsk, poco distante da Rostov sul Don, dove si trovava l’ufficio corrispondente del giornale di Simonov, il giornalista è stato accolto dai suoi colleghi. Apparecchiarono la tavola, distribuirono vodka e stuzzichini; fu lì che la canzone scritta da Simonov fu eseguita per la prima volta. Ben presto nell’ufficio si presentò un medico militare, al quale l’autista riferì lo strano comportamento del “tenente colonnello anormale”, che durante tutto il percorso aveva recitato alcune poesie. Anni dopo, il poeta raccontò questa storia alla radio; la risposta ai suoi ricordi fu una lettera da Jalta, l’autore della quale ammise di essere proprio quel medico chiamato d’urgenza dall’unità medica.
Simonov ha scritto un brindisi dettagliato che si dice tra amici... Chi lo pronuncia non dimentica le preoccupazioni quotidiane e invita tutti quelli che erano al fronte ad alzare i bicchieri alla causa comune.
Nel 1993, vicino all’ingresso della Casa Centrale dei Giornalisti di Mosca, è stato eretto un monumento ai corrispondenti di prima linea.
Il Parlamento europeo ha invitato i Paesi dell’UE ad eliminare le restrizioni sugli attacchi di Kiev con armi a lungo raggio sul territorio della Russia, a rafforzare il sostegno militare all’Ucraina e ad annunciare anche la raccolta di fondi dalla popolazione europea per i bisogni delle Forze Armate dell’Ucraina
Io mi sono iscritto alla FGCI nel 1976 e al PCI nel 1980. Marco Rizzo si è iscritto al PCI nel 1981. Nel 1982-1985, sono stato segretario FGCI della IX Circoscrizione di Roma, una zona che all’epoca contava 250.000 abitanti, e candidato del PCI nella medesima circoscrizione.
Allo scioglimento del PCI, nel 1991, entrambi siamo stati tra i fondatori di Rifondazione Comunista. Io sono stato con essa candidato a Milano.
Nel 1998, entrambi siamo usciti da Rifondazione ed entrambi siamo stati tra i fondatori del Partito dei Comunisti Italiani. Io sono stato candidato, sempre a Milano, del PdCI. Dunque, abbiamo condiviso ben tre Partiti.
Nel 2001, a seguito del mio libro contro Berlusconi, persi casa e lavoro, dormivo letteralmente sotto i ponti. Armando Cossutta mi mandò a lavorare al GUE a Bruxelles, fu lì che conobbi anche Marco Rizzo. Da lì curavo una rubrica fissa sull’allora settimanale del PdCI, “La rinascita della sinistra”, dal titolo “Il sito nell’occhio”.
Nel 2002 mi trasferii a Mosca, dove mi trovo tuttora, nel 2003 uscii dal PdCI, da allora mi considero un comunista italiano emigrato senza Partito.
Voglio dire che liquidarmi come giornalista per sminuire la mia competenza politica mi pare metodologicamente errato. Tra l’altro su Wikipedia Marco Rizzo risulta di professione giornalista pubblicista.
Paradossalmente, la sinistra dovrebbe imparare da Macron, Scholz e Tusk: diversi tra loro, ma uniti se si tratta di raggiungere i loro scopi comuni. Se vogliamo, è proprio quel principio che fece il successo del vecchio PCI, quello di allora, non di adesso. Per esempio, si fossero presentati insieme i due Partiti socialdemocratici slovacchi, uno di Fico, l’altro di Pellegrini, avrebbero preso la maggioranza assoluta. Se in Germania si fossero presentati assieme Sahra Wagenknecht e Die Linke, sarebbero entrati entrambi al Parlamento Europeo, invece così solo la pur apprezzabile Wagenknecht.
Un esempio a parte è la Francia Indomita di Mélenchon. La sinistra francese è andata divisa alle Europee e infatti ha perso. Hanno imparato la lezione: al primo turno delle Politiche il Nuovo Fronte Popolare è andato coeso, socialisti, comunisti, indomiti, verdi. Non che non soffrano di contraddizioni fondanti: i socialisti sono totalmente appiattiti sull’atlantismo e sull’appoggio incondizionato ai neonazisti ucraini, i comunisti al contrario comprendono le ragioni russe, gli indomiti sono contrari alle forniture agli ucraini pur senza condividere le posizioni russe. Però intanto sono arrivati secondi dopo la destra della Le Pen, e questo consentirà loro di presentarsi al ballottaggio del 7 luglio. A chi dice che ciò sia una spartizione delle poltrone e che sia disonesto nei confronti degli elettori, basti considerare che se lo si dichiara prima, ci si può dividere anche 24 ore dopo le elezioni, però comunque si è in Parlamento.
Questo riguarda anche l’Italia. Se Santoro, DSP, PCI si fossero presentati assieme, pur dichiarando fin dall’inizio di non voler stare assieme, li avremmo in seno al Parlamento Europeo, invece così duri e puri fuori dall’arco parlamentare. Bella soddisfazione.
Colpisce, nella narrazione in voga, che ci sia qualcuno che davvero sia convinto che la destra e il centrodestra, grazie all’astensionismo, abbia perso. Per l’Italia, basti dire che alle precedenti Europee (2019, i confronti vanno sempre fatti con elezioni omogenee) la destra Sorella d’Italia aveva preso 1.726.189 voti, mentre ora 6.724.014, passando infatti dal 6,44% al 28,8%, confermandosi primo Partito d’Italia. L’astensionismo, dunque, ha danneggiato ben altri. Su scala europea, il Partito Popolare, cioè i democristiani, di centrodestra, a cui appartiene anche Ursula Von Der Leyen, ora hanno 187 deputati su 720, mentre ne avevano 182 su 751 (effetto Brexit). Se questo è perdere, vuol dire che ora la matematica è un’opinione come un’altra. Anche per l’astensione, facciamo attenzione: è vero, aveva votato il 50,97%, ed ora il 49,22% (un decremento di appena l’1,73%), ma nel 2014 aveva votato il 42,61%. C’è quindi poco da gioire.
Ottantaduesimo notiziario settimanale
di lunedì 17 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona
visione.
Attualità
Sono rimasto interdetto, tra le numerose critiche alla mia
narrazione, quella per cui l’Eurasia sia un’invenzione degli ultimi tempi.
Questo continente si chiama Eurasia. L’idea di una Europa ed un’Asia separate
da quella collinetta che sono gli Urali, è un’invenzione tutta occidentale.
Sapete perché l’hanno inventata? Perché allora occorre constatare che in
Eurasia siamo cinque miliardi e mezzo. Quanti sono gli esseri umani su questo
pianeta? Otto miliardi.
Buona parte di noi hanno padri, madri, fratelli, sorelle,
figli. Potete cambiarli, se non vi piacciono? La risposta è scontata: no. Dirò
di più: potete cambiare il vostro vicino di pianerottolo, nel condominio? La
risposta è sempre identica e scontata: no. O, quantomeno: è problematico e poco
probabile. Dunque, dovete conviverci. Siamo euroasiatici, altro che.
Conferenza svizzera, il premier
olandese Rutte: “Il fatto che Putin abbia presentato ieri questa merdosa “proposta
di pace” è un segno che è nel panico, questa è una buona notizia”.
Personalmente, non sono affatto
un bacchettone, ed anzi, fin da quando ero giovane mi si rimproverava di usare
troppe espressioni colorite, al limite della volgarità. Io però non faccio il
capo del governo o dello Stato, me lo posso permettere. Voglio dire: ve li
immaginate, che so io, François Mitterrand, Helmut Kohl, Margareth Thatcher,
Giulio Andreotti, parlare di “merdosa proposta di pace”? I politici odierni
sono pienamente rappresentativi dell’imbarbarimento globalista.
Lindsey Graham: “l’Ucraina è
seduta su 12 trilioni di terre rare e minerali preziosi. Potrebbero essere il
Paese più ricco di tutta Europa. Non voglio dare quei soldi e quelle ricchezze
a Putin perché li condivida con la Cina. Se aiutiamo l’Ucraina adesso, potrà
diventare il miglior partner commerciale che abbiamo mai sognato. Aiutiamoli a
vincere una guerra che non possiamo permetterci di perdere. Troviamo una
soluzione a questa guerra. Ma essere seduti su una miniera d’oro e dare a Putin
10 o 12 trilioni di dollari o minerali essenziali da condividere con la Cina, è
ridicolo”.
Come sempre, i neocon si fanno
apprezzare per la brutale onestà con cui espongono le loro idee. Questo li
distingue dai progressisti, i quali perseguono esattamente gli stessi
obiettivi, ma hanno bisogno di ricorrere sempre a improbabili paraventi morali,
come i diritti umani o la democrazia, per giustificare le loro guerre.
Lo squilibrato senatore
statunitense Lindsey Graham ha spiegato al canale televisivo CBS perché gli
Stati Uniti sostengono l’Ucraina con armi e denaro.
Perché “non si possono cedere
alla Russia e alla Cina le più importanti risorse minerarie dell’Ucraina, che
valgono 10-12.000 miliardi di dollari”. E ha chiesto di fornire all’Ucraina le
necessarie armi a lungo raggio e di consentire attacchi in profondità in
Russia.
Il vecchio Lindsay ha anche
chiesto che gli ucraini di tutte le età vadano a servire nelle forze armate
ucraine, perché Kiev ha bisogno di più carne umana.
Improvvisamente si scopre che la
guerra in Ucraina non riguarda l’Ucraina, la cui popolazione Graham chiede di
mobilitarsi. Gli Stati Uniti hanno semplicemente bisogno di risorse e di un
trampolino di lancio per spremere ancora più risorse dalla Russia.
E l’Ucraina, vi chiederete? Chi
ne ha bisogno, certamente non gli Stati Uniti. Sono stati l’URSS e la Russia a
impegnarsi con l’Ucraina, investendovi enormi quantità di denaro e pompando
gas. La pompa statunitense funziona solo in una direzione: verso gli Stati Uniti.
Il popolo ucraino può fare
qualcosa? No, ovviamente no. Cosa può fare una pecora al macello? La stessa
cosa che possono fare i residenti dell’Ucraina: percorrere lo stretto corridoio
fino alla loro fine. Niente più Majdan e proteste: non si prende il potere per
darlo via. Se necessario, le elezioni saranno annullate. Oh! Sono già state
annullate.
Tutte le guerre degli Stati Uniti
sono combattute per le risorse e i mercati. Gli slogan sulla “protezione della
democrazia” sono per i malati di mente.
Sapete che quando Dmitrij
Medvedev va sopra le righe, non mi piace. Stavolta invece ha fatto un discorso
da vero politico. Bravo.
“L’umanità deve finalmente
liberarsi dell’eredità del sistema coloniale. Il tempo delle metropoli è
scaduto”.
Gli Stati Uniti sono diventati
una neo-metropoli di sanzioni globali, che violano la sovranità di Paesi terzi,
e le sanzioni secondarie sono tentativi di distruggere interi Paesi.
L’Occidente crea artificialmente
crisi economiche, utilizza l’agenda verde per mantenere l’elitarismo e,
attraverso il monopolio delle società IT, soffoca coloro le cui opinioni
contraddicono le sue linee guida.
Sarà possibile liberare l’Ucraina
dalle catene neocoloniali dell’Occidente solo dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi
dell’operazione militare speciale.
Il Sud del mondo non vuole
seguire l’esempio della “formula Zelenskij” e recidere i legami a lungo termine
con la Russia.
L’Occidente usa il “neocolonialismo
del debito” per mantenere l’influenza nel Sud del mondo.
All’Armenia vengono promesse “montagne
d’oro” in cambio di completa lealtà, ma a Erevan non si apriranno le porte del “club
delle élite”.
Parigi cercherà di mantenere la
sua presenza monetaria nascosta in Africa il più a lungo possibile, questo è
vitale per Macron.
La Russia spera che la
cooperazione nel formato BRICS-Unione Africana raggiunga un nuovo livello
qualitativo.
L’Occidente resisterà allo
sradicamento del neocolonialismo; è necessario aumentare l’interazione di tutte
le forze nella lotta contro questo fenomeno.
Le ex metropoli vogliono ancora
parassitare i Paesi da loro dipendenti, solo in modo più sofisticato.
L’Occidente ha reagito
ferocemente al movimento di lotta al neocolonialismo “Per la libertà delle
nazioni!”, cercando di interrompere il congresso di fondazione.
La formazione di un nuovo sistema
di relazioni internazionali è una questione del prossimo futuro; non ci sarà
posto per sanzioni, sfruttamento e menzogne.
Sempre più Paesi vogliono vivere
in pace, senza l’eredità del sistema coloniale e secondo i principi di
uguaglianza sovrana.
Il nuovo ordine mondiale
policentrico sarà pragmatico, la diversificazione delle connessioni è la chiave
per la stabilità economica.
Il 12 giugno qui era festa
nazionale, il giorno della Russia. Qualche buontempone ha piazzato dei
cartelloni di invito davanti alle ambasciate dei Paesi ostili. Vi propongo un
brevissimo filmato davanti all’ambasciata italiana.
L’Occidente continua i suoi
sforzi per intensificare il conflitto.
L’accento è posto proprio sull’attività
terroristica del regime di Kiev, sulla guerra contro la popolazione civile con
ogni mezzo.
Gli anglosassoni incitano
apertamente il regime di Kiev a commettere barbari attacchi terroristici e lo
incoraggiano direttamente a colpire in profondità la Russia. E nemmeno questo
gli basta. Ora Washington e Londra hanno iniziato a pianificare un sabotaggio
su larga scala.
L’8 giugno, il tabloid britannico
Daily Express ha scritto che in caso di successo militare o vittoria di Mosca
in Ucraina, la giunta Zelenskij “vorrebbe condurre attività terroristiche all’interno
della Russia, che includerebbero il bombardamento di scuole e altri obiettivi
civili”. Attenzione, lo scrivono i media occidentali, mica quelli russi. Tutto
ciò, osserva l’autore del materiale, “avrà conseguenze molto più distruttive di
quanto sta accadendo oggi al fronte”. E’ fiducioso che i preparativi per tali
azioni siano già in corso e che il “catalizzatore” per la loro attuazione
potrebbe essere “l’imposizione di una sorta di accordo di pace a Kiev”.
Cosa significa questo? Il fatto è
che molti già riconoscono le attività terroristiche del regime di Kiev.
L’ultima cosa che resta loro da
fare è ammettere l’ovvio: che tutte queste attività terroristiche del regime di
Kiev sono possibili esclusivamente con il denaro dell’”Occidente collettivo”.
Che razza di soldi sono questi? Questo è il denaro che i regimi dei Paesi ostili,
in solidarietà con le attività terroristiche del regime di Kiev, prendono dalla
gente comune, dalle imprese dei Paesi dell’UE e della NATO.
Il segretario generale della NATO
Stoltenberg: “Le forniture di armi a Kiev diventeranno obbligatorie per i Paesi
della NATO, saranno coordinate da strutture di comando sotto la guida del
generale Cavoli”.
I Paesi dell’UE capiscono che Washington
li sta trascinando in uno scontro diretto con la Russia sotto la bandiera della
NATO? La pompa isterica dell’opinione pubblica occidentale con la tesi sulla
presunta “imminente aggressione contro i Paesi occidentali” da parte della
Russia significa solo una cosa: l’amministrazione Biden ha bisogno di ulteriori
spargimenti di sangue nel continente europeo per evitare che il proprio governo
e l’economia americana crollino.
Marija Zacharova, portavoce del
ministero degli esteri russo, sulle elezioni del Parlamento Europeo.
Dal 6 al 9 giugno si sono tenute
in 27 Stati membri dell’UE le elezioni per il Parlamento europeo (PE), a
seguito delle quali per i prossimi cinque anni dovrebbe essere formata una
nuova composizione dell’“organo rappresentativo” dell’Unione europea da 720
seggi.
Siamo costretti a constatare che
le elezioni europee si sono svolte nelle seguenti condizioni:
• restrizioni severe,
• mancanza di concorrenza leale,
• eliminazione nel campo
informativo delle fonti di informazione alternative,
• campagna antirussa sfrenata.
Le forze politiche che si
oppongono allo sconsiderato scontro con la Russia, dannoso per la stessa Unione
Europea, sono state oggetto di discriminazioni e spesso di pressioni dirette e
vessazioni.
L’ultima campagna elettorale è
stata portata al limite dell’assurdo a causa dell’assurdità e dell’irresponsabilità
delle dichiarazioni dei politici europei. Sembra che nessun accenno alle
elezioni europee fatto dai burocrati dell’UE sia completo senza riferimenti
alla “traccia russa”, all’”interferenza russa”, alla “mano del Cremlino” e alla
necessità di una “vittoria per l’Ucraina” nel “guerra con la Russia”. Inoltre, con
la parola d’ordine di contrastare l’immaginaria “ingerenza di Mosca” nei
processi elettorali nell’UE, sono stati compiuti sforzi sistematici per
impedire il rafforzamento nel Parlamento Europeo delle posizioni dei Partiti politici
che difendono non le linee guida imposte da Washington, ma gli interessi reali
degli Stati membri dell’UE e delle loro popolazioni. Qualsiasi espressione di
disaccordo con le politiche perseguite da Bruxelles e le sue conseguenze sulla
situazione socioeconomica dell’UE è stata immediatamente equiparata a “lavorare
nell’interesse del Cremlino”.
L’osservazione delle elezioni del
Parlamento europeo, se avesse avuto luogo, sarebbe stata di natura puramente
nominale. Pertanto, il numero dei membri della missione speciale dell’OSCE/ODIHR,
che ha già regolarmente riconosciuto il rispetto di tutti gli standard delle
elezioni europee a prescindere, era di solo 19 persone.
Tuttavia, anche in queste
condizioni, molti elettori europei si sono chiaramente espressi contro le
politiche perseguite dal “mainstream” dell’UE negli ultimi anni.
In una parte significativa degli
Stati membri dell’UE il voto ha assunto un chiaro carattere di protesta, sia a
causa del sostegno ai Partiti dell’opposizione che per l’affluenza alle urne
palesemente bassa. Nei principali Stati dell’UE, compresi quelli all’origine
dell’integrazione europea, si è verificato un significativo rafforzamento delle
posizioni delle forze politiche a orientamento nazionale che si oppongono all’erosione
della sovranità e dell’identità nazionale, nonché alla sostituzione dei valori
tradizionali con valori neoliberisti. Nei Paesi Baltici, i cittadini delusi
dalle politiche dell’UE hanno sostanzialmente ignorato le elezioni. In Lettonia
ed Estonia si è recato alle urne poco più di un terzo degli aventi diritto. In
Lituania l’affluenza alle urne non ha raggiunto il 30%. La situazione non è
molto migliore negli altri Paesi che sostengono più attivamente posizioni
anti-russe (Polonia, Finlandia, Repubblica Ceca).
Tuttavia, a giudicare dalla
reazione del mainstream dell’UE, che con le buone o con le cattive hanno
comunque ottenuto la maggioranza totale dei seggi nella nuova composizione del
Parlamento Europeo, non trarranno le giuste conclusioni. In effetti, nessuno se
lo aspettava, perché il Parlamento Europeo si è trasformato da tempo in un
organismo al servizio di interessi che hanno poco a che fare con le aspirazioni
dei comuni europei. Sono abituati ad ascoltare di più gli ordini provenienti
dall’estero e i desideri delle aziende transnazionali, compreso il complesso
militare-industriale.
Negli ultimi anni la posizione
conflittuale del Parlamento Europeo nei confronti del nostro Paese è degenerata
fino a raggiungere un livello di ostilità senza precedenti. Questa istituzione
europea, che produce infiniti testi anti-russi, si è screditata ed è diventata
una struttura apertamente russofoba che accoglie tutti i tipi di emarginati che
si definiscono “opposizione russa”, e persino estremisti e terroristi. A
seguito delle elezioni al Parlamento Europeo, è stata generalmente preservata
la “base ideologica” per un ulteriore sostegno all’attuale corso politico
autodistruttivo dell’UE basato sulla russofobia.
In settimana, Putin ha incontrato
i vertici del ministero degli esteri russo. Potete trovare la mia traduzione
completa del suo intervento, come sempre, sui miei canali RuTube, YouTube,
Telegram, Blogspot e su Visione TV. Qui voglio darvene solo un sunto, i punti
salienti.
Oggi avanziamo nuovamente una
proposta di pace reale e concreta.
Se anche stavolta, come già in
precedenza, da Kiev e dalle capitali occidentali dovesse giungere un rifiuto a
tale proposta, dopotutto sarà affar loro; saranno loro a doversi fare carico
della responsabilità politica e morale del non aver posto fine a questo
spargimento di sangue. [...]
Non appena da Kiev accetteranno
che gli eventi facciano il loro corso per come proposto da noi oggi, non appena
acconsentiranno al ritiro completo delle loro truppe dai territori della
Repubblica popolare di Doneck, della Repubblica Popolare di Lugansk e dalle
regioni di Zaporož’e e di Cherson, quando daranno effettivamente inizio a tale
processo [di smobilitazione], noi saremo pronti ad avviare immediatamente i
negoziati, senza alcun indugio.
La nostra posizione, sulla quale
non transigiamo, è la seguente:
• L’Ucraina deve avere status di
Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato;
• L’Ucraina deve essere
demilitarizzata e denazificata [...].
Ovviamente, i diritti, le libertà
e gli interessi dei cittadini russofoni residenti in Ucraina dovranno essere
pienamente garantiti, e le nuove realtà territoriali dovranno essere
riconosciute; la Crimea, Sebastopoli, la Repubblica popolare di Doneck, la
Repubblica Popolare di Lugansk, così come le regioni di Zaporož’e e di Cherson
dovranno essere riconosciute come soggetti territoriali della Federazione
Russa.
In seguito, tali imprescindibili
disposizioni dovranno essere ufficializzate nella forma di accordi
internazionali fondamentali. Naturalmente, questo presupporrà altresì il ritiro
di tutte le sanzioni occidentali imposte alla Russia.
Si tratta, in prospettiva
tangibile, di formulare i termini per una sicurezza equa e inscindibile, per
una collaborazione e uno sviluppo reciprocamente vantaggiosi e paritari nel
continente eurasiatico.
Quali passi andranno affrontati
in tal senso e secondo quali princìpi?
Primo: va agevolato il dialogo
con chiunque possa potenzialmente partecipare a un siffatto futuro sistema di
sicurezza […]
Secondo: è importante partire
dall’idea che la futura architettura della sicurezza sia accessibile a tutti i
Paesi euroasiatici che desiderino prendere parte alla sua creazione [...]
Non è la Russia a costituire un
pericolo per l’Europa.
La principale minaccia per gli europei
è la loro dipendenza critica, in pratica totale e in costante aumento, dagli
Stati Uniti [...]
Se l’Europa vuole conservare se
stessa come un autonomo centro di sviluppo mondiale e come uno dei riferimenti
planetari di cultura e civiltà, deve senza dubbio essere in rapporti molto
buoni con la Russia e, fatto importante, noi siamo disponibili in tal senso […]
Terzo: per far progredire l’idea
di un sistema di sicurezza eurasiatico va significativamente incentivato il
processo dialogico tra le organizzazioni multidirezionali che lavorano in
Eurasia.
Quarto: riteniamo che sia giunto
il momento per un’ampia discussione sul nuovo sistema di garanzie bilaterali e
multilaterali per la sicurezza collettiva in Eurasia. In prospettiva, nello
spazio eurasiatico si deve giungere inoltre a un graduale regresso della
presenza militare delle potenze esterne […]
Quinto: tra le importanti
componenti del sistema di sicurezza e di sviluppo eurasiatico vanno senza
dubbio annoverate le questioni legate all’economia, al benessere sociale, all’integrazione
e a una collaborazione mutuamente proficua. […]
Do incarico al Ministero degli
Affari Esteri che proceda a cooperare il più possibile all’elaborazione di
accordi internazionali in tutte queste direzioni.
Un intervento dell’ambasciatore
russo Paramonov.
La Russia ha la propria strada.
La vigente Concezione della politica estera russa definisce la Russia come
unico Stato-civiltà, una vasta potenza eurasiatica ed euro-pacifica che ha
unito il popolo russo e le altre nazioni che compongono la comunità culturale e
civile del “Mondo russo”. […] Si basa su più di mille anni di indipendenza
dello Stato, e su profondi legami storici con la cultura tradizionale europea e
con le altre culture dell’Eurasia. Più di ogni altro Paese, si distingue per la
sua capacità di armonizzare la coesistenza di diversi popoli, gruppi etnici,
religiosi e linguistici. Per questo la missione storica della Russia è quella
di essere sempre aperta al mondo e di svolgere un ruolo di equilibrio negli
affari internazionali, di impedire l’egemonia mondiale, di fermare e convincere
l’aggressore e, in linea con la propria tradizione culturale e storica, di
schierarsi dalla parte della verità e della giustizia. E su questa base
armonizzare il mondo.
Tutti gli obiettivi, i progetti e
i piani di sviluppo dichiarati e attuati in Russia smentiscono completamente le
affermazioni sulle presunte intenzioni aggressive di Mosca nei confronti dell’Occidente
e collettivo e in particolare degli Stati membri della UE dopo la fine del
conflitto in Ucraina, sulla presunta inevitabilità o alta probabilità di uno
scontro armato tra Russia e NATO nel giro di pochi anni. Si tratta di un’assoluta
e deliberata menzogna e manipolazione volte a fomentare un’atmosfera di psicosi
prebellica, a favore dell’oligarchia globalista e dei complessi finanziari e
militari-industriali che ne servono gli interessi.
Tutti coloro che non possono
accettare l’esistenza di una Russia forte e sovrana devono comprendere
chiaramente le conseguenze che inevitabilmente ne deriveranno se i loro folli
scenari di massacro e di sconfitta strategica della Russia dovessero
realizzarsi. […] La Russia ha già ripetutamente avvertito della possibilità di
una risposta a tali azioni irresponsabili e criminali.
La Russia non si rifiuta di
dialogare con l’Italia e gli altri Paesi occidentali, purché questi non tentino
di frenare ulteriormente il suo sviluppo e non proseguano nella loro politica
di aggressione e di pressione, ma cerchino un percorso di cooperazione e di
pace. L’importante è che questo dialogo, possibile su qualsiasi tema, sia
condotto su un piano di parità e nel rispetto degli interessi reciproci.
Negli ultimi due anni, la vita
dei connazionali in Italia è stata tormentata da difficoltà impreviste – nella
collaborazione con banche, strutture amministrative e istituti scolastici. […]
Ma vediamo che, nonostante tutto questo, i nostri connazionali sono ancora più
uniti, più patriottici, ancora più consapevoli del loro coinvolgimento negli
interessi della Patria e del suo presente e futuro.
Il 10 giugno 1924, Giacomo
Matteotti veniva rapito e ucciso da una squadra fascista scesa a Roma apposta
da Milano.
Capogruppo e segretario del
Partito Socialista Unitario, viene ricordato come l’antifascista che il 30
maggio 1924 denunciò alla Camera la corruzione che aveva caratterizzato la
campagna elettorale che aveva portato all’affermazione ad aprile del “listone
fascista”: i brogli e le violenze, le aggressioni e gli omicidi.
Giacomo Matteotti per i fascisti
era pericoloso. Una pericolosità composta non soltanto dal suo coraggio nel
denunciare la violenza squadrista, ma anche dalle sue capacità d’inchiesta e di
smascherare le truffe, anche contabili, del governo fascista.
L’11 giugno 1924, il giorno
successivo alla sua uccisione, Matteotti avrebbe dovuto riportare alla Camera
delle informazioni riguardanti un accordo stipulato tra i più alti gerarchi
fascisti e la Sinclair Oil, società fittizia dietro la quale si nascondeva la
ricchissima e monopolistica Standard Oil di Rockefeller, la “piovra”, come la
definiva Matteotti.
La Standard Oil già deteneva il
monopolio energetico in Italia, e attraverso la corruzione e l’elargizione di
tangenti era riuscita ad ottenere a condizioni vantaggiosissime anche i diritti
di sfruttamento dei giacimenti di petrolio sul suolo dell’Italia (e delle sue
colonie), in particolare Emilia e Sicilia.
L’omicidio di Matteotti impedì
allo scandalo di scoppiare, e di mettere il regime con le spalle al muro,
dimostrando per la prima volta che dietro alla retorica della legalità si
nascondeva la corruzione, dietro la retorica del patriottismo si svendevano a
compagnie statunitensi i tesori del sottosuolo italiano in perfetta continuità
con gli interessi del capitale.
In effetti questo non è stato l’unico
caso di favoreggiamento della classe ricca da parte del regime fascista: nel
1914 Mussolini, da socialista, si vende per 30 denari ai produttori di armi e
con quel denaro ci fonda un giornale incentrato sulla propaganda bellicista;
come Partito politico, il movimento fascista si presenta nel 1919 come
antipartito antiparlamentare antiliberale e violento, e prende pochissimi voti,
e quindi diventa il Partito anticomunista che impone (sempre con la violenza)
la fine degli scioperi e l’interruzione delle manifestazioni (per “riportare la
legalità”), alleandosi de facto con i padroni delle fabbriche e delle imprese
agricole, conquistando così il consenso della classe borghese, e riuscendo
così, grazie al beneplacito dei padroni e degli sfruttatori, ad andare al
governo nelle elezioni del 1924; una volta al governo, riduce la spesa del
welfare, licenzia oltre 65.000 dipendenti pubblici, elimina l’imposta
progressiva di successione, applica quello che Germà Bel definisce “primo caso
di privatizzazione su larga scala in un’economia capitalista”, riduce i salari
e scioglie i sindacati non fascisti, il tutto con il plauso di Luigi Einaudi,
Winston Churchill e della stampa liberale internazionale.
Per ironia della storia, o per
propaganda, questo regime corrotto e classista viene ad oggi chiamato “destra
sociale”, laddove di sociale non ha mai avuto nulla: analizzando la storia del
fascismo, dietro alle retoriche nauseanti Dio Patria Famiglia, o alla
millantata lotta alle plutocrazia, si arriva a una verità mai abbastanza
sottolineata: il fascismo è una delle facce del capitalismo.
Il capitalismo, che quando si
sente potente mostra il suo volto liberale e aperto, e che quando viene messo
alle strette dall’emersione delle sue intrinseche contraddizioni, e si scontra
con chi vuole liberarsi dal giogo dei potenti, non esita a diventare bigotto,
repressivo, violento, noioso come solo i violenti possono essere, asfissiante:
fascista.
L’omicidio di Matteotti sarebbe
dovuto diventare l’ennesimo evidente campanello d’allarme dei tempi a seguire,
poteva essere quella cartina al tornasole necessaria per riconoscere il
fascismo in ogni sua sfaccettatura. Non serviva la marcia su Roma, il saluto
romano o le camicie nere per riconoscere il fascismo, ma oggi come ieri, il
fascismo, va riconosciuto in nuce nella lotta di classe dall’alto verso il
basso, nella privatizzazione dei nostri pochi beni che rimangono comuni, nella
colpevolizzazione dei poveri e delle povere, nella disposizione a ogni
sacrificio (da parte degli oppressi) per salvare l’economia.
Il neoliberismo non è una teoria
economica, è un dispositivo fascista; ciò che ci serve è un antifascismo che
riconosca che nel mondo esiste la classe degli oppressori e quella degli
oppressi, e che tutti siamo chiamati a scegliere da quale parte stare.
Amarcord
La settimana scorsa vi avevo
proposto un mio viaggio di 6.000 km in auto lungo tutta l’Europa di 35 anni fa.
Ebbene, eccovi una panoramica di 7.500 km lungo tutta la Russia, senza muoversi
dal Paese. Un breve filmato diffuso dall’ambasciata russa a Roma.
Ed eccone un altro, stavolta del
ministero degli esteri.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate
in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Il 22 giugno in Russia è il
giorno dello struggimento, della rabbia, della pena, del cordoglio. Alle
quattro del mattino, nel 1941, i nazifascisti hanno iniziato a bombardare l’Unione
Sovietica. E’ iniziata la Grande Guerra Patriottica.
Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.
Ottantunesimo notiziario settimanale
di lunedì 10 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona
visione.
Attualità
Come ebbe a dire Heinrich Heine,
un poeta tedesco del XIX secolo, laddove si iniziano a bruciare i libri, prima
o poi si finisce col bruciare le persone.
A oggi è assolutamente evidente
che al potere, a Kiev, c’è un regime apertamente nazista, che sta commettendo
un numero incalcolabile di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani in
tutti gli ambiti della vita pubblica.
I metodi nazisti messi in atto da
Kiev sono totalmente rivolti alla popolazione russofona dell’Ucraina.
Attualmente, in questo Paese tutto ciò che è russo risulta proibito (la lingua,
la cultura, l’istruzione, le pubblicazioni a stampa e i media).
Nell’ambito dell’istruzione, il
processo di derussificazione ha raggiunto il suo culmine:
L’insegnamento delle materie
scolastiche in lingua russa, come anche l’apprendimento di quest’ultima, sono
proibiti;
Tutte le opere letterarie
composte da autori russi e sovietici (ad eccezione di quelli ucraini) sono
state eliminate dai programmi scolastici previsti per le materie letterarie;
I libri in lingua russa vengono
ritirati dalle biblioteche;
Si proibisce addirittura ad
alunni e insegnanti di parlare in lingua russa, e non solo nel corso delle lezioni,
ma anche nei momenti di normale conversazione durante le pause di ricreazione;
Le autorità di Kiev non si
limitano ad appoggiare gli attacchi condotti ai danni degli edifici religiosi
della Chiesa ortodossa ucraina canonica, ma addirittura li autorizzano per
legge.
E nonostante tutto ciò, tali
inaudite violazioni dei diritti umani commesse da Kiev vengono del tutto
taciute dalla maggior parte delle organizzazioni non governative occidentali e
degli organismi internazionali per la tutela dei diritti umani.
Il 6 giugno, giorno in cui nacque
il grande poeta russo Aleksandr Sergeevič Puškin, in tutto il mondo si è celebrata
la Giornata internazionale della lingua russa.
Quest’anno, in particolare, si è celebrata
l’importante ricorrenza legata al 225esimo anniversario dalla nascita del
"Sole della poesia russa". Ed è proprio con questo appellativo, ormai
saldamente radicato nel mondo letterario internazionale, che viene riconosciuta
l’importanza storica della figura di Aleksandr Puškin.
Con tutto il suo genio, la sua
creatività e la sua anima, Aleksandr Puškin si sentiva vicino al popolo
italiano, alla sua cultura e alle sue tradizioni; e con il popolo italiano
condivideva moralità, amore per la vita e aspirazione alla bellezza. Tuttavia,
il destino volle che Aleksandr Puškin non mettesse mai piede sul suolo italiano
nel corso di tutta la sua vita.
Il bellissimo monumento dedicato
ad Aleksandr Puškin, opera dello scultore Jurij Orechov e inaugurato a Roma nel
2000, in occasione del 201esimo anniversario dalla nascita del poeta, rimane un
simbolo perenne del valore universale che la cultura e la letteratura russa
hanno per il mondo intero.
Ma se Aleksandr Puškin si
trovasse in Italia oggi, sarebbe forse felice ed ispirato come lo sarebbe stato
venendovi nel XIX secolo?
Si è svolto in settimana il XXVII
Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, ve ne avevo parlato la
settimana scorsa. Mi preme soffermarmi su due momenti. Il primo è l’incontro
con i vertici delle agenzie di stampa internazionali del 5 giugno. C’era anche
il vicedirettore dell’ANSA, Stefano Polli, che ha posto una domanda sull’Italia,
a cui Putin ha risposto in modo inusuale.
L’Italia sostiene l’Ucraina politicamente e militarmente, ma afferma
anche che l’Italia non è in guerra con la Russia. Vorrei che lei commentasse la
posizione della leadership italiana.
Vladimir Putin: Vediamo che la
posizione del governo italiano è più contenuta rispetto alla politica di molti
altri Paesi europei e noi, prestando attenzione a questo, la valutiamo di
conseguenza. Vediamo che la russofobia cavernicola non è esageratamente
presente in Italia, e anche questo lo teniamo in conto. Ci auguriamo vivamente
che alla fine, forse dopo che la situazione si sarà in qualche modo modificata
sul tema ucraino, saremo in grado di ripristinare le relazioni con l’Italia, e
forse anche più velocemente che con qualsiasi altro Paese europeo.
Il secondo momento è stato
l’intervento di Putin alla sessione plenaria del 7 giugno. Il 95% della
relazione era dedicato alle questioni di economia interna ed estera.
I conflitti geopolitici in corso
nel mondo, dall’Ucraina alla Palestina, hanno radici molto profonde e vanno
molto oltre le tensioni bilaterali regionali. Nel suo lungo discorso alla
sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo
(SPIEF), il presidente della Russia, Vladimir Putin, ha dichiarato che il mondo
occidentale “vuole mantenere un ruolo egemone, che gli sta sfuggendo”.
Per il leader russo l’economia
globale sta entrando in un’era di cambiamenti radicali e il sistema economico
della Russia è pronto ad affrontare queste sfide. “L’economia globale è entrata
in un’era di cambiamenti seri e fondamentali. Un mondo multipolare con nuovi
centri di crescita, investimenti e legami finanziari tra gli Stati e le imprese
sta prendendo forma. L’economia russa risponde a queste sfide, cambia e si
adatta a questi cambiamenti”, ha sottolineato Putin, secondo cui “il Governo
della Russia continuerà a sostenere i cambiamenti positivi nella società e
nell’economia”.
Nonostante la guerra ibrida,
lanciata dall’Occidente contro la Russia, Mosca è interessata a collaborare con
i Paesi che hanno un interesse reciproco a lavorare insieme. “Siamo aperti – ha
dichiarato Putin – alla più ampia cooperazione con tutti i partner interessati,
dalle società straniere ai gruppi internazionali, alle associazioni e ai
Paesi”.
Secondo il leader russo malgrado
il pressing degli Stati Uniti e dei loro alleati, la Russia è diventata la
quarta maggiore economia del mondo in termini di parità di potere d’acquisto,
superando addirittura il Giappone e la Germania, ha detto Putin, facendo
riferimento a un recente rapporto della Banca mondiale: “Capiamo benissimo – ha
detto il presidente – che le posizioni di leadership devono essere costantemente
confermate e rafforzate. Anche gli altri Paesi non riposano sugli allori”.
Attualmente il tasso di sviluppo
economico della Russia supera la media globale: nel primo trimestre del 2024 il
prodotto interno lordo è aumentato del 5,4 per cento. “Alla fine dello scorso
anno, come sapete, la crescita del PIL della Russia ammontava al 3,6 per cento.
E a partire dal primo trimestre di quest’anno, è pari al 5,4 per cento. Vale a
dire, i nostri ritmi di crescita superano la media globale. Soprattutto quando
tali dinamiche sono determinate principalmente da industrie non di materie
prime”, ha sottolineato il leader russo, aggiungendo che la Russia deve
impegnarsi molto per garantire i tassi di crescita “elevati e stabili”, nonché
la “qualità di questa crescita economica a lungo termine di tempo”.
Lo sviluppo delle produzioni
interne russe prevede la continua riduzione della dipendenza del Paese dalle
importazioni, la cui quota, secondo Putin, nell’economia russa dovrebbe
scendere al 17% del PIL entro il 2030. Putin ha sottolineato la necessità
urgente di garantire “la sovranità finanziaria, tecnologica e del personale”
della Russia, aumentando anche la capacità produttiva e la competitività dei
prodotti russi sia sui mercati internazionali, che su quello interno.
Gli scambi commerciali tra la
Russia, la Cina e i Paesi asiatici nei quattro anni passati sono aumentati del
60 per cento
Nonostante tutti gli ostacoli
politici, economici e finanziari, la cui quintessenza sono molte centinaia di
“sanzioni illegittime”, la Russia rimane uno dei principali attori del
commercio mondiale, sviluppando attivamente la logistica e ampliando di anno in
anno la geografia della cooperazione. Il presidente russo ha notato che la
Russia è riuscita a riorientare il proprio commercio con l’estero verso i
cosiddetti “Paesi amici” con i quali attualmente avvengono “tre quarti di tutti
gli scambi commerciali della Russia”. In particolare, nel periodo compreso tra
il 2020 e il 2023, gli scambi commerciali di Mosca e Paesi asiatici con a capo
la Cina, hanno dimostrato una crescita del 60 per cento. Inoltre, nel periodo
indicato il commercio tra la Russia e i Paesi del Medio Oriente è raddoppiato.
Sono in costante aumento (+69%) gli scambi con l’Africa e con i Paesi
dell’America Latina (+42%).
La Russia dedica molta attenzione
alle relazioni con le economie “in rapida crescita”, perché “a loro spetterà
determinare il futuro dell’economia globale”. Putin ha aggiunto che la fiducia
nei sistemi di pagamento occidentali è stata “completamente minata” dagli
stessi Paesi occidentali. “A questo proposito – ha detto il presidente russo –
voglio notare che l’anno scorso la quota di pagamenti per le esportazioni russe
nelle cosiddette ‘valute tossiche’ di Stati ostili è stata dimezzata”. I Paesi
del gruppo BRICS stanno sviluppando attivamente il loro sistema di pagamenti
internazionali, che sia indipendente da quello “occidentale”. “I BRICS stanno
lavorando alla formazione di un sistema di pagamento indipendente che non sia
soggetto a pressioni politiche, abusi e interventi esterni”, ha detto Putin,
secondo cui i “Paesi del mondo sono in corsa per rafforzare la loro sovranità”.
Questo processo globale si svolge a tre livelli essenziali: quello statale,
culturale ed economico. “Allo stesso tempo, i Paesi che hanno recentemente
agito come leader e hanno trainato lo sviluppo globale stanno cercando con
tutte le loro forze, sia buone che cattive, di mantenere un ruolo egemonico”,
ha detto Putin, secondo cui “attualmente il mondo sta assistendo a una crescita
tecnologica esplosiva, che sta cambiando tutti gli ambiti della vita umana”.
C’erano però anche alcuni accenni
di politica internazionale, ed è sintomatico notare come vi siano stati
presentati dai media mainstream italiani. I punti sia del 5 che del 7 giugno.
Putin e la minaccia nucleare: “Potremmo fornire missili che colpiscano
Paesi NATO”.
Cosa ha detto in realtà? Noi
stiamo considerando che, se qualcuno ritiene possibile fornire armi del genere
in una zona di combattimento al fine di colpire il nostro territorio e di
crearci problemi, allora perché mai noi non avremmo il diritto di fornire le
nostre armi di tipo analogo nelle regioni del mondo da dove verranno attaccati
obiettivi sensibili dei Paesi che stanno facendo la stessa cosa nei confronti
della Russia? Ovvero la risposta potrebbe essere simmetrica. Ci penseremo.
Putin minaccia la NATO: “Non costringetemi a usare il nucleare”.
Cosa ha detto in realtà? Vediamo
di riuscire non solo a evitare l’uso delle armi nucleari, ma anche a evitare le
minacce di usarle. Per chissà quale ragione, in Occidente ritengono che la
Russia non le userà mai; tuttavia, noi abbiamo la nostra dottrina nucleare.
Andate a vedere cosa c’è scritto: se le azioni di qualcuno minacciano la nostra
sovranità ed integrità territoriale, consideriamo legittimo utilizzare tutti i
mezzi a nostra disposizione. Questa cosa non va presa alla leggera, con
superficialità, va presa con serietà professionale. E spero sarà proprio questo
il modo in cui tutti, nel mondo, affronteranno la soluzione dei problemi di
questo tipo”.
La rabbia di Putin l’escluso: “Gli USA vogliono l’egemonia”.
Cosa ha detto in realtà? Dell’Ucraina,
in realtà, non interessa niente a nessuno. S’interessano solo alla potenza
degli Stati Uniti stessi, che non si battono né per l’Ucraina, né per il popolo
ucraino, ma per la propria potenza e per la supremazia nel mondo. E non
vogliono in nessun caso ammettere il successo della Russia perché ritengono
che, in tal caso, a esserne danneggiata sarebbe la leadership USA.
Le parole sull’Ucraina ignorate dai media italiani.
Cosa ha detto in realtà? Tutti
ritengono che sia stata la Russia a iniziare la guerra in Ucraina, ma nessuno,
sottolineo nessuno in Occidente, in Europa, vuole ricordare com’è iniziata
questa tragedia. E’ iniziata con un colpo di Stato in Ucraina, con un colpo di
Stato incostituzionale: quello è stato l’inizio della guerra. E’ forse colpa
della Russia se è avvenuto un colpo di Stato? No. E coloro che oggi tentano di
accusare la Russia si sono forse scordati che i ministri degli esteri di
Polonia, Germania e Francia sono andati a Kiev ad apporre la propria firma su
un accordo per la risoluzione della crisi politica interna, assumendo il ruolo
di garanti, così che la crisi dovesse concludersi in modo pacifico e in
conformità alla costituzione? In Europa, Germania compresa, preferiscono non
ricordarselo.
Nel quotidiano “la Repubblica”
del 6 giugno, c’è un articolo dedicato ai concerti in programma per venerdì e
sabato presso la Sala “Santa Cecilia” dell’Auditorium “Parco della Musica” a
Roma, la cui orchestra, diretta dal maestro russo Turgan Sochiev, ha eseguito
la Sinfonia N°7, “Leningrado”, celebre in tutto il mondo e frutto del genio del
grande compositore sovietico Dmitrij Šostakovič.
In Italia si dovrebbe sapere che questa
sinfonia rappresenta un richiamo diretto a uno degli episodi più funesti della
Seconda Guerra Mondiale: l’assedio di Leningrado, messo in atto dal regime di
Hitler e durato ben 872 giorni, che portò alla morte di quasi un milione di
cittadini assolutamente innocenti, e che da solo assunse i tratti del più grave
crimine di genocidio mai attuato nei confronti della popolazione dell’ex Unione
Sovietica, e quindi di russi, bielorussi, ucraini, ebrei, e molti altri; un
abominio paragonabile soltanto allo sterminio pianificato della popolazione
ebraica d’Europa da parte dei nazisti. Nell’agosto del 1942, la Sinfonia venne
eseguita nella Leningrado sotto assedio. Fu tale evento ad accentuarne
l’importanza simbolica e a fare in modo che la Sinfonia andasse definitivamente
ad occupare un posto speciale nella musica e nella cultura a livello mondiale.
A suscitare quindi particolare
sconcerto e profonda indignazione sono state la grave mancanza di rispetto e
l’empietà mostrate dalla Dirigenza dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e
dal giornalista del quotidiano “la Repubblica” Andrea Penna nel permettere che
l’esecuzione in concerto della Sinfonia N°7 “Leningrado”, di Dmitrij Šostakovič,
ovvero l’esecuzione di quello che è un monumento musicale perenne innalzato
alla memoria degli eroi di Leningrado, sacro non solo per ogni russo, non solo
per ogni abitante di San Pietroburgo, ma anche per un qualunque altro individuo
dotato di buon senso, venisse presentata come un inno alla resistenza e alla
lotta che il regime di Kiev sta portando avanti contro la Russia; un regime,
quello di Kiev, che non solo si è autoproclamato apertamente “erede” dell’ideologia
dei collaborazionisti nazisti Bandera e Šuchevič, ma che si è anche macchiato di
orribili crimini nel corso della guerra che esso stesso ha scatenato nel 2014
contro la popolazione del Donbass.
L’autore del pezzo pubblicato su
“la Repubblica” Andrea Penna e la Direzione di una così importante istituzione
per la musica classica quale l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma
sono consapevoli del fatto che con questo loro articolo dedicato all’evento, di
fatto, hanno commesso una palese violazione delle più comuni norme etiche e
professionali e che, di fatto, si sono espressi in difesa di principi
ideologici la cui natura misantropica e la cui illegalità sono state
riconosciute dal diritto internazionale a seguito del Processo di Norimberga,
svoltosi tra il 1945 e il 1946?
Sarebbero quindi doverose delle
scuse sia da parte della Direzione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
che della testata giornalistica “la Repubblica” per aver consentito che venisse
oltraggiata non soltanto la memoria degli abitanti di Leningrado, uccisi dai
bombardamenti e morti di fame e stenti durante l’assedio nazista della città,
ma anche quella di tutte le persone che rimasero vittime degli orrori del
nazifascismo. Delle scuse che, ovviamente, non giungeranno mai.
La NATO prepara l’Europa alla
guerra con la Russia.
Il primo ministro ungherese
Viktor Orbán ritiene che l’Unione europea si stia preparando a una guerra con
la Russia sul territorio dell’Ucraina. La NATO sta esplorando le modalità per
entrare in azione militare.
E nei media occidentali in questo
momento si sta scatenando l’isteria, simile a quanto accaduto prima della Prima
e della Seconda Guerra Mondiale.
Orbán lo grida quasi ogni giorno
e non certo perché è in campagna elettorale, come i nostri politici. Speriamo
che lo ascoltino e non faccia la fine di Cassandra.
L’Assemblea parlamentare della
NATO chiede in un comunicato che le armi occidentali possano essere usate anche
sul territorio russo. Secondo l’Ungheria ciò è pericoloso e potrebbe portare
allo scoppio di una guerra mondiale!
Gli Stati membri dell’UE inviano
munizioni, carri armati, aerei e sistemi missilistici all’Ucraina. Diversi
leader europei vogliono inviare soldati europei in Ucraina. Diversi Stati
membri stanno pianificando di reintrodurre o espandere la leva obbligatoria!
Chiedono all’Ungheria di fare lo
stesso. Minacciano il nostro Paese affinché anche noi ungheresi mandiamo armi e
soldati in Ucraina!
Tuttavia, la posizione del
governo è immutata e chiara: non vogliamo inviare armi e non vogliamo che i
giovani ungheresi prendano parte a questa guerra. Ci sono solo perdenti in
questa guerra, nessuno può vincere questa guerra.
L’Ungheria vuole restare fuori da
questa guerra! Invece di continuare la guerra, il governo ungherese chiede un
cessate il fuoco immediato e l’avvio di negoziati di pace in tutti i forum
internazionali!
Un’interessante intervista di
Pëtr Tolstoj, pronipote dello scrittore e attualmente vice presidente della
Duma, la camera bassa del parlamento russo. Parla un ineffabile francese, ve lo
traduco, ma prima mi tolgo alcuni sassolini dalla scarpa. Qualcuno mi scriveva
che non conoscevo Giulietto Chiesa. E’ falso, ma non ha nessuna importanza,
importa invece che qualcuno per mancanza di argomenti la butta sul personale e
in caciara.
E poi ho conosciuto anche Pëtr
Tolstoj, quando faceva il conduttore di uno dei programmi politici più seguiti,
Времяпокажет.
Ma non è di questo che volevo
parlarvi. Ecco finalmente quest’ultima intervista. La Russia è il Paese più
grande del mondo e dell’Europa. Un piccolo pezzetto d’Europa che si chiama
Unione Europea rispetto alla Russia è una cacatina di mosca sulla cartina
geografica. Dunque, ci spiace che oggi con i nostri vicini abbiamo simili
relazioni. La Russia però resta un grande Paese. Vedete, quando i francesi
chiedono dove si trovi la Jacuzia, io rispondo: sentite, come minimo non è
corretto, perché sul territorio della Jacuzia possiamo piazzare tre volte la
Francia. Gli jacuti, invece, non chiedono dove sia la Francia, sanno benissimo
che la Francia è là dove deve essere. Insomma, bisogna studiare di più la
geografia, questo aiuta molto a ragionare, per poi assumere decisioni
nell’economia o in politica.
Per fortuna, è ricomparso Robert
Fico. Per quel che vale, mi sento umanamente di fargli i miei migliori auguri
di guarigione e che torni nello scenario politico.
Ho votato in ospedale, perché
queste elezioni sono anche importanti. E’ necessario eleggere i membri del
Parlamento europeo che sostengono le iniziative di pace e non la continuazione
della guerra.
Il consenso dei Paesi occidentali,
che hanno dato all’Ucraina la possibilità di usare armi occidentali per
attaccare obiettivi sul territorio russo, è solo la prova che un gran numero di
democrazie occidentali non vogliono la pace, ma aumentare le tensioni con la
Federazione Russa, che certamente si verificheranno.
In qualità di primo ministro
della Repubblica Slovacca, non trascinerò la Slovacchia in avventure militari
di questo tipo, e nell’ambito delle nostre piccole possibilità slovacche, farò
di tutto perché la pace abbia la precedenza sulla guerra.
Sembra di sentire Orbán, vero?
D’altronde, vengono accusati entrambi di essere quasi parafascisti in quanto
sovranisti e populisti. Ops, c’è un problema: Fico è socialdemocratico, come Scholz
e Borrell. Beh, ma basta non dirlo, giusto?
In un ennesimo tentativo di fare
pressione sulla Russia, Vladimir Zelenskij ha convocato un “Vertice di pace” a
Bürgenstock, in Svizzera, il 15 e 16 giugno. Sono state invitate 160
delegazioni. La Russia, come è noto, non è stata invitata.
Zelenskij ha persino registrato
un videomessaggio a Joe Biden e Xi Jinping, pregandoli di partecipare
all’incontro in Svizzera.
Tuttavia, la comunità
internazionale non vuole più negoziare senza la Russia.
I leader dei Paesi BRICS sono
stati i primi ad esprimere il loro rifiuto a partecipare alla conferenza.
La Cina ha già risposto ai
rimproveri di Zelenskij per il rifiuto di partecipare al vertice. Pechino “non
ha mai soffiato sul fuoco e alimentato le fiamme della guerra russo-ucraina”,
ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri Cinese Mao Ning.
Il Presidente Sudafricano Cyril
Ramaphosa e il leader brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva hanno rifiutato di
partecipare al vertice. A loro hanno fatto seguito l’Arabia Saudita e il
Pakistan.
Il quotidiano indiano Hindustan
Times ha riferito che anche il Primo Ministro e il Ministro degli Esteri
Indiano ignoreranno l’incontro con Zelenskij.
Il Ministero degli Esteri
Australiano ha confermato che il Paese sarà rappresentato al vertice
sull’Ucraina in Svizzera non dal Primo Ministro, ma dal Ministro delle
Assicurazioni per la Disabilità.
Per la Casa Bianca è molto più
favorevole scaricare la responsabilità dell’esito del “Vertice di pace” sui
leader europei. A quanto pare, nei prossimi giorni molti di loro annunceranno
anche il loro rifiuto di partecipare a questo “spettacolo”, i cui costi hanno
già superato gli 11 milioni di dollari.
Ecco come è stata presentata la
celebrazione dello sbarco di Normandia degli alleati. Se a qualcuno fosse
sfuggito, la Lombardia non ha sbocchi sul mare, nessuno ci può sbarcare.
Infortuni giornalistici, capita, quando tutte le redazioni leggono la stessa
velina senza studiare.
Inevitabile parlare delle
elezioni europarlamentari, a caldo, con i risultati ancora parziali. Il
continente europeo (poco più di dieci milioni di kmq) comprende l’Unione
Europea (quattro milioni e rotti di kmq, il 42%) e la Russia europea (circa
quattro milioni di kmq, il 40%). Bisognerebbe spiegarlo ai vari Borrell, Von
Der Leyen, eccetera: non hanno diritto di parlare a nome dell’Europa. Forse che
Gran Bretagna, Bielorussia, Svizzera, Norvegia non si trovano in Europa per il
solo fatto di non far parte dell’UE?
Ci sono anche molte altre
incongruenze. Per esempio, perché in Olanda si è già votato e si è votato solo giovedì
6 giugno, in Irlanda solo venerdì 7 giugno, nella Repubblica Ceca il 7 e l’8
giugno, in Lettonia, Slovacchia e Malta solo sabato 8 giugno, in Italia l’8 e
il 9 giugno, e in tutti gli altri Stati-membri solo domenica 9 giugno? Non
discuto, ma una regola dovrebbe essere una per tutti, no?
Perché in Belgio, Bulgaria,
Grecia e Lussemburgo il voto è obbligatorio e in tutti gli altri facoltativo?
Dovrebbe essere uguale per tutti, giusto?
Perché l’età minima per votare è
di 16 anni in Austria, Belgio, Germania e Malta, di 17 in Grecia e di 18 in
tutti gli altri? Da loro i giovani sedicenni sono più maturi?
Perché il voto postale e/o per
corrispondenza alle europee esiste in Austria, Belgio, Danimarca, Estonia,
Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Olanda,
Slovenia, Spagna, Svezia ed Ungheria, cioè in 16 Stati su 27, e non esiste
invece in tutti gli altri, Italia compresa? Sì, lo so che a noi italiani
all’estero molti vorrebbero toglierci il voto anche alle politiche nazionali,
ed io ovviamente la ritengo una posizione fascistoide, ma non è questo il
punto: se quella Europea fosse davvero un’Unione, allora le regole dovrebbero
essere valide per tutti, non a discrezione.
E poi lo sbarramento, che a
seconda dello Stato varia dallo 0 al 5,9% (in Italia il 4%). Per me manco ci
dovrebbe essere, ma almeno stabilitene uno solo per tutti, no?
In secondo luogo, esiste una
banale legge della statistica, che se viene condotta da dilettanti allo
sbaraglio, io mangio un pollo e tu digiuni, per la statistica abbiamo mangiato
mezzo pollo a testa. Sono abbastanza anziano da ricordare il 93% alle politiche
italiane nel ’76, altro che percentuali bulgare. E alle europee del ’79 il 62%.
Le percentuali si sono ridotte da quando, vent’anni fa esatti, nel 2004, sono
entrati nell’UE tutti i Paesi dell’Europa orientale. Io negli anni ’80 e ’90,
con i miei conoscenti dell’Europa occidentale, andavo orgoglioso della maggiore
consapevolezza degli italiani. Ecco, ora siamo come tutti gli altri, veri
europei.
In questi mesi, ho sentito i sondaggi più disparati. Per qualcuno l’affluenza doveva essere inferiore alla metà, per altri addirittura quasi di tre quarti degli aventi diritto. Fatto sta, nel 2019 era del 51%, stavolta è del 49%. Il punto non è questo. Intanto, tra quanti si astenevano, prevaleva il disinteresse, o un senso di desolazione. Stavolta, tra gli astenuti prevaleva il non voto cosciente di protesta, e tra chi ha votato, a maggior ragione, prevale comunque la consapevolezza.
La realtà dei fatti, al di là del prevedibile balletto, tutto italiano, del “ho vinto io”, “no, ho vinto io”, a caldo, ci dice che hanno vinto i guerrafondai filonazisti, e hanno perso i pacifisti antifascisti. Non così all’estero: per lo più (Francia, Germania, Austria), ha vinto la destra più becera, che però è contro l’invio di armi e per le trattative di pace. Attenzione: lo era anche la Meloni, fintanto che è stata all’opposizione.
A margine, noto che, come sempre, uniti si vince e divisi si perde. Se DSP e Santoro si fossero presentati insieme, magari anche per litigare il giorno dopo, avrebbero superato lo sbarramento, forse, molto forse. Ecco perché mi torna alla mente il gattopardo: cambiare tutto per non cambiare niente.
In Germania, per i socialdemocratici di Scholz è stata una vera e propria débacle, hanno praticamente dimezzato i voti, il peggior risultato in un secolo. La destra rappresenta soprattutto la delusione degli Ossi, dopo 25 anni di “riunificazione”, in realtà “annessione della Repubblica Democratica Tedesca alla RFT. Sahra Wagenknecht ha il 5,7%, con la Linke sarebbero arrivati all’8,3%. Così, invece, la Linke non supera lo sbarramento.
In Francia, la sinistra di Melenchon non è andata malissimo, 10,1%, ma nessuno ne parla. Con i comunisti, sarebbero arrivati al 12%, e quindi anche i comunisti sarebbero entrati in Parlamento. Ma anche in Francia, tutti disuniti appassionatamente.
In Ungheria, il centrodestra di Orbán, peraltro già al potere, ha confermato il suo risultato. Perché? Perché è contro la guerra e per le trattative di pace. In Slovacchia, i due Partiti socialdemocratici, già al potere, hanno confermato il loro risultato, ma insieme avrebbero avuto la maggioranza assoluta. Comunque, guardacaso, sono per la pace e contro la guerra.
Amarcord
Come promesso, su richiesta di
vari iscritti al mio canale Telegram, avevo previsto di concludere con un mio
amarcord di 35 anni fa.
Si sente spesso parlare di file
nei Paesi socialisti. In Unione Sovietica, nella mia infanzia, non c’erano,
comparvero solo negli anni ‘80, quando gradualmente lo stato sociale cominciò a
degradare e sempre più prodotti iniziarono ad essere deficitari, anche se non
si trattava per forza di quelli di prima necessità, a meno che non si voglia
considerare tali un paio di jeans o un’audiocassetta. Il degrado portò poi alla
caduta dell’Unione Sovietica, ma questo sarebbe un discorso molto lungo.
Nel 1969, a Mosca, mia madre mi
chiese di scendere e comprare qualche braciola di maiale. Quello che mi faceva
impressione è vedere ogni ben di dio in quantità industriali, per esempio degli
enormi cubi di burro, da cui la commessa tagliava la quantità richiesta dall’acquirente
con una lenza. Mi avvicinai alla macelleria e, dall’alto dei miei sette anni di
età, chiesi con severità: la carne di maiale è fresca? Mi guardarono manco
fossi sceso da Marte, e la commessa balbettò: sì… Va beh, me ne dia tre etti.
Diceva mia madre che da allora le davano sempre la carne migliore, in quanto
madre di quel bimbo strano.
Come detto, le file iniziarono
negli anni ‘80, ma ero già maggiorenne. Nelle estati degli anni ‘70, in
macchina con mio padre, partivamo da Roma e visitavamo tutti i cosiddetti Paesi
del socialismo reale, anche perché in ciascuno mio padre aveva da salutare
qualche suo compagno di università di Mosca, con cui aveva studiato negli anni ‘50.
Mai visto una sola fila, non sapevo manco cosa fosse. Aggiungo che, più ci si
avvicinava al confine col sedicente mondo capitalista, più il tenore di vita
era di gran lunga superiore persino a Mosca, per non parlare dell’entroterra
russo. Mi riferisco a Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, e
soprattutto a Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca. L’Unione Sovietica
aveva bisogno di mostrare, internamente ed esternamente, che col socialismo si
vive meglio che col capitalismo, e per qualche decennio fu davvero così.
Però torniamo al concetto del
fare la fila. In URSS se vedevi tre persone mettersi ordinatamente in fila, era
probabile che stessero per vendere qualcosa che si faticava a trovare, al punto
che prima ci si metteva in fila, e solo poi ci si informava cosa diavolo
stessero per vendere. Osservare trenta persone in fila, ordinati, agli
occidentali faceva impressione, e da qui il mito delle file di un Paese allo
stremo. Le stesse trenta persone, a Roma o a Milano, al check-in aeroportuale,
al botteghino del teatro, alle poste o in banca, assumevano il contorno di un
dromedario che cercava di penetrare nella cruna di un ago. Gli italiani la fila
proprio non la sanno fare, e se ne vantano. La situazione migliorò, ma non più
di tanto, quando inventarono i numeretti e le cinghie di delimitazione.
Nel 1989, feci probabilmente le
mie ferie più belle, in perfetta solitudine. Partii in auto da Montecatini,
dove lavoravo all’epoca. Non volevo essere legato ai traghetti, quindi Trieste,
in Jugoslavia la guerra non sapevano manco cosa fosse, Lubiana, Zagabria,
Belgrado, Sarajevo, Skopje, Salonicco, Atene e finalmente il mare. Ero
distrutto, avevo una Panda 30 a quattro marce con raffreddamento ad aria, che,
lanciata a piena velocità, raggiungeva la ragguardevole velocità di 105 km
orari, ma una settimana con la mia tenda piantata sulle coste marittime di un
villaggio di pescatori di cui non ricordo più manco il nome, sotto Volos, dove
non passava nessuna macchina, semplicemente perché lì la strada finiva, non c’era
nessun posto dove andare, praticamente la fine del mondo in tutti i sensi, ne
era valsa la pena.
Dopo una settimana, feci tutta
una tirata fino a Norimberga, ma con una sosta forzata a Slavonski Brod, un
posto che pochi anni dopo fu raso al suolo. Fui fermato dalla polstrada per
eccesso di velocità. Chiesi quant’era, mi dissero 10.000 dinari (il cambio con
la lira italiana era di uno a uno), più altri 5.000 perché non avevo la “I” di “Italia”
appiccicata sul retro. Notai che non ero targato “MI”, “TO”, “NA”, “FI”, Roma
la conoscono in tutto il mondo, ma va bene. Però quale limite di velocità? Mi
dissero che era di 120. Il mio errore fu quello di spiegare loro che capivo un
po’ di serbocroato, visto il mio russo, e gli proposi di mettersi alla guida:
se fossero riusciti a superare i 120, avrei pagato doppio, in caso contrario
dovevano lasciarmi andare gratis. Per tutta risposta, mi sferrarono un paio di
pugni in pieno volto, testimoni non ce n’erano, loro erano pure armati, si
presero i 15.000 dinari e senza ricevuta. Quando un mese dopo tornai in Italia,
feci denuncia all’ambasciata jugoslava a Roma, che dopo qualche mese mi inviò
una lettera di scuse in cui mi assicuravano che avevano preso provvedimenti nei
confronti dei due poliziotti. Chissà.
Norimberga, dicevamo. Lì mi
aspettavano una mia amica e collega padovana e suo marito, tedesco della RDT.
Dopo qualche giorno, ripartii alla volta di Berlino. Loro erano stupiti: guarda
che è lontano e un po’ fuori dal tuo percorso. Io però c’ero stato da bambino
con mio padre, quasi non me la ricordavo, e me lo sentivo che ‘sta storia del
muro non poteva durare ancora a lungo. Tre mesi dopo risultò che avevo ragione.
Arrivato a Berlino Ovest, trovai un alberghetto di settima categoria. Mi faceva
impressione la sporcizia per strada e vedere sfrecciare una marea di gipponi
con le luci al neon con targhe militari statunitensi, con i loro soldati
afroamericani in mimetica in cerca di qualche ragazza sprovveduta o
professionista del sesso a pagamento.
La mattina dopo, parcheggiai e
presi la metropolitana per recarmi a Berlino Est. Avevo acquistato una
piantina, dove sembrava molto piccola: riportava solo le fermate occidentali.
Mi colpì perché ogni tanto passavamo delle fermate senza fermarci, erano quelle
della RDT, e viceversa. Ovviamente, a Berlino Est comprai un’altra piantina,
stessa storia, come se “l’altra” non esistesse. Le più paradossali erano quelle
che non appartenevano a nessuna delle due Germanie, uno strato uniforme di
polvere spessa due dita sulle banchine e cartelloni pubblicitari scrostati di
quando la Germania era una sola, forse addirittura del periodo nazista.
Giunto al confine di Stato,
sempre in metropolitana, mi venne rilasciato immediatamente il visto
giornaliero, era la pratica comune. Avevo il passaporto italiano, però nella
foto avevo il barbone e i capelli lunghi, ed era pieno di visti di Paesi
sospetti ed inquietanti, quelli appunto dei Paesi socialisti. In più, il mio
luogo di nascita: Praga, Cecoslovacchia. Vedrai quanto mi romperanno le
scatole, mi dissi. Invece, i poliziotti occidentali non batterono ciglio.
Percorsi a piedi una decina di metri e mi presentai ai poliziotti orientali.
Loro però mi romperanno le scatole, pensai. Invece, pure loro, come se niente
fosse. Ero quasi deluso.
Dopo quanto visto a Berlino
Ovest, quello Est mi sembrò un gioiellino: niente cartacce per strada, niente
militari, né sovietici né, ovviamente, americani, una città che viveva in un’altra
epoca. Mi sedetti ad un tavolino di marmo con sedie in vimini, tipo caffè
austriaco, ed ordinai una birra, all’aria aperta. Dagli altoparlanti suonava
musica classica. Poi decisi di entrare in un supermercato, giusto per
curiosità. C’era ogni ben di dio, in abbondanza, e notai che molti prodotti
erano gli stessi che nell’infanzia vedevo a Mosca. L’interscambio tra Paesi
socialisti funzionava eccome.
Gironzolai ancora un po’, si
stava facendo tardi, decisi di ritornare a Berlino Ovest. Adesso però i
poliziotti dell’Est dovranno pur rompermi le scatole, no? Niente da fare, tutto
come la mattina. Va beh, ormai è fatta, i poliziotti occidentali li passo
tranquillo. Sorpresa! Mi hanno tenuto tre ore, sequestrandomi il passaporto. Io
da giovane ero piuttosto avventato, dissi al poliziotto che ero un cittadino
della Comunità Europea (l’Unione Europea ancora non esisteva) e che lui era un
nazista, cosa che ai tedeschi pare non piaccia molto. Dopo tre ore, venne il
suo capo col mio passaporto in mano. Lo sguardo diceva molto: se solo avesse
trovato qualcosa a cui appigliarsi, non me l’avrebbe fatta passare liscia. Non
ho trovato nulla, ma levati di torno, mi disse in un inglese addirittura più
stentato del mio. Uscito dal metrò, una boccata di aria fresca. Recuperai il
mio pandino e mi sbrigai a ripercorrere quella striscia di autostrada sotto
sorveglianza armata ad ogni cavalcavia che collegava Berlino Ovest al resto
della RFT.
Mica finisce qui. Da lì feci tutta
una tirata fino a Parigi, dove però non mi fermai perché la conoscevo già molto
bene e proseguii per i Paesi Baschi. C’era una mia amica del posto ad
aspettarmi, conosciuta un anno prima ai corsi di inglese a Londra. Chissà come
abbiamo fatto, visto che i cellulari non erano stati ancora inventati. Non
ricordo, fatto sta che ci incontrammo in una piazza di Bilbao, assieme a suo
fratello. Analogamente al “giro delle ombre” a Venezia, mi fece fare il giro di
tutte le birrerie della città, in ciascuna dovevamo limitarci a bere un “surito”,
un “sagutxoa” in lingua locale. Conoscendo il francese, intuii che fosse un “topolino”.
Che roba è? Un bicchierino come quelli da vodka, ma con la birra locale, che è
un po’ come la Peroni, quasi acqua fresca. La guardai con aria di sufficienza,
abituato alla vodka. Niente di più sbagliato: provate voi a berne un mezzo
centinaio. Non so come, verso le tre di notte, guidai fino al loro villaggio.
Fatto sta che quella notte mi vomitai l’anima. La mattina dopo, il padre della mia
amica mi chiese se a Bilbao non ci fossimo imbattuti in qualche problema. No,
risposi, perché? Beh, c’era una manifestazione, bottiglie molotov, cariche,
arresti, ma è un fenomeno quasi quotidiano. Visto nulla.
Dopo una settimana, feci tutta
una tirata fino a Montecatini via Costa Azzurra. In tutto questo infinito
viaggio di 6.000 km, era divertente notare come man mano cambiava la lingua
nell’autoradio sulle onde FM, ma questo c’era anche in un film dell’epoca, ho
solo avuto una conferma. Sono passati 35 anni, eppure sono dei ricordi
indelebili.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate
in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Mosca, Sebastopoli, Rostov sul
Don, Kaluga, Nižnij Novgorod, Soči, Alma Ata in Kazachstan, Saratov, Caterimburgo,
Crimea, Udmurtia, Odessa, Čeljabinsk, Krasnodar, Smolensk.
La canzone si chiama Эх,
путь-дорожка фронтовая, parla della strada per Berlino, sempre più attuale, pur
essendo del 1945.
Per questa settimana è tutto. A
risentirci e rivederci, sempre su Visione TV!
Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.