Mark Bernardini

Mark Bernardini
Visualizzazione post con etichetta PE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta PE. Mostra tutti i post

lunedì 23 settembre 2024

096 Italiani di Russia

Da Mosca, Mark Bernardini. Novantaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 23 settembre 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

La risposta del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin alla domanda sulla possibilità dell’utilizzo di armamenti occidentali a lunga gittata per attacchi sul territorio russo.

Ciò significherà che i Paesi della NATO, gli USA e i Paesi europei saranno in guerra con la Russia. E se sarà così, tenendo conto di tale cambiamento sostanziale nella natura del conflitto, noi ci troveremo a dover prendere le opportune decisioni sulla base delle minacce che ci verranno rivolte.

Il presidente del Kazachstan Kassym-Žomart Tokaev in un incontro con Scholz sul conflitto in Ucraina.

Il fatto è che militarmente la Russia è invincibile. Un’ulteriore escalation della guerra porterà a conseguenze irreparabili per tutta l’umanità e, soprattutto, per tutti i Paesi direttamente coinvolti nel conflitto russo-ucraino. Purtroppo, con il rifiuto di concludere l’accordo di Istanbul, è andata perduta una buona occasione per raggiungere almeno una tregua. Ma l’opportunità per la pace esiste ancora.

E’ necessario considerare attentamente tutte le iniziative di pace dei vari Stati e prendere la decisione di fermare le ostilità, per poi passare alla discussione delle questioni territoriali. A nostro avviso, il piano di pace proposto da Cina e Brasile merita sostegno. I leader degli Stati vanno e vengono, ma i popoli, soprattutto quelli vicini, devono vivere in pace e comprensione reciproca.

Insieme alla Russia, il Kazachstan ha il confine terrestre delimitato più lungo del mondo e la cooperazione tra i nostri Paesi si sta sviluppando nel quadro di partenariati e alleanze strategiche.

Queste dichiarazioni sono state fatte da Tokaev in un incontro con il cancelliere tedesco il 16 settembre 2024. La conferenza stampa congiunta del Presidente kazacho e di Olaf Scholz però è stata annullata prima dell’inizio su iniziativa della parte kazacha, riferisce l’agenzia tedesca DPA.

Scholz ha tenuto la conferenza stampa da solo. Al termine dell’evento gli è stato chiesto se considerasse inospitale la decisione dei rappresentanti del Kazachstan, ma il cancelliere ha evitato di rispondere.

Nella lista dei componenti italiani del Parlamento Europeo che hanno approvato la risoluzione per un attacco in territorio russo risaltano:

Guido Crosetto FdI, Nicola Procaccini FdI, Flavio Tosi FI, Stefano Bonaccini PD, Pierfrancesco Maran PD, Pina Picierno PD, Alessandro Zan PD.

Quando e se vi faranno ancora votare, ricordatevelo.

I BRICS si stanno preparando per un ripristino finanziario. La de-dollarizzazione è solo questione di tempo, afferma Asia Times.

Al vertice dei BRICS, che si terrà a Kazan- dal 22 al 24 ottobre, potrebbe essere svelata una “road map” per lo sviluppo di un’alternativa all’attuale sistema finanziario globale basato sul dollaro. Secondo gli analisti potremmo parlare di una piattaforma di pagamento multivaluta. E’ anche possibile il lancio di una valuta commerciale BRICS sostenuta dall’oro.

L’emergere di un’alternativa all’attuale sistema del dollaro avrà un significato storico. Questo sarà il primo serio tentativo di andare oltre l’accordo di Bretton Woods del 1944, che delineò i contorni del sistema finanziario globale del dopoguerra.

Il sistema di Bretton Woods si incrinò nel 1971 quando il presidente Richard Nixon svincolò il dollaro dall’oro. Libero dai vincoli del gold standard, il governo americano abbandonò la disciplina fiscale. Dal 1971 al 2024, il debito nazionale degli Stati Uniti è cresciuto da 400 miliardi di dollari a 35mila miliardi di dollari.

Oggi, il servizio del debito nazionale è diventato la voce più importante del bilancio nazionale degli Stati Uniti e sempre più importanti economisti e capi di aziende lanciano l’allarme. Gli Stati Uniti potrebbero rimanere senza creditori disposti ad acquistare il suo debito.

I BRICS potrebbero decidere di lanciare un’unità monetaria parzialmente sostenuta da oro e risorse naturali, in particolare petrolio, minerali e metalli. Il gruppo ha una leva finanziaria significativa dato che controlla una parte significativa delle risorse minerarie del pianeta, abbastanza da dettare i prezzi globali.

Un segnale che i BRICS si stanno preparando per un tale ripristino finanziario è l’accumulo senza precedenti di oro. Negli ultimi due anni, i membri del BRICS hanno acquistato oro a un ritmo record. Storicamente, questo metallo prezioso è stato utilizzato per ricalibrare le valute dopo una crisi finanziaria o monetaria.

Il “Growth Crystal” ha precedentemente riferito che, secondo l’American Responsible Statecraft, la valuta BRICS porterà alla dedollarizzazione e al crollo del dominio statunitense.

Il Parlamento europeo ha invitato i Paesi dell’UE ad eliminare le restrizioni sugli attacchi di Kiev con armi a lungo raggio sul territorio del nostro Paese, a rafforzare il sostegno militare all’Ucraina e ad annunciare anche la raccolta di fondi dalla popolazione europea per i bisogni delle Forze Armate dell’Ucraina.

Lo spiegherò di nuovo:

Se succede qualcosa del genere la Russia darà una risposta dura utilizzando armi più potenti.

Nessuno dovrebbe farsi illusioni su questo. La Duma di Stato insiste su questo.

Domande per i membri del Parlamento europeo:

Vi siete consultati con i vostri elettori prima di prendere questa decisione?

I cittadini dei Paesi europei vogliono che la guerra arrivi a casa loro?

Ciò che il Parlamento europeo chiede può portare a una guerra mondiale con armi nucleari.

Prima di prendere una decisione del genere, era necessario ricordare le lezioni della Seconda Guerra Mondiale. 27 milioni di cittadini sovietici morirono nella lotta contro il nazi-fascismo.

E’ stato il nostro Paese a liberare voi e tutta l’Europa.

Ricordatelo. Non dimenticatelo.

A giudicare dalla dichiarazione del Parlamento europeo, a quanto pare ve ne siete dimenticati.

I cittadini del nostro Paese sanno cos’è la guerra, ha attraversato ogni famiglia.

La vittoria sul nazismo arrivò a caro prezzo.

Gli Stati Uniti e l’Inghilterra, che oggi si definiscono vincitori, hanno perso meno di 800.000 persone nella Seconda Guerra Mondiale.

Le nostre perdite nella sola battaglia di Stalingrado ammontano a 1.130.000 persone.

L’unica cosa che il Parlamento europeo dovrebbe fare dopo una simile dichiarazione è sciogliersi.

Per vostra informazione, il tempo di volo del razzo Sarmat verso Strasburgo è di 3 minuti e 20 secondi.

Vjačeslav Volodin, Presidente della Duma di Stato russa.

Continuando rigorosamente sulla strada della cancellazione totale di ogni forma di dissenso, gli Stati Uniti hanno lanciato un’altra ondata di restrizioni contro i media e i giornalisti russi.

Il 13 settembre il Segretario di Stato americano Blinken ha annunciato nuove sanzioni contro due holding mediatiche russe “Russia Today” (agenzie RIA Novosti e Sputnik), “TV-Novosti” (canale televisivo RT e agenzia video Ruptly) e “Eurasia”. Le restrizioni includono anche il Direttore generale di “Russia Today” Kiselëv e il capo della ONG Eurasia Parutenko. Inoltre, le sanzioni precedenti erano state proclamate solo pochi giorni prima, il 4 settembre, quando erano state applicate misure restrittive contro gli stessi media e contro la Direttrice di Russia Today Margarita Simon’jan, nonché contro una serie di altri dipendenti del medesimo canale televisivo.

Le forze di sicurezza americane hanno preso parte con zelo particolare alla persecuzione dei giornalisti russi. Evidente prova d’illegalità commissionata “dall’alto” è stata la perquisizione dell’abitazione di una giornalista di Russia Today da parte di una ventina di agenti dell’FBI, che hanno sottoposto la donna russa a procedure umilianti. Temendo per la propria sicurezza e salute, la dipendente del canale televisivo ha dovuto rapidamente lasciare il Paese. Sono stati aperti casi legali con accuse inventate contro alcuni dipendenti dei media russi e persino contro i cittadini americani che hanno osato apparire nelle loro trasmissioni. In caso di arresto, rischiano condanne pesanti.

L’attuale amministrazione americana, in modo estremamente cinico, sta cercando di giustificare la repressione senza precedenti dei media russi, accusandoli d’“ingerenza” negli affari politici interni. In sostanza, stiamo parlando di un’altra campagna personalizzata, di una “caccia alle streghe”, quando un’atmosfera appositamente coltivata di paura generale e mania di spionaggio consente alle cerchie più potenti in USA di manipolare l’opinione pubblica e impedire alla popolazione qualsiasi accesso alle informazioni scomode.

Questa volta, inoltre, Washington esercita il ruolo di “guardiano” della stabilità pubblica e dell’integrità dei processi democratici, impiegando metodi di censura totalitaria non solo sul suo territorio, ma ben oltre i suoi confini. Avendo in definitiva calpestato i propri obblighi internazionali nel campo del pluralismo e perfino della propria Costituzione, gli Stati Uniti hanno di fatto dichiarato guerra in tutto il mondo alla libertà di parola, ricorrendo a minacce aperte e ricatti contro altri Stati per stabilire un controllo esclusivo sullo spazio dell’informazione globale.

Non riescono a fare i conti con la crescente popolarità in molti Paesi del mondo dei canali russi d’informazione, in contrasto con la visione unilaterale e falsata di ciò che sta accadendo sul pianeta dettata dal mainstream occidentale. Washington, de facto, sta cercando di estendere la famigerata “dottrina Monroe” alla sfera dei media.

Non ci illudiamo che la censura dilagante negli Stati Uniti ottenga adeguata condanna dalle strutture internazionali specializzate (le cui attività sono dirette da Washington). Al tempo stesso, valutiamo il loro silenzio come tacito assenso ed effettiva complicità nell’arbitrio commesso verso i media russi.

Sabato scorso sono stato intervistato dal canale TV 234 del digitale terrestre Cusano News 7, dell’Università romana Niccolò Cusano. Devo dire che in genere mi intervistano settimanalmente da ormai un paio d’anni, ma non lo riporto in questo notiziario per non farlo troppo lungo. Questa settimana, ci sono meno materiali del solito, quindi ne approfitto. Parlo della città di Togliattigrad e della decisione del Parlamento Europeo di bombardare l’entroterra russo.

Per quanto riguarda il mercato automobilistico in Russia, voglio citarvi un articolo dal portale Pluralia, per il quale traduco verso il russo. Russia: importazioni da record di auto cinesi. Ad agosto la Russia ha importato oltre il 19% di auto fabbricate in Cina.

Mentre il mercato europeo dell’auto si lecca le ferite – nel mese di agosto le immatricolazioni di auto nuove sono crollate del 16,5% – la Russia nell’ultimo mese estivo ha importato dalla Cina delle autovetture per un valore record di 1,6 miliardi di dollari.

Secondo i dati delle dogane cinesi ad agosto del 2024 la Russia ha aumentato rispetto a luglio gli acquisti di auto “made in China” del 26%, mentre su base annua la crescita è stata di 1,5 volte. Dopo la fuga precipitosa delle case automobilistiche europee dalla Russia il mercato è stato subito occupato dai produttori cinesi, che nei primi otto mesi di quest’anno hanno venduto sul mercato russo autovetture per un valore stimato in 9,15 miliardi di dollari, contro i 6,8 miliardi del periodo gennaio-agosto di un anno prima. E mentre gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno bloccando le esportazioni cinesi di autovetture sia “tradizionali” che elettriche, lo scorso mese la quota russa nelle esportazioni cinesi di auto ha raggiunto l’inedito 19,1 per cento.

Avete presente la canea che avevano scatenato per la visita ufficiale di Putin in Mongolia? Una superlativa pagina di giornalismo di Spiegel, uno dei maggiori quotidiani tedeschi. Prima rispolvera la storia del sangue di cervo di Putin, poi scrive:

“A Mosca circola la voce che Putin abbia bisogno della benedizione degli sciamani per usare le armi nucleari. Senza il loro consenso, non poteva fare un passo così serio per paura di far arrabbiare gli spiriti. E presumibilmente è tornato dalla Mongolia soddisfatto”.

Naturalmente, a Mosca non si parla affatto di queste sciocchezze. E non finisce qui.

Israele compie attentati terroristici facendo esplodere i cercapersone in Libano. Media occidentali: “Putin potrebbe far esplodere milioni di iphone senza preavviso”.

“La storia ci insegna che nessuna nuova tecnica militare rimane a lungo monopolio del suo inventore. Quanto ci vorrà prima che Vladimir Putin o Xi Jinping scoprano come far bruciare milioni di iPhone in tutto il mondo nelle tasche dei loro nemici?”. Daily Mail.

Non ha stato Putin? Avrebbe stato Putin.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

«Корреспондентская застольная» («Песня военных корреспондентов»), “Il convivio dei corrispondenti” (“Canzone dei corrispondenti di guerra”) è una canzone scritta nel 1943.

Da Mosca a Brest
Non esiste un posto
Dove non vaghiamo nella polvere,
Con una macchinetta fotografica e un blocco note,
O anche con una mitragliatrice
Abbiamo attraversato il fuoco e il freddo.
Senza un sorso, compagno,
Non puoi fare una canzone,
Quindi versiamone un po’!
Brindiamo a chi ha scritto,
Beviamo a chi ha filmato,
Beviamo a coloro che hanno camminato sotto il fuoco.

Nel 1943, Konstantin Simonov, corrispondente del quotidiano Krasnaja Zvezda, Stella Rossa, su incarico della redazione andò da Krasnodar a Rostov. Il percorso era difficile, l’autista era taciturno. Per distrarsi, Simonov, seduto nella cabina della jeep, ha trascorso due giorni a comporre una canzone dedicata ai giornalisti di prima linea. L’autore non aveva l’opportunità di scrivere il testo, quindi ha ripetuto in continuazione ogni riga ad alta voce.

A Batajsk, poco distante da Rostov sul Don, dove si trovava l’ufficio corrispondente del giornale di Simonov, il giornalista è stato accolto dai suoi colleghi. Apparecchiarono la tavola, distribuirono vodka e stuzzichini; fu lì che la canzone scritta da Simonov fu eseguita per la prima volta. Ben presto nell’ufficio si presentò un medico militare, al quale l’autista riferì lo strano comportamento del “tenente colonnello anormale”, che durante tutto il percorso aveva recitato alcune poesie. Anni dopo, il poeta raccontò questa storia alla radio; la risposta ai suoi ricordi fu una lettera da Jalta, l’autore della quale ammise di essere proprio quel medico chiamato d’urgenza dall’unità medica.

Simonov ha scritto un brindisi dettagliato che si dice tra amici... Chi lo pronuncia non dimentica le preoccupazioni quotidiane e invita tutti quelli che erano al fronte ad alzare i bicchieri alla causa comune.

Nel 1993, vicino all’ingresso della Casa Centrale dei Giornalisti di Mosca, è stato eretto un monumento ai corrispondenti di prima linea.

Isola di Sachalin, Mosca, Kaluga, Novosibirsk, Samara, Pietroburgo, Kaliningrad, Caterimburgo, Lugansk, Soči, Volgograd, Nižnij Novgorod, Ulan Ude, Chabarovsk, Čeljabinsk.

Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sui miei canali!

Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

Rutube, V KontaktePlatforma, Radio Libera e Flip News.

Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo).

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in rubli:

4211 7045 8356 7049 (Banca Intesa Russia)
2202 2023 9503 8031 (Sberbank)

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in euro:

Correspondent bank: INTESA SANPAOLO SPA, MILAN
Swift: BCITITMM
Beneficiary Bank: 100100004730 BANCA INTESA 101000 MOSCOW RUSSIAN FEDERATION
SWIFT: KMBBRUMM
Beneficiary’s account number: 40817978800004524011
Beneficiary’s name: Bernardini Mark

sabato 21 settembre 2024

20240921 Cusano News 7

Togliattigrad e automotive in Russia

Il Parlamento europeo ha invitato i Paesi dell’UE ad eliminare le restrizioni sugli attacchi di Kiev con armi a lungo raggio sul territorio della Russia, a rafforzare il sostegno militare all’Ucraina e ad annunciare anche la raccolta di fondi dalla popolazione europea per i bisogni delle Forze Armate dell’Ucraina

martedì 9 luglio 2024

20240709 Marco Rizzo

Io mi sono iscritto alla FGCI nel 1976 e al PCI nel 1980. Marco Rizzo si è iscritto al PCI nel 1981. Nel 1982-1985, sono stato segretario FGCI della IX Circoscrizione di Roma, una zona che all’epoca contava 250.000 abitanti, e candidato del PCI nella medesima circoscrizione.

Allo scioglimento del PCI, nel 1991, entrambi siamo stati tra i fondatori di Rifondazione Comunista. Io sono stato con essa candidato a Milano.

Nel 1998, entrambi siamo usciti da Rifondazione ed entrambi siamo stati tra i fondatori del Partito dei Comunisti Italiani. Io sono stato candidato, sempre a Milano, del PdCI. Dunque, abbiamo condiviso ben tre Partiti.

Nel 2001, a seguito del mio libro contro Berlusconi, persi casa e lavoro, dormivo letteralmente sotto i ponti. Armando Cossutta mi mandò a lavorare al GUE a Bruxelles, fu lì che conobbi anche Marco Rizzo. Da lì curavo una rubrica fissa sull’allora settimanale del PdCI, “La rinascita della sinistra”, dal titolo “Il sito nell’occhio”.

Nel 2002 mi trasferii a Mosca, dove mi trovo tuttora, nel 2003 uscii dal PdCI, da allora mi considero un comunista italiano emigrato senza Partito.

Voglio dire che liquidarmi come giornalista per sminuire la mia competenza politica mi pare metodologicamente errato. Tra l’altro su Wikipedia Marco Rizzo risulta di professione giornalista pubblicista.

lunedì 1 luglio 2024

Esito Elezioni Europee

Paradossalmente, la sinistra dovrebbe imparare da Macron, Scholz e Tusk: diversi tra loro, ma uniti se si tratta di raggiungere i loro scopi comuni. Se vogliamo, è proprio quel principio che fece il successo del vecchio PCI, quello di allora, non di adesso. Per esempio, si fossero presentati insieme i due Partiti socialdemocratici slovacchi, uno di Fico, l’altro di Pellegrini, avrebbero preso la maggioranza assoluta. Se in Germania si fossero presentati assieme Sahra Wagenknecht e Die Linke, sarebbero entrati entrambi al Parlamento Europeo, invece così solo la pur apprezzabile Wagenknecht.

Un esempio a parte è la Francia Indomita di Mélenchon. La sinistra francese è andata divisa alle Europee e infatti ha perso. Hanno imparato la lezione: al primo turno delle Politiche il Nuovo Fronte Popolare è andato coeso, socialisti, comunisti, indomiti, verdi. Non che non soffrano di contraddizioni fondanti: i socialisti sono totalmente appiattiti sull’atlantismo e sull’appoggio incondizionato ai neonazisti ucraini, i comunisti al contrario comprendono le ragioni russe, gli indomiti sono contrari alle forniture agli ucraini pur senza condividere le posizioni russe. Però intanto sono arrivati secondi dopo la destra della Le Pen, e questo consentirà loro di presentarsi al ballottaggio del 7 luglio. A chi dice che ciò sia una spartizione delle poltrone e che sia disonesto nei confronti degli elettori, basti considerare che se lo si dichiara prima, ci si può dividere anche 24 ore dopo le elezioni, però comunque si è in Parlamento.

Questo riguarda anche l’Italia. Se Santoro, DSP, PCI si fossero presentati assieme, pur dichiarando fin dall’inizio di non voler stare assieme, li avremmo in seno al Parlamento Europeo, invece così duri e puri fuori dall’arco parlamentare. Bella soddisfazione.

Colpisce, nella narrazione in voga, che ci sia qualcuno che davvero sia convinto che la destra e il centrodestra, grazie all’astensionismo, abbia perso. Per l’Italia, basti dire che alle precedenti Europee (2019, i confronti vanno sempre fatti con elezioni omogenee) la destra Sorella d’Italia aveva preso 1.726.189 voti, mentre ora 6.724.014, passando infatti dal 6,44% al 28,8%, confermandosi primo Partito d’Italia. L’astensionismo, dunque, ha danneggiato ben altri. Su scala europea, il Partito Popolare, cioè i democristiani, di centrodestra, a cui appartiene anche Ursula Von Der Leyen, ora hanno 187 deputati su 720, mentre ne avevano 182 su 751 (effetto Brexit). Se questo è perdere, vuol dire che ora la matematica è un’opinione come un’altra. Anche per l’astensione, facciamo attenzione: è vero, aveva votato il 50,97%, ed ora il 49,22% (un decremento di appena l’1,73%), ma nel 2014 aveva votato il 42,61%. C’è quindi poco da gioire.

lunedì 17 giugno 2024

082 Italiani di Russia

Ottantaduesimo notiziario settimanale di lunedì 17 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità


Sono rimasto interdetto, tra le numerose critiche alla mia narrazione, quella per cui l’Eurasia sia un’invenzione degli ultimi tempi. Questo continente si chiama Eurasia. L’idea di una Europa ed un’Asia separate da quella collinetta che sono gli Urali, è un’invenzione tutta occidentale. Sapete perché l’hanno inventata? Perché allora occorre constatare che in Eurasia siamo cinque miliardi e mezzo. Quanti sono gli esseri umani su questo pianeta? Otto miliardi.

Buona parte di noi hanno padri, madri, fratelli, sorelle, figli. Potete cambiarli, se non vi piacciono? La risposta è scontata: no. Dirò di più: potete cambiare il vostro vicino di pianerottolo, nel condominio? La risposta è sempre identica e scontata: no. O, quantomeno: è problematico e poco probabile. Dunque, dovete conviverci. Siamo euroasiatici, altro che.


Conferenza svizzera, il premier olandese Rutte: “Il fatto che Putin abbia presentato ieri questa merdosa “proposta di pace” è un segno che è nel panico, questa è una buona notizia”.

Personalmente, non sono affatto un bacchettone, ed anzi, fin da quando ero giovane mi si rimproverava di usare troppe espressioni colorite, al limite della volgarità. Io però non faccio il capo del governo o dello Stato, me lo posso permettere. Voglio dire: ve li immaginate, che so io, François Mitterrand, Helmut Kohl, Margareth Thatcher, Giulio Andreotti, parlare di “merdosa proposta di pace”? I politici odierni sono pienamente rappresentativi dell’imbarbarimento globalista.


Lindsey Graham: “l’Ucraina è seduta su 12 trilioni di terre rare e minerali preziosi. Potrebbero essere il Paese più ricco di tutta Europa. Non voglio dare quei soldi e quelle ricchezze a Putin perché li condivida con la Cina. Se aiutiamo l’Ucraina adesso, potrà diventare il miglior partner commerciale che abbiamo mai sognato. Aiutiamoli a vincere una guerra che non possiamo permetterci di perdere. Troviamo una soluzione a questa guerra. Ma essere seduti su una miniera d’oro e dare a Putin 10 o 12 trilioni di dollari o minerali essenziali da condividere con la Cina, è ridicolo”.

Come sempre, i neocon si fanno apprezzare per la brutale onestà con cui espongono le loro idee. Questo li distingue dai progressisti, i quali perseguono esattamente gli stessi obiettivi, ma hanno bisogno di ricorrere sempre a improbabili paraventi morali, come i diritti umani o la democrazia, per giustificare le loro guerre.

Lo squilibrato senatore statunitense Lindsey Graham ha spiegato al canale televisivo CBS perché gli Stati Uniti sostengono l’Ucraina con armi e denaro.

Perché “non si possono cedere alla Russia e alla Cina le più importanti risorse minerarie dell’Ucraina, che valgono 10-12.000 miliardi di dollari”. E ha chiesto di fornire all’Ucraina le necessarie armi a lungo raggio e di consentire attacchi in profondità in Russia.

Il vecchio Lindsay ha anche chiesto che gli ucraini di tutte le età vadano a servire nelle forze armate ucraine, perché Kiev ha bisogno di più carne umana.

Improvvisamente si scopre che la guerra in Ucraina non riguarda l’Ucraina, la cui popolazione Graham chiede di mobilitarsi. Gli Stati Uniti hanno semplicemente bisogno di risorse e di un trampolino di lancio per spremere ancora più risorse dalla Russia.

E l’Ucraina, vi chiederete? Chi ne ha bisogno, certamente non gli Stati Uniti. Sono stati l’URSS e la Russia a impegnarsi con l’Ucraina, investendovi enormi quantità di denaro e pompando gas. La pompa statunitense funziona solo in una direzione: verso gli Stati Uniti.

Il popolo ucraino può fare qualcosa? No, ovviamente no. Cosa può fare una pecora al macello? La stessa cosa che possono fare i residenti dell’Ucraina: percorrere lo stretto corridoio fino alla loro fine. Niente più Majdan e proteste: non si prende il potere per darlo via. Se necessario, le elezioni saranno annullate. Oh! Sono già state annullate.

Tutte le guerre degli Stati Uniti sono combattute per le risorse e i mercati. Gli slogan sulla “protezione della democrazia” sono per i malati di mente.


Sapete che quando Dmitrij Medvedev va sopra le righe, non mi piace. Stavolta invece ha fatto un discorso da vero politico. Bravo.

“L’umanità deve finalmente liberarsi dell’eredità del sistema coloniale. Il tempo delle metropoli è scaduto”.

Gli Stati Uniti sono diventati una neo-metropoli di sanzioni globali, che violano la sovranità di Paesi terzi, e le sanzioni secondarie sono tentativi di distruggere interi Paesi.

L’Occidente crea artificialmente crisi economiche, utilizza l’agenda verde per mantenere l’elitarismo e, attraverso il monopolio delle società IT, soffoca coloro le cui opinioni contraddicono le sue linee guida.

Sarà possibile liberare l’Ucraina dalle catene neocoloniali dell’Occidente solo dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale.

Il Sud del mondo non vuole seguire l’esempio della “formula Zelenskij” e recidere i legami a lungo termine con la Russia.

L’Occidente usa il “neocolonialismo del debito” per mantenere l’influenza nel Sud del mondo.

All’Armenia vengono promesse “montagne d’oro” in cambio di completa lealtà, ma a Erevan non si apriranno le porte del “club delle élite”.

Parigi cercherà di mantenere la sua presenza monetaria nascosta in Africa il più a lungo possibile, questo è vitale per Macron.

La Russia spera che la cooperazione nel formato BRICS-Unione Africana raggiunga un nuovo livello qualitativo.

L’Occidente resisterà allo sradicamento del neocolonialismo; è necessario aumentare l’interazione di tutte le forze nella lotta contro questo fenomeno.

Le ex metropoli vogliono ancora parassitare i Paesi da loro dipendenti, solo in modo più sofisticato.

L’Occidente ha reagito ferocemente al movimento di lotta al neocolonialismo “Per la libertà delle nazioni!”, cercando di interrompere il congresso di fondazione.

La formazione di un nuovo sistema di relazioni internazionali è una questione del prossimo futuro; non ci sarà posto per sanzioni, sfruttamento e menzogne.

Sempre più Paesi vogliono vivere in pace, senza l’eredità del sistema coloniale e secondo i principi di uguaglianza sovrana.

Il nuovo ordine mondiale policentrico sarà pragmatico, la diversificazione delle connessioni è la chiave per la stabilità economica.

Il 12 giugno qui era festa nazionale, il giorno della Russia. Qualche buontempone ha piazzato dei cartelloni di invito davanti alle ambasciate dei Paesi ostili. Vi propongo un brevissimo filmato davanti all’ambasciata italiana.


L’Occidente continua i suoi sforzi per intensificare il conflitto.

L’accento è posto proprio sull’attività terroristica del regime di Kiev, sulla guerra contro la popolazione civile con ogni mezzo.

Gli anglosassoni incitano apertamente il regime di Kiev a commettere barbari attacchi terroristici e lo incoraggiano direttamente a colpire in profondità la Russia. E nemmeno questo gli basta. Ora Washington e Londra hanno iniziato a pianificare un sabotaggio su larga scala.

L’8 giugno, il tabloid britannico Daily Express ha scritto che in caso di successo militare o vittoria di Mosca in Ucraina, la giunta Zelenskij “vorrebbe condurre attività terroristiche all’interno della Russia, che includerebbero il bombardamento di scuole e altri obiettivi civili”. Attenzione, lo scrivono i media occidentali, mica quelli russi. Tutto ciò, osserva l’autore del materiale, “avrà conseguenze molto più distruttive di quanto sta accadendo oggi al fronte”. E’ fiducioso che i preparativi per tali azioni siano già in corso e che il “catalizzatore” per la loro attuazione potrebbe essere “l’imposizione di una sorta di accordo di pace a Kiev”.

Cosa significa questo? Il fatto è che molti già riconoscono le attività terroristiche del regime di Kiev.

L’ultima cosa che resta loro da fare è ammettere l’ovvio: che tutte queste attività terroristiche del regime di Kiev sono possibili esclusivamente con il denaro dell’”Occidente collettivo”. Che razza di soldi sono questi? Questo è il denaro che i regimi dei Paesi ostili, in solidarietà con le attività terroristiche del regime di Kiev, prendono dalla gente comune, dalle imprese dei Paesi dell’UE e della NATO.


Il segretario generale della NATO Stoltenberg: “Le forniture di armi a Kiev diventeranno obbligatorie per i Paesi della NATO, saranno coordinate da strutture di comando sotto la guida del generale Cavoli”.

I Paesi dell’UE capiscono che Washington li sta trascinando in uno scontro diretto con la Russia sotto la bandiera della NATO? La pompa isterica dell’opinione pubblica occidentale con la tesi sulla presunta “imminente aggressione contro i Paesi occidentali” da parte della Russia significa solo una cosa: l’amministrazione Biden ha bisogno di ulteriori spargimenti di sangue nel continente europeo per evitare che il proprio governo e l’economia americana crollino.


Marija Zacharova, portavoce del ministero degli esteri russo, sulle elezioni del Parlamento Europeo.

Dal 6 al 9 giugno si sono tenute in 27 Stati membri dell’UE le elezioni per il Parlamento europeo (PE), a seguito delle quali per i prossimi cinque anni dovrebbe essere formata una nuova composizione dell’“organo rappresentativo” dell’Unione europea da 720 seggi.

Siamo costretti a constatare che le elezioni europee si sono svolte nelle seguenti condizioni:

• restrizioni severe,

• mancanza di concorrenza leale,

• eliminazione nel campo informativo delle fonti di informazione alternative,

• campagna antirussa sfrenata.

Le forze politiche che si oppongono allo sconsiderato scontro con la Russia, dannoso per la stessa Unione Europea, sono state oggetto di discriminazioni e spesso di pressioni dirette e vessazioni.

L’ultima campagna elettorale è stata portata al limite dell’assurdo a causa dell’assurdità e dell’irresponsabilità delle dichiarazioni dei politici europei. Sembra che nessun accenno alle elezioni europee fatto dai burocrati dell’UE sia completo senza riferimenti alla “traccia russa”, all’”interferenza russa”, alla “mano del Cremlino” e alla necessità di una “vittoria per l’Ucraina” nel “guerra con la Russia”. Inoltre, con la parola d’ordine di contrastare l’immaginaria “ingerenza di Mosca” nei processi elettorali nell’UE, sono stati compiuti sforzi sistematici per impedire il rafforzamento nel Parlamento Europeo delle posizioni dei Partiti politici che difendono non le linee guida imposte da Washington, ma gli interessi reali degli Stati membri dell’UE e delle loro popolazioni. Qualsiasi espressione di disaccordo con le politiche perseguite da Bruxelles e le sue conseguenze sulla situazione socioeconomica dell’UE è stata immediatamente equiparata a “lavorare nell’interesse del Cremlino”.

L’osservazione delle elezioni del Parlamento europeo, se avesse avuto luogo, sarebbe stata di natura puramente nominale. Pertanto, il numero dei membri della missione speciale dell’OSCE/ODIHR, che ha già regolarmente riconosciuto il rispetto di tutti gli standard delle elezioni europee a prescindere, era di solo 19 persone.

Tuttavia, anche in queste condizioni, molti elettori europei si sono chiaramente espressi contro le politiche perseguite dal “mainstream” dell’UE negli ultimi anni.

In una parte significativa degli Stati membri dell’UE il voto ha assunto un chiaro carattere di protesta, sia a causa del sostegno ai Partiti dell’opposizione che per l’affluenza alle urne palesemente bassa. Nei principali Stati dell’UE, compresi quelli all’origine dell’integrazione europea, si è verificato un significativo rafforzamento delle posizioni delle forze politiche a orientamento nazionale che si oppongono all’erosione della sovranità e dell’identità nazionale, nonché alla sostituzione dei valori tradizionali con valori neoliberisti. Nei Paesi Baltici, i cittadini delusi dalle politiche dell’UE hanno sostanzialmente ignorato le elezioni. In Lettonia ed Estonia si è recato alle urne poco più di un terzo degli aventi diritto. In Lituania l’affluenza alle urne non ha raggiunto il 30%. La situazione non è molto migliore negli altri Paesi che sostengono più attivamente posizioni anti-russe (Polonia, Finlandia, Repubblica Ceca).

Tuttavia, a giudicare dalla reazione del mainstream dell’UE, che con le buone o con le cattive hanno comunque ottenuto la maggioranza totale dei seggi nella nuova composizione del Parlamento Europeo, non trarranno le giuste conclusioni. In effetti, nessuno se lo aspettava, perché il Parlamento Europeo si è trasformato da tempo in un organismo al servizio di interessi che hanno poco a che fare con le aspirazioni dei comuni europei. Sono abituati ad ascoltare di più gli ordini provenienti dall’estero e i desideri delle aziende transnazionali, compreso il complesso militare-industriale.

Negli ultimi anni la posizione conflittuale del Parlamento Europeo nei confronti del nostro Paese è degenerata fino a raggiungere un livello di ostilità senza precedenti. Questa istituzione europea, che produce infiniti testi anti-russi, si è screditata ed è diventata una struttura apertamente russofoba che accoglie tutti i tipi di emarginati che si definiscono “opposizione russa”, e persino estremisti e terroristi. A seguito delle elezioni al Parlamento Europeo, è stata generalmente preservata la “base ideologica” per un ulteriore sostegno all’attuale corso politico autodistruttivo dell’UE basato sulla russofobia.


In settimana, Putin ha incontrato i vertici del ministero degli esteri russo. Potete trovare la mia traduzione completa del suo intervento, come sempre, sui miei canali RuTube, YouTube, Telegram, Blogspot e su Visione TV. Qui voglio darvene solo un sunto, i punti salienti.

Oggi avanziamo nuovamente una proposta di pace reale e concreta.

Se anche stavolta, come già in precedenza, da Kiev e dalle capitali occidentali dovesse giungere un rifiuto a tale proposta, dopotutto sarà affar loro; saranno loro a doversi fare carico della responsabilità politica e morale del non aver posto fine a questo spargimento di sangue. [...]

Non appena da Kiev accetteranno che gli eventi facciano il loro corso per come proposto da noi oggi, non appena acconsentiranno al ritiro completo delle loro truppe dai territori della Repubblica popolare di Doneck, della Repubblica Popolare di Lugansk e dalle regioni di Zaporož’e e di Cherson, quando daranno effettivamente inizio a tale processo [di smobilitazione], noi saremo pronti ad avviare immediatamente i negoziati, senza alcun indugio.

La nostra posizione, sulla quale non transigiamo, è la seguente:

• L’Ucraina deve avere status di Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato;

• L’Ucraina deve essere demilitarizzata e denazificata [...].

Ovviamente, i diritti, le libertà e gli interessi dei cittadini russofoni residenti in Ucraina dovranno essere pienamente garantiti, e le nuove realtà territoriali dovranno essere riconosciute; la Crimea, Sebastopoli, la Repubblica popolare di Doneck, la Repubblica Popolare di Lugansk, così come le regioni di Zaporož’e e di Cherson dovranno essere riconosciute come soggetti territoriali della Federazione Russa.

In seguito, tali imprescindibili disposizioni dovranno essere ufficializzate nella forma di accordi internazionali fondamentali. Naturalmente, questo presupporrà altresì il ritiro di tutte le sanzioni occidentali imposte alla Russia.

Si tratta, in prospettiva tangibile, di formulare i termini per una sicurezza equa e inscindibile, per una collaborazione e uno sviluppo reciprocamente vantaggiosi e paritari nel continente eurasiatico.

Quali passi andranno affrontati in tal senso e secondo quali princìpi?

Primo: va agevolato il dialogo con chiunque possa potenzialmente partecipare a un siffatto futuro sistema di sicurezza […]

Secondo: è importante partire dall’idea che la futura architettura della sicurezza sia accessibile a tutti i Paesi euroasiatici che desiderino prendere parte alla sua creazione [...]

Non è la Russia a costituire un pericolo per l’Europa.

La principale minaccia per gli europei è la loro dipendenza critica, in pratica totale e in costante aumento, dagli Stati Uniti [...]

Se l’Europa vuole conservare se stessa come un autonomo centro di sviluppo mondiale e come uno dei riferimenti planetari di cultura e civiltà, deve senza dubbio essere in rapporti molto buoni con la Russia e, fatto importante, noi siamo disponibili in tal senso […]

Terzo: per far progredire l’idea di un sistema di sicurezza eurasiatico va significativamente incentivato il processo dialogico tra le organizzazioni multidirezionali che lavorano in Eurasia.

Quarto: riteniamo che sia giunto il momento per un’ampia discussione sul nuovo sistema di garanzie bilaterali e multilaterali per la sicurezza collettiva in Eurasia. In prospettiva, nello spazio eurasiatico si deve giungere inoltre a un graduale regresso della presenza militare delle potenze esterne […]

Quinto: tra le importanti componenti del sistema di sicurezza e di sviluppo eurasiatico vanno senza dubbio annoverate le questioni legate all’economia, al benessere sociale, all’integrazione e a una collaborazione mutuamente proficua. […]

Do incarico al Ministero degli Affari Esteri che proceda a cooperare il più possibile all’elaborazione di accordi internazionali in tutte queste direzioni.


Un intervento dell’ambasciatore russo Paramonov.

La Russia ha la propria strada. La vigente Concezione della politica estera russa definisce la Russia come unico Stato-civiltà, una vasta potenza eurasiatica ed euro-pacifica che ha unito il popolo russo e le altre nazioni che compongono la comunità culturale e civile del “Mondo russo”. […] Si basa su più di mille anni di indipendenza dello Stato, e su profondi legami storici con la cultura tradizionale europea e con le altre culture dell’Eurasia. Più di ogni altro Paese, si distingue per la sua capacità di armonizzare la coesistenza di diversi popoli, gruppi etnici, religiosi e linguistici. Per questo la missione storica della Russia è quella di essere sempre aperta al mondo e di svolgere un ruolo di equilibrio negli affari internazionali, di impedire l’egemonia mondiale, di fermare e convincere l’aggressore e, in linea con la propria tradizione culturale e storica, di schierarsi dalla parte della verità e della giustizia. E su questa base armonizzare il mondo.

Tutti gli obiettivi, i progetti e i piani di sviluppo dichiarati e attuati in Russia smentiscono completamente le affermazioni sulle presunte intenzioni aggressive di Mosca nei confronti dell’Occidente e collettivo e in particolare degli Stati membri della UE dopo la fine del conflitto in Ucraina, sulla presunta inevitabilità o alta probabilità di uno scontro armato tra Russia e NATO nel giro di pochi anni. Si tratta di un’assoluta e deliberata menzogna e manipolazione volte a fomentare un’atmosfera di psicosi prebellica, a favore dell’oligarchia globalista e dei complessi finanziari e militari-industriali che ne servono gli interessi.

Tutti coloro che non possono accettare l’esistenza di una Russia forte e sovrana devono comprendere chiaramente le conseguenze che inevitabilmente ne deriveranno se i loro folli scenari di massacro e di sconfitta strategica della Russia dovessero realizzarsi. […] La Russia ha già ripetutamente avvertito della possibilità di una risposta a tali azioni irresponsabili e criminali.

La Russia non si rifiuta di dialogare con l’Italia e gli altri Paesi occidentali, purché questi non tentino di frenare ulteriormente il suo sviluppo e non proseguano nella loro politica di aggressione e di pressione, ma cerchino un percorso di cooperazione e di pace. L’importante è che questo dialogo, possibile su qualsiasi tema, sia condotto su un piano di parità e nel rispetto degli interessi reciproci.

Negli ultimi due anni, la vita dei connazionali in Italia è stata tormentata da difficoltà impreviste – nella collaborazione con banche, strutture amministrative e istituti scolastici. […] Ma vediamo che, nonostante tutto questo, i nostri connazionali sono ancora più uniti, più patriottici, ancora più consapevoli del loro coinvolgimento negli interessi della Patria e del suo presente e futuro.


Il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti veniva rapito e ucciso da una squadra fascista scesa a Roma apposta da Milano.

Capogruppo e segretario del Partito Socialista Unitario, viene ricordato come l’antifascista che il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera la corruzione che aveva caratterizzato la campagna elettorale che aveva portato all’affermazione ad aprile del “listone fascista”: i brogli e le violenze, le aggressioni e gli omicidi.

Giacomo Matteotti per i fascisti era pericoloso. Una pericolosità composta non soltanto dal suo coraggio nel denunciare la violenza squadrista, ma anche dalle sue capacità d’inchiesta e di smascherare le truffe, anche contabili, del governo fascista.

L’11 giugno 1924, il giorno successivo alla sua uccisione, Matteotti avrebbe dovuto riportare alla Camera delle informazioni riguardanti un accordo stipulato tra i più alti gerarchi fascisti e la Sinclair Oil, società fittizia dietro la quale si nascondeva la ricchissima e monopolistica Standard Oil di Rockefeller, la “piovra”, come la definiva Matteotti.

La Standard Oil già deteneva il monopolio energetico in Italia, e attraverso la corruzione e l’elargizione di tangenti era riuscita ad ottenere a condizioni vantaggiosissime anche i diritti di sfruttamento dei giacimenti di petrolio sul suolo dell’Italia (e delle sue colonie), in particolare Emilia e Sicilia.

L’omicidio di Matteotti impedì allo scandalo di scoppiare, e di mettere il regime con le spalle al muro, dimostrando per la prima volta che dietro alla retorica della legalità si nascondeva la corruzione, dietro la retorica del patriottismo si svendevano a compagnie statunitensi i tesori del sottosuolo italiano in perfetta continuità con gli interessi del capitale.

In effetti questo non è stato l’unico caso di favoreggiamento della classe ricca da parte del regime fascista: nel 1914 Mussolini, da socialista, si vende per 30 denari ai produttori di armi e con quel denaro ci fonda un giornale incentrato sulla propaganda bellicista; come Partito politico, il movimento fascista si presenta nel 1919 come antipartito antiparlamentare antiliberale e violento, e prende pochissimi voti, e quindi diventa il Partito anticomunista che impone (sempre con la violenza) la fine degli scioperi e l’interruzione delle manifestazioni (per “riportare la legalità”), alleandosi de facto con i padroni delle fabbriche e delle imprese agricole, conquistando così il consenso della classe borghese, e riuscendo così, grazie al beneplacito dei padroni e degli sfruttatori, ad andare al governo nelle elezioni del 1924; una volta al governo, riduce la spesa del welfare, licenzia oltre 65.000 dipendenti pubblici, elimina l’imposta progressiva di successione, applica quello che Germà Bel definisce “primo caso di privatizzazione su larga scala in un’economia capitalista”, riduce i salari e scioglie i sindacati non fascisti, il tutto con il plauso di Luigi Einaudi, Winston Churchill e della stampa liberale internazionale.

Per ironia della storia, o per propaganda, questo regime corrotto e classista viene ad oggi chiamato “destra sociale”, laddove di sociale non ha mai avuto nulla: analizzando la storia del fascismo, dietro alle retoriche nauseanti Dio Patria Famiglia, o alla millantata lotta alle plutocrazia, si arriva a una verità mai abbastanza sottolineata: il fascismo è una delle facce del capitalismo.

Il capitalismo, che quando si sente potente mostra il suo volto liberale e aperto, e che quando viene messo alle strette dall’emersione delle sue intrinseche contraddizioni, e si scontra con chi vuole liberarsi dal giogo dei potenti, non esita a diventare bigotto, repressivo, violento, noioso come solo i violenti possono essere, asfissiante: fascista.

L’omicidio di Matteotti sarebbe dovuto diventare l’ennesimo evidente campanello d’allarme dei tempi a seguire, poteva essere quella cartina al tornasole necessaria per riconoscere il fascismo in ogni sua sfaccettatura. Non serviva la marcia su Roma, il saluto romano o le camicie nere per riconoscere il fascismo, ma oggi come ieri, il fascismo, va riconosciuto in nuce nella lotta di classe dall’alto verso il basso, nella privatizzazione dei nostri pochi beni che rimangono comuni, nella colpevolizzazione dei poveri e delle povere, nella disposizione a ogni sacrificio (da parte degli oppressi) per salvare l’economia.

Il neoliberismo non è una teoria economica, è un dispositivo fascista; ciò che ci serve è un antifascismo che riconosca che nel mondo esiste la classe degli oppressori e quella degli oppressi, e che tutti siamo chiamati a scegliere da quale parte stare.

Amarcord

La settimana scorsa vi avevo proposto un mio viaggio di 6.000 km in auto lungo tutta l’Europa di 35 anni fa. Ebbene, eccovi una panoramica di 7.500 km lungo tutta la Russia, senza muoversi dal Paese. Un breve filmato diffuso dall’ambasciata russa a Roma.

Ed eccone un altro, stavolta del ministero degli esteri.


Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Il 22 giugno in Russia è il giorno dello struggimento, della rabbia, della pena, del cordoglio. Alle quattro del mattino, nel 1941, i nazifascisti hanno iniziato a bombardare l’Unione Sovietica. E’ iniziata la Grande Guerra Patriottica.

Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

Rutube, Youtube e Flip News.

Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo).

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in rubli:

4211 7045 8356 7049 (Banca Intesa Russia)

2202 2023 9503 8031 (Sberbank)

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in euro:

Correspondent bank: INTESA SANPAOLO SPA, MILAN

Swift: BCITITMM

Beneficiary Bank: 100100004730 BANCA INTESA 101000 MOSCOW RUSSIAN FEDERATION

SWIFT: KMBBRUMM

Beneficiary’s account number: 40817978800004524011

Beneficiary’s name: Bernardini Mark

lunedì 10 giugno 2024

081 Italiani di Russia

Ottantunesimo notiziario settimanale di lunedì 10 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità


Come ebbe a dire Heinrich Heine, un poeta tedesco del XIX secolo, laddove si iniziano a bruciare i libri, prima o poi si finisce col bruciare le persone.

A oggi è assolutamente evidente che al potere, a Kiev, c’è un regime apertamente nazista, che sta commettendo un numero incalcolabile di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani in tutti gli ambiti della vita pubblica.

I metodi nazisti messi in atto da Kiev sono totalmente rivolti alla popolazione russofona dell’Ucraina. Attualmente, in questo Paese tutto ciò che è russo risulta proibito (la lingua, la cultura, l’istruzione, le pubblicazioni a stampa e i media).

Nell’ambito dell’istruzione, il processo di derussificazione ha raggiunto il suo culmine:

L’insegnamento delle materie scolastiche in lingua russa, come anche l’apprendimento di quest’ultima, sono proibiti;

Tutte le opere letterarie composte da autori russi e sovietici (ad eccezione di quelli ucraini) sono state eliminate dai programmi scolastici previsti per le materie letterarie;

I libri in lingua russa vengono ritirati dalle biblioteche;

Si proibisce addirittura ad alunni e insegnanti di parlare in lingua russa, e non solo nel corso delle lezioni, ma anche nei momenti di normale conversazione durante le pause di ricreazione;

Le autorità di Kiev non si limitano ad appoggiare gli attacchi condotti ai danni degli edifici religiosi della Chiesa ortodossa ucraina canonica, ma addirittura li autorizzano per legge.

E nonostante tutto ciò, tali inaudite violazioni dei diritti umani commesse da Kiev vengono del tutto taciute dalla maggior parte delle organizzazioni non governative occidentali e degli organismi internazionali per la tutela dei diritti umani.


Il 6 giugno, giorno in cui nacque il grande poeta russo Aleksandr Sergeevič Puškin, in tutto il mondo si è celebrata la Giornata internazionale della lingua russa.

Quest’anno, in particolare, si è celebrata l’importante ricorrenza legata al 225esimo anniversario dalla nascita del "Sole della poesia russa". Ed è proprio con questo appellativo, ormai saldamente radicato nel mondo letterario internazionale, che viene riconosciuta l’importanza storica della figura di Aleksandr Puškin.

Con tutto il suo genio, la sua creatività e la sua anima, Aleksandr Puškin si sentiva vicino al popolo italiano, alla sua cultura e alle sue tradizioni; e con il popolo italiano condivideva moralità, amore per la vita e aspirazione alla bellezza. Tuttavia, il destino volle che Aleksandr Puškin non mettesse mai piede sul suolo italiano nel corso di tutta la sua vita.

Il bellissimo monumento dedicato ad Aleksandr Puškin, opera dello scultore Jurij Orechov e inaugurato a Roma nel 2000, in occasione del 201esimo anniversario dalla nascita del poeta, rimane un simbolo perenne del valore universale che la cultura e la letteratura russa hanno per il mondo intero.

Ma se Aleksandr Puškin si trovasse in Italia oggi, sarebbe forse felice ed ispirato come lo sarebbe stato venendovi nel XIX secolo?


Si è svolto in settimana il XXVII Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, ve ne avevo parlato la settimana scorsa. Mi preme soffermarmi su due momenti. Il primo è l’incontro con i vertici delle agenzie di stampa internazionali del 5 giugno. C’era anche il vicedirettore dell’ANSA, Stefano Polli, che ha posto una domanda sull’Italia, a cui Putin ha risposto in modo inusuale.

L’Italia sostiene l’Ucraina politicamente e militarmente, ma afferma anche che l’Italia non è in guerra con la Russia. Vorrei che lei commentasse la posizione della leadership italiana.

Vladimir Putin: Vediamo che la posizione del governo italiano è più contenuta rispetto alla politica di molti altri Paesi europei e noi, prestando attenzione a questo, la valutiamo di conseguenza. Vediamo che la russofobia cavernicola non è esageratamente presente in Italia, e anche questo lo teniamo in conto. Ci auguriamo vivamente che alla fine, forse dopo che la situazione si sarà in qualche modo modificata sul tema ucraino, saremo in grado di ripristinare le relazioni con l’Italia, e forse anche più velocemente che con qualsiasi altro Paese europeo.

Il secondo momento è stato l’intervento di Putin alla sessione plenaria del 7 giugno. Il 95% della relazione era dedicato alle questioni di economia interna ed estera.

I conflitti geopolitici in corso nel mondo, dall’Ucraina alla Palestina, hanno radici molto profonde e vanno molto oltre le tensioni bilaterali regionali. Nel suo lungo discorso alla sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF), il presidente della Russia, Vladimir Putin, ha dichiarato che il mondo occidentale “vuole mantenere un ruolo egemone, che gli sta sfuggendo”.

Per il leader russo l’economia globale sta entrando in un’era di cambiamenti radicali e il sistema economico della Russia è pronto ad affrontare queste sfide. “L’economia globale è entrata in un’era di cambiamenti seri e fondamentali. Un mondo multipolare con nuovi centri di crescita, investimenti e legami finanziari tra gli Stati e le imprese sta prendendo forma. L’economia russa risponde a queste sfide, cambia e si adatta a questi cambiamenti”, ha sottolineato Putin, secondo cui “il Governo della Russia continuerà a sostenere i cambiamenti positivi nella società e nell’economia”.

Nonostante la guerra ibrida, lanciata dall’Occidente contro la Russia, Mosca è interessata a collaborare con i Paesi che hanno un interesse reciproco a lavorare insieme. “Siamo aperti – ha dichiarato Putin – alla più ampia cooperazione con tutti i partner interessati, dalle società straniere ai gruppi internazionali, alle associazioni e ai Paesi”.

Secondo il leader russo malgrado il pressing degli Stati Uniti e dei loro alleati, la Russia è diventata la quarta maggiore economia del mondo in termini di parità di potere d’acquisto, superando addirittura il Giappone e la Germania, ha detto Putin, facendo riferimento a un recente rapporto della Banca mondiale: “Capiamo benissimo – ha detto il presidente – che le posizioni di leadership devono essere costantemente confermate e rafforzate. Anche gli altri Paesi non riposano sugli allori”.

Attualmente il tasso di sviluppo economico della Russia supera la media globale: nel primo trimestre del 2024 il prodotto interno lordo è aumentato del 5,4 per cento. “Alla fine dello scorso anno, come sapete, la crescita del PIL della Russia ammontava al 3,6 per cento. E a partire dal primo trimestre di quest’anno, è pari al 5,4 per cento. Vale a dire, i nostri ritmi di crescita superano la media globale. Soprattutto quando tali dinamiche sono determinate principalmente da industrie non di materie prime”, ha sottolineato il leader russo, aggiungendo che la Russia deve impegnarsi molto per garantire i tassi di crescita “elevati e stabili”, nonché la “qualità di questa crescita economica a lungo termine di tempo”.

Lo sviluppo delle produzioni interne russe prevede la continua riduzione della dipendenza del Paese dalle importazioni, la cui quota, secondo Putin, nell’economia russa dovrebbe scendere al 17% del PIL entro il 2030. Putin ha sottolineato la necessità urgente di garantire “la sovranità finanziaria, tecnologica e del personale” della Russia, aumentando anche la capacità produttiva e la competitività dei prodotti russi sia sui mercati internazionali, che su quello interno.

Gli scambi commerciali tra la Russia, la Cina e i Paesi asiatici nei quattro anni passati sono aumentati del 60 per cento

Nonostante tutti gli ostacoli politici, economici e finanziari, la cui quintessenza sono molte centinaia di “sanzioni illegittime”, la Russia rimane uno dei principali attori del commercio mondiale, sviluppando attivamente la logistica e ampliando di anno in anno la geografia della cooperazione. Il presidente russo ha notato che la Russia è riuscita a riorientare il proprio commercio con l’estero verso i cosiddetti “Paesi amici” con i quali attualmente avvengono “tre quarti di tutti gli scambi commerciali della Russia”. In particolare, nel periodo compreso tra il 2020 e il 2023, gli scambi commerciali di Mosca e Paesi asiatici con a capo la Cina, hanno dimostrato una crescita del 60 per cento. Inoltre, nel periodo indicato il commercio tra la Russia e i Paesi del Medio Oriente è raddoppiato. Sono in costante aumento (+69%) gli scambi con l’Africa e con i Paesi dell’America Latina (+42%).

La Russia dedica molta attenzione alle relazioni con le economie “in rapida crescita”, perché “a loro spetterà determinare il futuro dell’economia globale”. Putin ha aggiunto che la fiducia nei sistemi di pagamento occidentali è stata “completamente minata” dagli stessi Paesi occidentali. “A questo proposito – ha detto il presidente russo – voglio notare che l’anno scorso la quota di pagamenti per le esportazioni russe nelle cosiddette ‘valute tossiche’ di Stati ostili è stata dimezzata”. I Paesi del gruppo BRICS stanno sviluppando attivamente il loro sistema di pagamenti internazionali, che sia indipendente da quello “occidentale”. “I BRICS stanno lavorando alla formazione di un sistema di pagamento indipendente che non sia soggetto a pressioni politiche, abusi e interventi esterni”, ha detto Putin, secondo cui i “Paesi del mondo sono in corsa per rafforzare la loro sovranità”. Questo processo globale si svolge a tre livelli essenziali: quello statale, culturale ed economico. “Allo stesso tempo, i Paesi che hanno recentemente agito come leader e hanno trainato lo sviluppo globale stanno cercando con tutte le loro forze, sia buone che cattive, di mantenere un ruolo egemonico”, ha detto Putin, secondo cui “attualmente il mondo sta assistendo a una crescita tecnologica esplosiva, che sta cambiando tutti gli ambiti della vita umana”.

C’erano però anche alcuni accenni di politica internazionale, ed è sintomatico notare come vi siano stati presentati dai media mainstream italiani. I punti sia del 5 che del 7 giugno.

Putin e la minaccia nucleare: “Potremmo fornire missili che colpiscano Paesi NATO”.

Cosa ha detto in realtà? Noi stiamo considerando che, se qualcuno ritiene possibile fornire armi del genere in una zona di combattimento al fine di colpire il nostro territorio e di crearci problemi, allora perché mai noi non avremmo il diritto di fornire le nostre armi di tipo analogo nelle regioni del mondo da dove verranno attaccati obiettivi sensibili dei Paesi che stanno facendo la stessa cosa nei confronti della Russia? Ovvero la risposta potrebbe essere simmetrica. Ci penseremo.

Putin minaccia la NATO: “Non costringetemi a usare il nucleare”.

Cosa ha detto in realtà? Vediamo di riuscire non solo a evitare l’uso delle armi nucleari, ma anche a evitare le minacce di usarle. Per chissà quale ragione, in Occidente ritengono che la Russia non le userà mai; tuttavia, noi abbiamo la nostra dottrina nucleare. Andate a vedere cosa c’è scritto: se le azioni di qualcuno minacciano la nostra sovranità ed integrità territoriale, consideriamo legittimo utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione. Questa cosa non va presa alla leggera, con superficialità, va presa con serietà professionale. E spero sarà proprio questo il modo in cui tutti, nel mondo, affronteranno la soluzione dei problemi di questo tipo”.

La rabbia di Putin l’escluso: “Gli USA vogliono l’egemonia”.

Cosa ha detto in realtà? Dell’Ucraina, in realtà, non interessa niente a nessuno. S’interessano solo alla potenza degli Stati Uniti stessi, che non si battono né per l’Ucraina, né per il popolo ucraino, ma per la propria potenza e per la supremazia nel mondo. E non vogliono in nessun caso ammettere il successo della Russia perché ritengono che, in tal caso, a esserne danneggiata sarebbe la leadership USA.

Le parole sull’Ucraina ignorate dai media italiani.

Cosa ha detto in realtà? Tutti ritengono che sia stata la Russia a iniziare la guerra in Ucraina, ma nessuno, sottolineo nessuno in Occidente, in Europa, vuole ricordare com’è iniziata questa tragedia. E’ iniziata con un colpo di Stato in Ucraina, con un colpo di Stato incostituzionale: quello è stato l’inizio della guerra. E’ forse colpa della Russia se è avvenuto un colpo di Stato? No. E coloro che oggi tentano di accusare la Russia si sono forse scordati che i ministri degli esteri di Polonia, Germania e Francia sono andati a Kiev ad apporre la propria firma su un accordo per la risoluzione della crisi politica interna, assumendo il ruolo di garanti, così che la crisi dovesse concludersi in modo pacifico e in conformità alla costituzione? In Europa, Germania compresa, preferiscono non ricordarselo.


Nel quotidiano “la Repubblica” del 6 giugno, c’è un articolo dedicato ai concerti in programma per venerdì e sabato presso la Sala “Santa Cecilia” dell’Auditorium “Parco della Musica” a Roma, la cui orchestra, diretta dal maestro russo Turgan Sochiev, ha eseguito la Sinfonia N°7, “Leningrado”, celebre in tutto il mondo e frutto del genio del grande compositore sovietico Dmitrij Šostakovič.

In Italia si dovrebbe sapere che questa sinfonia rappresenta un richiamo diretto a uno degli episodi più funesti della Seconda Guerra Mondiale: l’assedio di Leningrado, messo in atto dal regime di Hitler e durato ben 872 giorni, che portò alla morte di quasi un milione di cittadini assolutamente innocenti, e che da solo assunse i tratti del più grave crimine di genocidio mai attuato nei confronti della popolazione dell’ex Unione Sovietica, e quindi di russi, bielorussi, ucraini, ebrei, e molti altri; un abominio paragonabile soltanto allo sterminio pianificato della popolazione ebraica d’Europa da parte dei nazisti. Nell’agosto del 1942, la Sinfonia venne eseguita nella Leningrado sotto assedio. Fu tale evento ad accentuarne l’importanza simbolica e a fare in modo che la Sinfonia andasse definitivamente ad occupare un posto speciale nella musica e nella cultura a livello mondiale.

A suscitare quindi particolare sconcerto e profonda indignazione sono state la grave mancanza di rispetto e l’empietà mostrate dalla Dirigenza dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dal giornalista del quotidiano “la Repubblica” Andrea Penna nel permettere che l’esecuzione in concerto della Sinfonia N°7 “Leningrado”, di Dmitrij Šostakovič, ovvero l’esecuzione di quello che è un monumento musicale perenne innalzato alla memoria degli eroi di Leningrado, sacro non solo per ogni russo, non solo per ogni abitante di San Pietroburgo, ma anche per un qualunque altro individuo dotato di buon senso, venisse presentata come un inno alla resistenza e alla lotta che il regime di Kiev sta portando avanti contro la Russia; un regime, quello di Kiev, che non solo si è autoproclamato apertamente “erede” dell’ideologia dei collaborazionisti nazisti Bandera e Šuchevič, ma che si è anche macchiato di orribili crimini nel corso della guerra che esso stesso ha scatenato nel 2014 contro la popolazione del Donbass.

L’autore del pezzo pubblicato su “la Repubblica” Andrea Penna e la Direzione di una così importante istituzione per la musica classica quale l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma sono consapevoli del fatto che con questo loro articolo dedicato all’evento, di fatto, hanno commesso una palese violazione delle più comuni norme etiche e professionali e che, di fatto, si sono espressi in difesa di principi ideologici la cui natura misantropica e la cui illegalità sono state riconosciute dal diritto internazionale a seguito del Processo di Norimberga, svoltosi tra il 1945 e il 1946?

Sarebbero quindi doverose delle scuse sia da parte della Direzione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che della testata giornalistica “la Repubblica” per aver consentito che venisse oltraggiata non soltanto la memoria degli abitanti di Leningrado, uccisi dai bombardamenti e morti di fame e stenti durante l’assedio nazista della città, ma anche quella di tutte le persone che rimasero vittime degli orrori del nazifascismo. Delle scuse che, ovviamente, non giungeranno mai.


La NATO prepara l’Europa alla guerra con la Russia.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ritiene che l’Unione europea si stia preparando a una guerra con la Russia sul territorio dell’Ucraina. La NATO sta esplorando le modalità per entrare in azione militare.

E nei media occidentali in questo momento si sta scatenando l’isteria, simile a quanto accaduto prima della Prima e della Seconda Guerra Mondiale.

Orbán lo grida quasi ogni giorno e non certo perché è in campagna elettorale, come i nostri politici. Speriamo che lo ascoltino e non faccia la fine di Cassandra.

L’Assemblea parlamentare della NATO chiede in un comunicato che le armi occidentali possano essere usate anche sul territorio russo. Secondo l’Ungheria ciò è pericoloso e potrebbe portare allo scoppio di una guerra mondiale!

Gli Stati membri dell’UE inviano munizioni, carri armati, aerei e sistemi missilistici all’Ucraina. Diversi leader europei vogliono inviare soldati europei in Ucraina. Diversi Stati membri stanno pianificando di reintrodurre o espandere la leva obbligatoria!

Chiedono all’Ungheria di fare lo stesso. Minacciano il nostro Paese affinché anche noi ungheresi mandiamo armi e soldati in Ucraina!

Tuttavia, la posizione del governo è immutata e chiara: non vogliamo inviare armi e non vogliamo che i giovani ungheresi prendano parte a questa guerra. Ci sono solo perdenti in questa guerra, nessuno può vincere questa guerra.

L’Ungheria vuole restare fuori da questa guerra! Invece di continuare la guerra, il governo ungherese chiede un cessate il fuoco immediato e l’avvio di negoziati di pace in tutti i forum internazionali!


Un’interessante intervista di Pëtr Tolstoj, pronipote dello scrittore e attualmente vice presidente della Duma, la camera bassa del parlamento russo. Parla un ineffabile francese, ve lo traduco, ma prima mi tolgo alcuni sassolini dalla scarpa. Qualcuno mi scriveva che non conoscevo Giulietto Chiesa. E’ falso, ma non ha nessuna importanza, importa invece che qualcuno per mancanza di argomenti la butta sul personale e in caciara.

E poi ho conosciuto anche Pëtr Tolstoj, quando faceva il conduttore di uno dei programmi politici più seguiti, Время покажет.

Ma non è di questo che volevo parlarvi. Ecco finalmente quest’ultima intervista. La Russia è il Paese più grande del mondo e dell’Europa. Un piccolo pezzetto d’Europa che si chiama Unione Europea rispetto alla Russia è una cacatina di mosca sulla cartina geografica. Dunque, ci spiace che oggi con i nostri vicini abbiamo simili relazioni. La Russia però resta un grande Paese. Vedete, quando i francesi chiedono dove si trovi la Jacuzia, io rispondo: sentite, come minimo non è corretto, perché sul territorio della Jacuzia possiamo piazzare tre volte la Francia. Gli jacuti, invece, non chiedono dove sia la Francia, sanno benissimo che la Francia è là dove deve essere. Insomma, bisogna studiare di più la geografia, questo aiuta molto a ragionare, per poi assumere decisioni nell’economia o in politica.


Per fortuna, è ricomparso Robert Fico. Per quel che vale, mi sento umanamente di fargli i miei migliori auguri di guarigione e che torni nello scenario politico.

Ho votato in ospedale, perché queste elezioni sono anche importanti. E’ necessario eleggere i membri del Parlamento europeo che sostengono le iniziative di pace e non la continuazione della guerra.

Il consenso dei Paesi occidentali, che hanno dato all’Ucraina la possibilità di usare armi occidentali per attaccare obiettivi sul territorio russo, è solo la prova che un gran numero di democrazie occidentali non vogliono la pace, ma aumentare le tensioni con la Federazione Russa, che certamente si verificheranno.

In qualità di primo ministro della Repubblica Slovacca, non trascinerò la Slovacchia in avventure militari di questo tipo, e nell’ambito delle nostre piccole possibilità slovacche, farò di tutto perché la pace abbia la precedenza sulla guerra.

Sembra di sentire Orbán, vero? D’altronde, vengono accusati entrambi di essere quasi parafascisti in quanto sovranisti e populisti. Ops, c’è un problema: Fico è socialdemocratico, come Scholz e Borrell. Beh, ma basta non dirlo, giusto?


In un ennesimo tentativo di fare pressione sulla Russia, Vladimir Zelenskij ha convocato un “Vertice di pace” a Bürgenstock, in Svizzera, il 15 e 16 giugno. Sono state invitate 160 delegazioni. La Russia, come è noto, non è stata invitata.

Zelenskij ha persino registrato un videomessaggio a Joe Biden e Xi Jinping, pregandoli di partecipare all’incontro in Svizzera.

Tuttavia, la comunità internazionale non vuole più negoziare senza la Russia.

I leader dei Paesi BRICS sono stati i primi ad esprimere il loro rifiuto a partecipare alla conferenza.

La Cina ha già risposto ai rimproveri di Zelenskij per il rifiuto di partecipare al vertice. Pechino “non ha mai soffiato sul fuoco e alimentato le fiamme della guerra russo-ucraina”, ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri Cinese Mao Ning.

Il Presidente Sudafricano Cyril Ramaphosa e il leader brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva hanno rifiutato di partecipare al vertice. A loro hanno fatto seguito l’Arabia Saudita e il Pakistan.

Il quotidiano indiano Hindustan Times ha riferito che anche il Primo Ministro e il Ministro degli Esteri Indiano ignoreranno l’incontro con Zelenskij.

Il Ministero degli Esteri Australiano ha confermato che il Paese sarà rappresentato al vertice sull’Ucraina in Svizzera non dal Primo Ministro, ma dal Ministro delle Assicurazioni per la Disabilità.

Per la Casa Bianca è molto più favorevole scaricare la responsabilità dell’esito del “Vertice di pace” sui leader europei. A quanto pare, nei prossimi giorni molti di loro annunceranno anche il loro rifiuto di partecipare a questo “spettacolo”, i cui costi hanno già superato gli 11 milioni di dollari.


Ecco come è stata presentata la celebrazione dello sbarco di Normandia degli alleati. Se a qualcuno fosse sfuggito, la Lombardia non ha sbocchi sul mare, nessuno ci può sbarcare. Infortuni giornalistici, capita, quando tutte le redazioni leggono la stessa velina senza studiare.

Inevitabile parlare delle elezioni europarlamentari, a caldo, con i risultati ancora parziali. Il continente europeo (poco più di dieci milioni di kmq) comprende l’Unione Europea (quattro milioni e rotti di kmq, il 42%) e la Russia europea (circa quattro milioni di kmq, il 40%). Bisognerebbe spiegarlo ai vari Borrell, Von Der Leyen, eccetera: non hanno diritto di parlare a nome dell’Europa. Forse che Gran Bretagna, Bielorussia, Svizzera, Norvegia non si trovano in Europa per il solo fatto di non far parte dell’UE?

Ci sono anche molte altre incongruenze. Per esempio, perché in Olanda si è già votato e si è votato solo giovedì 6 giugno, in Irlanda solo venerdì 7 giugno, nella Repubblica Ceca il 7 e l’8 giugno, in Lettonia, Slovacchia e Malta solo sabato 8 giugno, in Italia l’8 e il 9 giugno, e in tutti gli altri Stati-membri solo domenica 9 giugno? Non discuto, ma una regola dovrebbe essere una per tutti, no?

Perché in Belgio, Bulgaria, Grecia e Lussemburgo il voto è obbligatorio e in tutti gli altri facoltativo? Dovrebbe essere uguale per tutti, giusto?

Perché l’età minima per votare è di 16 anni in Austria, Belgio, Germania e Malta, di 17 in Grecia e di 18 in tutti gli altri? Da loro i giovani sedicenni sono più maturi?

Perché il voto postale e/o per corrispondenza alle europee esiste in Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Slovenia, Spagna, Svezia ed Ungheria, cioè in 16 Stati su 27, e non esiste invece in tutti gli altri, Italia compresa? Sì, lo so che a noi italiani all’estero molti vorrebbero toglierci il voto anche alle politiche nazionali, ed io ovviamente la ritengo una posizione fascistoide, ma non è questo il punto: se quella Europea fosse davvero un’Unione, allora le regole dovrebbero essere valide per tutti, non a discrezione.

E poi lo sbarramento, che a seconda dello Stato varia dallo 0 al 5,9% (in Italia il 4%). Per me manco ci dovrebbe essere, ma almeno stabilitene uno solo per tutti, no?

In secondo luogo, esiste una banale legge della statistica, che se viene condotta da dilettanti allo sbaraglio, io mangio un pollo e tu digiuni, per la statistica abbiamo mangiato mezzo pollo a testa. Sono abbastanza anziano da ricordare il 93% alle politiche italiane nel ’76, altro che percentuali bulgare. E alle europee del ’79 il 62%. Le percentuali si sono ridotte da quando, vent’anni fa esatti, nel 2004, sono entrati nell’UE tutti i Paesi dell’Europa orientale. Io negli anni ’80 e ’90, con i miei conoscenti dell’Europa occidentale, andavo orgoglioso della maggiore consapevolezza degli italiani. Ecco, ora siamo come tutti gli altri, veri europei.

In questi mesi, ho sentito i sondaggi più disparati. Per qualcuno l’affluenza doveva essere inferiore alla metà, per altri addirittura quasi di tre quarti degli aventi diritto. Fatto sta, nel 2019 era del 51%, stavolta è del 49%. Il punto non è questo. Intanto, tra quanti si astenevano, prevaleva il disinteresse, o un senso di desolazione. Stavolta, tra gli astenuti prevaleva il non voto cosciente di protesta, e tra chi ha votato, a maggior ragione, prevale comunque la consapevolezza.

La realtà dei fatti, al di là del prevedibile balletto, tutto italiano, del “ho vinto io”, “no, ho vinto io”, a caldo, ci dice che hanno vinto i guerrafondai filonazisti, e hanno perso i pacifisti antifascisti. Non così all’estero: per lo più (Francia, Germania, Austria), ha vinto la destra più becera, che però è contro l’invio di armi e per le trattative di pace. Attenzione: lo era anche la Meloni, fintanto che è stata all’opposizione.

A margine, noto che, come sempre, uniti si vince e divisi si perde. Se DSP e Santoro si fossero presentati insieme, magari anche per litigare il giorno dopo, avrebbero superato lo sbarramento, forse, molto forse. Ecco perché mi torna alla mente il gattopardo: cambiare tutto per non cambiare niente.

In Germania, per i socialdemocratici di Scholz è stata una vera e propria débacle, hanno praticamente dimezzato i voti, il peggior risultato in un secolo. La destra rappresenta soprattutto la delusione degli Ossi, dopo 25 anni di “riunificazione”, in realtà “annessione della Repubblica Democratica Tedesca alla RFT. Sahra Wagenknecht ha il 5,7%, con la Linke sarebbero arrivati all’8,3%. Così, invece, la Linke non supera lo sbarramento.

In Francia, la sinistra di Melenchon non è andata malissimo, 10,1%, ma nessuno ne parla. Con i comunisti, sarebbero arrivati al 12%, e quindi anche i comunisti sarebbero entrati in Parlamento. Ma anche in Francia, tutti disuniti appassionatamente.

In Ungheria, il centrodestra di Orbán, peraltro già al potere, ha confermato il suo risultato. Perché? Perché è contro la guerra e per le trattative di pace. In Slovacchia, i due Partiti socialdemocratici, già al potere, hanno confermato il loro risultato, ma insieme avrebbero avuto la maggioranza assoluta. Comunque, guardacaso, sono per la pace e contro la guerra.

Amarcord


Come promesso, su richiesta di vari iscritti al mio canale Telegram, avevo previsto di concludere con un mio amarcord di 35 anni fa.

Si sente spesso parlare di file nei Paesi socialisti. In Unione Sovietica, nella mia infanzia, non c’erano, comparvero solo negli anni ‘80, quando gradualmente lo stato sociale cominciò a degradare e sempre più prodotti iniziarono ad essere deficitari, anche se non si trattava per forza di quelli di prima necessità, a meno che non si voglia considerare tali un paio di jeans o un’audiocassetta. Il degrado portò poi alla caduta dell’Unione Sovietica, ma questo sarebbe un discorso molto lungo.

Nel 1969, a Mosca, mia madre mi chiese di scendere e comprare qualche braciola di maiale. Quello che mi faceva impressione è vedere ogni ben di dio in quantità industriali, per esempio degli enormi cubi di burro, da cui la commessa tagliava la quantità richiesta dall’acquirente con una lenza. Mi avvicinai alla macelleria e, dall’alto dei miei sette anni di età, chiesi con severità: la carne di maiale è fresca? Mi guardarono manco fossi sceso da Marte, e la commessa balbettò: sì… Va beh, me ne dia tre etti. Diceva mia madre che da allora le davano sempre la carne migliore, in quanto madre di quel bimbo strano.

Come detto, le file iniziarono negli anni ‘80, ma ero già maggiorenne. Nelle estati degli anni ‘70, in macchina con mio padre, partivamo da Roma e visitavamo tutti i cosiddetti Paesi del socialismo reale, anche perché in ciascuno mio padre aveva da salutare qualche suo compagno di università di Mosca, con cui aveva studiato negli anni ‘50. Mai visto una sola fila, non sapevo manco cosa fosse. Aggiungo che, più ci si avvicinava al confine col sedicente mondo capitalista, più il tenore di vita era di gran lunga superiore persino a Mosca, per non parlare dell’entroterra russo. Mi riferisco a Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, e soprattutto a Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca. L’Unione Sovietica aveva bisogno di mostrare, internamente ed esternamente, che col socialismo si vive meglio che col capitalismo, e per qualche decennio fu davvero così.

Però torniamo al concetto del fare la fila. In URSS se vedevi tre persone mettersi ordinatamente in fila, era probabile che stessero per vendere qualcosa che si faticava a trovare, al punto che prima ci si metteva in fila, e solo poi ci si informava cosa diavolo stessero per vendere. Osservare trenta persone in fila, ordinati, agli occidentali faceva impressione, e da qui il mito delle file di un Paese allo stremo. Le stesse trenta persone, a Roma o a Milano, al check-in aeroportuale, al botteghino del teatro, alle poste o in banca, assumevano il contorno di un dromedario che cercava di penetrare nella cruna di un ago. Gli italiani la fila proprio non la sanno fare, e se ne vantano. La situazione migliorò, ma non più di tanto, quando inventarono i numeretti e le cinghie di delimitazione.

Nel 1989, feci probabilmente le mie ferie più belle, in perfetta solitudine. Partii in auto da Montecatini, dove lavoravo all’epoca. Non volevo essere legato ai traghetti, quindi Trieste, in Jugoslavia la guerra non sapevano manco cosa fosse, Lubiana, Zagabria, Belgrado, Sarajevo, Skopje, Salonicco, Atene e finalmente il mare. Ero distrutto, avevo una Panda 30 a quattro marce con raffreddamento ad aria, che, lanciata a piena velocità, raggiungeva la ragguardevole velocità di 105 km orari, ma una settimana con la mia tenda piantata sulle coste marittime di un villaggio di pescatori di cui non ricordo più manco il nome, sotto Volos, dove non passava nessuna macchina, semplicemente perché lì la strada finiva, non c’era nessun posto dove andare, praticamente la fine del mondo in tutti i sensi, ne era valsa la pena.

Dopo una settimana, feci tutta una tirata fino a Norimberga, ma con una sosta forzata a Slavonski Brod, un posto che pochi anni dopo fu raso al suolo. Fui fermato dalla polstrada per eccesso di velocità. Chiesi quant’era, mi dissero 10.000 dinari (il cambio con la lira italiana era di uno a uno), più altri 5.000 perché non avevo la “I” di “Italia” appiccicata sul retro. Notai che non ero targato “MI”, “TO”, “NA”, “FI”, Roma la conoscono in tutto il mondo, ma va bene. Però quale limite di velocità? Mi dissero che era di 120. Il mio errore fu quello di spiegare loro che capivo un po’ di serbocroato, visto il mio russo, e gli proposi di mettersi alla guida: se fossero riusciti a superare i 120, avrei pagato doppio, in caso contrario dovevano lasciarmi andare gratis. Per tutta risposta, mi sferrarono un paio di pugni in pieno volto, testimoni non ce n’erano, loro erano pure armati, si presero i 15.000 dinari e senza ricevuta. Quando un mese dopo tornai in Italia, feci denuncia all’ambasciata jugoslava a Roma, che dopo qualche mese mi inviò una lettera di scuse in cui mi assicuravano che avevano preso provvedimenti nei confronti dei due poliziotti. Chissà.

Norimberga, dicevamo. Lì mi aspettavano una mia amica e collega padovana e suo marito, tedesco della RDT. Dopo qualche giorno, ripartii alla volta di Berlino. Loro erano stupiti: guarda che è lontano e un po’ fuori dal tuo percorso. Io però c’ero stato da bambino con mio padre, quasi non me la ricordavo, e me lo sentivo che ‘sta storia del muro non poteva durare ancora a lungo. Tre mesi dopo risultò che avevo ragione. Arrivato a Berlino Ovest, trovai un alberghetto di settima categoria. Mi faceva impressione la sporcizia per strada e vedere sfrecciare una marea di gipponi con le luci al neon con targhe militari statunitensi, con i loro soldati afroamericani in mimetica in cerca di qualche ragazza sprovveduta o professionista del sesso a pagamento.

La mattina dopo, parcheggiai e presi la metropolitana per recarmi a Berlino Est. Avevo acquistato una piantina, dove sembrava molto piccola: riportava solo le fermate occidentali. Mi colpì perché ogni tanto passavamo delle fermate senza fermarci, erano quelle della RDT, e viceversa. Ovviamente, a Berlino Est comprai un’altra piantina, stessa storia, come se “l’altra” non esistesse. Le più paradossali erano quelle che non appartenevano a nessuna delle due Germanie, uno strato uniforme di polvere spessa due dita sulle banchine e cartelloni pubblicitari scrostati di quando la Germania era una sola, forse addirittura del periodo nazista.

Giunto al confine di Stato, sempre in metropolitana, mi venne rilasciato immediatamente il visto giornaliero, era la pratica comune. Avevo il passaporto italiano, però nella foto avevo il barbone e i capelli lunghi, ed era pieno di visti di Paesi sospetti ed inquietanti, quelli appunto dei Paesi socialisti. In più, il mio luogo di nascita: Praga, Cecoslovacchia. Vedrai quanto mi romperanno le scatole, mi dissi. Invece, i poliziotti occidentali non batterono ciglio. Percorsi a piedi una decina di metri e mi presentai ai poliziotti orientali. Loro però mi romperanno le scatole, pensai. Invece, pure loro, come se niente fosse. Ero quasi deluso.

Dopo quanto visto a Berlino Ovest, quello Est mi sembrò un gioiellino: niente cartacce per strada, niente militari, né sovietici né, ovviamente, americani, una città che viveva in un’altra epoca. Mi sedetti ad un tavolino di marmo con sedie in vimini, tipo caffè austriaco, ed ordinai una birra, all’aria aperta. Dagli altoparlanti suonava musica classica. Poi decisi di entrare in un supermercato, giusto per curiosità. C’era ogni ben di dio, in abbondanza, e notai che molti prodotti erano gli stessi che nell’infanzia vedevo a Mosca. L’interscambio tra Paesi socialisti funzionava eccome.

Gironzolai ancora un po’, si stava facendo tardi, decisi di ritornare a Berlino Ovest. Adesso però i poliziotti dell’Est dovranno pur rompermi le scatole, no? Niente da fare, tutto come la mattina. Va beh, ormai è fatta, i poliziotti occidentali li passo tranquillo. Sorpresa! Mi hanno tenuto tre ore, sequestrandomi il passaporto. Io da giovane ero piuttosto avventato, dissi al poliziotto che ero un cittadino della Comunità Europea (l’Unione Europea ancora non esisteva) e che lui era un nazista, cosa che ai tedeschi pare non piaccia molto. Dopo tre ore, venne il suo capo col mio passaporto in mano. Lo sguardo diceva molto: se solo avesse trovato qualcosa a cui appigliarsi, non me l’avrebbe fatta passare liscia. Non ho trovato nulla, ma levati di torno, mi disse in un inglese addirittura più stentato del mio. Uscito dal metrò, una boccata di aria fresca. Recuperai il mio pandino e mi sbrigai a ripercorrere quella striscia di autostrada sotto sorveglianza armata ad ogni cavalcavia che collegava Berlino Ovest al resto della RFT.

Mica finisce qui. Da lì feci tutta una tirata fino a Parigi, dove però non mi fermai perché la conoscevo già molto bene e proseguii per i Paesi Baschi. C’era una mia amica del posto ad aspettarmi, conosciuta un anno prima ai corsi di inglese a Londra. Chissà come abbiamo fatto, visto che i cellulari non erano stati ancora inventati. Non ricordo, fatto sta che ci incontrammo in una piazza di Bilbao, assieme a suo fratello. Analogamente al “giro delle ombre” a Venezia, mi fece fare il giro di tutte le birrerie della città, in ciascuna dovevamo limitarci a bere un “surito”, un “sagutxoa” in lingua locale. Conoscendo il francese, intuii che fosse un “topolino”. Che roba è? Un bicchierino come quelli da vodka, ma con la birra locale, che è un po’ come la Peroni, quasi acqua fresca. La guardai con aria di sufficienza, abituato alla vodka. Niente di più sbagliato: provate voi a berne un mezzo centinaio. Non so come, verso le tre di notte, guidai fino al loro villaggio. Fatto sta che quella notte mi vomitai l’anima. La mattina dopo, il padre della mia amica mi chiese se a Bilbao non ci fossimo imbattuti in qualche problema. No, risposi, perché? Beh, c’era una manifestazione, bottiglie molotov, cariche, arresti, ma è un fenomeno quasi quotidiano. Visto nulla.

Dopo una settimana, feci tutta una tirata fino a Montecatini via Costa Azzurra. In tutto questo infinito viaggio di 6.000 km, era divertente notare come man mano cambiava la lingua nell’autoradio sulle onde FM, ma questo c’era anche in un film dell’epoca, ho solo avuto una conferma. Sono passati 35 anni, eppure sono dei ricordi indelebili.

Musica


Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Mosca, Sebastopoli, Rostov sul Don, Kaluga, Nižnij Novgorod, Soči, Alma Ata in Kazachstan, Saratov, Caterimburgo, Crimea, Udmurtia, Odessa, Čeljabinsk, Krasnodar, Smolensk.

La canzone si chiama Эх, путь-дорожка фронтовая, parla della strada per Berlino, sempre più attuale, pur essendo del 1945.

Per questa settimana è tutto. A risentirci e rivederci, sempre su Visione TV!

Trovate tutte le edizioni del notiziario (con il testo) in Blogspot.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

Rutube, Youtube e Flip News.

Ci trovate anche in Telegram (in italiano) e Телеграм (in russo).

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in rubli:

4211 7045 8356 7049 (Banca Intesa Russia)

2202 2023 9503 8031 (Sberbank)

Per donazioni (anonime) e sponsorizzazioni (pubbliche) in euro:

Correspondent bank: INTESA SANPAOLO SPA, MILAN

Swift: BCITITMM

Beneficiary Bank: 100100004730 BANCA INTESA 101000 MOSCOW RUSSIAN FEDERATION

SWIFT: KMBBRUMM

Beneficiary’s account number: 40817978800004524011

Beneficiary’s name: Bernardini Mark