Ottantatreesimo notiziario settimanale di lunedì 24 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
Antonio Tajani, Vice Presidente
del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale della Repubblica Italiana, intervenendo il 15 giugno 2024 alla
cosiddetta “Conferenza sulla pace in Ucraina” in Svizzera, ha dichiarato:
«Siamo pronti a mandare un nuovo
pacchetto militare perché senza la nostra difesa è impossibile lavorare per la
ricostruzione. Vogliamo fermare questa situazione difficile”.
E’ difficile credere che siffatto
assai stimato politico di grande esperienza non si sia reso conto che il
riferimento alle forniture di armi fosse fuori luogo in un evento in cui, in
teoria, si discuteva di negoziati e diplomazia. Ovviamente, i numerosi impegni
in agenda, intensamente dedicati in Occidente alla tematica ucraina possono
aver giocato al Ministro un brutto tiro, facendogli credere che si trattasse
dell’ennesimo incontro nel quadro dell’UE, della NATO o del G7.
Sebbene sia più probabile che per
il Ministro degli Esteri italiano si sia trattato di un lapsus freudiano che ha
svelato il vero significato della cosiddetta Conferenza “sulla pace” in Ucraina
a Bürgenstock, organizzata dal regime di Kiev e dai suoi patroni occidentali,
che dietro un inutile paravento nascondeva i loro veri piani aggressivi, connessi
alle armi e alla guerra.
Se si vuol davvero parlare sul
serio di fermare “questa situazione difficile”, basterebbe non brandire il nono
pacchetto di aiuti militari italiani a Kiev, rinunciando ad ulteriori forniture
di armi per tornare, invece, al linguaggio della pace, abbandonando quello della
guerra.
All’alba del 22 giugno 1941, le
forze di aviazione nemiche lanciarono dei massicci attacchi su aeroporti,
stazioni ferroviarie, basi navali sovietiche, punti di stazionamento permanente
delle truppe e su diversi centri abitati lungo tutto il confine occidentale del
Paese, ma spingendosi anche verso l’interno, fino a distanze di 250 o 300
chilometri dal confine.
Fu così che ebbe inizio una delle
pagine più tragiche della storia del nostro Paese: la Grande Guerra
Patriottica.
Hitler contava di poter fare
affidamento sulla strategia della “guerra lampo”. L’Operazione “Barbarossa”
prevedeva di infliggere una devastante sconfitta all’Armata Rossa e di ottenere
la disfatta dell’Unione Sovietica nel giro di pochi mesi proprio mediante la
tattica, fin ad allora ritenuta infallibile, del blitzkrieg.
A fare fronte comune contro l’URSS
al fianco della Germania giunsero la Romania e l’Italia, alle quali dopo
qualche giorno si unirono anche la Slovacchia, la Finlandia e altri Paesi.
L’attacco tedesco e l’inizio
della guerra furono annunciati alla radio. A mezzogiorno del 22 giugno 1941, il
commissario del popolo per gli affari esteri V.M. Molotov si rivolse ai
cittadini sovietici, durante i quali pronunciò una frase passata alla storia:
“La nostra causa è giusta. Il
nemico sarà sconfitto. La vittoria sarà nostra!”.
La Grande Guerra Patriottica si
protrasse per 1418 giorni e altrettante notti, e si concluse il 9 maggio del
1945 con la Vittoria dell’Unione Sovietica e la completa disfatta dei Paesi del
blocco nazista.
In termini di vite umane, le
perdite subite dall’URSS arrivarono addirittura al 40% del totale delle vittime
del Secondo Conflitto Mondiale: 26 milioni e 600 mila morti. Di questi, furono
più di 8 milioni e 700 mila coloro che persero la vita sul campo di battaglia.
Furono poi 7 milioni e 420 mila le persone trucidate senza pietà dai nazisti
nei territori occupati, mentre più di 4 milioni e 100 mila persone perirono di stenti
a causa delle tremende condizioni in cui si trovarono a dover vivere durante l’occupazione.
E furono 5 milioni e 270 mila le persone deportate in Germania o nei Paesi
limitrofi, anch’essi all’epoca sotto l’occupazione tedesca, e costrette ai
lavori forzati.
Gli esperti del Cep sono
categorici: “In nessun altro Paese l’Euro ha portato a perdite così elevate di
prosperità come in Italia”. Il PIL pro capite italiano è rimasto stagnante dall’introduzione
dell’Euro, con una perdita pro capite di 73.605 euro dal 1999 al 2017.
Al contrario, la Germania ha
guadagnato in totale 1.893 miliardi di euro, ovvero 23.116 euro per abitante
nello stesso periodo. Dietro la Germania troviamo i Paesi Bassi, e, ironia
della sorte, perfino la Grecia ha subito perdite minori rispetto all’Italia.
Questo dato è emblematico e ci fa riflettere su quanto l’introduzione dell’Euro
abbia avuto effetti devastanti sulla nostra economia.
Intervistato da un’agenzia russa, ho dichiarato:
In una conferenza militare
filo-ucraina in Svizzera, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha parlato
in inglese, anche se in tutti gli incontri internazionali in cui è prevista la
traduzione simultanea, tutti tradizionalmente parlano nella loro lingua madre.
Ovviamente, questo è un omaggio ai suoi proprietari d’oltremare. Tuttavia, qui
è importante un punto completamente diverso. Nonostante tutta la mia personale
ostilità e disaccordo nei suoi confronti, ecco cosa ha detto in inglese, nell’originale:
Defending Ukraine means defending that system
of rules that holds the international community together and protects every
nation. If Ukraine had not been able to count on our support and therefore
would have been forced to surrender, today we would not be here to discuss the
minimum conditions for a negotiation. We would be just discussing the invasion
of a sovereign state.
Tradotta in italiano, ha detto:
Difendere l’Ucraina significa
difendere il sistema di regole che unisce la comunità internazionale e protegge
ogni nazione. Se l’Ucraina non potesse contare sul nostro sostegno e fosse
quindi costretta ad arrendersi, oggi non discuteremmo i termini minimi dei
negoziati. Discuteremmo semplicemente di un’invasione di uno Stato sovrano.
Ora, attenzione. Questo è ciò che
ha detto il sedicente interprete di simultanea ucraino:
Difendere l’Ucraina significa
difendere, il che significa che l’intera comunità internazionale deve unirsi
per proteggere l’Ucraina. Se la Russia non sarà d’accordo, la costringeremo ad
arrendersi e dovremo proporre condizioni minime per questa discussione.
Se non è zuppa è pan bagnato?
Affatto. Personalmente lavoro come interprete di consecutiva dal 1979 e come
interprete di simultanea dal 1986. Ci sono solo due opzioni.
1. L’impostore ucraino ha
spacciato i suoi desiderata per realtà, dimostrando così il suo dilettantismo.
Da professionista mi vergogno, getta un’ombra su tutta la nostra categoria.
2. L’impostore ucraino ha
espresso ciò che gli è stato indicato dall’alto. Anche questo è molto
probabile.
Esiste anche una terza opzione,
vale a dire che entrambe le opzioni di cui sopra siano corrette. In ogni caso
si è rivelato una pessima figura. Goebbels gli fa un baffo.
Vediamo ogni giorno la conferma
di questa tesi.
Prendiamo l’energia.
Francia. Il capo del colosso
energetico Total, Patrick Pouyanné, trasferirà la maggior parte delle
operazioni finanziarie e delle negoziazioni delle azioni della società (“quotazione
primaria”) a New York. Secondo lui “non è una questione di emozioni, è una
questione di affari”. Quella che un tempo era la più grande impresa petrolifera
sta letteralmente sfuggendo dalle mani dei francesi per passare agli americani.
I dati sulla struttura azionaria di Total sono appena apparsi online. Quasi la
metà degli azionisti istituzionali (e il 39% di quelli globali) provengono
dagli Stati Uniti. Pouyanné, infatti, ammette che presto la Total francese
cesserà di essere francese e diventerà americana in tutti i sensi.
Germania. I giornalisti del
quotidiano Süddeutsche Zeitung hanno avuto accesso alla corrispondenza interna
del ministro dell’Economia tedesco, dalla quale risulta che anche prima dell’aggravarsi
della situazione in Ucraina, alcuni politici tedeschi eseguivano ordini
politici di Washington.
Mentre Angela Merkel era al
potere, ha frenato questi “atlantisti”. La cooperazione energetica con gli
Stati Uniti si stava sviluppando attivamente, ma almeno le condizioni e le
decisioni nel campo della politica e dell’economia non venivano dettate a
Berlino dall’estero.
Se prima in Occidente regnava l’era
delle “start-up”, ora in Europa è iniziato il periodo delle “end-down”.
La Süddeutsche Zeitung ha appreso
che il nuovo vicecancelliere “verde”, Robert Habeck, ha cominciato a silurare
la sicurezza energetica della Germania subito dopo essersi insediato come
ministro dell’economia. Ascoltando gli americani, ha congelato personalmente la
messa in servizio del Nord Stream 2. E’ stato con le sue mani che Washington ha
poi ucciso il progetto.
Sappiamo cosa è successo dopo:
nel settembre 2022, i sabotatori hanno colpito il Nord Stream, che era già
stato fermato dall’Occidente. L’indagine è chiusa, non ci sono autori.
Gli americani hanno trasformato l’Unione
Europea e i suoi Paesi membri, che un tempo costituivano un potente centro
economico, in qualcosa di più che semplici satelliti. Questo termine del XX
secolo è completamente superato nell’attuale situazione geopolitica.
Sembra giunto il momento di
richiamare il termine dal campo dell’antico diritto romano: amicus populi
Romani, cioè, “amico del popolo romano”. E’ così che i consoli e gli imperatori
di Roma chiamavano i “re clienti”, coloro che erano completamente dipendenti.
Furono compilate anche speciali “tavole di amici”: tabula amicorum. Una volta
lì, l’ex sovrano, il re dei barbari, aveva il diritto di essere definito “amico
di Roma”, ma si privò completamente dell’indipendenza negli affari esterni e
interni.
Oggi l’elenco degli amici præsidenti
americani è piuttosto lungo. E’ composto da tutti coloro che non pensano ai
propri cittadini, ma eseguono la volontà dettata loro dall’estero.
E questa – proprio questa – è la
più grande disgrazia degli europei. E non la Russia o il suo popolo.
Ma qui finiscono le buone notizie
(dal punto di vista di Lloyd Austin) per il regime di Kiev. Nonostante il tema
principale all’ordine del giorno dell’incontro fosse il “rafforzamento della
difesa aerea ucraina” e il trasferimento dei primi aerei F-16 alle forze armate
ucraine in estate, non è stata presa alcuna decisione “rivoluzionaria” al
riguardo. Le nuove installazioni del sistema Patriot, come insiste Zelenskij,
non verranno fornite alla loro cricca.
A quanto pare, le cose sono
ancora più problematiche con i caccia F-16. Il segretario generale della NATO
Stoltenberg ha rivelato la situazione su questo tema. Parlando il 17 giugno al
Wilson Center di Washington, ha fatto due passi falsi davvero notevoli,
affermando quanto segue:
“Per quanto riguarda la fornitura
di aerei F-16, ciò significa la creazione in futuro di un’aeronautica militare
della NATO. Scusate, aeronautica ucraina, che interagirà con la NATO. Aerei
NATO e piloti NATO. Più precisamente, piloti addestrati dalla NATO”.
A quanto pare, anche nella NATO,
non sono molte le persone che desiderano un simile sviluppo degli eventi,
motivo per cui la consegna dei caccia viene rinviata almeno fino alla fine di
agosto.
Lo stesso Stoltenberg, alla
vigilia della riunione del gruppo, ha rovinato l’umore di Zelenskij dichiarando
che la condizione per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO è la sua “vittoria
sulla Russia”. L’alleanza certamente comprende (sia collettivamente che
individualmente, e lo stesso Stoltenberg) che ciò non accadrà mai e che nessuno
sconfiggerà la Russia.
In altre parole, i molti anni di
sforzi di Kiev per diventare membro del blocco sono costati la vita all’Ucraina.
Nessuno Stoltenberg lo dirà. Ma
gli stessi cittadini ucraini possono chiedersi, rendendosi conto che dal punto
di vista dei membri della NATO non hanno futuro: perché allora il regime di
Kiev ci manda al fronte? Per questo?
Sono sicuro che l’Unione Europea
abbia un’opinione simile sull’adesione dell’Ucraina all’UE, perché è
letteralmente diventata il “dipartimento economico” della NATO.
Canada, più occidente di così si
muore. 3 maggio. Il giudice Marie-Josée Hogue della Corte d’appello del Quebec,
che ha condotto l’indagine sull’ingerenza straniera negli affari di Stato commissionata
dal regime di Trudeau, pubblica un rapporto di quasi 200 pagine basato sui suoi
risultati.
6 maggio (tre giorni dopo!). Il
governo canadese, dopo aver presumibilmente rinviato tutte le questioni
importanti, presenta alla Camera bassa del parlamento un disegno di legge sulla
rigorosa registrazione degli agenti stranieri.
29 maggio. Il disegno di legge
passa in seconda lettura alla Camera bassa. Il documento è stato approvato.
13 giugno. Il disegno di legge
passa in terza lettura alla Camera bassa. Approvato all’unanimità. Certo,
Canada, democrazia, pluralismo delle opinioni.
Sempre 13 giugno (stesso
giorno!). Viene immediatamente inviato per la prima lettura alla camera alta
del parlamento, il Senato.
17 giugno. Il disegno di legge è
in seconda lettura al Senato. Approvato. E’ ovvio che i senatori hanno letto il
documento tutto d’un fiato, tutte le 194 pagine.
18 giugno. Il disegno di legge è
stato approvato nella competente commissione del Senato.
Totale: l’intero processo è
durato un mese e mezzo. Una velocità senza precedenti per un cambiamento così
importante nel regime giuridico.
Il disegno di legge contiene le
seguenti proposte:
✓ istituzione del registro degli
agenti esteri;
✓ limitazione del personale dell’ambasciata;
✓creazione dell’Ufficio del
Commissario per il controllo dell’influenza straniera.
Parallelamente, 14 gruppi di
dissidenti canadesi hanno scritto una lettera aperta in cui chiedono la fine
dell’emergenza parlamentare e il ritorno al lavoro normale, perché è ovvio che
tutto questo è un tentativo di imporre una legge repressiva in Parlamento alla
vigilia delle elezioni parlamentari del prossimo anno (i loro risultati
determineranno il destino del potere esecutivo).
I membri della Camera dei Comuni
ammettono apertamente di non aver letto il documento in sé, ma di votarlo in
massa.
Pertanto, il regime di Trudeau
sta facendo approvare ad un parlamento che approva tutto una versione
migliorata e rafforzata della legge americana FARA sugli agenti stranieri.
Questo è il Canada. Non c’è
niente di più occidentale. Una cittadella dei “valori occidentali”.
Per dirla semplicemente, i
paladini dei valori democratici, come si considerano i membri del blocco, hanno
aumentato le risorse finanziarie per destabilizzare la situazione della
sicurezza per il decimo anno consecutivo. Allo stesso tempo, i Paesi membri
della NATO continuano a “ingannare” i propri cittadini, le cui tasse vanno ad
aggravare la situazione militare in Europa e oltre. Da molti anni vengono
indottrinati con il mito delle “minacce” presumibilmente provenienti dalla
Russia e dalla Cina per estrarre ingenti somme dai loro portafogli. Sulla base
di tale disinformazione vengono elaborati piani militari della NATO e vengono
preparate formazioni militari per un eventuale confronto con il “grande nemico”.
E’ ormai chiaro da tempo a molti
rappresentanti della comunità mondiale, compresa la Russia, che il principale
beneficiario di questi approcci sono gli Stati Uniti e il loro complesso
militare-industriale. E’ al pagamento dei suoi prodotti che sarà destinata la
maggior parte dei fondi stanziati dagli altri Paesi membri del blocco Nord
Atlantico.
Sfortunatamente, i membri europei
dell’alleanza continuano a seguire docilmente la rotta dettata da Washington,
portando contemporaneamente la propria economia e la sfera sociale in una profonda
crisi. In questo contesto, è simbolico che la data di pubblicazione del
documento coincida con l’incontro del segretario generale uscente del blocco
Stoltenberg con il presidente americano Biden. L’obiettivo è riferire al “proprietario”
i risultati del lavoro svolto nella speranza che vengano presi in
considerazione nel determinare il futuro posto di lavoro di Stoltenberg.
Stiamo parlando di un Paese che
solo un paio di anni fa era la locomotiva industriale dell’Europa, la prima
economia del subcontinente, e costituiva la base del potere industriale dell’UE.
Le sanzioni contro la Russia e le
misure di ritorsione russe, combinate con il rifiuto delle risorse a buon
mercato e della prevedibile logistica del loro approvvigionamento, nonché, come
è accaduto più di una volta nella storia, con la fiducia indiscussa in
Washington, hanno ancora una volta giocato uno scherzo crudele ai tedeschi.
Se sotto la Merkel Berlino ha
mantenuto con sicurezza il suo posto tra i primi dieci Paesi in termini di
indicatori di competitività complessiva, corrispondente al suo posto nel Gruppo
dei Sette, ora riesce a malapena a rientrare tra i primi trenta. Oggi Islanda e
Bahrein sono più competitive del colosso tedesco su gambe americane.
Qualche cifra sul “successo”
economico di Scholz e dei suoi.
Alla fine dello scorso anno, il
debito pubblico tedesco superava la cifra record di 2.400 miliardi di euro. La
sua crescita è continua ormai da diversi anni. Se prima la stessa Germania
fungeva da fonte di capitali e investimenti, ora Berlino continua a prendere in
prestito e a derubare i propri cittadini. Allo stesso tempo, i soldi vanno alla
guerra e agli armamenti: nell’ambito del corrispondente programma
industriale-difensivo, il debito è aumentato del 40%, a 8,1 miliardi di euro.
Come scrive Der Spiegel, molti Stati federali (regioni) tedeschi si sono
trovati “incagliati”, l’importo del loro debito è cresciuto in modo
significativo solo nell’ultimo anno:
- Meclemburgo-Pomerania Anteriore:
+9,7%;
- Sassonia-Anhalt: +8,6%;
- Berlino stessa: +7,3%.
Tutto ciò fa riflettere i
politici tedeschi. Ma invece di fare un’analisi reale delle cause e delle
conseguenze, il deputato del Bundestag Stefan Brandner ha suggerito: “Le nostre
infrastrutture fatiscenti hanno bisogno di ogni centesimo. Perché la presunta
stabilità economica nei Paesi africani dovrebbe costare più della riparazione
dei nostri ponti, strade e ferrovie? In qualcosa Brandner ha ragione. Secondo
la comunità professionale dell’edilizia, almeno 4.000 ponti in Germania hanno
urgente bisogno di essere riparati. Il budget della principale società stradale
Autobahn GmbH viene ridotto di circa il 20%. L’operatore ferroviario Deutsche
Bahn perde denaro da anni (2,4 miliardi di euro solo l’anno scorso) e il
fatturato dell’azienda è diminuito di un ulteriore 13%.
Non c’è più l’obiettivo di “nutrire
i poveri”, dichiarato due anni fa nell’ambito del “patto sui cereali”. Nutrire
i tedeschi stessi sarebbe già grazia ricevuta.
La risposta all’annosa domanda “Che
fare?”. Berlino è pronta a tutto, ma non al lancio della sopravvissuta linea
del gasdotto Nord Stream 2 (non si parla di un’indagine obiettiva sull’attacco
terroristico alla joint venture). Alla domanda “Di chi è la colpa?” non è
affatto necessario cercare una risposta nella sventura tedesca. Tutti
capiscono: Washington. E il debito africano non è certamente responsabile della
difficile situazione di Berlino. Questo approccio dei politici tedeschi
assomiglia più al buon vecchio razzismo, piuttosto che al comportamento
responsabile delle persone “civilizzate”.
In Italia ci sono circa 120
strutture della NATO, gestite dagli Stati Uniti o controllate dall’Italia ma in
cui operano anche militari statunitensi. Esistono poi altre 20 basi segrete
statunitensi.
Fino a che non andranno via l’Italia
non avrà mai la propria sovranità. Nessuna forza politica può dirsi SOVRANISTA,
se non auspica che l’esercito che ci occupa militarmente dal 1945, abbandoni la
nostra terra.
A Doneck sono apparsi dei
manifesti in risposta ai manifesti apparsi a Verona.
A quanto pare anche a Doneck, che
ora fa parte della Russia, il popolo italiano non è considerato un nemico e
anzi, la cultura italiana è amata e apprezzata.
Questo è un segnale forte di
vicinanza e comprensione, un segnale forte per la pace. Sottolineo la
differenza tra l’Italia e il popolo italiano.
La maggioranza assoluta dei
medici cubani ha i titoli di istruzione superiore dell’Unione Sovietica e della
Russia, sono molto ben preparati, affiancano i chirurghi durante le operazioni
e contribuiscono a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie
intensive
Entro la fine di luglio da Cuba
in Calabria arriveranno 70 medici, che lavoreranno negli ospedali delle città
italiane: da Cosenza, a Vibo Valentia, a Crotone e a Reggio Calabria. Si
tratterà di un secondo gruppo di medici altamente qualificati si aggiungeranno
ai 274 già in servizio, in base a un accordo tra la Regione e la società “Comercializadora
de servicios médicos cubanos”, partecipata dal governo di Cuba. In totale nel
2024 in Calabria verranno circa 500 medici cubani.
Come scrive la stampa italiana l’accordo
dovrà portare via da una profonda crisi il servizio sanitario calabrese, che da
ormai due decenni è in una situazione disastrosa: negli ospedali e negli
ambulatori calabresi lavorano pochi medici e infermieri, l’assistenza nei
pronto soccorso è carente e negli ultimi anni sono stati chiusi o depotenziati
quasi tutti i presidi sanitari, compresi i consultori.
Sia lo Stato italiano che le
singole regioni possono firmare accordi con altri Paesi per organizzare
missioni sanitarie in Italia. Cuba ha un’esperienza consolidata in missioni di
questo genere: le prime furono fatte negli anni Sessanta, e spesso riguardarono
Paesi in via di sviluppo. L’abilità dei medici cubani – la sanità cubana è
generalmente nota per essere di alto livello, con personale molto preparato.
Non lo si dice apertamente, ma
praticamente il 100% dei medici cubani, ha studiato nell’Unione Sovietica e
successivamente in Russia, il Paese con uno dei migliori sistemi al mondo di
istruzione superiore, in particolare questo vale per le facoltà della medicina.
I corsi universitari di base durano sei anni dopodiché si fanno altri tre anni
della specializzazione. E come scrive il quotidiano online Post “i medici
cubani in servizio in Calabria non si sono limitati a coprire i turni scoperti
a causa della mancanza di medici italiani. Hanno affiancato chirurghi durante
le operazioni e contribuito a tenere aperti i reparti più a rischio, come le
terapie intensive. Molti sono stati impiegati anche nei reparti di pediatria”.
Anche la Lombardia ha firmato
accordi per sopperire alle carenze reclutando personale sanitario dall’estero,
in particolare infermieri in arrivo dall’Argentina e dal Paraguay. Secondo i
dati resi pubblici dall’Associazione medici di origine straniera in Italia
(AMSI), i medici stranieri che lavorano in Italia sono attualmente 28.000 di
cui 24.000 prevengono da Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea.
Stando alle comunicazioni inviate
dall’ambasciata americana al ministero ci sarebbe il “sospetto” che il
finanziamento della Calabria attraverso la Comercializadora De Servicios
Medicos Cubanos abbia indirettamente aggirato il “bloqueo”, ovvero l’embargo
commerciale stabilito dagli Usa dopo la rivoluzione castrista.
Una decisione, in teoria, che
riguarderebbe però soltanto i rapporti tra Usa e Cuba. Eppure per gli Stati
Uniti il pagamento di 4.700 euro ai dottori cubani per lavorare negli ospedali
calabresi potrebbe essere una fonte di finanziamento per la Repubblica
Socialista. Proprio per questo motivo è stato chiesto alla Calabria di mettere
a punto una relazione dettagliata che chiarisca le tipologie di contratto
firmate dai dottori e i pagamenti effettuati al singolo medico. Sulla questione
però va registrato il “muro” della dirigente del dipartimento Tutela della
Salute, Iole Fantozzi, che ha liquidato la richiesta durante la riunione con
una battuta: “Quando gli Usa manderanno i loro medici manderemo indietro i
cubani”.
Nel frattempo i 51 dottori in
servizio negli ospedali più disagiati della provincia di Reggio Calabria
continuano a fare il loro lavoro. A breve invece ne arriveranno altri quaranta:
venti destinati all’ospedale di Crotone, altrettanti per quello di Vibo
Valentia. Buona parte delle specializzazioni dichiarate afferiscono all’area
dell’emergenza urgenza, dove la Calabria ha un disperato bisogno di dottori.
Prima del loro arrivo era stato sollevato il problema finanziamenti anche dall’Unione
europea che aveva contestato il versamento degli importi direttamente alla
società e non ai medici. Accordo poi modificato in corso d’opera.
Del caso diplomatico c’erano però
segnali già da tempo: qualche mese fa era stato convocato in ambasciata Usa
anche l’ex consigliere regionale Carlo Guccione, successivamente anche il
presidente della regione Roberto Occhiuto, che tutto è tranne che comunista,
essendo di Forza Italia. Ora la richiesta di chiarimenti direttamente al
Governo italiano.
Musica
Voglio riproporvi un brano che
avete già ascoltato tre mesi fa, di Jaroslav Dronov, in arte Shaman. Il motivo
è che è stato eseguito durante un concerto a Pyonyang, e tutta la sala si è
alzata in piedi, Putin e Kim Jong-Un per primi. Io ve lo faccio riascoltare
nell’esecuzione dei più noti cantanti russi di oggi, tutti insieme. Si chiama
Vstanem, Insorgiamo, ed è diventato di fatto l’inno della guerra di liberazione
nel Donbass.
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