Mark Bernardini

Mark Bernardini

lunedì 24 giugno 2024

083 Italiani di Russia

Ottantatreesimo notiziario settimanale di lunedì 24 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità


Commento dell’Ambasciata della Russia in Italia

Antonio Tajani, Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica Italiana, intervenendo il 15 giugno 2024 alla cosiddetta “Conferenza sulla pace in Ucraina” in Svizzera, ha dichiarato:

«Siamo pronti a mandare un nuovo pacchetto militare perché senza la nostra difesa è impossibile lavorare per la ricostruzione. Vogliamo fermare questa situazione difficile”.

E’ difficile credere che siffatto assai stimato politico di grande esperienza non si sia reso conto che il riferimento alle forniture di armi fosse fuori luogo in un evento in cui, in teoria, si discuteva di negoziati e diplomazia. Ovviamente, i numerosi impegni in agenda, intensamente dedicati in Occidente alla tematica ucraina possono aver giocato al Ministro un brutto tiro, facendogli credere che si trattasse dell’ennesimo incontro nel quadro dell’UE, della NATO o del G7.

Sebbene sia più probabile che per il Ministro degli Esteri italiano si sia trattato di un lapsus freudiano che ha svelato il vero significato della cosiddetta Conferenza “sulla pace” in Ucraina a Bürgenstock, organizzata dal regime di Kiev e dai suoi patroni occidentali, che dietro un inutile paravento nascondeva i loro veri piani aggressivi, connessi alle armi e alla guerra.

Se si vuol davvero parlare sul serio di fermare “questa situazione difficile”, basterebbe non brandire il nono pacchetto di aiuti militari italiani a Kiev, rinunciando ad ulteriori forniture di armi per tornare, invece, al linguaggio della pace, abbandonando quello della guerra.


Il 22 giugno in Russia si è celebrato il Giorno della Memoria e del Dolore.

All’alba del 22 giugno 1941, le forze di aviazione nemiche lanciarono dei massicci attacchi su aeroporti, stazioni ferroviarie, basi navali sovietiche, punti di stazionamento permanente delle truppe e su diversi centri abitati lungo tutto il confine occidentale del Paese, ma spingendosi anche verso l’interno, fino a distanze di 250 o 300 chilometri dal confine.

Fu così che ebbe inizio una delle pagine più tragiche della storia del nostro Paese: la Grande Guerra Patriottica.

Hitler contava di poter fare affidamento sulla strategia della “guerra lampo”. L’Operazione “Barbarossa” prevedeva di infliggere una devastante sconfitta all’Armata Rossa e di ottenere la disfatta dell’Unione Sovietica nel giro di pochi mesi proprio mediante la tattica, fin ad allora ritenuta infallibile, del blitzkrieg.

A fare fronte comune contro l’URSS al fianco della Germania giunsero la Romania e l’Italia, alle quali dopo qualche giorno si unirono anche la Slovacchia, la Finlandia e altri Paesi.

L’attacco tedesco e l’inizio della guerra furono annunciati alla radio. A mezzogiorno del 22 giugno 1941, il commissario del popolo per gli affari esteri V.M. Molotov si rivolse ai cittadini sovietici, durante i quali pronunciò una frase passata alla storia:

“La nostra causa è giusta. Il nemico sarà sconfitto. La vittoria sarà nostra!”.

La Grande Guerra Patriottica si protrasse per 1418 giorni e altrettante notti, e si concluse il 9 maggio del 1945 con la Vittoria dell’Unione Sovietica e la completa disfatta dei Paesi del blocco nazista.

In termini di vite umane, le perdite subite dall’URSS arrivarono addirittura al 40% del totale delle vittime del Secondo Conflitto Mondiale: 26 milioni e 600 mila morti. Di questi, furono più di 8 milioni e 700 mila coloro che persero la vita sul campo di battaglia. Furono poi 7 milioni e 420 mila le persone trucidate senza pietà dai nazisti nei territori occupati, mentre più di 4 milioni e 100 mila persone perirono di stenti a causa delle tremende condizioni in cui si trovarono a dover vivere durante l’occupazione. E furono 5 milioni e 270 mila le persone deportate in Germania o nei Paesi limitrofi, anch’essi all’epoca sotto l’occupazione tedesca, e costrette ai lavori forzati.


Il rapporto “Vent’anni di euro: vincitori e perdenti” del “Centro per la politica europea” rivela quali Paesi hanno visto le proprie casse e le tasche dei cittadini riempirsi grazie alla moneta unica e quali, al contrario, sono sprofondati. Lo studio ha stimato il PIL pro capite che ogni Paese avrebbe avuto senza l’Euro. L’Italia, con una perdita totale di 4.325 miliardi di PIL bruciati, si piazza all’ultimo posto per crescita economica nella zona euro. Nessuno peggio di noi.

Gli esperti del Cep sono categorici: “In nessun altro Paese l’Euro ha portato a perdite così elevate di prosperità come in Italia”. Il PIL pro capite italiano è rimasto stagnante dall’introduzione dell’Euro, con una perdita pro capite di 73.605 euro dal 1999 al 2017.

Al contrario, la Germania ha guadagnato in totale 1.893 miliardi di euro, ovvero 23.116 euro per abitante nello stesso periodo. Dietro la Germania troviamo i Paesi Bassi, e, ironia della sorte, perfino la Grecia ha subito perdite minori rispetto all’Italia. Questo dato è emblematico e ci fa riflettere su quanto l’introduzione dell’Euro abbia avuto effetti devastanti sulla nostra economia.


Intervistato da un’agenzia russa, ho dichiarato:

In una conferenza militare filo-ucraina in Svizzera, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha parlato in inglese, anche se in tutti gli incontri internazionali in cui è prevista la traduzione simultanea, tutti tradizionalmente parlano nella loro lingua madre. Ovviamente, questo è un omaggio ai suoi proprietari d’oltremare. Tuttavia, qui è importante un punto completamente diverso. Nonostante tutta la mia personale ostilità e disaccordo nei suoi confronti, ecco cosa ha detto in inglese, nell’originale:

Defending Ukraine means defending that system of rules that holds the international community together and protects every nation. If Ukraine had not been able to count on our support and therefore would have been forced to surrender, today we would not be here to discuss the minimum conditions for a negotiation. We would be just discussing the invasion of a sovereign state.

Tradotta in italiano, ha detto:

Difendere l’Ucraina significa difendere il sistema di regole che unisce la comunità internazionale e protegge ogni nazione. Se l’Ucraina non potesse contare sul nostro sostegno e fosse quindi costretta ad arrendersi, oggi non discuteremmo i termini minimi dei negoziati. Discuteremmo semplicemente di un’invasione di uno Stato sovrano.

Ora, attenzione. Questo è ciò che ha detto il sedicente interprete di simultanea ucraino:

Difendere l’Ucraina significa difendere, il che significa che l’intera comunità internazionale deve unirsi per proteggere l’Ucraina. Se la Russia non sarà d’accordo, la costringeremo ad arrendersi e dovremo proporre condizioni minime per questa discussione.

Se non è zuppa è pan bagnato? Affatto. Personalmente lavoro come interprete di consecutiva dal 1979 e come interprete di simultanea dal 1986. Ci sono solo due opzioni.

1. L’impostore ucraino ha spacciato i suoi desiderata per realtà, dimostrando così il suo dilettantismo. Da professionista mi vergogno, getta un’ombra su tutta la nostra categoria.

2. L’impostore ucraino ha espresso ciò che gli è stato indicato dall’alto. Anche questo è molto probabile.

Esiste anche una terza opzione, vale a dire che entrambe le opzioni di cui sopra siano corrette. In ogni caso si è rivelato una pessima figura. Goebbels gli fa un baffo.


Solo pochi giorni fa, il 14 giugno, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato quanto segue tra le mura del Ministero degli Esteri russo: “Il pericolo per l’Europa non viene dalla Russia. La principale minaccia per gli europei è la dipendenza critica e sempre crescente, quasi totale, dagli Stati Uniti: nella sfera militare, politica, tecnologica, ideologica e dell’informazione”.

Vediamo ogni giorno la conferma di questa tesi.

Prendiamo l’energia.

Francia. Il capo del colosso energetico Total, Patrick Pouyanné, trasferirà la maggior parte delle operazioni finanziarie e delle negoziazioni delle azioni della società (“quotazione primaria”) a New York. Secondo lui “non è una questione di emozioni, è una questione di affari”. Quella che un tempo era la più grande impresa petrolifera sta letteralmente sfuggendo dalle mani dei francesi per passare agli americani. I dati sulla struttura azionaria di Total sono appena apparsi online. Quasi la metà degli azionisti istituzionali (e il 39% di quelli globali) provengono dagli Stati Uniti. Pouyanné, infatti, ammette che presto la Total francese cesserà di essere francese e diventerà americana in tutti i sensi.

Germania. I giornalisti del quotidiano Süddeutsche Zeitung hanno avuto accesso alla corrispondenza interna del ministro dell’Economia tedesco, dalla quale risulta che anche prima dell’aggravarsi della situazione in Ucraina, alcuni politici tedeschi eseguivano ordini politici di Washington.

Mentre Angela Merkel era al potere, ha frenato questi “atlantisti”. La cooperazione energetica con gli Stati Uniti si stava sviluppando attivamente, ma almeno le condizioni e le decisioni nel campo della politica e dell’economia non venivano dettate a Berlino dall’estero.

Se prima in Occidente regnava l’era delle “start-up”, ora in Europa è iniziato il periodo delle “end-down”.

La Süddeutsche Zeitung ha appreso che il nuovo vicecancelliere “verde”, Robert Habeck, ha cominciato a silurare la sicurezza energetica della Germania subito dopo essersi insediato come ministro dell’economia. Ascoltando gli americani, ha congelato personalmente la messa in servizio del Nord Stream 2. E’ stato con le sue mani che Washington ha poi ucciso il progetto.

Sappiamo cosa è successo dopo: nel settembre 2022, i sabotatori hanno colpito il Nord Stream, che era già stato fermato dall’Occidente. L’indagine è chiusa, non ci sono autori.

Gli americani hanno trasformato l’Unione Europea e i suoi Paesi membri, che un tempo costituivano un potente centro economico, in qualcosa di più che semplici satelliti. Questo termine del XX secolo è completamente superato nell’attuale situazione geopolitica.

Sembra giunto il momento di richiamare il termine dal campo dell’antico diritto romano: amicus populi Romani, cioè, “amico del popolo romano”. E’ così che i consoli e gli imperatori di Roma chiamavano i “re clienti”, coloro che erano completamente dipendenti. Furono compilate anche speciali “tavole di amici”: tabula amicorum. Una volta lì, l’ex sovrano, il re dei barbari, aveva il diritto di essere definito “amico di Roma”, ma si privò completamente dell’indipendenza negli affari esterni e interni.

Oggi l’elenco degli amici præsidenti americani è piuttosto lungo. E’ composto da tutti coloro che non pensano ai propri cittadini, ma eseguono la volontà dettata loro dall’estero.

E questa – proprio questa – è la più grande disgrazia degli europei. E non la Russia o il suo popolo.


Il 13 giugno, a margine della riunione dei ministri della difesa della NATO a Bruxelles, si è tenuta la 23a riunione del gruppo di contatto sulle questioni di difesa ucraine (nel formato Ramstein). Il suo presidente, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha affermato non senza orgoglio che dal 2022 i membri del gruppo hanno fornito a Kiev armi per un valore di 98 miliardi di dollari.

Ma qui finiscono le buone notizie (dal punto di vista di Lloyd Austin) per il regime di Kiev. Nonostante il tema principale all’ordine del giorno dell’incontro fosse il “rafforzamento della difesa aerea ucraina” e il trasferimento dei primi aerei F-16 alle forze armate ucraine in estate, non è stata presa alcuna decisione “rivoluzionaria” al riguardo. Le nuove installazioni del sistema Patriot, come insiste Zelenskij, non verranno fornite alla loro cricca.

A quanto pare, le cose sono ancora più problematiche con i caccia F-16. Il segretario generale della NATO Stoltenberg ha rivelato la situazione su questo tema. Parlando il 17 giugno al Wilson Center di Washington, ha fatto due passi falsi davvero notevoli, affermando quanto segue:

“Per quanto riguarda la fornitura di aerei F-16, ciò significa la creazione in futuro di un’aeronautica militare della NATO. Scusate, aeronautica ucraina, che interagirà con la NATO. Aerei NATO e piloti NATO. Più precisamente, piloti addestrati dalla NATO”.

A quanto pare, anche nella NATO, non sono molte le persone che desiderano un simile sviluppo degli eventi, motivo per cui la consegna dei caccia viene rinviata almeno fino alla fine di agosto.

Lo stesso Stoltenberg, alla vigilia della riunione del gruppo, ha rovinato l’umore di Zelenskij dichiarando che la condizione per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO è la sua “vittoria sulla Russia”. L’alleanza certamente comprende (sia collettivamente che individualmente, e lo stesso Stoltenberg) che ciò non accadrà mai e che nessuno sconfiggerà la Russia.

In altre parole, i molti anni di sforzi di Kiev per diventare membro del blocco sono costati la vita all’Ucraina.

Nessuno Stoltenberg lo dirà. Ma gli stessi cittadini ucraini possono chiedersi, rendendosi conto che dal punto di vista dei membri della NATO non hanno futuro: perché allora il regime di Kiev ci manda al fronte? Per questo?

Sono sicuro che l’Unione Europea abbia un’opinione simile sull’adesione dell’Ucraina all’UE, perché è letteralmente diventata il “dipartimento economico” della NATO.


Ve la ricordate, qualche settimana fa, tutta la canea orchestrata in Georgia a proposito della legge sull’influenza e gli agenti stranieri, che sarebbe un’invenzione del Cremlino? Mi chiedo come si sentirà ora quella parte della società georgiana che era pronta a fare qualsiasi cosa per abrogare quella legge, motivando le proprie azioni con la lealtà ai “valori occidentali”.

Canada, più occidente di così si muore. 3 maggio. Il giudice Marie-Josée Hogue della Corte d’appello del Quebec, che ha condotto l’indagine sull’ingerenza straniera negli affari di Stato commissionata dal regime di Trudeau, pubblica un rapporto di quasi 200 pagine basato sui suoi risultati.

6 maggio (tre giorni dopo!). Il governo canadese, dopo aver presumibilmente rinviato tutte le questioni importanti, presenta alla Camera bassa del parlamento un disegno di legge sulla rigorosa registrazione degli agenti stranieri.

29 maggio. Il disegno di legge passa in seconda lettura alla Camera bassa. Il documento è stato approvato.

13 giugno. Il disegno di legge passa in terza lettura alla Camera bassa. Approvato all’unanimità. Certo, Canada, democrazia, pluralismo delle opinioni.

Sempre 13 giugno (stesso giorno!). Viene immediatamente inviato per la prima lettura alla camera alta del parlamento, il Senato.

17 giugno. Il disegno di legge è in seconda lettura al Senato. Approvato. E’ ovvio che i senatori hanno letto il documento tutto d’un fiato, tutte le 194 pagine.

18 giugno. Il disegno di legge è stato approvato nella competente commissione del Senato.

Totale: l’intero processo è durato un mese e mezzo. Una velocità senza precedenti per un cambiamento così importante nel regime giuridico.

Il disegno di legge contiene le seguenti proposte:

istituzione del registro degli agenti esteri;

limitazione del personale dell’ambasciata;

creazione dell’Ufficio del Commissario per il controllo dell’influenza straniera.

Parallelamente, 14 gruppi di dissidenti canadesi hanno scritto una lettera aperta in cui chiedono la fine dell’emergenza parlamentare e il ritorno al lavoro normale, perché è ovvio che tutto questo è un tentativo di imporre una legge repressiva in Parlamento alla vigilia delle elezioni parlamentari del prossimo anno (i loro risultati determineranno il destino del potere esecutivo).

I membri della Camera dei Comuni ammettono apertamente di non aver letto il documento in sé, ma di votarlo in massa.

Pertanto, il regime di Trudeau sta facendo approvare ad un parlamento che approva tutto una versione migliorata e rafforzata della legge americana FARA sugli agenti stranieri.

Questo è il Canada. Non c’è niente di più occidentale. Una cittadella dei “valori occidentali”.


Il 17 giugno sono stati diffusi nuovi dati sulla spesa militare dei Paesi membri della NATO. Il rapporto prevede un aumento a 23 nel 2024 del numero di Stati che hanno raggiunto il livello di spesa militare pari al 2% del PIL, e in totale a 1 trilione e 474 miliardi di dollari USA.

Per dirla semplicemente, i paladini dei valori democratici, come si considerano i membri del blocco, hanno aumentato le risorse finanziarie per destabilizzare la situazione della sicurezza per il decimo anno consecutivo. Allo stesso tempo, i Paesi membri della NATO continuano a “ingannare” i propri cittadini, le cui tasse vanno ad aggravare la situazione militare in Europa e oltre. Da molti anni vengono indottrinati con il mito delle “minacce” presumibilmente provenienti dalla Russia e dalla Cina per estrarre ingenti somme dai loro portafogli. Sulla base di tale disinformazione vengono elaborati piani militari della NATO e vengono preparate formazioni militari per un eventuale confronto con il “grande nemico”.

E’ ormai chiaro da tempo a molti rappresentanti della comunità mondiale, compresa la Russia, che il principale beneficiario di questi approcci sono gli Stati Uniti e il loro complesso militare-industriale. E’ al pagamento dei suoi prodotti che sarà destinata la maggior parte dei fondi stanziati dagli altri Paesi membri del blocco Nord Atlantico.

Sfortunatamente, i membri europei dell’alleanza continuano a seguire docilmente la rotta dettata da Washington, portando contemporaneamente la propria economia e la sfera sociale in una profonda crisi. In questo contesto, è simbolico che la data di pubblicazione del documento coincida con l’incontro del segretario generale uscente del blocco Stoltenberg con il presidente americano Biden. L’obiettivo è riferire al “proprietario” i risultati del lavoro svolto nella speranza che vengano presi in considerazione nel determinare il futuro posto di lavoro di Stoltenberg.


Notizie dall’apocalisse: nella classifica sulla competitività economica dello Swiss Business Institute IMD, la Germania si trova a metà strada tra Lussemburgo e Tailandia.

Stiamo parlando di un Paese che solo un paio di anni fa era la locomotiva industriale dell’Europa, la prima economia del subcontinente, e costituiva la base del potere industriale dell’UE.

Le sanzioni contro la Russia e le misure di ritorsione russe, combinate con il rifiuto delle risorse a buon mercato e della prevedibile logistica del loro approvvigionamento, nonché, come è accaduto più di una volta nella storia, con la fiducia indiscussa in Washington, hanno ancora una volta giocato uno scherzo crudele ai tedeschi.

Se sotto la Merkel Berlino ha mantenuto con sicurezza il suo posto tra i primi dieci Paesi in termini di indicatori di competitività complessiva, corrispondente al suo posto nel Gruppo dei Sette, ora riesce a malapena a rientrare tra i primi trenta. Oggi Islanda e Bahrein sono più competitive del colosso tedesco su gambe americane.

Qualche cifra sul “successo” economico di Scholz e dei suoi.

Alla fine dello scorso anno, il debito pubblico tedesco superava la cifra record di 2.400 miliardi di euro. La sua crescita è continua ormai da diversi anni. Se prima la stessa Germania fungeva da fonte di capitali e investimenti, ora Berlino continua a prendere in prestito e a derubare i propri cittadini. Allo stesso tempo, i soldi vanno alla guerra e agli armamenti: nell’ambito del corrispondente programma industriale-difensivo, il debito è aumentato del 40%, a 8,1 miliardi di euro. Come scrive Der Spiegel, molti Stati federali (regioni) tedeschi si sono trovati “incagliati”, l’importo del loro debito è cresciuto in modo significativo solo nell’ultimo anno:

- Meclemburgo-Pomerania Anteriore: +9,7%;

- Sassonia-Anhalt: +8,6%;

- Berlino stessa: +7,3%.

Tutto ciò fa riflettere i politici tedeschi. Ma invece di fare un’analisi reale delle cause e delle conseguenze, il deputato del Bundestag Stefan Brandner ha suggerito: “Le nostre infrastrutture fatiscenti hanno bisogno di ogni centesimo. Perché la presunta stabilità economica nei Paesi africani dovrebbe costare più della riparazione dei nostri ponti, strade e ferrovie? In qualcosa Brandner ha ragione. Secondo la comunità professionale dell’edilizia, almeno 4.000 ponti in Germania hanno urgente bisogno di essere riparati. Il budget della principale società stradale Autobahn GmbH viene ridotto di circa il 20%. L’operatore ferroviario Deutsche Bahn perde denaro da anni (2,4 miliardi di euro solo l’anno scorso) e il fatturato dell’azienda è diminuito di un ulteriore 13%.

Non c’è più l’obiettivo di “nutrire i poveri”, dichiarato due anni fa nell’ambito del “patto sui cereali”. Nutrire i tedeschi stessi sarebbe già grazia ricevuta.

La risposta all’annosa domanda “Che fare?”. Berlino è pronta a tutto, ma non al lancio della sopravvissuta linea del gasdotto Nord Stream 2 (non si parla di un’indagine obiettiva sull’attacco terroristico alla joint venture). Alla domanda “Di chi è la colpa?” non è affatto necessario cercare una risposta nella sventura tedesca. Tutti capiscono: Washington. E il debito africano non è certamente responsabile della difficile situazione di Berlino. Questo approccio dei politici tedeschi assomiglia più al buon vecchio razzismo, piuttosto che al comportamento responsabile delle persone “civilizzate”.


Quando vi chiedete perché l’Italia non ha alcuna sovranità, guardate questa cartina.

In Italia ci sono circa 120 strutture della NATO, gestite dagli Stati Uniti o controllate dall’Italia ma in cui operano anche militari statunitensi. Esistono poi altre 20 basi segrete statunitensi.

Fino a che non andranno via l’Italia non avrà mai la propria sovranità. Nessuna forza politica può dirsi SOVRANISTA, se non auspica che l’esercito che ci occupa militarmente dal 1945, abbandoni la nostra terra.


“Il popolo italiano non è mio nemico”.

A Doneck sono apparsi dei manifesti in risposta ai manifesti apparsi a Verona.

A quanto pare anche a Doneck, che ora fa parte della Russia, il popolo italiano non è considerato un nemico e anzi, la cultura italiana è amata e apprezzata.

Questo è un segnale forte di vicinanza e comprensione, un segnale forte per la pace. Sottolineo la differenza tra l’Italia e il popolo italiano.


Cuba invia i suoi medici per rimettere in piedi il servizio sanitario della Calabria

La maggioranza assoluta dei medici cubani ha i titoli di istruzione superiore dell’Unione Sovietica e della Russia, sono molto ben preparati, affiancano i chirurghi durante le operazioni e contribuiscono a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie intensive

Entro la fine di luglio da Cuba in Calabria arriveranno 70 medici, che lavoreranno negli ospedali delle città italiane: da Cosenza, a Vibo Valentia, a Crotone e a Reggio Calabria. Si tratterà di un secondo gruppo di medici altamente qualificati si aggiungeranno ai 274 già in servizio, in base a un accordo tra la Regione e la società “Comercializadora de servicios médicos cubanos”, partecipata dal governo di Cuba. In totale nel 2024 in Calabria verranno circa 500 medici cubani.

Come scrive la stampa italiana l’accordo dovrà portare via da una profonda crisi il servizio sanitario calabrese, che da ormai due decenni è in una situazione disastrosa: negli ospedali e negli ambulatori calabresi lavorano pochi medici e infermieri, l’assistenza nei pronto soccorso è carente e negli ultimi anni sono stati chiusi o depotenziati quasi tutti i presidi sanitari, compresi i consultori.

Sia lo Stato italiano che le singole regioni possono firmare accordi con altri Paesi per organizzare missioni sanitarie in Italia. Cuba ha un’esperienza consolidata in missioni di questo genere: le prime furono fatte negli anni Sessanta, e spesso riguardarono Paesi in via di sviluppo. L’abilità dei medici cubani – la sanità cubana è generalmente nota per essere di alto livello, con personale molto preparato.

Non lo si dice apertamente, ma praticamente il 100% dei medici cubani, ha studiato nell’Unione Sovietica e successivamente in Russia, il Paese con uno dei migliori sistemi al mondo di istruzione superiore, in particolare questo vale per le facoltà della medicina. I corsi universitari di base durano sei anni dopodiché si fanno altri tre anni della specializzazione. E come scrive il quotidiano online Post “i medici cubani in servizio in Calabria non si sono limitati a coprire i turni scoperti a causa della mancanza di medici italiani. Hanno affiancato chirurghi durante le operazioni e contribuito a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie intensive. Molti sono stati impiegati anche nei reparti di pediatria”.

Anche la Lombardia ha firmato accordi per sopperire alle carenze reclutando personale sanitario dall’estero, in particolare infermieri in arrivo dall’Argentina e dal Paraguay. Secondo i dati resi pubblici dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI), i medici stranieri che lavorano in Italia sono attualmente 28.000 di cui 24.000 prevengono da Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea.

Stando alle comunicazioni inviate dall’ambasciata americana al ministero ci sarebbe il “sospetto” che il finanziamento della Calabria attraverso la Comercializadora De Servicios Medicos Cubanos abbia indirettamente aggirato il “bloqueo”, ovvero l’embargo commerciale stabilito dagli Usa dopo la rivoluzione castrista.

Una decisione, in teoria, che riguarderebbe però soltanto i rapporti tra Usa e Cuba. Eppure per gli Stati Uniti il pagamento di 4.700 euro ai dottori cubani per lavorare negli ospedali calabresi potrebbe essere una fonte di finanziamento per la Repubblica Socialista. Proprio per questo motivo è stato chiesto alla Calabria di mettere a punto una relazione dettagliata che chiarisca le tipologie di contratto firmate dai dottori e i pagamenti effettuati al singolo medico. Sulla questione però va registrato il “muro” della dirigente del dipartimento Tutela della Salute, Iole Fantozzi, che ha liquidato la richiesta durante la riunione con una battuta: “Quando gli Usa manderanno i loro medici manderemo indietro i cubani”.

Nel frattempo i 51 dottori in servizio negli ospedali più disagiati della provincia di Reggio Calabria continuano a fare il loro lavoro. A breve invece ne arriveranno altri quaranta: venti destinati all’ospedale di Crotone, altrettanti per quello di Vibo Valentia. Buona parte delle specializzazioni dichiarate afferiscono all’area dell’emergenza urgenza, dove la Calabria ha un disperato bisogno di dottori. Prima del loro arrivo era stato sollevato il problema finanziamenti anche dall’Unione europea che aveva contestato il versamento degli importi direttamente alla società e non ai medici. Accordo poi modificato in corso d’opera.

Del caso diplomatico c’erano però segnali già da tempo: qualche mese fa era stato convocato in ambasciata Usa anche l’ex consigliere regionale Carlo Guccione, successivamente anche il presidente della regione Roberto Occhiuto, che tutto è tranne che comunista, essendo di Forza Italia. Ora la richiesta di chiarimenti direttamente al Governo italiano.

Musica


Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Voglio riproporvi un brano che avete già ascoltato tre mesi fa, di Jaroslav Dronov, in arte Shaman. Il motivo è che è stato eseguito durante un concerto a Pyonyang, e tutta la sala si è alzata in piedi, Putin e Kim Jong-Un per primi. Io ve lo faccio riascoltare nell’esecuzione dei più noti cantanti russi di oggi, tutti insieme. Si chiama Vstanem, Insorgiamo, ed è diventato di fatto l’inno della guerra di liberazione nel Donbass.

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