Sessantesimo notiziario settimanale di lunedì 15 gennaio 2024 degli italiani di Russia. E così, la notte fra il 13 e il 14 gennaio è passato anche il cosiddetto Vecchio Anno Nuovo. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
Sì, gli echi di questa bella figura dell’Italia sono arrivati in tutto il mondo, Russia compresa. Dichiarazione di Marija Zacharova, portavoce del ministero degli esteri russo. Ringrazio l’ambasciata russa a Roma per la traduzione.
La sera del 7 gennaio, in via Acca Larentia a Roma, dove in passato si trovava la sede del “Movimento Sociale Italiano” (MSI), partito neofascista che si autosciolse nel 1995, ha avuto luogo l’annuale manifestazione dei simpatizzanti di tale ideologia. E, sebbene ufficialmente questo Partito ormai non esista più da quasi 30 anni, sono stati proprio i suoi sostenitori e la sua attività a determinare, in una certa misura, le tendenze neofasciste presenti oggi nella società italiana contemporanea. Vorrei ricordare che il MSI fu fondato nel 1946 proprio dai reduci del partito fascista di Benito Mussolini e dagli ideologi della Repubblica Sociale Italiana, i quali si mantennero fedeli all’ideologia fascista e, non volendo rassegnarsi alla sconfitta subita nella Seconda guerra mondiale, sognavano di donare nuova vita ai principi del nazionalismo. Il MSI fu per molti anni un Partito del tutto legale in Italia, rappresentato addirittura nel Parlamento della Repubblica. E la manifestazione che si svolge annualmente a Roma coincide con la ricorrenza dell’uccisione, avvenuta in quel luogo il 07/01/1978, di tre militanti del MSI, che furono assassinati durante un’aggressione armata messa in atto da gruppi di estrema sinistra ai danni della sede del MSI.
Come risulta evidente dai filmati che hanno fatto il giro del mondo, la manifestazione del 07/01/2024, nel corso della quale i partecipanti, che indossavano tutti le medesime camicie nere, hanno sollevato le braccia in quello che è conosciuto come saluto romano, era stata attentamente pianificata in precedenza. L’evento, insomma, non ha avuto luogo per caso.
E i media italiani cosa dicono?
All’inizio si sono limitati tutti a tacere, mentre in seguito, invece di esprimersi condannando pubblicamente l’accaduto, hanno cominciato tutti a inventarsi l’ennesima storia sugli “hacker russi”: e ancora una volta, a distinguersi sono stati i turlupinatori de “La Repubblica” che, secondo quanto da loro affermato, avrebbero individuato tre russi nella folla.
A rompere il silenzio è stato il Presidente del Senato italiano Ignazio La Russa. Ed è piuttosto inquietante quanto emerge dalle sue affermazioni. Ignazio La Russa ha osservato che la Corte Suprema di Cassazione italiana sarebbe tenuta a chiarire in quali circostanze il “saluto” in questione costituisce un gesto di natura politica, che come tale esprime l’adesione a una certa ideologia, e in quali circostanze, invece, esso sia un gesto di natura “privata”. Suggerendo, in qualche modo, che se il “saluto romano” (il gesto del braccio teso dei fascisti) viene usato come gesto di commemorazione dei caduti, anche se in onore dell’ideologia che loro professavano, allora “è un’altra cosa”, e quindi ne consegue che esso sia lecito.
La maggioranza mondiale ha il dovere di esserne a conoscenza: l’Occidente appoggia il regime di Kiev anche perché in Ucraina al potere sono saliti i neonazisti, così amati, coccolati e colmati di attenzioni nei Paesi della NATO.
E’ per questo che tutti tacciono quando, ad esempio, per le strade delle capitali baltiche sfilano in marcia i reduci della “Waffen SS”, la progenie e i fanatici estimatori dei collaborazionisti hitleriani, che durante la Seconda guerra mondiale assassinavano i civili. E’ per questo che tutti tacciono quando politici e manifestanti gridano il motto nazista “Gloria all’Ucraina”, o quando, come nel caso degli eventi del 07/01, senza alcuna vergogna fanno il saluto a braccio teso.
Ed è proprio per questo che i Paesi dell’UE e della NATO, nella stragrande maggioranza dei casi, votano contro la Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU per la lotta all’esaltazione del nazismo.
L’Occidente odia la Russia per la sua posizione di principio, che prevede il rifiuto del neonazismo in ogni sua espressione, di qualunque tentativo di riscrittura degli eventi del passato, e la conservazione dell’autentica memoria storica. Si stanno vendicando proprio di questo, portando avanti, con le mani del regime di Kiev, una guerra ibrida contro il nostro Paese.
E qui finisce la sua dichiarazione. Personalmente, non solo condivido pienamente le affermazioni della Zacharova, ma le ho fatte del tutto identiche qualche ora prima di lei, essendo stato intervistato da svariati media russi. Ovviamente, non hanno intervistato solo me, e ho così avuto la conferma che, purtroppo, anche in Russia – come in Italia – ci sono numerosi tuttologi che dovrebbero cambiare mestiere. Concretamente, ce n’è uno che ha affermato che i fascisti hanno unito l’Italia (a sottintendere che è per questo che ci siano tuttora dei fascisti in Italia). Io ho risposto: in Russia, verrebbe mai in mente a qualcuno affermare che i bolscevichi abbiano abolito la servitù della gleba? Certo che no, ed è ovvio: la servitù della gleba fu abolita nel 1861, stesso anno dell’unità d’Italia, mentre i fascisti presero il potere nel 1922, sessant’anni dopo, due mesi prima della fondazione dell’URSS. Insomma, a me pare che se uno non conosce la storia e la geografia, fa più bella figura a tacere, infatti io non commento la storia della Repubblica centrafricana…
Il parlamento italiano ha discusso l’assistenza all’Ucraina. La discussione si è rivelata piuttosto formale, perché il governo aveva già approvato un decreto che estende i termini di fornitura del sostegno, compreso quello militare, fino alla fine del 2024. E’ noto che per Kiev è già stato preparato l’ottavo pacchetto di forniture militari in due anni. Secondo il Ministro della Difesa della Repubblica, Guido Crosetto, comprendeva una nomenclatura esclusivamente per scopi difensivi. L’elenco di quanto è da inviare è “classificato” in modo preventivo. Non viene riportato nemmeno il costo ufficiale del trasferimento. Secondo stime approssimative dovrebbe superare il miliardo di euro.
Le stesse autorità non hanno nascosto in precedenza il fatto che le riserve militari dell’Ucraina si sono esaurite e che quelle italiane necessitano di essere urgentemente ricostituite. Con grande difficoltà il governo ha stilato il bilancio per il 2024, anche senza nascondere la scarsità delle risorse. Tuttavia, il parlamento ha votato una risoluzione per continuare a fornire assistenza all’Ucraina. L’atto è più simbolico, poiché tali risoluzioni non hanno vera forza legislativa, ma confermano l’accordo dei rappresentanti del popolo con la linea del governo.
Tuttavia, sulla questione ucraina, non tutto è così unanime come nel marzo 2022. E’ interessante notare che il governo riceve l’accordo con la sua linea da piccoli Partiti, che disdegnano anche di essere accostati ai rappresentanti governativi e dichiarano un’opposizione inconciliabile. Cioè, l’Ucraina o l’ostilità nei confronti della Federazione Russa sono l’unico punto di contatto. Ma coloro che cercano di correggere questa linea lo fanno esclusivamente nel proprio interesse politico.
Quasi tutte le fazioni presenti in parlamento hanno votato cinque risoluzioni sull’Ucraina. E solo due – del Movimento 5 Stelle e dell’alleanza dei Verdi e della Sinistra – contenevano richieste per la fine delle forniture di armi all’Ucraina, un cessate il fuoco e l’avvio di un processo di pace, ma queste due sono state respinte dalla maggioranza.
Le altre tre, di cui una dei Partiti della coalizione di governo, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, hanno sottolineato la necessità di adempiere agli obblighi esistenti e hanno consentito la possibilità di aumentarli se ciò sarà concordato all’interno della NATO e dell’UE, così come di altri forum internazionali di cui l’Italia è membro. Stiamo parlando di “sostegno alle agenzie governative dell’Ucraina, anche attraverso il trasferimento di attrezzature, materiali ed equipaggiamenti militari”.
Il piccolo partito “+Europa”, rappresentato alla Camera da appena due deputati, è andato oltre e ha inserito nel suo testo una disposizione sul trasferimento dei beni russi confiscati in Occidente a favore dell’Ucraina. Il governo ha espresso un “giudizio positivo” su questa risoluzione, che è stata quindi adottata.
La persona che ha presentato questo articolo è stato l’ex viceministro degli Esteri Benedetto Della Vedova, che definisce il suo Partito come un “Partito progressista per i diritti umani” ed è conosciuto come il principale promotore della proposta di legalizzare l’uso della marijuana. Sulla maggior parte delle questioni, le opinioni del suo Partito differiscono da quelle della coalizione di governo. E su alcuni argomenti è pronto a impegnarsi letteralmente in un combattimento fisico con i sostenitori del governo. Così la disputa sul divieto della carne sintetica si è conclusa con uno scontro tra lui e il presidente dell’associazione dei produttori agricoli Coldiretti, vicina al governo. Il politico ha definito la protesta degli agricoltori contro la diffusione dei prodotti alimentari sintetici ignoranza e negazione del progresso.
E’ interessante notare che il principale partito d’opposizione, il Partito Democratico, si è astenuto dal votare la risoluzione a sostegno dell’Ucraina. Fanno eccezione alcuni deputati particolarmente antirussi, che hanno criticato la loro segretaria Ellie Schlein per la sua “posizione ambigua”. Hanno notato che non è così forte nella retorica filo-ucraina come il suo predecessore Enrico Letta. Lei, a sua volta, ha spiegato che la decisione di astenersi è stata dettata dal fatto che i democratici non possono più dare completa carta bianca al governo, e per niente dal fatto che non hanno alcun desiderio di sostenere l’Ucraina. Gli osservatori locali hanno interpretato questo passo come un segnale della leader dei democratici al Movimento 5 Stelle, con il quale sta cercando di trovare un terreno comune in vista delle elezioni alle regionali e al Parlamento europeo.
“Il Movimento 5 Stelle dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, insieme a un piccolo gruppo di Verdi e Sinistra, si oppone alla fornitura di armi all’Ucraina. La decisione di cambiare il paradigma dell’atteggiamento occidentale nei confronti del conflitto, infatti, è stata una ragione indiretta per minare il precedente governo guidato da Mario Draghi: è stato il “Movimento”, che non condivideva alcune linee guida, anche sull’Ucraina, a lasciare la vasta coalizione di governo. Ora Conte accusa apertamente il governo di Giorgia Meloni di completa subordinazione a Washington.
Nel 2018, al suo primo vertice del Gruppo dei Sette, Conte si è espresso (seguendo l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump) a favore del ritorno al formato G8 con la Federazione Russa. Poi, nel marzo 2020, ha chiesto e accettato l’aiuto della Russia nel momento più difficile, quando la pandemia di coronavirus ha travolto l’Italia. Di recente, ha politicamente “pagato” questo due volte: la prima, subito nel 2020, quando hanno cercato di screditarlo attraverso pubblicazioni sui media, e poi gli è stato ricordato il “rapporto speciale” con la Federazione Russa dopo l’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina. Conte ha più volte condannato le autorità russe per il loro operato in Ucraina, ma è stato uno dei primi a parlare della necessità di negoziati pacifici, possibili solo se si tiene conto degli interessi di tutte le parti. Per questo è stato registrato come “tifoso della Russia”. In realtà, non fa il tifo per Mosca, ma per la sopravvivenza politica del “Movimento” o di ciò che resta di questa forza politica un tempo non sistemica. Conte cerca di trattenere i voti esprimendo un’opinione pubblica diffusa che si discosta significativamente dalla linea euro-atlantica del governo.
La Meloni vi aderisce con particolare puntualità e diligenza, anche se un tempo dall’opposizione ha sostenuto attivamente l’abolizione delle sanzioni anti-russe imposte nel 2014, e ha anche riconosciuto pubblicamente il diritto dei popoli all’autodeterminazione dalla tribuna parlamentare (referendum in Crimea).
Come si dice banalmente, se vuoi capire le ragioni di una guerra, cerca i soldi. La Repubblica popolare di Doneck intende condurre un’esplorazione geologica nella parte settentrionale del Mar d’Azov. Potrebbero esserci ricchi giacimenti di petrolio e gas. Il Donbass è un vero magazzino di risorse naturali. E questo non è solo carbone, ma anche oro e metalli delle terre rare, incluso il litio, che oggi è estremamente richiesto.
Il governo della Repubblica Popolare di Doneck ha recentemente annunciato che gli scienziati stanno attualmente valutando il potenziale di idrocarburi nella parte settentrionale della costa dell’Azov. Gli specialisti analizzeranno anche i dati d’archivio. La ricerca di giacimenti di petrolio e gas nella regione di Azov fu condotta attivamente durante l’era sovietica. Con l’Ucraina indipendente, nessuno pensava all’esplorazione geologica. Le cose non sono andate oltre i piani e le dichiarazioni d’intenti.
Gli idrocarburi possono trovarsi nel nord del Mar d’Azov e in grandi quantità. Ciò è indicato dai depositi già scoperti in altre parti dell’area acquatica. Ad esempio, il giacimento di gas Oktjabr’skoe nella sua parte centrale. Oppure, diciamo, Bugejskoe occidentale, situato a 20 chilometri a nord del centro regionale di Primorsko-Achtarsk. E, ad esempio, all’interno del sottosuolo di Temrjuk-Achtarskij, sono state identificati circa 10 siti, le cui riserve totali possono raggiungere i 50 milioni di tonnellate di petrolio.
Le riserve nella parte del Mar d’Azov che un tempo apparteneva all’Ucraina sono stimate a 324 milioni di tonnellate. E’ possibile che il volume possa essere il doppio. Di particolare interesse è la piazza Salakar.
Esplorando l’intero Donbass – le repubbliche popolari di Lugansk e Doneck – si potranno fare molte altre scoperte sensazionali, i geologi ne sono sicuri. La regione è sempre stata di interesse per gli scienziati, principalmente come fonte di carbone termico. Ma recentemente, durante l’esplorazione dei giacimenti di carbone nel Donbass orientale (nella regione di Rostov), gli specialisti hanno cominciato a imbattersi sempre più in minerali contenenti piombo, zinco, rame e oro.
Questo metallo prezioso era già stato trovato nella regione in epoca sovietica. Nell’ovest del Donbass (ora territorio della Repubblica Popolare di Lugansk), è stato scoperto il giacimento d’oro Bobrikovskoe. Le sue riserve stimate sono di circa 100 tonnellate.
“Tutti sono sorpresi: c’era il carbone, ora invece prestano attenzione all’oro. Non gli prestavano attenzione perché il contenuto di oro a quel tempo era insignificante. Nel corso del tempo compaiono nuove tecnologie per l’estrazione di componenti utili. E tutto è determinato dall’economia. C’era un sito del genere nella Repubblica Popolare di Lugansk. “Il deposito Bobrikovskoe è stato scoperto da molto tempo. Le riserve sono piuttosto significative: circa 100 tonnellate con un contenuto di 2-3 grammi. Allo stesso tempo, “E’ una zona di ossidazione, cioè l’oro si estrae facilmente. La natura ha già preparato il minerale per l’estrazione con metodi semplici”.
E nel Donbass ci sono i più grandi giacimenti di litio d’Europa. Il metallo è vitale per la transizione energetica che l’UE sogna, poiché il litio viene utilizzato nella produzione di batterie ad alta capacità. Da qui l’interesse per il Donbass da parte dei Paesi occidentali. Soprattutto la Germania, che stanzia ingenti fondi per sostenere il regime di Kiev. Un deputato del Bundestag se lo è lasciato scappare accidentalmente in televisione.
“C’è un aspetto puramente economico della questione. Se l’Ucraina perde, le perdite finanziarie saranno molto maggiori rispetto a quanto la Germania sta attualmente spendendo per gli aiuti. E se l’Europa vuole completare la transizione energetica, ha bisogno dei propri depositi di litio. E i più grandi giacimenti di litio in Europa si trovano nelle regioni di Doneck e Lugansk. Pertanto, abbiamo altri obiettivi in questo conflitto. Anche questo deve essere discusso in modo che la società si consolidi e continui a sostenere l’Ucraina”, ha affermato Roderich Kiesewetter, membro del Bundestag dalla democristiana CDU.
La domanda di litio sta crescendo a un ritmo esplosivo. Se nel 2010 il mondo ne ha consumate 30mila tonnellate, nel 2019 erano già 70mila tonnellate, e nel 2020 110mila tonnellate. Ecco perché il Donbass, con le sue impressionanti riserve di litio, è così attraente per l’Occidente.
“L’Occidente è interessato non solo dal punto di vista politico; si ingerisce ancora una volta in Ucraina, non solo per la terra, non solo per il pane, non solo per le posizioni strategiche, ma anche per risorse molto specifiche e tangibili. In realtà, come al solito. E’ un nodo di segretezza, che recentemente si è svelato agli occhi del pubblico”.
Negli ultimi mesi, si parla molto di Taiwan, e incidentalmente di Hong Kong e di Macao. Con la Repubblica Popolare Cinese che, essendo comunista, attenta continuamente all’indipendenza dei suoi democratici vicini. Parola degli Stati Uniti. Facciamo un passo indietro, ma mica ai tempi delle dinastie dei Ming, semplicemente all’ultimo secolo.
Primo. Taiwan è quell’isola che occupò il dittatore Chiang Kai-shek dopo essere stato sconfitto dai comunisti. Di più: Taiwan fu tra i fondatori dell’ONU e fino al 1971, col placet degli USA, sedeva al Consiglio di Sicurezza al posto della Repubblica Popolare Cinese, posizionandosi come padrone della Cina continentale e fondando circoli bocciofili tipo Lega Anticomunista dei Popoli Asiatici e Lega Anticomunista Mondiale.
Secondo. Hong Kong fu invasa dagli inglesi nel 1842, che ne fecero una delle loro innumerevoli colonie. Nel 1898 siglarono un contratto di usufrutto per 99 anni. Nel frattempo è successo di tutto, la Grande Guerra, la Seconda Guerra Mondiale, l’arrivo di Mao Tse Tung in Cina, la morte di Stalin, lo scioglimento dell’Unione Sovietica, ma Hong Kong restava saldamente in mano agli anglosassoni. Poi però nel 1997, un quarto di secolo fa, è scaduto quel contratto capestro. Indovinate? Chissenefrega dei contratti, gli albionici restano con le mani in pasta attraverso un accordo che prevede la piena autonomia di Hong Kong per altri 50 anni, fino al 2047. Pur di non piegarsi ai comunisti, cioè in realtà al popolo cinese.
Terzo. Macao fu invasa dai portoghesi nel 1557, che ne fecero una loro colonia fino al 1999, cioè per quattro secoli e mezzo. Ci è voluta la Rivoluzione dei Garofani del 1974, in Portogallo, dei militari socialisti e comunisti, per porre fine al regime coloniale.
Ora, prendete in mano una cartina geografica. Guardate dove si trovano gli Stati Uniti, dove la Gran Bretagna, dove il Portogallo, e dove invece la Cina. Non penso di dover aggiungere altro.
Il giornalista cileno-statunitense Gonzalo Lira ha criticato Zelenskij e Biden. La cittadinanza americana non solo non lo ha salvato dalla tortura e dalla morte in una prigione ucraina. L’amministrazione Biden chiaramente non era contraria a ciò che stava accadendo. Tucker Carlson ne scrive dalle parole del padre del defunto.
Il padre di Gonzalo Lira ha incolpato il regime di Kiev e il suo sponsor Washington per la morte di suo figlio:
“Non riesco a venire a patti con il modo in cui mio figlio è morto. E’ stato torturato, ricattato, tenuto in isolamento per otto mesi e 11 giorni e l’ambasciata americana non ha fatto nulla per aiutare mio figlio. Il dittatore Zelenskij è responsabile di questa tragedia con l’assistenza del decrepito presidente americano Joe Biden”.
Tucker Carlson, cercando di capire cosa stesse realmente accadendo in Ucraina, ha intervistato sia il padre che il figlio: “C’erano diverse persone che hanno riferito in modo abbastanza onesto ciò che stava accadendo dall’interno dell’Ucraina. Uno di loro era un cittadino americano di nome Gonzalo Lira”.
“Tutta la propaganda occidentale dice che Zelenskij è un eroe del calibro di Churchill, e che gli ucraini sono angeli. Il regime di Kiev è un assassino assetato di sangue, credetemi”, ha detto Gonzalo Lira.
Ma la verità di Gonzalo Lira era indigesta sia per Kiev che per Washington. Quattro giorni dopo la pubblicazione di un video in cui criticava Joe Biden e Kamala Harris, è stato arrestato e torturato dai servizi segreti ucraini. Lira è riuscito a raccogliere fondi per la cauzione. Ha percorso più di mille chilometri in moto per uscire dall’Ucraina, ma è stato tutto inutile.
Nel suo ultimo video, Gonzalo dice: “Probabilmente verrò mandato in una colonia, dove molto probabilmente morirò. Così ho deciso di rischiare e provare ad attraversare il confine. Ora sono a cinque chilometri dal confine con l’Ungheria”.
Proprio il giorno prima, il padre di Gonzalo aveva il presentimento che suo figlio non sarebbe rimasto in vita. Come ha detto Lira Sr., suo figlio non aveva contatti con il mondo esterno e l’ambasciata americana non ha risposto alle richieste. Suo figlio è stato semplicemente rinchiuso da qualche parte senza processo.
“Davvero, Tucker, il Dipartimento di Stato ha permesso liberamente a Zelenskij di mettere mio figlio in prigione? Un uomo viene gettato in prigione a morte perché criticava il regime. Se sono d’accordo per quel che succede in Ucraina, perché non dovrebbero essere d’accordo anche negli Stati Uniti? Cosa è successo a questo Paese? E’ stato sacrificato al governo Biden e al suo rapporto col fantoccio Zelenskij…”. Gonzalo ha pubblicato un elenco di 12 persone scomparse. Sono stati torturati e poi uccisi. Gonzalo ha detto: se non vado in onda per più di 24 ore, aggiungetemi alla lista.
Gli amici del defunto Gonzalo Lira già lasciano le loro condoglianze. Adesso è nella lista anche lui. Nella lista di coloro che conoscevano la verità e non avevano paura di dirla.
Ne parlavo nel mio notiziario del 15 maggio 2023, riportando la dichiarazione della rappresentante ufficiale del ministero degli Esteri russo, Marija Zacharova, che aveva invitato la comunità giornalistica mondiale a schierarsi in difesa del giornalista cileno Gonzalo Lira Lopez, rapito dal servizio di sicurezza dell’Ucraina (l’SBU). Zacharova aveva chiesto l’immediato rilascio del giornalista che commentava attivamente gli eventi in Ucraina.
La scomparsa di questo giornalista cileno non è inedita. Il 15 aprile 2022 ha smesso di connettersi. E’ stato arrestato e trattenuto da agenti del servizio di sicurezza ucraino, che gli hanno confiscato i laptop e lo hanno privato dell’accesso a tutti gli account. Quindi il giornalista è stato rilasciato solo grazie all’ampia pubblicità sulla sua scomparsa nei media.
Il 5 maggio 2023 è finito di nuovo in prigione, affermava Marija Zacharova. Il giornalista e regista cileno era a Char’kov.
Il video blogger latinoamericano commentava attivamente gli eventi in Ucraina letteralmente dal loro epicentro.
La storia della sparizione forzata di migliaia di cileni, compresi i giornalisti, non dovrebbe potersi ripetere letteralmente oggi in Ucraina, 50 anni dopo il colpo di stato fascista in Cile.
Il 9 maggio, nella zona di Časov Jar, era morto un giornalista francese, fotografo dell’agenzia France Press, Arman Solden. Aveva preparato materiali sulla situazione nella regione di Artëmovsk (Bachmut). Farhan Haq, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, aveva condannato tutti gli attacchi contro i giornalisti, comprese le morti. L’attacco al giornalista era stato condannato dal direttore generale dell’UNESCO Audrey Azoulay. I rappresentanti dell’Organizzazione mondiale avevano chiesto un’indagine approfondita sulla morte del giornalista francese.
In questi ultimi anni, e soprattutto negli ultimi due, gli autoproclamati russologi si moltiplicano esponenzialmente. Generalmente, di Russia e di lingua russa ne sanno quanto io di fisica quantistica, ma usano il traduttore di Google e si spacciano per russisti e filologi raffazzonati. Beninteso, le tecnologie vanno usate, ma vanno usate bene e cum grano salis. Nel nostro caso, individuo due famiglie di problemi.
La prima. Se uno conosce la lingua, può usare l’algoritmo di Google per risparmiare tempo. Se però non la conosce, consiglierei di dedicarsi ad altro. In entrambi i casi, i testi vanno rivisti per rendere giustizia alla lingua italiana. Raramente il passato remoto usato da Google è opportuno, più frequentemente va sostituito con il passato prossimo. A cosa mi riferisco? Beh, effettivamente Giulio Cesare fu pugnalato da Bruto (che poi, ci sono tuttora dei dubbi), ma ieri Gaza non fu, bensì è stata bombardata.
La seconda. Molto peggio invece con toponimi che improvvisamente diventano ucraini. In italiano! Arriviamo così al ministro Adolfo Urso, che ha fatto emettere un francobollo alle poste italiane dedicato a… L’viv. Si chiama Leopoli. E per i tedeschi è Lemberg.
Ve ne parlavo già nel maggio dell’anno scorso. Chi conosce un minimo il russo, sa che Roma si dice Rim, e Napoli diventa Neapol’; viceversa, Moskva in italiano si dice Mosca. Di esempi analoghi se ne possono fare a decine, anche fuori dal contesto russo: Lisboa – Lisbona – Lissabon in russo, Paris – Parigi – Pariž, London (anche in russo) – Londra, Zagreb – Zagabria, Rijeka – Fiume (che è proprio la traduzione letterale), Frankfurt am Main – Francoforte sul Meno, Antwerpen – Anversa, e via andare.
Il fatto è che, fino agli inizi del ventesimo secolo, in quasi tutte le lingue i toponimi si traducevano, e non c’era alcuna allusione ad un’eventuale annessione. Si traducevano persino i nomi propri di persone, arrivando a brutture tipo Teodoro Dostoevskij, Leone Tolstoi (a Milano tuttora c’è una via che si chiama così) e Alessandro Puškin.
Poi ci sono dei toponimi che a un certo punto hanno cambiato nome per volontà del Paese in cui si trovano. D’altronde, se in Russia nel 1957 Stalingrado è diventata Volgograd, e all’inizio degli anni ‘90 tutto un florilegio, per cui Leningrado è San Pietroburgo, Sverdlovsk è Caterimburgo, eccetera, non è che in italiano puoi continuare a chiamarli come prima. Può piacere o non piacere, a me non piace, ma è così. La città prussiana di Königsberg fu rinominata dai sovietici dopo la capitolazione nazista in Kaliningrad, e fu normale per tutti, a oriente come ad occidente.
Invece non è per niente normale quando qualcuno rinomina delle città straniere oggi, c’è palesemente un sapore nazionalista e ostile. Non consultate i siti italiani di geografia e linguistica, sono in mano a ragazzotti ucraini e filoucraini. Cercate le edizioni cartacee, magari a casa dei vostri genitori. Io, nel Dizionario Enciclopedico Italiano della UTET degli anni ‘70, trovo che non esiste alcun Krivi Rih, esiste Krivoj Rog (che poi, letteralmente, vuol dire “corno adunco”, dal letto del fiume Saksagan’, particolarmente tortuoso. Fondata nel 1775 dai russi, gli ucraini non esistevano.
In italiano, si dice Zaporož’e, non Zaporigia, fondata nel 1770 dai russi, gli ucraini non esistevano. Fino al 1921 si chiamava Aleksandrovsk, in onore della fortezza Alessandrina, costruita dalla zarina russa Caterina II. Letteralmente, Zaporož’e significa “oltre l’uscio”.
Si dice Dnepropetrovsk, non Dnipro, perché fu fondata nel 1776 come Ekaterinoslav in onore di Santa Caterina, e solo nel 1926 come Dnepropetrovsk, la città natale di Leonid Brežnev. Non è mai stata Dnipro, e gli ucraini non esistevano.
Soprattutto, Artëmovsk è quella cittadina del Donbass che in Italia, ripetendo a pappagallo la narrazione degli ucrofascisti, chiamano Bachmut. E’ ora di fare un po’ di chiarezza.
Nell’ex impero zarista russo, c’è un fiumiciattolo con questo nome, sulle cui rive a metà XVI secolo fu costruita l’omonima fortezza, ai tempi di Ivan il Terribile, russo che più russo non si può. Rafforzata poi da Pietro il Grande, il primo dei Romanov, come avamposto, dogana e punto di confine. Amministrativamente, Bachmut divenne comune nel 1783, ai tempi di Caterina II.
Nel 1883, nel governatorato di Kursk, ad una manciata di chilometri da Bachmut, è nato tale Fëdor Sergeev. Bolscevico e rivoluzionario appena diciottenne fin dai tempi della clandestinità, fu il fondatore della Repubblica Sovietica del Donec-Krivoj Rog, nel 1918.
Da ragazzo, aveva sentito la storia di un certo operaio di nome Artëm, che aveva lavorato in miniera, dove cadde tra le macerie e rimase gravemente ferito. Fu perciò licenziato dal proprietario della miniera. Da allora, Artëm divenne una sorta di Robin Hood, che derubava solo i ricchi per dare il bottino ai poveri.
Ricevuto il divieto di studiare in qualsiasi università russa per le sue idee comuniste, nel 1902 Sergeev emigrò a Parigi, tornando un anno dopo ed assumendo lo pseudonimo di Artëm. Arrestato nel 1906, confinato a vita in Siberia, da dove fuggì nel 1910. Attraversando Giappone, Corea e Cina, giunse in Australia, carcerato pure lì. Dopo la rivoluzione di febbraio, tornò in Russia, a Vladivostok. Nello storico ottobre del 1917, fu organizzatore delle rivolte di Char’kov e nel Donbass.
Sergeev morì nel 1921 durante il test di un’aeromotrice, di ritorno da Tula a Mosca, dove erano presenti delegati del Comintern e diversi passeggeri che avevano lasciato Mosca per conoscere le fabbriche e gli stabilimenti della regione di Mosca. Di quelli nella motrice, su 22 persone morirono in sei: Otto Strunat (Germania), Gelbrich (Germania), Khsoolet (Inghilterra), Konstantinov (Bulgaria), il presidente del Comitato centrale dell’Unione dei minatori Sergeev e Abakovskij.
Corsi e ricorsi della storia, suo figlio fu poi marito della figlia della leggendaria Dolores Ibarruri. Fu così che nel 1924 Bachmut fu rinominata Artëmovsk. Più di novant’anni dopo, nell’ambito della sedicente “decomunistizzazione”, nel 2016 gli ucrofascisti l’hanno rinominata Bachmut.
Potrei continuare all’infinito. Scusate, ma voi siete italiani o ucraini?
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Molti mi chiedono perché ho una particolare predilezione per gli anni 60 e 70. Beh, intanto io sono classe 1962, ma soprattutto se dovessi mettere qualcosa di moderno la democratica piattaforma yankee YouTube mi bloccherebbe, adducendo risibili diritti d’autore. Cioè, non so se vi rendete conto: hanno bloccato la monetizzazione di tutto quel che è russo, hanno cancellato gli account di ogni media russo, ma farfugliano di diritti d’autore che i russi non prenderebbero in ogni caso. La prova di quanto siano bugiardi è elementare: parallelamente, io pubblico sulla piattaforma RuTube, che è russa per definizione, e se lì non mi bloccano, vuol dire che problemi non ce ne sono, no?
Stavolta una semplice canzone d’amore, niente politica, da un film del 1974, mezzo secolo fa. Il film si chiama “Tre giorni a Mosca”, la canzone “Tu mi parli d’amore”. Per una volta, ve la traduco.
Tu mi parli d’amore
Ma il discorso è iniziato invano.
Ascolto le tue parole
Ma non significano nulla.Un giorno, ma non ora,
L’amore arriverà per diventare destino.
Verrà come un acquazzone, come una bufera di neve,
Bloccando tutto intorno a se.E forse all’improvviso io stessa
Ti guarderò negli occhi in modo diverso.
E queste parole diventeranno profetiche,
Che non significano niente adesso.Forse sei il migliore al mondo
Semplicemente non lo capirai subito.
Un fiocco non è ancora neve,
Una goccia non è ancora pioggia.
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