Mark Bernardini

Mark Bernardini

domenica 30 luglio 2023

036 Italiani di Russia

Trentaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 31 luglio 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

La notizia del giorno, ovviamente, sono i droni ucraini prima su Taganrog, nella provincia di Rostov sul Don, non lontano dal fronte del conflitto in atto, e poi, domenica all’alba, in Crimea e a Mosca. Proviamo a capirci qualcosa.

Per Taganrog, una cittadina di 200 mila abitanti, il missile è stato intercettato e disabilitato, con corposi detriti precipitati al suolo. Tanta paura, distrutto l’ingresso dell’agenzia fiscale, vetri alle finestre saltati, grave, ma insomma nulla di gravissimo, contrariamente a quanto ci dicono i canali Telegram locali ed anche alcuni italiani ivi residenti. Una dozzina di feriti, nessun morto.

Il giorno dopo, e cioè all’alba di domenica, 25 droni hanno tentato di penetrare la Crimea. Sedici sono stati abbattuti dalle forze di difesa aerea, altri nove sono stati soppressi mediante mezzi di intercettazione elettronica, senza raggiungere alcun obiettivo, e si sono schiantati nel Mar Nero. Non ci sono state vittime o danni.

Finalmente, la capitale. Colpito il centro di Mosca, si sbracciano i media mainstream italiani. Calma. Un drone è stato abbattuto sopra Odincovo, un quartiere dormitorio nella provincia moscovita di 180 mila abitanti. Altri due droni sono stati neutralizzati elettronicamente e i loro detriti sono precipitati sul quartiere Moscow City. E qui è importante fornire alcuni dati. Moscow City è un recente quartiere periferico, costituito esclusivamente da grattacieli adibiti ad uffici. Come è piuttosto evidente, non abitandoci nessuno, nella notte tra sabato e domenica i palazzi erano vuoti. Saltati parecchi vetri. Altro che centro di Mosca. Anche se recentemente vi si sono trasferiti i ministeri dello sviluppo economico, del commercio industriale e della digitalizzazione.

Il punto è un altro. Sia nei media russi, sia nei canali Telegram, sia vox populi, si dice sempre più insistentemente: perché la Russia si limita a dichiarare che “si riserva di dare una risposta adeguata” ma poi non fa nulla? Ed io concordo. No, lungi da me dall’incitare alla guerra totale, pur definendomi personalmente da decenni un “pacifista nient’affatto pacifico”, però in effetti, ritengo che la Bankovaja ulica, questa sì che è in pieno centro di Kiev, sia un legittimo obiettivo. Ricordiamoci che, nonostante nove anni di bombardamenti sulla popolazione civile nel Donbass da parte dei neonazisti ucraini, la Russia non si è mai posta l’obiettivo di colpire i civili pacifici ucraini, solo le strutture ed infrastrutture militari.

Ebbene, perché proprio la Bankovaja? Spiego. Vi si trova l’amministrazione del presidente, non lontano c’è la Verchovnaja Rada, cioè il parlamento, il consiglio dei ministri, cioè il governo, e quant’altro. Certo, si dice, non sono obiettivi strategici per l’operazione militare speciale. Però, psicologicamente, sarebbe determinante per entrambi i lati del fronte. Per gli ucraini, capire che in fisica ad ogni azione segue una reazione. Per i russi, che niente resterà impunito.

Il ministro degli Esteri italiano, il vice primo ministro, Antonio Tajani ha reagito negativamente alla pubblicazione dell’ambasciata russa a Roma in merito alla discussione al Senato della Repubblica della questione del riconoscimento del cosiddetto “Golodomor” come genocidio del popolo ucraino, sebbene allo stesso tempo ha chiesto di mantenere aperti i canali di dialogo con Mosca.

“Dobbiamo mantenere un dialogo aperto con Mosca, e sappiamo benissimo qual è la loro posizione. Su questo argomento abbiamo un’opinione completamente diversa. Non condividiamo le dichiarazioni contenute nella lettera dell’ambasciata russa. Un ambasciatore è un ambasciatore, ma tali lettere vengono rispedite al mittente”, ha detto il capo del ministero degli Esteri italiano ai giornalisti a margine di un evento pubblico a Roma.

Sui giornali italiani ho letto di tutto in merito, il Foglio di Giuliano Ferrara parla addirittura di “ignobile comunicato dell’ambasciata”. E che avrà mai detto di così disdicevole l’ambasciata? Leggiamolo, non è lungo.

Il Senato italiano ha discusso il riconoscimento del cosiddetto “golodomor” come genocidio del popolo ucraino. La carestia del 1932-1933 è una tragedia comune, il cui ricordo unisce i popoli di Russia, Ucraina e Kazachistan. Fu il risultato della sovrapposizione degli errori gestionali da parte delle amministrazioni regionali delle zone agricole dell’URSS sulle condizioni climatiche sfavorevoli dei primi anni ‘30.

Le pagine difficili della storia, assolutamente, devono essere studiate bene. Ma questo è possibile solo sulla base delle ricerche storiche professionali e obiettive. Tuttavia, coloro che, con una tenacia degna di una migliore applicazione, trascinano avanti la tesi del “golodomor-genocidio”, meno di tutto si interessano all’accuratezza scientifica e all’autenticità storica. Si ricorre alle manipolazioni e distorsioni, falsificazioni dei dati sui numeri dei morti. Tutto questo si fa con un solo obiettivo: massimizzare la disunione dei popoli uniti dai plurisecolari legami storici, culturali e spirituali.

Si vuole sperare che i senatori italiani, a differenza dei loro colleghi dalla camera bassa, mostrino lungimiranza e ampiezza di vedute storiche e non seguano la via della propaganda del mito politico e ideologico fomentato dalle autorità ucraine per compiacere le forze ultranazionaliste, neonaziste e russofobe e i loro patroni angloamericani.

Punto. Comunque la si pensi, non mi pare né ignobile, né da rispedire al mittente. In Ucraina esiste una legge che riconosce la carestia del “genocidio del popolo ucraino” del 1932-1933, chiamata dalle autorità di Kiev “Golodomor”. Tuttavia, la carestia ha colpito non solo l’Ucraina, ma anche molte altre regioni agricole dell’URSS, tra cui il Caucaso settentrionale, le regioni del Basso e Medio Volga, una parte significativa della regione centrale delle Terre Nere, il Kazachstan, la Siberia occidentale e la regione meridionale degli Urali. Secondo varie fonti, 7-8 milioni di persone sono morte di fame, di cui 3-3,5 milioni in Ucraina, 2 milioni in Kazachstan e Kirgizia e 2-2,5 milioni nella RSFSR. Un anno prima, lungo il Volga, addirittura 6 milioni. L’intera popolazione multietnica delle zone colpite soffriva la fame.

La settimana passata a Pietroburgo si è svolto il forum economico e umanitario Russia-Africa. Su 54 Paesi del continente africano, vi hanno partecipato i capi di Stato e di governo di 49 Paesi. Tuttavia, la notizia, per i media occidentali, è che cinque Paesi non hanno partecipato, secondo loro “per protesta”. E sì che, nella fattispecie, il presidente del Niger non ha potuto presenziare per una ragione ben più che plausibile: è in atto un colpo di Stato.

Parliamo piuttosto di quanto è stato detto di importante da Putin, mi pare più interessante. Comprendendo l’importanza di un approvvigionamento alimentare ininterrotto per lo sviluppo socio-economico e il mantenimento della stabilità politica degli Stati africani, la Russia sta aumentando la fornitura di prodotti agricoli all’Africa. Così, nel 2022, 11,5 milioni di tonnellate di grano sono state inviate nei Paesi africani e solo nei primi sei mesi di quest’anno quasi 10 milioni. E questo nonostante le sanzioni illegali imposte alle nostre esportazioni, che ostacolano seriamente l’approvvigionamento di cibo russo, complicano la logistica dei trasporti, le assicurazioni e i pagamenti bancari.

Il potenziale dell’Africa è evidente. Il tasso di crescita medio annuo del PIL del continente negli ultimi 20 anni – 4-4,5 per cento all’anno – supera quello globale. La popolazione si avvicina a 1,5 miliardi e cresce più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo. Le cifre parlano da sole: l’anno scorso, il commercio di prodotti agricoli tra Russia e Paesi africani è cresciuto del 10 per cento a 6,7 miliardi di dollari, e nel gennaio-giugno di quest’anno è già aumentato di un record del 60 per cento.

In quasi un anno, come parte del cosiddetto accordo sul grano, un totale di 32,8 milioni di tonnellate di merci è stato esportato dall’Ucraina, di cui oltre il 70 percento è andato in Paesi con livelli di reddito medio-alto, compresa soprattutto l’Unione Europea, mentre la quota di Paesi come Etiopia, Sudan, Somalia e tanti altri rappresentava – attenzione – meno del tre per cento del totale: meno di un milione di tonnellate.

Nessuno dei termini dell’accordo, riguardante il ritiro dalle sanzioni delle esportazioni russe di cereali e fertilizzanti verso i mercati mondiali, è stato rispettato. Sono stati inoltre frapposti ostacoli al trasferimento gratuito di fertilizzanti minerali da parte russa nei Paesi più poveri e bisognosi. Delle 262mila tonnellate di tali fertilizzanti bloccate nei porti europei, ne sono stati spediti solo due lotti: solo 20mila tonnellate in Malawi e 34mila tonnellate in Kenya. Il resto è rimasto nelle mani degli europei. E questo nonostante si trattasse di un’azione puramente umanitaria, che, in linea di principio, non dovrebbe essere soggetta ad alcuna sanzione.

Putin ha rassicurato che continuerà a sostenere i Paesi e le regioni più bisognosi, fornendo cereali e altri alimenti, anche gratuitamente, nonché nell’ambito del programma alimentare delle Nazioni Unite. Nei prossimi tre o quattro mesi la Russia fornirà gratuitamente dalle 25 alle 50.000 tonnellate di grano a sei Paesi africani: Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana, Eritrea. La Russia sta anche partecipando agli sforzi per alleviare l’onere del debito dei Paesi africani. Ad oggi, il debito totale cancellato è di $ 23 miliardi.

L’Ucraina nell’ultimo anno agricolo ha prodotto circa 55 milioni di tonnellate di cereali. Le esportazioni sono ammontate a 47 milioni di tonnellate, molto, inclusi 17 milioni di tonnellate di grano. E la Russia l’anno scorso ha raccolto 156 milioni di tonnellate di cereali. Sono state esportate 60 milioni di tonnellate, di cui 48 milioni di grano.

La quota della Russia nel mercato mondiale del grano è del 20%, quella dell’Ucraina è inferiore al 5%. Ciò significa che è la Russia che contribuisce in modo significativo alla sicurezza alimentare globale ed è un fornitore internazionale solido e responsabile di prodotti agricoli. E coloro che affermano che non è così, che questo è solo un garantire questo cosiddetto affare del grano per l’esportazione di grano ucraino, stanno semplicemente distorcendo i fatti, raccontando bugie. In effetti, questa è stata la pratica di alcuni Stati occidentali per decenni, se non secoli.

Tutto il clamore che circonda il fallito accordo sul grano russo-ucraino si riduce al fatto che i poveri africani muoiono di fame perché Putin non libera il grano ucraino. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha accusato Mosca di usare il cibo come arma quando priva i bisognosi dell’opportunità di mangiare. Tuttavia, se si guarda all’esportazione di grano ucraino, i suoi principali consumatori sono solo maiali spagnoli leggermente sovralimentati che si nutrono di granoturco. Il grano occupa un posto più modesto nelle esportazioni di cereali. I suoi principali consumatori sono Cina, Spagna, Turchia, Italia e Paesi Bassi. Non è un caso: le esportazioni ucraine, che arricchiscono gli oligarchi, competono con le esportazioni dell’UE, provocando un tale scalpore che persino i polacchi, che nutrono teneri sentimenti per Kiev, sono stati coinvolti in una scaramuccia con gli ucraini.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Ho parlato spesso dell’amore smodato, spesso non giustificato e da taluni italiani non corrisposto, dei russi per l’Italia e gli italiani. E mi si dice che non è vero. Beh, ma allora gli italiani dovrebbero protestare più risolutamente, no?

Talvolta, ho accennato che in un’altra vita ho cantato opera anch’io. Tranquilli, non è autopromozione: non ho mai raggiunto vette eccelse, e poi ho smesso 16 anni fa. Però ho cantato spesso dapprima in russo quando ero in Italia, e poi in italiano qui a Mosca.

La foto si riferisce addirittura al 1999, in Italia. Oggi, vi propongo una vecchia registrazione del 2006, “Se nel ben” di Alessandro Stradella, siamo nel XVII secolo, in un teatro moscovita.

Tutti i video (senza testo) si trovano in:

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domenica 23 luglio 2023

035 Italiani di Russia

Trentacinquesimo notiziario settimanale di lunedì 24 luglio 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

Ennesima intervista di Ferdinando Pelazzo, presidente della Camera di Commercio Italo-Russa, stavolta alla Rossijskaja Gazeta. Devo dire che ultimamente è particolarmente prolifico, ma lo dico senza alcuna ironia, anzi, ben venga, se ne parlasse di più.

In che modo le sanzioni anti-russe hanno influenzato il commercio tra Italia e Russia?

L’anno scorso il fatturato era decisamente migliore di un +50% rispetto al 2021. Alla fine di quest’anno, prevediamo un notevole deterioramento. Un anno fa, le esportazioni dalla Russia sono aumentate notevolmente, dell’89%, mentre le importazioni dall’Italia sono diminuite del 23%. Tuttavia, nel 2022, le risorse energetiche fornite dalla Russia erano piuttosto costose. Pertanto, la Russia era in attivo.

Per quanto riguarda il 2023, finora possiamo giudicare solo dagli indicatori del primo trimestre. Le statistiche mostrano che le esportazioni dalla Russia sono diminuite dell’80%, ammontando a 1,6 miliardi di euro e le esportazioni dall’Italia a 1,3 miliardi di euro. Le esportazioni dall’Italia hanno perso il 23% rispetto al 2021. Quest’anno, il primo trimestre rispetto allo scorso anno è del 14% e il secondo trimestre del 15%.

In che modo le aziende stanno affrontando la disconnessione dallo SWIFT?

Va tenuto presente che in Italia circa l’80% dell’economia è costituito da piccole imprese, spesso a conduzione familiare. Cioè, il padre gestisce l’attività e i figli lo aiutano. La situazione è generalmente l’opposto di ciò che stiamo vedendo finora in Russia. Molti di questi piccoli imprenditori non sanno nemmeno se il loro prodotto è stato sanzionato o meno. A nostra volta, noi, in quanto camera di commercio, controlliamo i codici doganali in modo che queste imprese non rifiutino completamente di fornire merci alla Russia, poiché non dispongono di un enorme staff di avvocati e l’introduzione di sanzioni anti-russe è diventata per loro un enorme mal di testa.

Per soddisfare le esigenze dei membri della nostra associazione, stiamo lanciando il nostro sistema di pagamento, che ci aiuterà a effettuare pagamenti tramite la Camera di Commercio. Mi spiego, i problemi non riguardano solo lo SWIFT. E’ difficile per una piccola azienda aprire un conto in Russia, poiché a volte i pagamenti devono essere di almeno 50.000 euro. Pertanto, abbiamo deciso di creare un’ulteriore struttura della camera in un Paese terzo amico della Russia. Pertanto, liquideremo in rubli tramite questa filiale, ad esempio, in Armenia o Kazachstan, per poi trasferire i pagamenti in Italia. Agiremo come garanti dell’esportatore ai sensi del contratto di vendita. Cioè, riceviamo, ad esempio, mille rubli, convertiamo questi soldi in euro e li trasferiamo a un fornitore in Italia.

Un altro problema è che la banca corrispondente, che potrebbe trovarsi da qualche parte all’estero in Germania, può semplicemente prendere e congelare il pagamento dalla Russia. Cioè, l’imprenditore russo ha pagato per la consegna della merce, ma l’italiano non ha ricevuto questo denaro, perché la banca straniera ha bloccato questo pagamento. Se la legge lo consente, possiamo esercitare questo diritto senza timore di pressioni dall’esterno. Non siamo una banca e non abbiamo filiali in Europa e USA, istituzionalmente siamo una camera tra Russia e Italia. Questo sistema può essere utilizzato dai nostri membri sia dalla Russia che dall’Italia, ed è uno schema completamente trasparente e legalmente certificato.

Vediamo che alcuni marchi italiani non hanno fretta di lasciare il mercato russo, e alcuni si sono addirittura diretti verso l’espansione. Con cosa è connesso?

In effetti, sono molte le aziende che hanno deciso di rimanere sul mercato russo. Devo dire che la maggior parte degli italiani ha cercato di rimanere in Russia. Tuttavia, a poco a poco le nostre imprese stanno lasciando la Russia. Indubbiamente c’è chi è rimasto e ha anche iniziato ad aumentare la propria espansione sul mercato, ma c’è anche chi ora è congelato in attesa di tempi migliori, rimanendo fisicamente qui. Molte di queste Società stanno ora valutando come sbarazzarsi dei beni russi.

Quale quota di business italiano ha lasciato il mercato russo?

Abbiamo dati chiari. La quota di coloro che hanno lasciato la Russia è insignificante. Ma sappiamo che ci sono aziende che ora intendono andarsene. I risultati possono essere riassunti alla fine dell’anno.

E cosa fanno in generale gli imprenditori italiani? Trasferiscono la gestione operativa alla gestione russa o vendono gli asset?

Agiscono diversamente. Non c’è una prassi generalmente accettata, e non c’è una particolare specificità italiana in materia. Fondamentalmente cercano di vendere l’attività. Ma tornare indietro sarà più difficile. E tutti lo capiscono.

Come valuta il clima degli investimenti in Russia per gli italiani?

In breve, tutto è congelato. Storicamente, gli italiani sono stati buoni venditori e cattivi investitori. In questo momento ci stiamo concentrando soprattutto sulle vendite. Inoltre, come dicevo prima, una parte significativa delle nostre imprese è di piccole dimensioni e gli investimenti sono appannaggio delle grandi aziende.

Prima degli eventi dello scorso anno è stata osservata una bassa attività di investimento. Tuttavia, alcuni uomini d’affari stanno ancora valutando di investire in Russia per il futuro. Adesso, infatti, c’è un periodo di incertezza e c’è uno stato di stagnazione del mercato. Per quanto riguarda il settore bancario, qui tutto è radicale. Anche se ci sono tutte le condizioni per investire, quando si tratta della Russia i banchieri preferiscono rifiutare immediatamente. Di per sé, la parola Russia è già inaccettabile nelle realtà attuali.

Quali difficoltà devono affrontare ora gli uomini d’affari russi in Italia?

Aprire un conto in banca è molto difficile, ed è più facile aprirlo come persona fisica che come persona giuridica.

In Europa possono bloccare i conti delle Società con un importo di almeno 125mila euro, perché il proprietario è un russo senza permesso di soggiorno locale.

Le autorità italiane stanno congelando i beni russi? Se sì, chi difende i diritti dei nostri imprenditori in Europa?

Ci sono molti casi simili in relazione alle persone. Ad esempio, i russi hanno acquistato appartamenti, ville e altri immobili in Italia e ora non possono venderli. Tali beni congelati sono ora intorno ai 2 miliardi di euro. Congelano i beni delle Società che erano associate al business delle sanzioni, così come quelle che non c’entravano nulla, cioè imprese completamente pulite.

Ora possono bloccare i conti delle Società non sanzionate con più di 125mila euro sul conto, semplicemente perché il titolare è russo e non è residente fiscale in Italia, non ha la cittadinanza e il permesso di soggiorno. Pertanto, spesso gli investimenti in beni sono stati effettuati attraverso Cipro o alcuni Paesi terzi.

Anche gli affari russi lasciano l’Italia? Quanto è grande questa quota?

Ad esempio, in Italia c’è un’azienda di alcolici molto grande e antica, che è stata acquistata dalla compagnia di un uomo d’affari russo. Cioè, l’attività russa ha effettivamente salvato questa Società dal fallimento, poiché era focalizzata solo sul mercato interno e ha fallito, ignorando il mercato internazionale. Ora per tutte le leggi è un’azienda italiana. Anche una filiale di LUKOIL aveva sede in Italia, ma ora è in fase di vendita. Ebbene, ci sono molte imprese nel settore turistico che si sono concentrate sul turista russo, e il flusso turistico, come sapete, verso l’Italia si è prosciugato. Anche questi uomini d’affari non possono vendere i loro beni: per molti sono congelati. Ma non c’erano molti affari russi in Italia.

Tuttavia, i russi sono più inclini di altri stranieri a comprendere le specificità del lavoro con l’Italia.

L’intera situazione non è in conflitto con il diritto internazionale?

Come ha affermato un importante ambasciatore italiano, “il diritto internazionale riguarda più la politica globale”. Che ci piaccia o no, queste sono le regole che abbiamo oggi. E tutto ciò che possiamo fare è adattarci.

In settimana, ci sono stati due importanti interventi di Putin. Il primo, alla riunione del governo, riguardava il cosiddetto “Accordo sul grano”, noto anche come “Iniziativa del Mar Nero”. Il secondo, al Consiglio di Sicurezza russo, in merito alle voci sempre più insistenti sugli appetiti della Polonia, che vorrebbe fagocitare alcuni territori ucraini. Personalmente, lo vado dicendo da svariati mesi, e mi davano del complottista. Vi riporto entrambi gli interventi nella mia traduzione simultanea in italiano.

Naturalmente, la partecipazione della Russia al cosiddetto accordo sul grano, ovvero alla risoluzione delle questioni relative all’esportazione di grano dal territorio ucraino, influisce direttamente sugli interessi dei nostri produttori agricoli, nonché delle imprese che producono fertilizzanti.

Permettetemi di ricordarvi a questo proposito che, come avrete capito, stiamo parlando del cosiddetto accordo sui cereali. Questo accordo è stato concluso esattamente un anno fa, il 22 luglio 2022. Quindi questo accordo, il cosiddetto accordo, è stato prorogato più di una volta, l’ultima volta nel maggio di quest’anno per il periodo fino al 17 luglio compreso. Abbiamo esteso questo accordo ancora e ancora e, estendendolo, abbiamo mostrato semplicemente miracoli di resistenza e pazienza, tolleranza, sperando che i nostri colleghi stranieri iniziassero finalmente a rispettare pienamente i parametri e le condizioni concordati e approvati.

Tuttavia, non è successo niente del genere, nessuno avrebbe adempiuto ad alcun obbligo previsto dall’accordo, ma ha solo preteso costantemente qualcosa dalla Russia: fare una cosa, poi un’altra, fornirne una, due, tre. Solo totale arroganza e sfacciataggine, promesse e chiacchiere vuote. E si sono solo compromessi con questo, hanno minato la loro autorità, compresa la leadership del Segretariato delle Nazioni Unite, che in realtà ha agito come garante dell’accordo sul grano.

Devo dire che credo che il personale delle Nazioni Unite abbia cercato sinceramente di mantenere tutte le promesse fatte dall’Occidente, ma non sia riuscito a ottenere nulla. Non hanno fatto praticamente nulla per far funzionare normalmente la transazione. Ma per interromperlo, i nostri cosiddetti partner in Occidente non hanno risparmiato sforzi, hanno fatto di tutto per farlo fallire. E oggi, come dice la nostra gente, stanno letteralmente mentendo al mondo intero, dicendo che la Russia è presumibilmente la causa del fallimento di questo accordo. Inoltre, quasi tutti i disastri della popolazione africana e di un certo numero di altri Paesi sono attribuiti alla Russia, che un tempo lo stesso Occidente ha derubato, spinto nell’abisso delle guerre, della fame e della povertà, e ora continua a saccheggiare questi Stati come parte del suo sistema neocoloniale. Ha approfittato spudoratamente dell’accordo sul grano, ha semplicemente distorto, completamente distorto il significato di questi accordi e la loro essenza. Lasciate che ve lo riassuma.

In realtà, è per questo che la Russia si è assunta alcuni obblighi per facilitarne l’attuazione, ma questo accordo – tra virgolette – che è stato pubblicamente presentato in Occidente come manifestazione della loro cura a beneficio dei Paesi più poveri del mondo, è stato infatti utilizzato per arricchire le grandi imprese americane ed europee che esportavano e rivendevano grano dall’Ucraina.

Guardate, in quasi un anno, come parte di questo cosiddetto accordo, un totale di 32,8 milioni di tonnellate di merci è stato esportato dall’Ucraina, di cui oltre il 70 percento è andato esattamente ai Paesi ricchi, compresi principalmente i paesi dell’UE, mentre la quota di Stati come Etiopia, Sudan, Somalia, Afghanistan, Yemen – i Paesi più poveri – rappresentava meno del tre percento del volume totale, meno di un milione di tonnellate. Allo stesso tempo, nessuno dei termini di questo accordo, riguardante il ritiro dalle sanzioni delle esportazioni russe di grano e fertilizzanti verso i mercati mondiali, nessuno è stato rispettato.

Inoltre, viene ostacolata anche la nostra donazione gratuita di fertilizzanti minerali ai Paesi più poveri e bisognosi. Delle 262.000 tonnellate di prodotti bloccate nei porti europei, solo due lotti sono stati spediti: 20.000 tonnellate in Malawi e 34.000 tonnellate in Kenya. Il resto rimane nelle mani senza scrupoli degli europei, e questo nonostante si tratti di un’azione puramente umanitaria, alla quale in linea di principio non dovrebbero essere applicate sanzioni.

Aggiungo ancora una cosa: alcuni Paesi europei che affermano verbalmente che l’Ucraina dovrebbe avere l’opportunità di esportare prodotti agricoli, voglio sottolinearlo, loro stessi pensano di vietare l’importazione di grano ucraino nel loro territorio, parlando degli interessi dei loro produttori.

Ripeto, rendendosi conto dell’importanza delle forniture globali di cibo e fertilizzanti, soprattutto ai Paesi più poveri, la Russia ha esteso più volte questo accordo, e gli Stati occidentali, con qualsiasi pretesto e senza alcun pretesto, si sono rifiutati di adempiere ai propri obblighi, inclusa la rimozione degli ostacoli alle nostre esportazioni agricole. Per i produttori agricoli russi, per le imprese che producono fertilizzanti, ciò ha comportato danni e perdite dirette. A causa di uno sconto del 30-40 per cento sul nostro grano sui mercati mondiali, le perdite degli agricoltori russi ammontano, se convertite in dollari, a 1,2 miliardi di dollari.

Inoltre, l’aumento del costo del noleggio di navi marittime per il trasporto di merci e del costo dei regolamenti finanziari internazionali e di altre operazioni ha portato a un dimezzamento della redditività delle consegne. Anche i nostri produttori di fertilizzanti hanno affrontato un problema simile, le loro perdite sono di circa 1,6 miliardi di dollari. Ad esempio, il costo dei pezzi di ricambio importati per macchinari e attrezzature in generale per loro è aumentato del 40%, l’aumento dei costi per le transazioni finanziarie è di circa il 10%.

Aggiungo qualche altra cifra per chiarezza. L’Ucraina nell’ultimo anno agricolo ha prodotto circa 55 milioni di tonnellate di grano, le esportazioni sono state di 47 milioni di tonnellate, di cui grano 17 milioni. E la Russia ha raccolto 156 milioni di tonnellate di grano l’anno scorso ed ha esportato 60 milioni di tonnellate, di cui 48 milioni di tonnellate erano grano. La quota della Russia nel mercato mondiale del grano è del 20%, mentre quella dell’Ucraina è inferiore al cinque. Queste cifre parlano da sole, è la Russia che dà un contributo colossale alla sicurezza alimentare globale e tutte le affermazioni secondo cui solo il grano ucraino nutre gli affamati di tutto il mondo sono speculazioni e bugie. Voglio assicurarvi che il nostro Paese è in grado di sostituire il grano ucraino sia su base commerciale che gratuita, soprattutto perché, come ha riferito il ministro, anche quest’anno ci aspettiamo un raccolto record.

Tenendo conto di tutti i fattori che ho citato oggi, la continuazione dell’affare del grano nella forma in cui esisteva ha perso ogni significato. Ecco perché ci siamo opposti a un’ulteriore estensione di questo cosiddetto accordo. A partire dal 18 luglio, la sua implementazione è stata esaurita.

Vorrei sottolineare che non siamo contrari all’accordo in sé, soprattutto considerando la sua importanza per il mercato alimentare globale, per molti Paesi del mondo, e, naturalmente, prenderemo in considerazione la possibilità di ritornarci, ma solo a una condizione: se saranno pienamente presi in considerazione e, soprattutto, attuati, ovvero tutti i principi precedentemente concordati della partecipazione della Russia a questo accordo saranno attuati senza eccezioni.

Vi ricordo di cosa sto parlando.

Il primo è il ritiro dalle sanzioni sulle forniture di cereali e fertilizzanti russi ai mercati mondiali.

In secondo luogo, tutti gli ostacoli devono essere rimossi per le banche e le istituzioni finanziarie russe che forniscono cibo e fertilizzanti, compreso il loro collegamento immediato al sistema di regolamento bancario internazionale SWIFT. Non abbiamo bisogno delle solite promesse su questo punto, abbiamo bisogno del rispetto di queste condizioni.

In terzo luogo, dovrebbero riprendere le consegne in Russia di pezzi di ricambio e componenti per macchine agricole e per l’industria dei fertilizzanti.

Inoltre, tutti i problemi con il noleggio delle navi e l’assicurazione delle forniture alimentari di esportazione russe devono essere risolti, deve essere fornita tutta la logistica delle forniture alimentari.

Finalmente, devono essere previste condizioni senza ostacoli per espandere la fornitura di fertilizzanti russi, materie prime per la loro produzione, compreso il ripristino dei lavori dell’oleodotto dell’ammoniaca Togliatti-Odessa, che è stato fatto saltare in aria e distrutto, chiaramente per ordine del regime di Kiev. E infatti questo sabotaggio non ha ricevuto alcuna valutazione dalla comunità internazionale, dall’Onu.

Le attività russe legate al settore agricolo devono essere sbloccate.

Non continuerò a elencare tutte le posizioni e le condizioni per la partecipazione del nostro Paese a questo accordo sul grano, sono, in particolare, specificate nel corrispondente memorandum Russia-ONU. Se ne può prendere visione. Ma la cosa principale è che i colleghi occidentali devono soddisfarle.

L’unica cosa che voglio sottolineare ancora una volta è che inizialmente l’essenza, il significato dell’accordo sul grano aveva un colossale significato umanitario. L’Occidente ha completamente evirato e distorto questa essenza. E invece di aiutare i Paesi veramente bisognosi, l’Occidente ha usato l’accordo sul grano per ricatto politico, e inoltre, come ho detto, ne ha fatto uno strumento per arricchire gli speculatori delle corporazioni transnazionali nel mercato globale del grano.

Infine, le condizioni fondamentali affinché la Russia torni all’accordo sono il ripristino della sua originaria essenza umanitaria. Se tutte queste condizioni, che abbiamo concordato in precedenza, saranno soddisfatte, e non sono inventate adesso da me, queste condizioni, ma non appena saranno soddisfatte, torneremo immediatamente a questo accordo.

* * *

Oggi è chiaro che i curatori occidentali del regime di Kiev sono esplicitamente delusi dai risultati della cosiddetta controffensiva, che le attuali autorità ucraine hanno proclamato a gran voce nei mesi precedenti. Non ci sono risultati, almeno non ancora. Né le colossali risorse che sono state “pompate” nel regime di Kiev, né la fornitura di armi occidentali: carri armati, artiglieria, veicoli corazzati, missili, né l’invio di migliaia di mercenari e consiglieri stranieri, che sono stati utilizzati più attivamente nei tentativi di sfondare il fronte del nostro esercito, aiutano.

Allo stesso tempo, il comando dell’operazione militare speciale agisce in modo professionale. I nostri soldati e ufficiali, unità e formazioni svolgono il loro dovere verso la Patria con coraggio, fermezza, eroismo. Contemporaneamente, il mondo intero vede che il decantato equipaggiamento occidentale, apparentemente invulnerabile, è in fiamme e, in termini di dati tattici e tecnici, è spesso persino inferiore ad alcune delle armi di fabbricazione sovietica.

Sì, certo, le armi occidentali possono essere ulteriormente fornite e lanciate in battaglia. Questo, ovviamente, ci causa qualche danno e prolunga il conflitto. Ma, in primo luogo, gli arsenali della NATO e le scorte di vecchie armi sovietiche in alcuni Stati sono già in gran parte esaurite. E in secondo luogo, le capacità produttive esistenti in Occidente non consentono di ricostituire rapidamente il consumo di riserve di attrezzature e munizioni. Sono necessarie ulteriori cospicue risorse e tempo.

E, cosa più importante, a seguito di attacchi suicidi, le formazioni delle forze armate ucraine hanno subito enormi perdite. Queste sono decine di migliaia, letteralmente decine di migliaia di persone.

E, nonostante le continue incursioni, le incessanti ondate di mobilitazione totale nelle città e nei villaggi dell’Ucraina, è sempre più difficile per l’attuale regime portare al fronte nuovi rifornimenti. La risorsa di mobilitazione del Paese è esaurita.

Le persone in Ucraina si pongono sempre più una domanda, una domanda legittima: per cosa, per il bene di quali interessi egoistici stanno morendo i loro parenti e amici? La domanda arriva gradualmente, lentamente, ma fa riflettere.

Vediamo che in Europa l’opinione pubblica sta cambiando. Sia gli europei che i rappresentanti delle élite europee vedono che il cosiddetto sostegno all’Ucraina è, in realtà, un vicolo cieco, uno spreco infinito di denaro e sforzi, ma in realtà serve interessi stranieri, lontani da quelli europei: gli interessi dell’egemone globale d’oltremare, che beneficia dell’indebolimento dell’Europa. E’ benefico per lui anche l’infinito trascinamento del conflitto ucraino.

A giudicare da ciò che sta accadendo nella vita reale, le odierne élite al potere negli Stati Uniti fanno proprio questo. In ogni caso, in questa logica agiscono. Se una tale politica sia nel vero e fondamentale interesse del popolo americano è una grande domanda, una domanda retorica, ovviamente, che decidano da soli.

Tuttavia, ora il fuoco della guerra è intensamente acceso. In particolare, usano per questo le ambizioni dei leader di alcuni Stati dell’Europa orientale, che da tempo hanno trasformato l’odio per la Russia, la russofobia nel loro principale prodotto di esportazione e in uno strumento della loro politica interna. E ora vogliono scaldarsi le mani sulla tragedia ucraina.

A questo proposito, non posso non commentare un fatto: le notizie apparse sulla stampa sui piani per creare una sorta di cosiddetto collegamento polacco-lituano-ucraino. Cioè, non stiamo parlando di una sorta di raduno di mercenari – ce ne sono abbastanza lì e vengono distrutti – ma di un’unità militare regolare, ben unita ed equipaggiata, che dovrebbe essere utilizzata per operazioni sul territorio dell’Ucraina. Anche presumibilmente per garantire la sicurezza della moderna Ucraina occidentale, ma in realtà, se diamo pane al pane, per la successiva occupazione di questi territori. Dopotutto, la prospettiva è ovvia: se le unità polacche entrano, ad esempio, a Leopoli o in altri territori dell’Ucraina, rimarranno lì. E ci rimarranno per sempre.

Tra l’altro, non sarebbe una novità. Permettetemi di ricordarvi che dopo la sconfitta della Germania e dei suoi alleati, a seguito della prima guerra mondiale, le unità polacche occuparono Leopoli e le terre circostanti, che allora appartenevano all’Austria-Ungheria.

La Polonia, istigata dall’Occidente, ha approfittato della tragedia della guerra civile in Russia e ha annesso alcune storiche province russe. Il nostro Paese, che allora si trovava in una situazione difficile, fu costretto a firmare il Trattato di Riga nel 1921 e di fatto rinunciare ai suoi territori.

E anche prima, nel 1920, la Polonia conquistò parte della Lituania: la regione di Vilna, il territorio intorno alla moderna Vilnius. Sembrava che insieme ai lituani avessero combattuto contro il cosiddetto “imperialismo russo”, ma non appena si è presentata l’occasione, hanno subito tagliato un pezzo di terra ai loro vicini.

Anche la Polonia partecipò, come è noto, alla spartizione della Cecoslovacchia a seguito del Patto di Monaco con Hitler nel 1938. La Slesia di Cieszyn fu completamente occupata.

Negli anni 20-30 del secolo scorso, nel cosiddetto Kresy orientale della Polonia – e questo attualmente è un territorio dell’Ucraina occidentale, della Bielorussia occidentale e di parte della Lituania – è stata effettuata una severa polonizzazione e assimilazione dei residenti locali, le culture nazionali e l’ortodossia sono state soppresse.

Voglio anche ricordarvi come è finita una politica così aggressiva per la Polonia. Finì nella tragedia nazionale del 1939, quando la Polonia fu lanciata dagli alleati occidentali per essere divorata dalla macchina militare tedesca e di fatto perse la sua indipendenza e statualità, che fu restaurata in larga misura grazie all’Unione Sovietica. Ed è stato proprio grazie all’Unione Sovietica, grazie alla posizione di Stalin, che la Polonia ha ricevuto terre significative in Occidente, le terre della Germania. Proprio così: i territori occidentali dell’attuale Polonia sono un dono di Stalin ai polacchi.

I nostri amici a Varsavia se ne sono dimenticati? Glielo ricorderemo noi.

Oggi vediamo che il regime di Kiev è pronto a tutto pur di salvare la sua pelle al miglior offerente e prolungare la sua esistenza. A loro non importa del popolo ucraino, della sua sovranità e dei suoi interessi nazionali.

Scambieranno tutto: sia le persone che la terra. Proprio, tra l’altro, come i loro predecessori ideologici, i Petliuristi, che nel 1920 conclusero con la Polonia le cosiddette convenzioni segrete, secondo le quali, in cambio di sostegno militare, davano alla Polonia le terre della Galizia e della Volinia occidentale. Ancora oggi tali traditori sono pronti ad aprire le porte ai padroni stranieri e a vendere ancora una volta l’Ucraina.

Per quanto riguarda i leader polacchi, probabilmente si aspettano di formare una sorta di coalizione sotto l’ombrello della NATO e di intervenire direttamente nel conflitto in Ucraina per poi arraffare un pezzo più grande, per riconquistare, come credono, i loro territori storici: l’odierna Ucraina occidentale. E’ risaputo che sognano anche le terre bielorusse.

Quanto alla politica del regime ucraino, sono affari suoi. Vogliono, come di solito fanno i traditori, cedere qualcosa, vendere qualcosa, ripagare con qualcosa i loro proprietari: questo, ripeto, alla fine sono affari loro. Non interferiremo in questo.

Ma per quanto riguarda la Bielorussia, fa parte dello Stato dell’Unione, scatenare un’aggressione contro la Bielorussia significherà un’aggressione contro la Federazione Russa. Risponderemo a questo con tutti i mezzi a nostra disposizione.

Anche le autorità polacche, covando i loro piani revanscisti, non dicono la verità al loro popolo. E la verità è che la “carne da macello” ucraina per l’Occidente non è già abbastanza, non gli basta più. Pertanto, hanno in programma di utilizzare nuovi materiali di consumo: gli stessi polacchi, i lituani e via via da elenco: tutti coloro che si possono sacrificare.

Dirò una cosa: questo è un gioco molto pericoloso e gli autori di tali piani dovrebbero pensare alle conseguenze.

Su quest’ultimo intervento, c’è un’interessante dichiarazione di Zachar Prilepin, scrittore, uno dei massimi dirigenti del Partito “Russia Giusta” (per intenderci, il Partito Socialista), fatto saltare in aria con la sua auto in un attentato terroristico ucraino il 6 maggio 2023. Dal suo letto d’ospedale, dove si trova tuttora, ha scritto:

L’ambasciatore russo in Polonia sarà convocato al ministero degli Esteri a causa della dichiarazione di Vladimir Putin, che ieri al Consiglio di sicurezza ha affermato un dato di fatto: la Polonia ha ricevuto una parte significativa delle sue terre occidentali grazie a Stalin.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha risposto affermando che Iosif Stalin era “un criminale di guerra responsabile della morte di centinaia di migliaia di polacchi”.

Il numero è decisamente bestiale.

Nel caso Katyn, furono fucilati 21.000 ufficiali polacchi catturati; tuttavia, lo fecero i tedeschi, cosa che i polacchi diligentemente non credono.

Le restanti “centinaia di migliaia” possono essere attribuite alla rivolta di Varsavia, iniziata dagli orgogliosi polacchi senza il consenso di Mosca. Durante la rivolta morirono tra i 17.000 e i 20.000 partigiani clandestini.

Poi i nazisti organizzarono incursioni punitive e uccisero oltre 150.000 civili.

Ancora una volta: i fascisti. Non Stalin, ma i nazisti. E hanno ucciso anche i partigiani.

Cioè, i nazisti hanno ucciso in queste due storie terribili un totale di circa 190mila polacchi, ma ora il primo ministro polacco li attribuisce a Stalin, parlando di fantomatiche “centinaia di migliaia”!

Permettetemi di ricordarvi che durante la liberazione della Polonia morirono 477mila soldati e ufficiali sovietici.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato in onda sul canale televisivo M1 che entro la fine del decennio Regno Unito, Italia e Francia lasceranno le prime dieci posizioni nell’economia del mondo e la Germania scenderà dal quarto al decimo posto.

“Se diamo un’occhiata all’elenco compilato dal FMI, dove i Paesi sono classificati in base all’entità del loro PIL, vedremo che entro il 2030 Regno Unito, Italia e Francia, che sono attualmente lì, usciranno dalla top ten di questa classifica, e la Germania, che è al quarto posto, scivolerà al decimo. Questa è la realtà”, ha detto Orbán, nel suo discorso annuale nella città rumena di Băile Tuşnad, in Transilvania.

Secondo lui, l’UE ora si sente “circondata e spaventata”. “All’inizio della settimana c’è stato un vertice Ue – America Latina, dove ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie che le espressioni più frequenti nel vocabolario dei leader latinoamericani erano “genocidio indigeno”, “schiavitù” e “giustizia riparatrice”. Non c’è da stupirsi che l’Ue si senta circondata”, ha detto Orbán.

Ha osservato che l’Unione Europea è una “unione debole e ricca” che ha paura della concorrenza, “come un vecchio campione di boxe che mostra le cinture del campionato, ma non vuole più salire sul ring”. “Questo porta all’isolamento, ai ghetti economici, politici e culturali”, ha aggiunto Orbán.

Sabato scorso sono intervenuto prima all’Attimo fuggente di Luca Telese su giornaleradio.fm, e poi, come ogni settimana, all’approfondimento di Cusano News 7.

Cultura

La settimana appena trascorsa, presso l’ambasciata italiana a Mosca, c’è stata una proiezione cinematografica in originale con sottotitoli in russo. Il film in questione è “L’ultima notte di Amore”. Nulla di politico, è un giallo che personalmente ho trovato gradevole e avvincente (anche per essere un cultore di questo genere), ne sono rimasto sorpreso. E’ stato anche un’occasione per illustrare le numerose iniziative promosse a Mosca dall’Istituto Italiano di Cultura. Tra l’altro, al termine della proiezione ho avuto occasione, graditissima, di conoscere un paio di spettatori di questo mio notiziario.

Si fatica a trovare qualcosa di analogo in Italia per la cultura russa. Si può trovare, ma non è facile: tutti sappiamo, o dovremmo sapere, che la cultura travalica i dissapori politici, ma in Italia attualmente prevale la cancellazione della cultura e la cultura della cancellazione per tutto quel che è russo, autori dell’Ottocento e Novecento compresi, da Dostoevskij a Puškin, da Tolstoj a Majakovskij, da Čajkovskij a Musorgskij, e questa sì che è politica.

Plaudo quindi con piacere alle iniziative dell’ambasciata italiana, di questi tempi non è impresa facile o scontata.

Linguistica

Dopo l’ennesimo attentato terroristico al Ponte di Kerč, tra la Russia continentale e la penisola della Crimea, i media mainstream si erano precipitati a riassumere il tutto con il titolo “Combattimenti in Crimea”. Naturalmente, non c’era e non c’è alcun combattimento. La Russia ha avvertito che a questo seguirà una risposta militare a breve. L’Occidente lo ha bollato come rappresaglia. Mi permetto sommessamente di ricordare che le rappresaglie furono quelle dei nazisti tedeschi contro la popolazione civile alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema. La Russia ha colpito alcuni depositi militari.

Il termine usato è stato возмездие, che ha una precisa traduzione in italiano. Solo che taluni non lo vogliono usare perché non è denigratorio, altri semplicemente perché manco lo conoscono. Eppure viene dal latino nemĕsis.

La nemesi è un’espressione riferita ad avvenimenti storici che sembrano quasi riparare o vendicare antiche ingiustizie o colpe di uomini e nazioni, a proposito di un avvenimento considerato come un atto di giustizia compensativa.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Ho parlato spesso dell’amore smodato, spesso non giustificato e da taluni italiani non corrisposto, dei russi per l’Italia e gli italiani.

E’ la terza volta che vi racconto di Muslim Magomaev, azero sovietico, che dopo uno stage alla Scala di Milano preferì tornare in patria. E’ anche però la seconda volta che vi parlo di Fred Buscaglione. E voi direte: che c’entra? Buscaglione, classe 1921, si shiantò trentottenne a Roma con la sua automobile nel 1960. Per lo più viene ricordato per le sue esibizioni scanzonate degli anni ‘50, considerate trasgressive per l’epoca: Eri piccola così, Teresa non sparare, Porfirio Villarosa, Che bambola, Frankie and Johnny, Che notte, Si sono rotti i Platters, Il dritto di Chicago, Whisky facile. Alcuni, più cinefili, lo ricordano in vari film, anche con Totò: Noi duri, Siamo gli evasi, eccetera.

Negli ultimi anni ‘50, prima di morire, era diventato meno scanzonato e più lirico. A parte Che bella cosa sei, una sua bellissima canzone si chiamava Guarda che luna. Ebbene, ve la faccio ascoltare proprio nell’interpretazione di Muslim Magomaev.

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domenica 16 luglio 2023

034 Italiani di Russia

Trentaquattresimo notiziario settimanale di lunedì 17 luglio 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

La Camera di commercio italo-russa sta lavorando a un meccanismo in base al quale le aziende della Federazione Russa potranno pagare in rubli per merci che non sono incluse nell’elenco delle sanzioni, ha detto a RIA Novosti il presidente della CCIR Ferdinando Pelazzo. In un’intervista con il corrispondente dell’agenzia Aleksej Men’šov, ha detto quando aspettarsi il lancio di tale sistema, quali difficoltà rimangono, quali merci continuano ad essere importate in Russia e quali produttori potrebbero lasciare il mercato, e ha condiviso una previsione per il futuro delle relazioni commerciali bilaterali.

– Il numero di progetti economici congiunti tra Italia e Russia è diminuito dal 2022. Secondo le vostre previsioni, dovremmo aspettarci un rapido ritorno al volume precedente dopo la fine del conflitto ucraino? O gli effetti delle sanzioni e dell’interruzione delle catene di produzione si faranno sentire nei prossimi 5-10 anni e oltre?

– Penso la seconda: dobbiamo aspettare molto tempo. Gli investimenti dall’Italia sono sempre stati poco elevati per vari motivi. L’ottanta per cento delle imprese italiane sono medie e piccole imprese. E’ difficile per loro investire all’estero. Sfortunatamente, le esportazioni dall’Italia sono diminuite del 22% lo scorso anno. Nel 2023 è già sceso del 15,4% da gennaio a maggio. Purtroppo, le sanzioni continuano ad espandersi e continueranno a colpire le esportazioni.

C’è un altro motivo: la Russia è sempre più associata al gruppo di paesi BRICS. Questo è molto logico. I paesi BRICS discuteranno della moneta unica ad agosto, che è una questione molto interessante. Questo è il cambiamento finanziario, commerciale e geopolitico più importante.

C’è anche il problema dei pagamenti. Ora è molto difficile per i russi pagare le importazioni dall’Italia. L’esportazione dalla Russia è più facile: gas, prodotti chimici, tutto questo viene esportato da grandi aziende che hanno da tempo certi legami con il settore bancario, è più facile per loro.

Non sono molto ottimista per il futuro, nonostante ci siano legami culturali, storici ed economici tra Italia e Russia. Sarebbe un peccato se si perdessero. Penso che possiamo continuare a sostenerli. Tuttavia, questo è un patrimonio di molti secoli. Anche durante l’era sovietica, abbiamo lavorato in Russia, e c’erano rapporti molto proficui tra l’URSS e l’Italia.

– In che modo il calo degli scambi con la Russia ha influito sull’economia italiana? Quanto hanno sofferto le aziende italiane?

– L’export dall’Italia verso la Russia era il 4% di tutte le esportazioni italiane, ora è lo 0,9%. In Italia dicono che non c’è nulla di cui preoccuparsi, devi solo riorientarti verso altri Paesi. In realtà, non è questo il caso. La Russia ha comprato molto da produttori medi e piccoli poco conosciuti sul mercato internazionale. Potevano esportare perché la Russia forniva loro la logistica. Queste aziende, in particolare i produttori di scarpe, fanno buoni prodotti, ma sono aziende familiari. Non sempre hanno la struttura per gestire tutti i dettagli relativi all’esportazione.

– Quali settori sono più critici?

“I beni di consumo. Il vino, ad esempio, continua a essere venduto perché in Russia ci sono grandi distributori che conoscono molto bene l’Italia, che vivono in Italia e parlano italiano meglio degli italiani stessi. Tengono tutto sotto controllo. Le calzature, invece, soffrono di più.

Inoltre, il 40% delle esportazioni dall’Italia sono apparecchiature prodotte in due province italiane in Lombardia. I loro prodotti sono di altissima qualità, non peggiori di quelli tedeschi, ma più economici. Negli ultimi vent’anni hanno lavorato direttamente con la Russia. La Russia era un mercato piuttosto interessante, ora le sanzioni hanno un forte impatto anche su questo settore. Rischiano lesioni gravi”.

– Come e da chi viene esercitata la maggiore pressione sulle imprese italiane affinché non lavorino nella Federazione Russa?

– Nessuno influenza, nessuno preme. In questo caso si tratta solo di legislazione: ci sono sanzioni che il nostro Stato ha stabilito. Possiamo fare assistenza nello scambio di merci tra Italia e Russia per prodotti non sanzionati.

– Ci racconti di più sul sistema di vendita di beni non sanzionati che ha citato.

– Il 51% delle esportazioni dall’Italia verso la Russia sono sanzionate. Ma c’è anche il 49% delle merci non proibite: vino, scarpe, articoli di moda, cioè merci che la Russia può tranquillamente acquistare. Ci sono anche alcune categorie che la Russia può vendere in sicurezza.

Sorgono però delle difficoltà, soprattutto per i russi che vogliono comprare qualcosa, per esempio, per trovare una banca che apra un conto in euro. Non ce ne sono molte. Se hai un conto in euro, devi pagare una commissione. Questi sono costi aggiuntivi.

C’è un problema con lo SWIFT, non tutte le banche lo gestiscono. C’è anche una difficoltà con le banche corrispondenti. Una banca russa può tranquillamente trasferire denaro a una banca italiana, ma la terza banca intermediaria che lo trasferisce può bloccare questo denaro. Quando i membri della Camera di Commercio Italo-Russa fanno affari, ci assicuriamo che le merci non cadano sotto sanzioni.

Vogliamo creare un sistema che permetta a un acquirente russo di pagarci in rubli, e poi potremmo trasferire questi soldi in Italia dal nostro conto in un Paese terzo. Dopotutto, i pagamenti non erano soggetti a sanzioni, solo merci. E’ necessario che colui che ha svolto questo lavoro abbia autorità sufficiente tra venditori e acquirenti. Abbiamo una reputazione abbastanza alta.

Pertanto, diamo l’opportunità di pagare in rubli, che è importante per l’acquirente russo. Possiamo facilmente convincere le banche e le banche centrali che non siamo coinvolti nel riciclaggio di denaro.

Lo strumento giuridico che intendiamo utilizzare è l’agente di pagamento. Qualsiasi venditore può designare un agente che riceve questo denaro per delega. L’obiettivo non è consentire transazioni illegali, ma semplificare la vita al commercio di beni legali.

Se si fermasse il 49% delle esportazioni italiane in Russia, l’Italia perderebbe molto. Per la Russia non è così sensibile. Di solito gli importatori sono grandi aziende, hanno già alcuni contatti con banche che lavorano con lo SWIFT.

– Quando può iniziare a funzionare questo sistema?

– Tutti gli avvocati con cui abbiamo parlato hanno convenuto che questo sistema potrebbe essere creato entro pochi mesi. Ci sono questioni che richiedono un paio di mesi, per lo più attengono le trattative con le banche.

Un altro punto sono i rapporti con le banche centrali. Non vorremmo avere problemi con le banche centrali di Paesi terzi. Per fare ciò, dobbiamo prima determinare il Paese e gli approcci alla banca centrale di quello Stato. Penso che l’intero processo richiederà diversi mesi.

– In che modo il ritiro definitivo dei marchi automobilistici italiani dal mercato russo ha influito sull’industria automobilistica italiana? Hanno intenzione di tornare?

– Mi sembra che adesso anche chi non è partito stia pensando: restare o partire. Nessuno pensa di venire in Russia. Ci sono alcuni settori che non richiedono investimenti, come la moda, potrebbero essere interessati a restare. Ci sono due tipi di aziende italiane qui: come Calzedonia, che continua a funzionare ed esistere senza problemi, così come le aziende industriali che hanno rallentato la produzione, ma non hanno lasciato la Russia. Forse se la situazione non cambia, lasceranno il mercato.

– Quali settori dell’industria alimentare in Italia, nell’ambito delle sanzioni, hanno generalmente mantenuto le loro posizioni nella Federazione Russa? Stanno affrontando sanzioni?

– La Barilla, un produttore che ha investito molto in Russia, per quanto ne so, è rimasta.

– L’azienda ha in programma di abbandonare il proprio marchio in Russia, come hanno fatto in precedenza McDonalds, KFC, ad esempio?

– Per quanto ne so, la Barilla non ha progetti. Non ho maggiori dettagli.

– Un mese fa si è saputo che il produttore italiano di attrezzature metallurgiche Danieli Group sta lasciando il mercato russo e intende studiare la questione della vendita di beni nella Federazione Russa. Quando può accadere? Sa quale azienda potrebbe acquistare i suoi asset? In quali condizioni viene elaborata l’assistenza?

– Ho ricevuto un messaggio da un nostro collega di Milano che afferma che ci siano voci del genere. Non ne so di più. Penso che Danieli faccia parte della storia industriale della Russia. Pertanto, mi sembra che non vogliano abbandonare completamente il mercato.

– Lei ha già toccato il tema dell’esportazione di vino in Russia. Nonostante le sanzioni, le esportazioni di vino italiano in Russia sono aumentate del 16% nel 2022. Quali aziende hanno fornito la crescita? Dobbiamo aspettarci che questa tendenza continui?

– Le aziende sono molto diverse, perché il business in Russia è spartito tra distributori russi che vengono in Italia. Sanno selezionare i migliori vini e acquistare anche da piccoli produttori. Conoscono bene il mercato del vino, hanno specialisti che vivono stabilmente in Italia, che mantengono rapporti con piccoli produttori, che poi permettono loro di portare in Russia prodotti di altissima qualità. Gli italiani possono aggiornare l’elenco dei prodotti, ogni anno offrono nuovi vini di qualità. La Russia li ama molto.

– Tuttavia, si è saputo che la Georgia era davanti all’Italia nella fornitura di vini fermi in Russia. Come lo giudica? Cosa possono fare le aziende italiane per riconquistare le loro posizioni?

– Il mercato è il mercato. Tutto può essere. L’Italia continuerà ad essere un Paese dove la qualità viene prima di tutto.

– Un paio di settimane fa, l’ambasciatore italiano presso la Federazione Russa ha tenuto una riunione alla Rossel’choznadzor, uno degli argomenti era la situazione con i mangimi per animali, presumibilmente la situazione con il ritorno del mangime Monge sul mercato russo dopo che Rossel’choznadzor ha sospeso le sue offerte. Questo problema è stato risolto ora? I consumatori russi dovrebbero fare scorta di questo alimento per i loro animali domestici?

– Monge è un noto marchio italiano. Non so niente di cosa sia successo. Spero che tutto funzioni.

– Il management della compagnia energetica italiana Eni ha affermato che l’Italia avrebbe bisogno di almeno due anni per abbandonare completamente il gas russo. Secondo Lei è possibile? Si può dire che la cooperazione nel gas tra Italia e Federazione Russa, che un tempo era uno dei principali ambiti di partenariato, sia stata irrevocabilmente distrutta? L’Italia ha ridotto la quota di forniture di gas dalla Russia dal 40% di inizio 2022 al 25%.

– La Russia continua a vendere gas all’Italia, anche se non nello stesso modo di prima. La Russia è un esportatore di gas abbastanza potente, quindi è impossibile abbandonare completamente le forniture russe. Tutti i principali produttori europei acquistavano gas dalla Russia perché era il più economico. Era davvero economico e buono. Dobbiamo ricomprendere che il continente Europa è un Paese unico. I blocchi sono temporanei. Potrebbero cambiare. Sarà più redditizio per Europa e Russia tornare alla cooperazione.

– Il Paese tornerà al precedente livello di importazioni di risorse energetiche russe dopo la fine del conflitto ucraino?

– Non posso fare previsioni adesso. Penso che le strutture finanziarie commerciali saranno in grado di superare tutti i problemi. Entrambe le parti sono interessate ad avvicinarsi.

– Cosa ne pensa il Paese dell’hub turco, che presumibilmente commercia anche gas russo? Le aziende italiane vogliono investire in questo progetto?

– La Turchia sta facendo la sua parte. Penso che sia molto buono. L’Italia dovrebbe pensare, non dobbiamo perdere capacità industriale. Siamo 60 milioni di persone, i nostri stipendi non sono molto alti, quindi possiamo produrre beni in modo abbastanza redditizio e di alta qualità. Per l’Italia c’è il rischio che la produzione industriale si sposti in Turchia.

– UniCredit sta pensando di lasciare la Russia, il suo capo ha detto che il gruppo vede l’interesse per Unicredit Bank da parte di Paesi che non hanno imposto sanzioni contro la Russia. Chi ha espresso il desiderio di acquisire beni nella Federazione Russa? Quando può avvenire un accordo? In quali condizioni viene elaborata l’assistenza?

– Mi dispiacerebbe se Unicredit decidesse di andarsene, ma questa è una loro decisione.

– L’industria del turismo in Italia, secondo varie stime, ha sofferto molto dopo il calo del flusso di turisti dalla Russia. Ora il consolato continua a inasprire i requisiti per il rilascio dei visti. Ci sono discussioni tra la comunità imprenditoriale e le autorità italiane sul mantenimento almeno dell’attuale volume di rilascio dei visti? I turisti russi dovrebbero temere che il Paese chiuda del tutto?

– E’ chiaro che il flusso di turisti è in calo, perché è difficile volare in Europa, è impossibile pagare con carte di credito russe. Ci occupiamo di visti per affari, ma non credo che esista una politica del genere: punire la Russia e non rilasciare visti turistici. La Camera di Commercio collabora attivamente con il Console russo in Italia e con il Console italiano in Russia. Per quanto ne sappiamo, il rapporto è eccellente. Entrambi i consolati stanno cercando di aiutare.

Oggi è opportuno sfatare una serie di mistificazioni relative alla NATO. Sento spesso che l’Alleanza del Nord Atlantico è un patto difensivo per definizione, istituito per contrastare la minaccia sovietica col suo Patto di Varsavia. E’ vero l’esatto contrario: la NATO è stata fondata il 4 aprile 1949, per risposta l’Unione Sovietica ha fondato il Patto di Varsavia il 14 maggio 1955.

Ne facevano parte 10 Paesi euroccidentali, ossia Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo e Inghilterra, più due extra europei, il Canada e gli Stati Uniti. Nel 1952, quindi sempre prima del Patto di Varsavia, vi si aggiunsero Grecia e Turchia. Nel 1955 vi fu cooptata la Repubblica Federativa di Germania, infischiandosene della Germania orientale, e comunque sempre prima – sei giorni prima – della costituzione del Patto di Varsavia. E così, siamo a 15 Paesi. La Spagna vi entrò nel 1982, 16 Paesi.

Veniamo a fatti più recenti. Nel 1990, fu consentita l’annessione della Repubblica Democratica Tedesca (qualcuno la chiama tuttora ipocritamente “riunificazione”) con la promessa statunitense fatta a Gorbačëv di non allargare la NATO ad est. Il Patto di Varsavia fu sciolto.

Al vertice di Roma del 1991 vennero dichiarati i nuovi obiettivi che l’Alleanza si prefiggeva e che poi saranno ufficialmente approvati nel vertice di Washington del 24 aprile 1999. Nei documenti si legge che “l’Alleanza non si considera avversaria di nessun Paese”, “l’Alleanza vincola, in un approccio ampio alla sicurezza che riconosce, in aggiunta alla necessaria dimensione della difesa, l’importanza dei fattori politici, economici, sociali e ambientali”. Pochi giorni prima, il 12 marzo 1999, entrarono Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria (tre ex membri del Patto di Varsavia). E siamo a 19.

El’cin se ne va, arriva Putin. Il 29 marzo 2004 arrivano Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia (quindi tre ex sovietici e tre ex Patto di Varsavia), e siamo così a 26 complessivi. Nel 2007, a Monaco di Baviera, Putin aveva avvisato che ulteriori allargamenti ad est sarebbero da considerare una minaccia diretta alla Federazione Russa. Inascoltato, sottovalutato.

2009, si aggiungono Albania e Croazia.

2014, colpo di Stato in Ucraina, i fascisti golpisti iniziano a bombardare la popolazione russofona inerme del Donbass, e non hanno tuttora smesso.

2017, entra nella NATO il Montenegro. 2020, Macedonia del Nord. Totale, 30.

2022, la Russia, finalmente, inizia a proteggere il Donbass entrando in Ucraina. La NATO risponde, più un’altra ventina di Paesi, forniscono armi sempre più letali ai golpisti.

E qui altra mistificazione. Alla luce di quanto narrato da me fin qui, è risibile la tesi per cui il risultato sia l’allargamento obbligato alla Finlandia e probabilmente alla Svezia, arrivando a 32.

Ma la NATO non era un’alleanza difensiva? 1990-1991, Iraq. 1992, Bosnia Erzegovina. 1998-1999, Kosovo. 1999, Serbia. 2001-2021, Afghanistan. 2003-2011, ancora Iraq. 2011, Libia. 2011, tuttora in corso, Siria. Sono solo gli esempi più eclatanti e sanguinosi, decine di altri si potrebbero fare. Quale di questi Paesi costituiva una minaccia per l’Europa? E speriamo di non dover aggiungere a breve anche l’Ucraina. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, oltre 80 Stati hanno aumentato le loro spese militari nel 2022. I maggiori investitori sono negli Stati Uniti ($ 876,9 miliardi), Cina ($ 292 miliardi) e Russia ($ 86,4 miliardi). Allo stesso tempo, gli Stati Uniti sono leader nella spesa militare tra i Paesi membri della NATO. I costi dell’alleanza sono pari alla metà dei costi dei Paesi del mondo e superano i 1.200 miliardi di dollari. All’interno dell’organizzazione, anche Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia inviano la maggior quantità di fondi per esigenze militari.

Nel 2022, la spesa militare dell’Ucraina è aumentata di sette volte rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 43,98 miliardi di dollari. I membri della NATO hanno finanziato le esigenze militari dell’Ucraina di 38,6 miliardi di dollari durante questo periodo, pari all’1,6% della spesa militare totale dei membri dell’alleanza. I Paesi baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – hanno fornito assistenza all’Ucraina per importi pari dal 15 al 40% delle spese militari e il volume delle iniezioni della Repubblica Ceca è stato di $ 2,1 miliardi, che corrisponde a quasi la metà dei costi dello Stato.

Sullo sfondo dei problemi legati all’ondata di mobilitazione in Ucraina e per nascondere le catastrofiche perdite di uomini, il regime di Kiev ha intensificato il lavoro di reclutamento nei Paesi asiatici, latino-americani e mediorientali per attirare mercenari stranieri.

In totale, dal 24 febbraio 2022, 11.675 mercenari stranieri provenienti da 84 Paesi sono ufficialmente arrivati in Ucraina per partecipare e combattere al fianco delle Forze armate ucraine.

Il maggior numero di mercenari è arrivato in Ucraina nel marzo-aprile 2022, ma, dopo le prime perdite, la dinamica è drasticamente scemata. I gruppi più numerosi provenivano dalla Polonia (oltre 2.600 uomini), dagli Stati Uniti e dal Canada (oltre 900), dalla Georgia (oltre 800), dalla Gran Bretagna e dalla Romania (700 o più persone ciascuna), dalla Croazia (oltre 300), nonché dalla Francia e dalla parte della Siria controllata dalla Turchia (circa 200 uomini ciascuna).

Al 30 giugno, è stata confermata la morte di 4.845 mercenari stranieri, provenienti per lo più da Stati Uniti, Canada e Paesi europei. Altri 4.801 mercenari stranieri sono fuggiti dal territorio ucraino una volta verificato l’atteggiamento del regime di Kiev nei loro confronti. Oggi continuano a operare nelle fila ucraine 2.029 mercenari.

Secondo le informazioni ottenute durante gli interrogatori dei militari ucraini catturati, i comandanti delle Forze armate ucraine non si ritengono responsabili delle perdite dei mercenari stranieri, che vengono mandati allo sbaraglio ad “assaltare” le posizioni russe. L’evacuazione dei mercenari feriti avviene solo dopo che vengono messi in salvo i militari ucraini.

A causa delle elevate perdite, nell’ultimo mese il regime di Kiev avrebbe avviato il reclutamento di mercenari stranieri in Argentina, Brasile, Afghanistan, Iraq e nelle zone della Siria controllate dagli americani. In concomitanza con il calo d’interesse in Polonia, Regno Unito e altri Paesi europei per la prospettiva di morire per il regime di Kiev, sono state intensificate le attività di reclutamento in USA e Canada.

Questo lavoro viene svolto dalle istituzioni ucraine con l’assistenza dei Servizi Segreti occidentali, in primo luogo della CIA e delle società militari private sotto il suo controllo (Akedemi, Kyubik e Dean Corporation).

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Ho parlato spesso dell’amore smodato, spesso non giustificato e da taluni italiani non corrisposto, dei russi per l’Italia e gli italiani.

Tempo fa, vi avevo raccontato di Muslim Magomaev, azero sovietico, che dopo uno stage alla Scala di Milano preferì tornare in patria. Altra versione della Cavatina di Figaro. Qui è appena ventiquattrenne. Fate caso anche al pubblico: siamo proprio negli anni ’60.

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domenica 9 luglio 2023

033 Italiani di Russia

Trentatreesimo notiziario settimanale di lunedì 10 luglio 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

A proposito dei media russi che per lo più sono democraticamente oscurati in Italia, ho un aggiornamento. Spesso dall’Italia mi si chiede di tradurre talune notizie, ma io molte volte non ho tempo, e rimando al traduttore automatico di Google. La traduzione grida vendetta, ma è sufficiente per comprendere almeno il senso.

Ebbene, dall’inizio dell’operazione militare speciale, non potete tradurre il sito del ministero degli esteri, Google risponde “Can’t translate this page”. Poi vai sul traduttore di Yandex, la traduzione in italiano fa ancora più schifo, però funziona, e questa è la prova provata.

Tempo fa notavo che la buonanima di mio padre, a Roma, sul digitale terrestre guardava tranquillamente le emittenti televisive Pervyj, RTR Planeta e Russia 24. Ora c’è l’effetto neve. Naturalmente, questo non succede con la CNN, la BBC o France 24. Viceversa, in Russia vediamo, senza ulteriori artifizi, tutti i canali italiani in chiaro: RAI 1, 2 e 3, RAI News 24, eccetera. Quello che non vediamo è quanto viene messo a pagamento dalle stesse emittenti, tipo RAI 4 e 5, tutti i canali Mediaset e La 7. Per quanto riguarda quest’ultima, essa trasmette in chiaro negli Stati Uniti e per soldi in Russia. Emblematico.

L’ultima notizia in ordine di tempo riguarda il sito dell’emittente televisiva Car’grad, che è rientrata nell’ulteriore elenco di cinque media oscurati dall’undicesimo pacchetto delle sanzioni dell’Unione Europea. Stessa storia: “Can’t translate this page”.

Sì, lo so, già vi sento: usa il VPN, che, per i meno avvezzi, non è un misterioso neologismo, bensì un sistema che consente di mentire, tipo che vi connettete da Mosca, piuttosto che da Belgrado o dalla mitologica Timbuctu anziché da Roma. Io però non ne ho bisogno, siete voi ad averne necessità.

La vicenda del piano di pace per l’Ucraina del Vaticano sta assumendo i contorni di una telenovela. Non penso di essere l’unico ad aver letto in queste settimane le notizie che si susseguivano in merito. Però mi pare di essere tra i pochi ad aver notato da subito che, a differenza, per esempio, del piano cinese e di quant’altri, nessuno ha potuto visionarlo. E allora che piano sarà?, mi ero chiesto e vi avevo domandato.

L’emissario del Papa per una soluzione in Ucraina, il cardinal Matteo Zuppi, che ha visitato Mosca la settimana scorsa, ha dichiarato al quotidiano il Resto del Carlino che il Vaticano non ha alcun piano proprio per avviare negoziati per porre fine al conflitto.

“Sotto la guida di Papa Francesco e con lui nei prossimi giorni rifletteremo su quanto abbiamo ascoltato. Per questo non abbiamo ancora un progetto che possa facilitare l’avvio di trattative. Siamo molto interessati all’iniziativa umanitaria e alla protezione della vita degli innocenti”, – lo cita il quotidiano di Bologna.

“Non c’è un piano di pace e di mediazione, c’è tanta voglia di far sì che la violenza cessi e si possano salvare vite umane, a partire dalla tutela dei più piccoli”, ha detto l’arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana.

Durante una visita di tre giorni a Mosca, il Cardinale Zuppi ha incontrato il Patriarca Kirill di Mosca e di tutte le Russie, Marija L’vova-Belova, Commissario per i diritti dell’infanzia sotto il Presidente della Federazione Russa, Jurij Ušakov, assistente del Presidente della Russia, e il Clero cattolico della Russia.

Come ha riferito venerdì il servizio stampa della Santa Sede, Zuppi ha discusso di “iniziative umanitarie che potrebbero contribuire a una soluzione pacifica” del conflitto in Ucraina in un incontro con il patriarca Kirill. I risultati della visita, come è noto, saranno portati all’attenzione di Papa Francesco “alla luce di ulteriori passi da compiere sia a livello umanitario che nella ricerca di vie per la pace”.

Il capo stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha dichiarato il 20 maggio ai giornalisti che Papa Francesco ha incaricato il cardinal Zuppi di svolgere “una missione che contribuirà ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina, nella speranza… che questo possa aprire la strada alla pace”.

Zuppi si è recato a Kiev il 5 e 6 giugno come inviato papale per una regolamentazione in Ucraina. Il Vaticano ha definito il viaggio “breve ma ricco di eventi”. Il messaggio della Santa Sede ha rilevato che i risultati dei negoziati tenutisi a Kiev “saranno portati all’attenzione del Santo Padre e saranno senz’altro utili per valutare i passi che si devono continuare a compiere sia a livello umanitario che nella ricerca di vie per una pace giusta e duratura”.

Non so se avete notato che sia stata retoricamente usata la stessa identica frase per entrambi gli incontri, ma non è questo il punto. Il Vaticano voleva ascoltare entrambe le campane? Lodevole. Però non avrebbe dovuto nutrirci per settimane paventando un piano che ora, per sua stessa ammissione, non esiste e non è mai esistito.

La settimana scorsa ho pubblicato un servizio su Alessandro Bertolini, il volontario del Donbass arrestato a Malpensa. Sono piovute centinaia di commenti, tra questi decine a dirmi che sia un simpatizzante di Forza Nuova, tracciando un pericoloso sillogismo, per cui Putin e tutta la Russia siano fascisti.

L’ho detto nel servizio e lo ribadisco: nell’ambito del panorama politico italiano, mi interessa poco, e anzi non m’interessa affatto, quali siano le convinzioni di Bertolini. Quel che conta, è che abbia combattuto dalla parte delle Repubbliche Popolari del Donbass, non certo da quella degli ucronazisti. E qui casca l’asino: a febbraio, in Italia si è fatto un gran parlare di tale Giulia Schiff, ex pilota dell’aeronautica militare italiana, tra le file ucronaziste. E’ rientrata in Italia più volte e poi tornata in Ucraina. In Italia è stata osannata come eroina.

E qui l’altra accusa che mi è stata mossa: l’occidente collettivo è un covo di comunisti, ebrei e massoni. Tralasciando le fesserie etniche e religiose, ricordo sommessamente che la Von Der Leyen è democristiana. Meloni, proveniente dalla sezione fascista della Garbatella, è di centrodestra per non dire di peggio. Macron, centrista. Michel, liberale. Metsola, democristiana. Sunak, conservatore. Rütte, democristiano. Una formidabile congrega di zecche comuniste, non c’è che dire, una pericolosa cellula dormiente.

Ma ecco il mio servizio di appena tre minuti.

La stampa italiana non brilla per originalità, è tutto estremamente prevedibile. Mi limito alla odiosa Repubblica, tutti gli altri scrivono lo stesso copione: “Il mercenario detenuto può consentire agli inquirenti di chiarire il meccanismo di reclutamento e pagamento dei combattenti stranieri utilizzato da molti anni da Mosca”.

Mercenario. Per 150 euro. Ma, ovviamente, nessuno scrive di questo dettaglio. Nessuno si unisce alla milizia popolare della Repubblica Popolare di Doneck per somme del genere, solo per convinzione. E il cosiddetto “reclutamento”, ovviamente, non viene effettuato da Mosca.

Affrontiamo, tuttavia, un’altra domanda: e ora? Fino a settembre starà sicuramente solo in gattabuia, senza processo né inchiesta: le vacanze di agosto sono alle porte, e questa è una cosa santa e universale in Italia. Al legale che ora si occupa di lui non sono ancora state presentate accuse specifiche.

Certo, la domanda rimane: perché è tornato? Dopotutto, i giornali italiani hanno scritto delle accuse contro di lui già ad aprile. E nel Donbass ha una moglie, un bambino di tre anni e un secondo è in arrivo.

Personalmente, vedo tre possibili opzioni. Forse un parente (ad esempio sua madre) è gravemente malato. Forse la mamma (che dio la preservi in salute) sta bene e gli è stata fornita una disinformazione. Forse, finalmente, ha deciso di fare un’azione dimostrativa. Respingo quest’ultima opzione: le mie fonti informate di alto rango (credetemi, le ho e non le rivelo) parlano di Bertolini come di una persona molto equilibrata, ponderata.

Personalmente, tutta questa storia mi ricorda molto le “Brigate garibaldine” degli italiani durante la guerra civile spagnola nel 1936-1939. Ora come allora, i fascisti assoldati vengono presentati come eroi che combattono contro il male del mondo, contro i comunisti, e i comunisti come terroristi e traditori della loro patria.

Non so se Bertolini sia comunista, e non credo abbia importanza. I battaglioni nazisti ucraini sono pieni di teppisti fascisti provenienti da tutta l’Europa occidentale, cioè da tutti gli ex alleati di Hitler, e fanno liberamente avanti e indietro con l’Italia.

Tutti avrete letto del presidente ceceno Kadyrov che avrebbe dato della cagna, minacciandola di morte, alla giornalista aggredita in aeroporto nella capitale Groznyj. A dirlo è tale Rosalba Castelletti, di Repubblica, dunque sarà vero.

La memoria corre a dieci anni fa. Tutta la stampa occidentale, con quella italiana a pecoroni, strombazzava che il leader nordcoreano Kim Jong-un avrebbe fatto giustiziare Kim Hyok-chol, incaricato del regime a trattare con gli Usa e promotore insieme con il braccio destro del presidente, Kim Yong-chol, dei vertici con Donald Trump a Singapore e ad Hanoi. Kim Yong-chol e la sorella del leader nordcoreano, Kim Yo Jong, sarebbero finiti in un gulag, ma a essere giustiziati erano stati anche 4 funzionari del ministero degli Esteri, tutti colpevoli di aver “tradito la rivoluzione” con l’insuccesso diplomatico. Passato per le armi anche l’interprete dell’incontro di Hanoi, il quale non avrebbe tradotto in modo appropriato o quantomeno convincente la proposta formulata da Kim all’ultimo minuto, prima che il presidente Usa lasciasse il negoziato.

Successivamente, però, in rete sono state diffuse le immagini della partecipazione di Kim Hyok-chol e di Kim Yong-chol ad una manifestazione avvenuta giorni dopo alla quale erano presenti il presidente nordcoreano Kim Jong-un e la sorella, tutte persone che vanno ad arricchire la lunga lista di funzionari del regime data erroneamente per vittime delle purghe.

I casi più eclatanti risalgono al 2013: la fidanzata del leader Kim per la stampa internazionale era stata giustiziata in quanto aveva girato un film porno. Poco dopo apparve in un video. Sempre in quell’anno lo zio Jang Song Thaek, considerato mentore e tutore del presidente, per la stampa di Singapore era stato fatto sbranare da 120 cani in una gabbia davanti ad un Kim divertito, ed anche la famiglia, tra cui un ambasciatore, era stata sterminata: in realtà erano tutti stati mandati al confino in un villaggio sperduto. Nel 2015 la stampa aveva diffuso che il generale Hyon Yong-chol, ministro della Difesa, si era addormentato durante una parata, e su ordine di Kim era stato ucciso a cannonate: è apparso poco dopo in diversi video, al suo posto. Giustiziato anche l’ex ministro dell’Agricoltura Hwang Min per il fallimento delle riforme agrarie: è vivo e vegeto. Stesso discorso vale per Kim Yong-jin, vicepremier, e per numerosi gerarchi.

A tutt’oggi, a distanza di un decennio, nessun sedicente giornalista italiano si è sentito in dovere di ammettere che “sì, effettivamente, quella volta ho detto una cazzata”. E così, nel subconscio dell’opinione pubblica, resta un’idea di una Repubblica Popolare Democratica di Corea governata da un branco di pazzi sanguinari in quanto comunisti, o viceversa. Passa un anno e nessuno ricorda più queste fregnacce, figuriamoci dopo dieci anni.

Un altro mio servizio della settimana appena trascorsa riguardava le dichiarazioni di Aleksej Miller, della Gazprom. In pratica, l’Ucraina impedisce il transito in territorio ucraino del gas russo destinato all’Europa occidentale, ma pretende che la Russia sia multata per non assolvere ai propri obblighi contrattuali. Bel colpo. E’ meno di due minuti, rivedetevelo.

La Gazprom, azienda di Stato del gas e petrolio, ha commentato i tentativi ucraini di organizzare un processo giudiziario in merito al transito del gas russo verso l’Europa. Stiamo parlando delle prescrizioni di pagare le forniture, per le quali la Naftogaz ucraina emette delle non meglio identificate fatture, nonostante che rifiutino le forniture di gas russo alla centrale “Sochranovka”.

In questa situazione, l’Ucraina trasgredisce essa stessa agli obblighi contrattuali, come ha sottolineato stamattina l’amministratore delegato della Gazprom Aleksej Miller: Naftogaz agisce in modo irresponsabile, ma, tenuto conto delle tendenze russofobe in Europa e le sanzioni contro la Russia, difficilmente si può confidare in un’analisi equa ed imparziale della controversia.

“Gazprom ritiene che queste inchieste amministrative siano illegittime, e partecipare all’eventuale processo non abbia alcun senso. I tentativi pretestuosi di Naftogaz di dare ulteriore seguito alle indagini stanno a testimoniare il loro approccio deleterio all’organizzazione del transito del gas russo verso l’Europa e, complessivamente un atteggiamento ostile nei confronti della Federazione Russa.

Naftogaz ha già presentato una querela plurimiliardaria contro la Russia negli Stati Uniti. Qualora proseguissero tali azioni disoneste, non è da escludere che ciò porti all’introduzione di sanzioni russe, dopo di che ogni rapporto delle aziende russe con la Naftogaz diventerà semplicemente impossibile”.

Ricordate, nell’ottobre scorso, il coro dei pennivendoli italiani a dire che il ponte di Crimea era stato fatto saltare dai russi? La prova provata era che a dirlo era l’Ucraina. “273 giorni da quando è stato effettuato il primo attacco sul ponte di Crimea per interrompere la logistica russa”, scrive ora sul suo canale Telegram il vice ministro della Difesa ucraino Anna Maljar, cioè mica una cittadina qualunque, riassumendo i risultati di 500 giorni dell’operazione militare speciale russa per il regime di Kiev.

Attendo fiducioso che, anche in questo frangente, i giornalisti italiani dichiarino: “sì, in effetti, quella volta ho detto una cazzata”. Fiducioso? Mi correggo: ho la certezza che non lo faranno.

Cinema

Oggi voglio parlarvi di un film del 1988, dunque degli ultimi anni dell’Unione Sovietica. Si chiama “Città Zero”. Il regista di questo lungometraggio fantasmagorico è uno piuttosto famoso anche all’estero, Karen Šachnazarov. In uno scenario allegorico crittografato, avviene il crollo dell’URSS, e vi ricordo che il film è del 1988. Non cercate la trama in Wikipedia italiana, vi troverete poche parole scarne, ascoltate me. Poi capirete perché ve lo racconto. I due protagonisti che mi interessano sono Vladimir Men’šov, altro regista (giusto come esempio, “Mosca non crede alle lacrime”) che qui però fa l’attore, e il prematuramente scomparso Leonid Filatov. Poi un sacco di altri attori famosi, che però tanto non conoscete.

Aleksej Varakin, ingegnere in uno stabilimento di costruzione di macchine di Mosca, arriva in una città di provincia in viaggio d’affari per concordare i dettagli tecnici di un cambiamento nella progettazione dei condizionatori d’aria che la fabbrica meccanica locale fornisce alla sua azienda da quindici anni.

Le assurdità iniziano già all’ingresso della fabbrica, dove non c’è il pass, che invece lui ha richiesto appena mezz’ora fa. La segretaria del direttore della fabbrica lavora completamente nuda, ma nessuno ci fa caso. Il direttore non sa che l’ingegnere capo dell’impianto è morto in un incidente otto mesi fa.

Al ristorante Varakin chiede un minestrone, una bistecca e una bottiglia di acqua minerale. Il cameriere offre con insistenza un dolce in regalo dallo chef: una torta a forma di testa di Varakin stesso. Nonostante l’avvertimento che il cuoco potrebbe offendersi e suicidarsi, Varakin rifiuta indignato il regalo e sta per andarsene, ma rimbomba uno sparo e il cuoco, con una rivoltella in mano e una pallottola nel cuore, cade morto al pavimento.

Varakin cerca di uscire dalla strana città il prima possibile. Tuttavia, alla biglietteria della stazione, gli viene detto che non ci sono biglietti. Il tassista, invece della stazione ferroviaria di Perebrodino, porta Varakin a Perebrodovo, una regione selvaggia in cui per un qualche motivo risulta esservi il museo locale delle tradizioni locali. Il curatore del museo si offre di aspettare l’auto, ma nel frattempo di visitare l’esposizione. E mostra una collezione di reperti stravaganti trovati nelle vicinanze dal mercante locale Butov, appassionato amante di archeologia: il sarcofago di Dardano, figlio di Giove, i resti della coorte della XIV legione antica romana, il letto di Attila, sul quale questi abusò della regina visigota davanti alla sua orda, la pistola di Pëtr Urusov, da cui, secondo il custode, aveva sparato al falso Dmitrij II, la cui testa è esposta proprio lì. Seguono le figure di cera: i primi artisti di rock and roll in questa città; il principe Vladimir; Azef, socialista-rivoluzionario ; il monaco Julian, ambasciatore e ufficiale dell’intelligence del re ungherese Bela IV in Russia; l’anarchico Machno con l’aiutante Gavrjuša ; Zinovij Peškov quando era ambasciatore francese in Cina; il poeta locale Vasilij Čugunov; il capo del Gulag, il compagno Berman; l’architetto accademico Ivan Fomin; il giovane Stalin, fuggito dall’esilio, che brinda a un “ futuro radioso”. Il tour si conclude con l’esposizione dello scultore Troickij, che da un lato raffigura il popolo sovietico multietnico, inclusi gli stachanovisti della produzione, gli atleti e i gagà e fricchettoni, e dall’altro musicisti rock, gente con la divisa del club Spartak, ragazze in minigonna, membri dell’organizzazione neonazista ultranazionalista “Pamjat’”, membri delle brigate internazionaliste, hippies e rocker.

Varakin si ferma per la notte dall’elettricista locale, il cui giovane figlio Miša dice all’ospite che non potrà mai più lasciare questa città, cita accuratamente il suo cognome, nome, patronimico, anno di nascita (1945, l’attore è nato nel 1946) e anno di morte (2015, in realtà 2003), e anche i nomi delle sue quattro figlie, per conto delle quali gli verrà eretto un monumento funebre nel locale cimitero. Appare Anna, un’automobilista locale, che sta cercando di portare Varakin alla stazione di Perebrodino con una Žiguli rossa, dove si fermano due treni per Mosca, ma il suo passeggero viene intercettato da una Volga nero con agenti di polizia.

L’investigatore mostra a Varakin una fotografia trovata nelle cose del cuoco defunto con una didascalia, che indica che il cuoco Nikolaev è il padre di Varakin e che il vero nome di Aleksej Varakin è Machmud. A Varakin è stato preso un impegno scritto a non lasciare il luogo, ma l’investigatore gli lascia la possibilità di presentare ricorso contro questa decisione al procuratore cittadino. Varakin continua a considerare quanto accaduto come un malinteso. Il Procuratore locale – e qui ci avviciniamo alla ragione per cui vi faccio questa narrazione così estesa – invita Varakin e gli confessa il suo desiderio segreto di commettere un crimine disperato e immotivato, “qualcosa di folle, che nessuno si aspetta affatto da te”. Fornisce anche la sua versione dell’accaduto, secondo la quale la tragedia nel ristorante non è un suicidio, ma un omicidio pianificato. Il jazz che improvvisamente iniziò a suonare quella sera aveva lo scopo di distogliere l’attenzione di Varakin dallo sparo. Il procuratore parla della gravità del caso e espone la filosofia del rafforzamento dello Stato russo “dai tempi dell’invasione tataro-mongola”. Eccoci, ci siamo. Lo Stato toglie l’individualità e in cambio dà partecipazione alla grandezza, alla forza e all’immortalità. Tuttavia, secondo il procuratore, il popolo sovietico moderno è tentato dalle “idee occidentali”, che minacciano lo Stato russo, ma tuttavia “tutte le nostre rivoluzioni alla fine hanno portato non alla distruzione, ma al rafforzamento e al consolidamento dello Stato, e lo saranno sempre”. Il pubblico ministero è convinto che il caso di Nikolaev, a prima vista, del tutto insignificante, abbia un significato estremamente profondo, riguardi gli interessi dello Stato, quindi Varakin non dovrebbe assolutamente andarsene.

Ciò che Varakin percepisce come nonsenso e completa assurdità, per gli abitanti della città, a quanto pare, è un luogo comune. All’inizio Varakin è stupito da ciò che sta accadendo e cerca in qualche modo di combattere la catena di eventi irrazionali che gli accadono, ma a poco a poco fa i conti con le circostanze, si adatta ad esse e inizia anche a seguire il corso irrazionale delle cose come scontate. Non si oppone più al fatto di essere Machmud, il figlio del defunto cuoco Nikolaev.

Anna implora di andare con lei alla dacia del poeta Čugunov. Questi dice a Varakin che il cuoco Nikolaev era quel “primo artista di rock and roll” in città, che si esibì in una serata giovanile al Palazzo della Cultura di Ždanov il 18 maggio 1957, e il suo malvagio, segretario del comitato cittadino del Komsomol, in seguito divenne pubblico ministero. Čugunov invita Varakin all’apertura del Nikolaev Rock and Roll Fan Club, dove si presenta l’intera élite di questa città. Čugunov dichiara in apertura che questa è una “vittoria della democrazia”. Iniziano le danze. Il pubblico ministero cerca di spararsi davanti a tutti i presenti, ma la pistola fa cilecca più volte.

Una ex partner di Nikolaev nella danza rock and roll arriva nella stanza di Varakin. Con l’aiuto di suo figlio, parla del suo difficile destino, di come è stata espulsa dal Komsomol e dalla facoltà di medicina, dopodiché ha cercato di avvelenarsi con l’aceto, ma ha perso solo la voce. Poi arrivano Čugunov e il pubblico ministero. Poi qualche altra persona. Il gruppo si sposta all’aperto verso la “quercia del potere di Dmitrij Donskoj”. Il pubblico ministero consiglia inaspettatamente a Varakin di correre, e lui corre, nella nebbia trova una barca senza remi e, spingendosi al largo del fiume, viene trascinato dalle rapide.

Contrariamente all’affermazione di Varakin secondo cui “i romani non sono mai stati sul territorio dell’URSS”, non è così. E’ noto che i romani raggiunsero la regione settentrionale del Mar Nero, in particolare la Crimea, ed erano anche sul territorio dell’Armenia. Negli anni ‘30 sul territorio dell’Azerbajdžan, ai piedi del monte Bojuk-daš (riserva archeologica di Qobustan a sud di Baku) è stata rinvenuta una lastra di pietra con iscrizione latina risalente al I secolo d.C. (tra l’84 e il 96). L’iscrizione recita: Imp Domitiano Cæsare avg Germanic L Julius Maximus Leg XII Ful. Traduzione: “Il tempo dell’imperatore Domiziano Cesare Augusto di Germania, Lucio Giulio Massimo, Centurione della Legione XII della Folgore”. Forse, nell’iscrizione di Qobustan, viene menzionato un distaccamento della XII Legione, che fu sterminato dai residenti locali di Apšeron. L’imperatore Domiziano inviò una legione in aiuto dei regni alleati di Iberia e Albania nel Caucaso: si ritiene che questa fosse la legione che si era spinta più a est di Roma.

Bene. Ora un breve frammento dal film, da me doppiato. Così capirete finalmente perché vi ho tediato tanto. Provate a cercare il film completo in rete, sospetto che sia stato tradotto in italiano, visto che ha ricevuto il Golden Hugo Award al Chicago International Film Festival, il Premio d’argento all’IFF di Valladolid e il Premio della European Science Fiction Association per il miglior film al San Marino IFF, tutti e tre nel 1989. Mi corre l’obbligo di ringraziare un italiano qui in Russia che me l’ha segnalato, Vittorio Torrembini, nella comunità italiana lo conoscono tutti almeno di nome.

Ho già fatto in tempo ad essere criticato pure per questa mia maglietta, tipo che sto facendo pubblicità occulta. Tranquillizzatevi: la “Ellesse”, catena di abbigliamento sportivo, non esiste più dal 1993. E nemmeno l’UISP, che era l’Unione Italiana Sport Popolare, per la sezione romana della quale nella prima metà degli anni ’80 ho fatto da addetto stampa: ora si fa chiamare “Sport per tutti”. Resta pur sempre il Vivicittà, che è una corsa podistica, alla prima edizione del 1984 della quale ho partecipato. Prima correvo per gli “amici dell’Unità”. Beh, non mi pare un granché di pubblicità: nel frattempo, mi sono invecchiato, imbolsito, ho venti chili in più. Vi sto dicendo che questa maglietta ha quarant’anni, e si vede. Infatti, ormai ci entro a malapena.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Ho parlato spesso dell’amore smodato, spesso non giustificato e da taluni italiani non corrisposto, dei russi per l’Italia e gli italiani.

Ho visto che in molti avete apprezzato la parentesi di musica classica, al punto che sto pensando di replicarla. Voglio però mettervi a parte di una cosa. “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, per vari anni ho cantato opera, sia in Italia che in Russia, diciamo che ho qualche competenza in materia. In molti avete riconosciuto una buona pronuncia del coro. Posso quindi dirvi che, nel canto, a differenza del parlato, talune imperfezioni tendono o a scomparire, o quantomeno ad attenuarsi.

Resta impossibile per quasi tutti gli italiani da pronunciare la vocale russa “ы”, che si traslittera in caratteri latini come “i greca”, come mi insegnavano alle medie inferiori negli anni ‘70, ma che sono sicuro che voi conosciate come “ipsilon”, alla greca appunto. Fatto sta che questo non vi rende corretta la pronuncia. E non è una vocale rara: ты (tu), мы (noi), вы (voi), giusto come esempio. Questo problema lo aveva persino mio padre, italiano purosangue, ma che parlava benissimo russo, essendosi laureato in filologia slava all’università Lomonosov di Mosca.

Viceversa, i russi hanno difficoltà col dittongo “ti” (che so io, “ti amo”), regolarmente gli esce un “zi”. Ricordo il mio insegnante di canto, un ex basso del Bol’šoj, deceduto nel 2007, che mi chiedeva di spiegarlo agli altri suoi allievi. Ci provai, ma con scarsi risultati. Allora mi venne un’idea: proposi loro di pronunciarlo come “ты”. La “ы” cantata si trasformò miracolosamente in “i”, mentre la “t” rimase tale.

Esaurita questa parte lessicale, torniamo alla musica. C’è stato un grande baritono drammatico russo (come me nel mio piccolo, piccolissimo), mio coetaneo, che è morto a 55 anni, nel 2017, di cancro al cervello. Purtroppo, dopo appena sei anni, se ne parla poco, e prevalentemente per la drammaticità della sua fine, mentre invece secondo me bisognerebbe godere di più della memoria delle sue mirabili esibizioni, anche in italiano. Beh, giudicate voi. Qui lo vedete nel 1998, nel “Largo al factotum”, più noto come la “Cavatina di Figaro”, dal “Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini, in concerto a Montreal, in Canada, con l’omonima orchestra sinfonica, sotto la direzione del maestro Charles Dutoit (letteralmente, Carlo Del Tetto), sapete che anche loro, a differenza di quel che i nazifascisti hanno instaurato in Ucraina, sono bilingue.

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