Mark Bernardini

Mark Bernardini

mercoledì 15 novembre 2023

Sciopero!

Da Mosca, Mark Bernardini, 15 novembre 2023. In genere, mi occupo di cose attinenti la Russia, oggi però sono particolarmente coinvolto da un fatto tutto italiano.

Il sindacato invita i lavoratori allo sciopero generale venerdì 17 novembre 2023, e il ministro dei trasporti, il leghista Salvini, minaccia di precettare i lavoratori. Dapprima, proviamo ad analizzare il significato di questi due termini: sciopero e precettazione, tra l’altro coatta.

Sul sito della Treccani, leggo che lo sciopero è “l’astensione concordata dal lavoro da parte di più lavoratori per la tutela di interessi collettivi […] fatta eccezione per alcune norme particolari per gli addetti agli impianti nucleari, per il personale di assistenza al volo, e per la disciplina, anch’essa settoriale, dello sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Sempre dalla Treccani, possiamo leggere che la precettazione è “l’ordine rivolto dalle autorità ai lavoratori in sciopero addetti a servizi di pubblica utilità perché riprendano il lavoro”.

Io però mi fido più dei testi cartacei, che non si possono modificare all’infinito a seconda della contingenza subitanea. Rivolgendomi al Dizionario Enciclopedico Italiano della UTET, 1971, leggo che lo sciopero è “l’astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse professionale collettivo […] Questa definizione tradizionale è posta ormai in crisi da una più comprensiva definizione da parte della magistratura, che vede nello sciopero lo strumento per la realizzazione di più equi equilibri sociali (articolo 3 della Costituzione) e come tale da valutarsi con favore”.

Ibidem, il precetto è “il comando di tenere un certo comportamento o di evitarlo”.

Notate la differenza? Adesso però andiamo sul concreto. Supponiamo che io sia un operaio edile. Se io fossi pagato un euro all’ora, non avessi i contributi pensionistici, non avessi le cinghie di protezione, potrei rifiutare e otterrei solo di essere disoccupato, senza una lira per sfamare i miei figli. Se però fossimo in dieci, in cento, in mille, a milioni a rifiutare, si chiamerebbe sciopero, e il padrone perderebbe soldi. Perciò sarebbe costretto a più miti consigli: meglio accumulare di meno che non accumulare affatto. E se il governo mi dice che non posso scioperare, vuol dire che il governo non è super partes, bensì in combutta col padrone. E se io lo sciopero lo facessi lo stesso? Chissenefrega di quel che dice il governo, il re è nudo. Certo, il padrone ci perde di più, ma deve prendersela col governo, mica con i proletari.

Adesso vi racconto una storia di famiglia. Mio nonno paterno era originario di Genzano, un paesone dei Castelli Romani, che ora fa 22 mila abitanti, mentre un secolo fa, quando mio nonno era giovane, contava meno di ottomila anime. C’era un termine che ora non conoscono più nemmeno i genzanesi. “Ndò vai?”, si domandava in dialetto, e una risposta poteva essere “vaio ai ferri”. Significava “vado a cercar lavoro”. Nella mia infanzia, c’era un solo semaforo, accanto alla piazza centrale. Accanto al semaforo, in una stradina adiacente in salita, c’erano e ci sono tuttora degli scorrimano di ferro, appunto. Di prima mattina vi si schieravano tutti i giovani braccianti a cottimo, tra cui mio nonno.

Che vuol dire “a cottimo”? E’ una modalità di retribuzione del lavoro proporzionale o comunque specificamente riferita alla quantità di prodotto lavorato. Vale a dire che più si produce e più si viene retribuiti.

A un certo punto arrivava un “padroncino”, un gregario, che magari diceva: oggi per lavorare i campi ho bisogno di cinque braccianti, voi siete venti. Tu no, sei gracilino, tu nemmeno, mi hanno detto che sei un comunista e un sindacalista, quindi sei un rompicoglioni. Vi offro (invento) mezza lira all’ora, chi ci sta? In quindici alzano la mano. Troppi, chi ci sta a prendere un soldo (cinque centesimi)? Ne restano dieci. Sempre troppi, chi viene a un centesimo all’ora? Ne restano cinque.

Vogliamo davvero tornare a quei tempi?

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