Settantottesimo notiziario settimanale di lunedì 20 maggio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
La sostituzione di Sergej Šojgu
con l’economista Andrej Belousov al vertice del ministero della Difesa della
Federazione Russa ha scatenato le più differenti interpretazioni della stampa
ed esperti occidentali, tra chi ha parlato di “purghe” e chi addirittura di
“terremoto al Cremlino”. Comunque, si è parlato di “sorpresa”.
Parlare di sorpresa forse è
esagerato. Diciamo che lo ritenevo poco probabile. Il messaggio è però chiaro:
Šojgu è stato il padre putativo ed un ottimo ministro della protezione civile,
in anni molto complicati, in cui i cataclismi naturali si alternavano agli
attentati terroristici di massa: 1991-2012, un ventennio. E’ stato poi spostato
a ministro della difesa appunto nel 2012, ed è rimasto tale fino ad oggi, altro
decennio.
Non c’è in Russia la percezione
che qualcuno voglia prolungare il conflitto, è vero l’esatto contrario. Per
questo, la nomina dell’economista Belousov, uomo di Stato di lungo corso,
prevedibilmente porterà ad un uso più razionale e perciò efficace delle risorse
a disposizione per l’apparato militare e la sicurezza del Paese.
Secondo altre voci si sarebbe
avverata la “profezia di Prigožin”. A Prigožin oggi si attribuisce tutto e il
contrario di tutto, ma siamo a livello di “meme”. Tra le tante “inesattezze”
(voglio essere buono) che ho ascoltato in queste ore, si dice che Šojgu, come
Belousov, non siano militari. E’ falso, e non mi riferisco al servizio di leva,
che effettivamente non ha svolto: 1977, tenente di riserva (dopo essersi
diplomato al Politecnico di Krasnojarsk, ha studiato lì presso il dipartimento
militare); 1993, Maggiore Generale; 1995, Tenente Generale; 1998, Colonnello
Generale; 2003, Generale dell’Esercito. Come capo della protezione civile, è
diventato militare effettivo nel 1991 e lo è tuttora. E’ membro permanente del
Consiglio di Sicurezza dal 1996. Il punto non è questo. Dove sta scritto che
alla difesa ci debba essere un militare? Crosetto, Pistorius, sono forse dei
militari?
Il Washington Post mette in
relazione la nomina di Belousov con l’arresto del vice di Šojgu per corruzione.
Fermo restando che, in uno Stato di diritto, l’accusa è una cosa e la condanna
è un’altra (gradirei attendere la conclusione delle indagini da parte del
Comitato Investigativo), ricordo sommessamente che Šojgu non è stato
“defenestrato”, come inizialmente detto in Occidente, è stato nominato
Segretario del Consiglio di Sicurezza. E allora in Occidente si dice che
comunque gli è stato tolto potere, una sorta di ministro senza portafoglio. E’
un’altra falsità. Cos’è il Consiglio di Sicurezza? E’ un organo consultivo a
disposizione diretta del Presidente russo in materia di sicurezza nazionale, lo
dice la parola stessa. Ne fanno parte tutti i ministri chiave, esteri, interni,
difesa, i presidenti di entrambe le camere, il capo del FSB e quello del SVR,
cioè i Servizi per le informazioni dall’estero. In altre parole, l’attuale
ministro della difesa Belousov risponde a Šojgu.
Peskov ha detto che il capo di
Stato Maggiore Gerasimov resterà al suo posto. A mia memoria, in Occidente
Gerasimov è stato dato per morto almeno una decina di volte, eliminato
fisicamente talvolta dagli ucraini, talaltra da Putin. Invece, è sempre qui,
come capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe, cioè, è il
responsabile militare supremo. Lasciatelo quindi lavorare. Dobbiamo comprendere
tutti che il rimpasto di governo in Russia viene inteso in tutt’altro modo, non
come in Italia, se non altro perché, essendo la Russia una repubblica
presidenziale, è la Costituzione a prevedere che all’elezione del Presidente
segua lo scioglimento del governo. In seno a quest’ultimo, ci sono solo sei
nomi nuovi su 21, più continuità di così è difficile immaginare.
Ci si domanda come sarà accolto
dai militari un ministro civile in tempo di guerra. Per ora, non trapela alcun
commento, positivo o negativo che sia, perché qui si è abituati a giudicare dai
fatti, non dalle dichiarazioni roboanti.
Il Partito Comunista si è
astenuto rispetto alla riconferma di Mišustin a capo del governo. Si dice in
Occidente che la formazione del nuovo governo sia scontata, ed è vero: le
ultime elezioni parlamentari si sono svolte nel 2021, tre anni fa, dopo la
pandemia ma prima dell’operazione militare speciale, Russia Unita ha preso
quasi il 50%, per la precisione il 49,82%. I comunisti il 19%, i socialisti di
Russia Giusta e i liberaldemocratici di Žirinovskij il 7 e mezzo. Non vedo
perché dunque l’attuale compagine parlamentare non debba sostenere il governo
proposto da Mišustin e, ovviamente, da Putin. Ma è importante sottolineare che
Mišustin si è mostrato un premier assolutamente efficiente, a detta di tutti,
opposizione compresa. I comunisti sono invece contrari alle politiche
realizzate dal cosiddetto “blocco economico”, cioè i ministri di economia,
sviluppo economico, commercio e soprattutto finanze, più attenti al business
che al sociale. Ciò però non è sufficiente per “bocciare” Mišustin. Per questo,
i comunisti si sono astenuti sulla nomina di Mišustin e votano contro i
ministri del blocco economico. Tuttavia, numericamente, ciò non influisce minimamente.
Forse una novità è proprio
questa: tutti i ministri sono o di Russia Unita o indipendenti. Invece, come
ministro allo sport, viene votato Degtjarëv, ex governatore della regione di
Chabarovsk, in Siberia. Il dettaglio consiste nel fatto che è un esponente di
un Partito di opposizione, quello liberaldemocratico. Certo, un ministero
secondario, ma comunque è un fattore emblematico, visto che il Partito di
maggioranza non ne aveva bisogno. Fino all’ultimo, c’era un altro intrigo: che
fine fa Nikolaj Patrušev, segretario del consiglio di sicurezza per ben 16
anni, dal 2008 in poi, dunque predecessore di Šojgu? Non è mica un uomo di
secondo piano, dal 1999 al 2008 è stato anche direttore del FSB. Ebbene, ora è
Assistente del Presidente della Federazione Russa. Non pensate che sia una
carica di facciata: l’amministrazione presidenziale è un organo di Stato
responsabile del coordinamento delle attività del presidente. Riassumendo il
tutto, in Russia si segue il detto “cavallo vincente non si cambia in corsa”.
Non prevedo quindi particolari scossoni o scartamenti.
La conferenza sulla questione ucraina indetta dall’Occidente per il
mese di giugno in Svizzera rappresenta un potenziale pericolo per gli interessi
della Russia sul piano della politica estera? Come intendiamo fronteggiare e
contrastare i propositi distruttivi del regime di Kiev e dei suoi curatori
occidentali?
Lavrov ha risposto: Di questa
conferenza sentono parlare già da tempo tutti coloro che stanno cercando di
“avere la meglio” sulla Russia “sul campo di battaglia”, senza rinunciare però
ai metodi diplomatici (secondo quello che dicono loro). Solo che i loro metodi
diplomatici (e la conferenza in Svizzera non fa certo eccezione, poiché non è
altro che la prosecuzione del processo che ha avuto inizio con gli incontri
svoltisi nel “formato di Copenhagen”) si riducono al voler imporre un ultimatum
alla Russia.
Di recente, il Capo del
Dipartimento Federale per gli Affari Esteri della Svizzera Ignazio Cassis ha
dichiarato nuovamente che senza la Russia non ha senso discutere di alcunché. E
allora, perché indirla questa conferenza?
Molte sono state le proposte
avanzate per la risoluzione della crisi: le hanno presentate la Repubblica Popolare
Cinese, la Repubblica Sudafricana, il Brasile e i Paesi della Lega Araba, che
sono venuti da noi poco tempo dopo l’inizio dell’Operazione Militare Speciale.
La proposta cinese è quella più completa e onnicomprensiva, poiché è
finalizzata in primo luogo ad analizzare le cause alla base della crisi, per
poi lavorare sulla loro risoluzione. Nelle proposte degli altri Paesi si pone
invece maggiore enfasi sugli aspetti umanitari della crisi (lo scambio dei
prigionieri di guerra, delle salme, e l’accesso logistico da parte delle
organizzazioni umanitarie). Tuttavia, l’Alto Rappresentante dell’UE per gli
Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell ha affermato che è in
corso la preparazione alla Conferenza di Ginevra, dedicata alla “formula” di Zelenskij,
e che tutte le altre proposte, invece, sono “uscite di scena”. Ancora una
volta, ha deciso lui per tutti gli altri.
Il fatto che noi siamo disposti ai
negoziati viene riconfermato anche ai vertici dal Presidente della Federazione
Russa Vladimir Putin in persona, in tutte le occasioni nelle quali egli fa
riferimento alla questione ucraina.
La nostra è una causa giusta. Se
loro vogliono vedersela con noi sul “campo di battaglia”, allora così sarà. Ma
guardate adesso come “piagnucolano” di fronte al costante e importante
avanzamento delle nostre Forze Armate sul campo.
Lavrov è noto ai più, ma facciamo
un piccolo riassunto. Ministro in carica già da più di vent’anni, è ormai la
personificazione della diplomazia della Russia, nonché il volto di un’epoca. E
ciò non è dovuto esclusivamente alla sua eccezionale longevità politica. Sergej
Lavrov è molto apprezzato in quanto, con lui come Ministro degli Esteri, la
voce della Russia risuona ferma e potente sulla scena internazionale.
Per tutto questo tempo, il Capo
della diplomazia russa ha lavorato alla realizzazione di un ordine mondiale
multipolare, nel quale Mosca ricopre un ruolo determinante. Tale processo non è
“indolore” e ha un suo prezzo, ma i contrasti attualmente in corso con l’Occidente
hanno mostrato ancora una volta quanto questa evoluzione delle cose sia
inevitabile e necessaria. D’altra parte, il fatto che i legami tra la Russia e
i Paesi del Sud globale si stiano rapidamente rafforzando indica chiaramente
che l’impegno profuso da Lavrov sta dando i suoi risultati.
Nella diplomazia ci sono molte
cose che hanno significati simbolici. Questa è la prima visita all’estero di
Putin dopo la sua rielezione e insediamento. Questa visita è, tuttavia,
piuttosto unica. Dietro c’è qualcosa di più: la volontà di creare un mondo
multipolare.
La Cina non è solo una parte del
sistema capitalista, liberale, economico e politico occidentale, ma ne è già
fuori. La Cina vi partecipa, è collegata ad esso, ma è un polo totalmente indipendente,
uno Stato sovrano e di civiltà. Quindi, non c’è dubbio che la Cina rappresenti
un polo sovrano e un pilastro dell’ordine mondiale multipolare.
L’altro pilastro è la Russia.
Quando questi due pilastri di un mondo multipolare si incontrano e comunicano,
è per dimostrare la volontà di continuare a costruire questa multipolarità con
le sue due istanze più importanti. Il mondo oggi non è più unipolare, quindi l’egemonia
della potenza occidentale è finita.
Grazie a questa comunicazione e
cooperazione tra due poli o due pilastri (Cina e Russia), anche altri Paesi e
regioni vogliono entrare a far parte del “club multipolare”, come l’India, il
mondo islamico, l’Africa e l’America Latina.
Ciò non significa che stiamo
costruendo o erigendo un’alleanza contro qualcuno. Ora, se l’Occidente accetta
il multipolarismo, può partecipare alla costruzione di questo mondo
multipolare. Ma se l’Occidente continua a opporsi all’emergere di questa
multipolarità, saremo obbligati a lottare contro questo tentativo, non contro l’Occidente,
ma contro l’egemonia.
Abbiamo già visto molte volte che
quando l’Occidente dichiara qualcosa che persegue, presuppone che esista un “ordine
mondiale basato su regole”. Ma quando si tratta di contraddire i loro
interessi, semplicemente cambiano posizione.
Hanno invitato la Cina ad entrare
nel mercato globale aperto, ma quando la Cina ha iniziato ad acquisire un
vantaggio, alcuni Paesi occidentali hanno iniziato a imporre alcune misure
protezionistiche contro la Cina. Cambiano le regole per servire i propri
interessi, perché sono loro “le regole”.
Insieme, vogliamo difenderci da
ogni tentativo di distruggere questa multipolarità o di mantenere l’egemonia di
qualsiasi potere nel mondo.
Il 17 maggio il Consiglio dell’UE
ha pubblicato la decisione di vietare le “attività radiotelevisive” di tre
media russi nel territorio dell’Unione Europea. RIA Novosti, Izvestija e Rossijskaja
Gazeta sono state oggetto di un’ennesima ondata di restrizioni di censura da
Bruxelles. Ai media specificati viene ordinato di interrompere completamente la
distribuzione di qualsiasi contenuto attraverso i media elettronici nell’UE. L’Unione
Europea non nasconde il fatto che questa grave violazione del diritto al libero
accesso all’informazione e i tentativi di mettere a tacere la verità si basano
esclusivamente su motivi politici.
Consideriamo questo passo dell’UE
come una continuazione della pratica di censura politica, l’epurazione totale
dello spazio informativo da qualsiasi punto di vista alternativo alle
narrazioni occidentali. Questa è un’altra delle tante prove dell’abbandono da
parte dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri dei loro obblighi
internazionali nel campo della garanzia del pluralismo dei media e un altro
esempio della degenerazione delle società democratiche nei paesi
dell’“Occidente collettivo”.
Abbiamo ripetutamente avvertito a
vari livelli che l'uso di misure repressive da parte dell’Unione Europea e dei
suoi Stati membri contro i media russi e i loro dipendenti non passerà
inosservato. Ignorare questi avvertimenti ci costringe a prendere contromisure
che inevitabilmente seguiranno. La responsabilità di tale sviluppo di eventi
spetta esclusivamente all’UE e alle capitali dell’UE che hanno sostenuto la
decisione menzionata.
L’opposizione georgiana: “La
nuova legge è un ostacolo per il cammino della repubblica caucasica verso
l’Europa”
Il presidente della Georgia,
Salomé Zurabišvili, ha usato il suo diritto di veto alla legge sui cosiddetti
“agenti stranieri”, che era stata approvata dal Parlamento di Tbilisi in terza
e definitiva lettura martedì, 14 maggio. Da più di un mese nell’ex repubblica
sovietica del Caucaso sono in corso proteste popolari contro la legge, bollata
dall’opposizione come “contraria alla libertà di espressione”.
La legge è stata voluta
fortemente dal Governo, guidato dal partito “Kartuli Ontseba” (Sogno
Georgiano), secondo cui la legge è stata elaborata sul modello di una analoga
norma degli Stati Uniti, chiamata “Foreign Agents Registration Act”, (FARA), in
vigore negli USA sin dal 1938. L’opposizione e il presidente, Zurabišvili,
hanno dichiarato che la nuova legge “contraddice la lettera e lo spirito della
Costituzione della Georgia e rappresenterà un ostacolo per il cammino della
repubblica caucasica verso l’Europa».
In Georgia, la repubblica
parlamentare, il presidente ha un ruolo perlopiù “cerimoniale”, e il potere di
veto permette al Capo dello Stato solo di “posticipare l’entrata in vigore
della legge”: il Parlamento ha il diritto di respingere il veto e far entrare
la legge in vigore ugualmente. In questo caso, la maggioranza ha abbastanza
voti in Parlamento per farlo, e quindi la legge entrerà comunque in vigore, con
ogni probabilità.
Nel dicembre del 2023 la Georgia
ha ottenuto lo status di Paese candidato a entrare nell’Unione Europea, ma per
proseguire in questo percorso dovrà dimostrare di garantire il corretto
funzionamento delle istituzioni democratiche e il rispetto dello stato di
diritto: i critici della nuova legge sostengono che questa “limiterà le libertà
democratiche nel Paese”.
Ed ecco cosa ne pensa Marija
Zacharova.
L’adozione di una legge sugli
agenti stranieri da parte degli Stati membri dell’UE non diventerà un ostacolo
affinché queste persone ricevano, ad esempio, sussidi, assistenza e sostegno
all’interno dell’Unione?
Permettetemi di ricordarvi che le
leggi sugli agenti stranieri sono simili nei contenuti, e in alcuni casi molto
più rigide, in più di 60 Paesi in tutto il mondo, principalmente nelle
democrazie “standard”. Tutto è iniziato con loro. Ad esempio, negli Stati
Uniti, il Foreign Agents Registration Act (FARA) è in vigore dal 1938, in Australia
– sul sistema di trasparenza dell’influenza straniera, nel Regno Unito – sulla
sicurezza nazionale, in Israele – sulla trasparenza dei finanziamenti alle ONG,
in Francia – sulla prevenzione delle ingerenze straniere (prossimamente è
prevista una votazione al Senato).
Inoltre, nella maggior parte dei
casi non si tratta tanto di atti normativi quanto di strumenti repressivi.
Negli stessi Stati Uniti, per il mancato rispetto della “FARA” si può
facilmente finire in carcere. Marija Butina ha scritto un intero libro su
queste affascinanti manifestazioni della democrazia neoliberista. Ne consiglio
la lettura.
La stessa UE, sulla falsariga del
disturbo bipolare cronico che le è diventato familiare, prevede di adottare la
propria versione di legislazione sugli agenti stranieri: il “Pacchetto Difesa
della Democrazia”. In alcuni elementi, ancora in forma di bozza, il progetto di
regolamento appare addirittura più severo del suo progenitore americano.
Mi chiedo, quando si arriverà
all’adozione di questo documento, l’UE inizierà ad autoescludersi dalla sua
adesione? Mi è persino venuto in mente un nome: bipolare postmoderno.
Mi sembra che tutti questi
“ragionatori” provenienti da strutture incentrate sulla NATO farebbero bene a
chiarire prima le proprie “legittimità”.
E’ del tutto inspiegabile il
motivo per cui nessuno degli occidentali che difendono la democrazia, lo stato
di diritto e i diritti umani presta attenzione al fatto che negli Stati Uniti
dichiarano apertamente “la necessità di uccidere il candidato presidenziale,
l’ex presidente del paese Donald Trump. Di questo non si parla nelle reti
blockchain, ma nei media ufficiali, e non ne parlano i tossicodipendenti di
Filadelfia di Kensington Avenue, ma i politici democratici. Ad esempio, è stato
richiesto dal deputato Dan Goldman e dal politologo-pubblicista Robert Kagan, che
per pura coincidenza è il marito di Victoria Nuland.
Se pensate che tutta questa sia
solo retorica, allora vi dirò che questa è semplicemente storia degli Stati
Uniti.
Innanzitutto, una breve escursione
nella realtà della legittimità in stile americano.
1835 – tentativo di omicidio del
presidente Andrew Jackson,
1865 – assassinio del presidente
Abraham Lincoln,
1881 – assassinio del presidente
James Garfield,
1901 – assassinio del presidente
William McKinley,
1912 – tentativo di omicidio del
presidente Theodore Roosevelt,
1933 – tentativo di omicidio del
presidente eletto Franklin Delano Roosevelt,
1935 – assassinio del candidato
presidenziale Huey Long,
1950 – tentativo di omicidio del
presidente Harry Truman,
1963 – assassinio del presidente
John Kennedy,
1968 – assassinio del candidato
presidenziale Robert Kennedy,
1972 – tentativo di omicidio del
candidato presidenziale George Wallace,
1974 – tentativo di omicidio del
presidente Richard Nixon,
1975 – tentativo di omicidio del
presidente Gerald Ford,
1981 – tentativo di omicidio del
presidente Ronald Reagan,
1993 – tentativo di omicidio del
presidente George H. W. Bush,
1994 – tentativo di omicidio del
presidente Bill Clinton,
2005 – tentativo di omicidio del
presidente George W. Bush,
2008 – tentativo di omicidio del
candidato presidenziale Barack Obama,
2011 – tentativo di omicidio del
presidente Barack Obama.
La tradizione è terribile, ma è,
come si suol dire, consolidata. E questa è solo una parte di quanto è stato
declassificato ed è disponibile in open source.
Sarebbe bello se tutto questo
esercito anglosassone rivolgesse la sua attenzione ai mostruosi problemi di
legittimità, democrazia e diritti umani delle proprie procedure elettorali e
costituzionali.
Ultimora
Al momento in cui scrivo, il
destino del presidente iraniano Ibrahim Raisi rimane sconosciuto. Non si
conosce nemmeno la sorte di coloro che erano con lui sull’elicottero, compreso
il ministro degli Esteri del Paese. I soccorritori stanno lavorando nelle
condizioni più avverse: fitta nebbia e pioggia. L’elicottero non è ancora stato
ritrovato e ad ogni nuova segnalazione le paure crescono.
Ma penso che dovremmo fare del
nostro meglio per mettere da parte le emozioni e analizzare la situazione a
livello globale. Vorrei iniziare dando fastidio agli oppositori della
Repubblica islamica. Il sistema del doppio potere in Iran, dove c’è un
presidente e un leader spirituale, è costruito in modo tale che non ci siano
persone insostituibili in questo sistema. Assolutamente tutto il personale
nella sfera statale viene formato di conseguenza. Ecco perché la morte del
leggendario generale Qassem Suleimani a seguito di un attacco statunitense nel
2020 non ha portato al collasso del sistema di sicurezza dello Stato e non ha
indebolito l’Iran. Il generale fu immediatamente sostituito da un altro
generale. Sì, meno esperto di media, ma non per questo meno esperto ed
efficace.
Lo stesso si può dire del
presidente. E anche la Guida Suprema. Si può solo invidiare il pool di talenti
iraniani. Ma se si scoprisse che l’incidente dell’elicottero è stato un
sabotaggio, un attacco terroristico, un tentativo di omicidio, non invidio i
committenti e gli autori. L’Iran ha ripetutamente dimostrato di essere in
attesa di un aggressore. La portata di questo incidente potrebbe avere
conseguenze così gravi per la regione e per il mondo da dover considerare la
versione dell’assassinio. E Israele sembra essere la parte più interessata a
questo grande conflitto.
Sono sicuro che l’attacco
israeliano alla missione diplomatica iraniana in Siria il 1° aprile 2024 sia
stato un tentativo da parte della fallimentare leadership israeliana di
trascinare Teheran in una grande guerra dalla quale gli Stati Uniti non
sarebbero stati in grado di allontanarsi. Non ha funzionato. L’Iran ha risposto
con fermezza ma con cautela. Se l’incidente con l’elicottero presidenziale
dovesse rivelarsi la continuazione di questa storia, la situazione potrebbe
diventare un “cigno nero” e il mondo si ritroverà ancora una volta sull’orlo di
una grande guerra.
E qui aggiungo io. Non si può
sfuggire alla logica degli eventi recenti. Di volta in volta vengono colpiti i
politici che si oppongono alla strategia dell’Occidente collettivo nei
confronti della Russia.
Ecco solo gli eventi di maggio:
7 maggio: tentato assassinio del
principe ereditario dell’Arabia Saudita.
13 maggio: operazione notturna
per prevenire un colpo di Stato militare in Turchia.
15 maggio: attentato al premier
slovacco Fico.
16 maggio: arresto di un
attentatore al presidente serbo Vučić.
Adesso ecco l’elicottero del
presidente iraniano Raisi.
Tutto casuale?
Amarcord
In albergo c’era l’aria
condizionata, ma appena fuori scoprii che c’era una calura anomala, sui 35
gradi. Alle cinque del mattino non me n’ero reso conto. Rientrai subito, e
chiesi alla ragazza della reception quale fosse la trattoria più vicina, e mi
rispose che ce n’era una giusto a ridosso dell’albergo, con un nome italiano
che adesso non ricordo.
Aveva i tavolini fuori, su una
veranda coperta, con le tovaglie di carta a quadri rossi e bianchi, come si
usava in Italia quand’ero giovane. Chiesi al cameriere la ragione del nome
italiano e delle pietanze tipo carbonara, amatriciana eccetera. No, mi rispose,
il proprietario non era italiano, era russo, ma innamorato dell’Italia. Mi feci
portare una carbonara, più per curiosità che altro. Invece, fu una piacevole
sorpresa, con tanto di vinello bianco fresco, in una caraffa di vetro col bollo
del monopolio di Stato italiano. Era un flash: ero davvero sul lago Bajkal, a
8.000 km dallo Stivale italico?
Nei ristoranti russi si usa
sempre la musica, fenomeno che a me non piace. Talvolta, passano anche brani
italiani, ma qui vanno per la maggiore i Ricchi e Poveri, Al Bano e Romina
Power, Pupo, insomma, davvero il contrario dei miei gusti personali. Invece,
con mia grande sorpresa, ascoltai un intero LP (o come diavolo li chiamate
adesso) di… Franco Califano. Cioè, voglio dire: pensavo di essere l’unico a
conoscerlo, in questo sterminato Paese di 11 fusi orari.
Dopo questa “immersione”, la
simultanea andò benissimo.
Musica
Questa la conoscete tutti, non
sto nemmeno a tradurvela: Katjuša, da cui la versione partigiana italiana
Fischia il vento.
E’ del 1938, era chiaro che si
andava verso la guerra. La popolarità della canzone è dovuta proprio al
diminutivo femminile “Katjuša”, dato al fronte durante la Grande Guerra
Patriottica ai veicoli da combattimento con artiglieria a razzo.
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