Settantaduesimo notiziario settimanale di lunedì 8 aprile 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
La settimana appena trascorsa cadeva il 75° anniversario dalla fondazione della NATO. Ecco una sintesi del commento di Marija Zacharova, rappresentante ufficiale del Ministero degli Esteri russo.
Il 4 aprile del 1949 a Washington
veniva firmato il Trattato del Nord Atlantico, evento che segnò la nascita dell’alleanza
militare più aggressiva dei tempi moderni.
Secondo l’idea dei politici di
allora, l’Alleanza del Nord Atlantico sarebbe dovuta essere uno strumento
chiave atto a instaurare e mantenere l’egemonia di Washington e dei suoi
alleati nel mondo. E tale è rimasta fino ad oggi.
L’idea alla base dell’esistenza
della NATO era quella di “tenere i russi al di fuori, gli americani all’interno
e i tedeschi sotto il controllo” dell’Occidente; e tale concezione resta
attuale ancora oggi.
Per gli USA, la NATO era e rimane
il principale strumento di controllo sugli alleati europei.
Dopo la fine della Guerra Fredda
Washington e i suoi alleati hanno intrapreso operazioni armate per il “mantenimento
della pace” nei Balcani, conclusesi con una sleale aggressione ai danni della Jugoslavia;
hanno intrapreso una “battaglia contro il terrorismo” in Afghanistan; i Paesi
della NATO sono entrati a far parte della coalizione guidata dagli USA in Iraq,
e hanno portato avanti un intervento “umanitario” in Libia.
L’esito di tali atti di ingerenza
è stato solo uno, in tutti i casi: Stati che si sono dissolti e sono caduti in
rovina.
Sono già tre anni che Washington
e i suoi satelliti forniscono all’Ucraina mercenari e armamenti in gran
quantità, al fine di riuscire a infliggere alla Russia una “sconfitta
strategica”, come la chiamano loro. Per fare ciò, ricorrono a tutti i mezzi e
le modalità di cui l’”Occidente collettivo” e i suoi fantocci di Kiev
dispongono, financo gli atti terroristici. Il fallimento dei loro progetti di
grandezza sta spingendo la NATO ad intraprendere azioni che potrebbero
ripercuotersi in maniera tragica sulla sicurezza non solo europea, ma anche del
mondo intero.
Alle elezioni presidenziali in Slovacchia ha vinto Peter Pellegrini, classe 1975. La Slovacchia è una repubblica parlamentare, come l’Italia, dove quindi ha più poteri il capo del governo, che è Robert Fico, classe 1964. I media italiani mainstream si sono subito sbracciati a pubblicare veline fotocopia, secondo le quali l’elezione di Pellegrini sarebbe la conferma della deriva nazionalista e populista di quel Paese, semplicemente perché è contrario all’invio di armi in Ucraina, dunque putiniano per antonomasia.
Facciamo un po’ di pulizia.
Robert Fico, già membro del Partito Comunista Cecoslovacco, con la dissoluzione
di quest’ultimo, entrò a far parte di SDL, il Partito della Sinistra
Democratica, segno che proprio di destra non è. Dopo la scissione della
Cecoslovacchia, esce da SDL e fonda, nel 1999, Smer, letteralmente “Direzione
Socialdemocrazia”, di cui è tuttora capo. Nell’UE, lo Smer faceva parte del
Partito del Socialismo Europeo e nel PE dell’Alleanza Progressista dei
Socialisti e dei Democratici. Indovinate? Sospeso da entrambe le formazioni. Di
più: fa parte dell’Internazionale Socialista. Già, perché tutti si riempiono la
bocca di Komintern, come uno spauracchio stalinista, e nessuno menziona che esiste
tuttora il Socintern. Solo che quest’ultima sapete dove ha sede? A Londra. Ne
faceva parte anche il Partito “Russia Giusta”, ovviamente radiato.
Peter Pellegrini, essendo più
giovane, quattro anni fa è uscito dallo Smer ed ha fondato Hlas, cioè Voce Socialdemocrazia.
Non conosco le ragioni di questa scissione, ma salta agli occhi che entrambi i
Partiti siano socialdemocratici. Naturalmente, il PSE ha sospeso pure Hlas.
Togliamoci subito ogni dubbio di
sorta circa il cognome italiano Pellegrini, anche perché questo interessa solo
gli italiani. Non parla italiano, non è italiano. Il bisnonno Leopoldo
Pellegrini era lombardo. Giunse in Slovacchia, all’epoca parte dell’Impero
austro-ungarico, alla fine del XIX secolo per lavorare alla costruzione della
ferrovia tra Levice e Zvolen. Ebbe una relazione con la slovacca Mária Kunovská
e si trasferì nel villaggio di Lehôtka pod Brehmi, nel distretto di Žiar nad
Hronom, dove comprò una casa. Investì i guadagni in appezzamenti di terreno e
si dedicò all’agricoltura, assumendo anche lavoratori locali e introducendo
nuovi sistemi di coltivazione.
Esaurita la genealogia, torniamo
alla politica contemporanea. Facciamo sintesi. Se non sei atlantista, cioè
seguace di Biden e Von Der Leyen, sei automaticamente nazionalista e populista.
Sabato scorso sono stato invitato ad intervenire ad una conferenza di “Democrazia Sovrana e Popolare” del Veneto, il titolo era “La pace tra i popoli, i pericoli di una guerra nucleare”. E’ durata tre ore, ed anche il mio intervento si è protratto per mezzora, senza contare poi le domande e le risposte. Ecco perché vi riporto solo un sunto.
Non è un mistero per nessuno che
nel 1949 la NATO fu fondata non tanto e non solo ufficialmente per contrastare
il presunto pericolo sovietico, quanto realmente per contenere il dominio
statunitense nell’Europa occidentale. Ben presto non fu così, e la NATO divenne
invece al contrario uno strumento degli USA, un avamposto per dettare regole a
Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Inghilterra e quant’altri.
Ho ascoltato attentamente,
qualche giorno fa, le dichiarazioni del ministro degli esteri italiano Antonio
Tajani alla stampa nel corso del giubileo NATO a Bruxelles. Sembrava quello
studente che non ha studiato a casa e ripete quelle poche parole che ha letto
sul libro cinque minuti prima dell’interrogazione. Secondo la vulgata, alla
dissoluzione dell’Unione Sovietica la Russia avrebbe potuto ricongiungersi all’Occidente
e ai valori occidentali, dunque unirsi alla NATO, ma Putin decise diversamente,
ed ecco quindi la situazione in cui ci troviamo oggi.
Naturalmente, ci sarebbe da
chiedersi di quali valori occidentali si parli, ma è proprio la chiave di
lettura di questa retorica narrazione ad essere fallace e menzognera. Fu
promesso – e sottoscritto! – all’ultimo Gorbačëv che mai la NATO si sarebbe
espansa a est. Da allora, passando da 12 a 32 Stati membri, quattro ondate:
1999, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca; 2004, Bulgaria, Romania, Slovacchia,
Slovenia e le tre repubbliche baltiche; 2009, Albania e Croazia; 2017,
Montenegro; 2020, Macedonia del Nord; ed ora, Svezia e Finlandia. Insomma, a
parte questi ultimi due, praticamente tutto l’ex cosiddetto “campo socialista”.
E si parla di Ucraina e Georgia.
L’esistenza di garanzie di non
allargamento date dalla NATO dopo il crollo del Patto di Varsavia, è citata
anche nel discorso del Segretario generale della NATO Manfred Werner a
Bruxelles il 17 maggio 1990: “Il fatto stesso che siamo pronti a non schierare
truppe della NATO al di fuori del territorio della Germania offre all’Unione
Sovietica solide garanzie di sicurezza”.
Il 12 maggio 2015, la Missione
permanente della Federazione Russa presso la NATO ha pubblicato un’analisi
delle relazioni della Federazione Russa con l’alleanza dal titolo “Russia-NATO:
miti e fatti”, in cui rilevava che l’espansione verso est della NATO è avvenuta
nonostante le promesse verbali fatte dai leader occidentali, in particolare dal
cancelliere tedesco Helmut Kohl e dal ministro degli Esteri Hans-Dietrich
Genscher al leader sovietico Michail Gorbačëv nel 1990 durante i
negoziati sull’unificazione della Germania.
Il 18 febbraio 2022 il tedesco
Spiegel ha riferito che esistevano documenti d’archivio che confermavano la
promessa dei Paesi occidentali alla leadership dell’Unione Sovietica di non
espandere la NATO a scapito dei Paesi dell’Europa orientale. Il 24 febbraio il
Ministero degli Esteri russo ha fornito una registrazione video del 1990 in cui
il Ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher e il Segretario di
Stato americano James Baker dichiarano davanti alla telecamera che ai partner
dell’Unione Sovietica erano state assicurate la non espansione della NATO verso
est. A questo proposito vengono menzionati anche i colloqui sul tema della
mancata espansione del ministro degli Esteri dell’URSS Eduard Ševardnadze con
il segretario di Stato americano James Baker.
Dagli anni ‘50 parte dell’arsenale
nucleare statunitense si trova in Europa. Secondo le stime del Centro americano
per il controllo degli armamenti e la non proliferazione per il 2021, ci sono
circa 100-150 bombe nucleari tattiche americane nelle basi militari sul
territorio di cinque Stati membri della NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi
Bassi e Turchia, circa 20 di loro in Germania.
L’Atto istitutivo NATO-Russia
sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza, firmato a Parigi il
27 maggio 1997, include una clausola che afferma che i Paesi della NATO “non
hanno intenzione, piano o motivo di schierare armi nucleari sul territorio dei
nuovi membri e non c’è bisogno di cambiare alcun aspetto dell’assetto della
forza o politica nucleare della NATO, e non prevedono la necessità di farlo in
futuro”. Tuttavia, il 19 novembre 2021, in una conferenza organizzata dalla
Società Atlantica tedesca, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg
ha affermato che se la Germania si rifiuta di schierare armi nucleari
statunitensi sul suo territorio, esse “potrebbero finire in altri Paesi
europei, in particolare a est della Germania”. Il 3 aprile 2022, il vice primo
ministro polacco Jaroslaw Kaczynski ha dichiarato che il Paese è aperto allo
spiegamento di armi nucleari americane sul suo territorio. Il 5 ottobre il
presidente polacco Andrzej Duda ha annunciato l’intenzione di ottenere l’accesso
al programma statunitense di condivisione delle armi nucleari.
Ma veniamo più concretamente all’Ucraina.
Dieci anni fa, il potere fu preso – ora è chiaro – da veri e propri nazisti che
effettuarono un colpo di Stato incostituzionale a Kiev. Hanno immediatamente
cancellato lo status della lingua russa come lingua regionale, dimostrando così
le loro vere intenzioni riguardo al rispetto dei diritti umani e delle
minoranze nazionali. Hanno inviato militanti armati in Crimea perché la Crimea,
come il Donbass, si è rifiutata di riconoscere il regime illegale salito al
potere con mezzi cruenti. Ciò è servito come base per tenere un referendum in
Crimea. Di conseguenza, la penisola è tornata nella Federazione Russa, nella
sua terra natale.
Il 14 aprile ricorre il decimo
anniversario da quando i nazisti saliti al potere in Ucraina dichiararono una “operazione
antiterrorismo” contro gli abitanti del Donbass. Li hanno identificati come
terroristi che devono essere distrutti. Tutti i difensori delle Repubbliche
popolari di Doneck e Lugansk furono dichiarati terroristi solo perché si
rifiutarono di riconoscere il colpo di Stato. Contro di loro furono lanciate
operazioni militari. E’ cronaca: le zone residenziali di Doneck, Lugansk e
altre zone popolate furono bombardate con l’artiglieria e l’aviazione.
Oltre alle forze armate ucraine,
alla “operazione antiterrorismo” hanno preso parte battaglioni regolari di
volontari tra i seguaci aperti del nazismo: “Settore destro”, “Azov”, “Ajdar” e
molti altri. Molto prima dell’inizio dell’operazione militare speciale, quando
l’Ucraina, in violazione degli accordi di Minsk, ha intrapreso una guerra
contro il proprio popolo nel Donbass, il Congresso americano ha incluso il
battaglione Azov nell’elenco delle organizzazioni che non possono essere
assistite con forniture di armi. Molti Paesi occidentali hanno seguito questa
posizione. Tuttavia, in seguito “chiusero un occhio” nei loro confronti. Armare
i nazisti, così come l’intero regime ucraino, è diventata la norma per gli
occidentali. Ora vogliono rendere obbligatoria l’assistenza militare volontaria
all’Ucraina “sotto l’egida” della NATO e costringere tutti i membri dell’alleanza,
attraverso una rigida disciplina, a firmare per la fornitura di finanziamenti e
armi al regime di Kiev, basta che continui a combattere contro la Federazione
Russa.
I crimini delle forze armate
ucraine e dei battaglioni “volontari” non sono ancora stati indagati, compresa
la terribile scena in cui 48 antifascisti furono bruciati vivi nel Palazzo dei
sindacati di Odessa, il 2 maggio 2014.
Nel 2015 la Russia è riuscita a
fermare la guerra che Kiev ha intrapreso contro il suo stesso popolo. Sono
stati firmati gli accordi di Minsk. Sono stati approvati dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite. Ha assunto uno status speciale per una piccola
parte del Donbass, il diritto di parlare la propria lingua, di avere le proprie
forze dell’ordine, nonché consultazioni per la nomina di pubblici ministeri e
giudici. Più o meno la stessa cosa che il presidente francese Macron ha
recentemente promesso alla Corsica. Con gli accordi di Minsk le promesse di
Parigi si sono rivelate assolutamente false. Vedremo come andrà nelle altre
parti d’Europa. In generale, in molti Paesi, varie minoranze nazionali vogliono
esattamente la stessa cosa degli abitanti del Donbass: avere il diritto di
parlare la loro lingua madre, insegnarla ai bambini, conoscere e amare la loro
storia, tradizioni, religione, vivere secondo i principi che da secoli hanno
attecchito su queste terre.
Gli accordi di Minsk non hanno
fermato l’allora presidente Porošenko. Violando le richieste di cessate il
fuoco e la necessità di un dialogo diretto tra Kiev e Donbass, nel 2018, invece
di una “operazione antiterrorismo”, ha annunciato una “operazione di forze
congiunte”. Cioè, un’operazione militare a tutti gli effetti, che scatena una
guerra contro il Donbass. Anche se nel maggio 2014 Porošenko era stato eletto
con lo slogan “presidente di pace”. Nel 2019, con lo stesso motto è stato
eletto il presidente Zelenskij. Ha dichiarato che avrebbe immediatamente
fermato la guerra e attuato gli accordi di Minsk. Giudicate voi a cosa siamo
arrivati.
Nessuno dubita del coinvolgimento
dell’Ucraina nei numerosi atti terroristici sul territorio russo. Si tratta di
attacchi terroristici che sono costati la vita ai giornalisti Dar’ja Dugina e Vladlen
Tatarskij, hanno portato al ferimento dello scrittore Prilepin e alla morte del
suo autista Šubin, alla morte di civili in un’esplosione al ponte di Crimea, 42
persone sono rimaste ferite nell’esplosione in un bar di San Pietroburgo e
molto altro ancora. E, finalmente, il Crocus.
Dal 2005 la Federazione Russa ha
presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione sull’inammissibilità
della glorificazione del nazismo. Negli ultimi due anni l’Ucraina ha votato “contro”,
accusando la Russia di aver presentato questa risoluzione per avere un pretesto
in più per giustificare l’operazione militare speciale.
2005. Mai prima d’ora e finora l’Ucraina
aveva votato a favore di questo importantissimo documento, che è sostenuto
dalla stragrande maggioranza degli Stati del mondo. Nel 2005, il rifiuto di
votare per una risoluzione contro l’esaltazione del nazismo, contro cui il
popolo ucraino ha combattuto come parte dell’Unione Sovietica, la dice lunga. Una
conferma che gli obiettivi di lotta contro l’esaltazione del nazismo furono
respinti dal regime di Kiev molto prima dell’operazione militare speciale.
Circa sei anni fa sono state
legalizzate le regolari fiaccolate annuali in onore del criminale nazista Stepan
Bandera. Uguali identiche alle fiaccolate organizzate nella Germania nazista. I
compleanni di Bandera e di un altro criminale, Šuchevič, condannato dal Tribunale di
Norimberga, vengono celebrati come date commemorative dello Stato, così come la
data della creazione del sedicente “Esercito ribelle ucraino”, colpevole dell’omicidio
di russi, ebrei, polacchi, ucraini e molti altri.
I titoli di Eroi dell’Ucraina
vengono assegnati anche agli ex membri delle SS (alcuni dei quali sono ancora
vivi e hanno ucciso civili mentre prestavano servizio nelle file dei nazisti). Come
già detto, tutto ciò che è russo è proibito, incluso l’insegnamento. I libri
vengono confiscati dalle biblioteche. Solo che non vengono bruciati, come nella
Germania nazista. Gli ucraini sono più pragmatici e taccagni. Consegnano i
libri di autori russi alla carta straccia e ricevono denaro per questo.
Anche nella vita di tutti i
giorni, se parli russo a scuola durante una pausa, o entri in un negozio e
parli in russo, potresti essere accusato di una violazione amministrativa. Allo
stesso tempo, la stragrande maggioranza degli ucraini parla ancora russo.
Perché è la tradizione delle loro famiglie e parenti. Anche ascoltando le
intercettazioni radio sul campo di battaglia, sulla linea di contatto dell’operazione
militare speciale, le forze armate ucraine si sentono più a loro agio nel
parlare russo. L’intero popolo è “in ginocchio” in modo da dimenticare questa
lingua.
Sarebbe impensabile se nella
Svizzera, che intende tenere una conferenza di pace sull’Ucraina, venissero
banditi il francese, l’italiano o il tedesco. Se l’inglese fosse bandito in Irlanda
o Scozia…
Anche prima dell’inizio dell’operazione
militare speciale, gli ideologi occidentali chiedevano che l’Ucraina venisse
accettata nella NATO il prima possibile. Dicevano che allora la Russia “non
oserà attaccare” un Paese dell’alleanza. Ora le dichiarazioni sono cambiate.
Dicono che l’Ucraina “sta per perdere”, ma non possono permetterlo, perché in
tal caso la Russia presumibilmente “attaccherebbe” il blocco NATO. Dov’è la
logica? Inizialmente presumevano che Mosca non si sarebbe mai permessa di
attaccare la NATO. Ora stanno convincendo tutti che questa è proprio l’intenzione
di Putin e della leadership russa.
Un’ultima considerazione, a
margine. E’ una notizia della settimana scorsa, riguarda l’architettura della
sicurezza in Europa post Guerra Fredda. Il 5 aprile del 2024 altri due Paesi,
la Turchia e la Bielorussia, hanno annunciato la “sospensione” della loro
partecipazione allo storico Trattato sulle forze armate convenzionali in
Europa.
Le mosse di Ankara e di Minsk
hanno fatto seguito alle analoghe decisioni degli Stati Uniti, dei Paesi
europei e della Russia, che dopo aver “sospeso” la propria partecipazione nel
2007, ha annunciato il proprio ritiro formale nel novembre del 2023, accusando
gli Stati Uniti di “aver minato la sicurezza in Europa negli anni successivi
alla Guerra Fredda con l’allargamento dell’Alleanza atlantica verso l’Est”.
Il Trattato fu inizialmente
firmato a Parigi il 19 novembre del 1990 dai 16 Paesi membri del blocco NATO e
dai 6 Paesi dell’ex-Patto di Varsavia. Il Trattato stabilì un sostanziale
equilibrio nel campo di armi convenzionali tra i Paesi dell’Ovest e quelli dell’Europa
Orientale, limitando considerevolmente tutte le categorie chiave di forze
armate non nucleari, dai carri armati e veicoli blindati, agli aerei ed
elicotteri da combattimento e all’artiglieria.
Firmato un anno dopo la caduta
del muro di Berlino, il Trattato era stato concepito per impedire a entrambe le
parti della Guerra Fredda di accumulare forze per una rapida offensiva contro l’altra
in Europa.
La Russia ha sospeso la
partecipazione al Trattato nel 2007, ha completamente interrotto la
partecipazione attiva nel 2015, mentre poco più di un anno dopo l’inizio del
conflitto armato con l’Ucraina, a maggio del 2023, Putin ha firmato un decreto
che denunciava il Trattato.
Vorrei concludere con alcune
note, la prima riguarda le recenti dichiarazioni del presidente francese Macron
circa l’invio in Ucraina di truppe regolari. E’ stato ribadito da più parti:
qualunque contingente militare sul suolo ucraino, autoctono o straniero che
sia, viene considerato dalla Russia un legittimo obiettivo. Ancora più
esplicito è stato il vicepresidente della Duma, della Camera, Pëtr Tolstoj,
pronipote del più noto scrittore, in un’intervista al canale televisivo
francese BFM: li uccideremo dal primo all’ultimo.
La logica di Macron è chiara:
siamo l’unico Paese dell’UE ad avere la bomba nucleare, i russi non oseranno.
Sa benissimo che oseranno eccome. Resta però da chiarire perché faccia
dichiarazioni così irresponsabili. La cosiddetta locomotiva d’Europa, quella
tedesca, ha da tempo perso il suo ruolo, e Macron vuole sostituirsi ad essa. Ma
c’è da fare un ulteriore ragionamento. Con 27 Paesi membri, praticamente ogni
anno in alcuni di essi si svolgono le elezioni, e la retorica di guerra si
limita a quei singoli territori. Tuttavia, ogni quattro anni si svolgono le
elezioni del Parlamento Europeo, e sapete benissimo che la prossima tornata
sarà fra appena due mesi. Tutti temono la vittoria delle opposizioni. Se al
potere c’è il centrosinistra, si grida al pericolo fascista, come in Germania.
Se invece al potere c’è il centrodestra, o addirittura la destra, sic et
simpliciter, come in Italia, si grida al pericolo comunista. Non so quanto
questo artifizio sia ancora efficace, con un’opinione pubblica ed un corpo
elettorale stremato dalle scelte scellerate dell’establishment degli ultimi
anni. Spero poco. Fatto sta, sempre più spesso, chiunque sia al potere, alla
consultazione successiva perde, l’opposizione si fa maggioranza e cambia giacca
immediatamente: la Meloni era contro l’invio delle armi in Ucraina e
addirittura contro la NATO e contro i poteri forti di Bruxelles, ricordate?
A questo aggiungiamo che a
novembre ci saranno le presidenziali statunitensi, e sono imprevedibili come
non mai. Come è noto, le decisioni quelle vere di geopolitica vengono prese a
Washington, altro che Parlamento Europeo vassallo. I leader europei, presi
singolarmente, ancora non hanno deciso su quale cavallo puntare.
Davvero un’ultima chiosa. Lungi
da me paragonarmi a Togliatti, però spesso, quando vengo intervistato dai media
russi, ricordo che proprio Togliatti, dalle onde corte clandestine di Radio
Mosca, dava indicazione ai partigiani italiani. Spero, più modestamente, di
avere imparato qualcosa da lui.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Una canzone della fine degli anni
‘80, dell’ultimo periodo sovietico: Родина моя, “La mia patria”. Sapete cos’è la patria? E’ la vostra terra
natale, non necessariamente dove siete nati, ma dove siete cresciuti, vi siete
formati.
Io, tu, lui, lei,
Insieme siamo un Paese intero,
Insieme: una famiglia amichevole,
Nella parola “noi” ci sono
centomila “io”.
La cantano insieme oggi le città
di Tambov, Mosca, Togliatti, Nižnij Novgorod, Pietroburgo, Rostov Velikij,
Novyj Urengoj, dell’Altaj, Rjazan’, Kostroma, della Baškiria, Soči,
Rostov, Kursk, Vladimir, Saratov, Ufa, la Čuvašia, Krasnodar, e anche
dall’ex Unione Sovietica, Kirgizia, Kazachstan, persino invece dalla Cina.
Notate anche la varietà
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