Mark Bernardini

Mark Bernardini

lunedì 26 febbraio 2024

066 Italiani di Russia

Sessantaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 26 febbraio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

Gira un video in rete, che io ho tradotto per Visione TV, attribuito alla madre di Aleksej Naval’nyj, in cui lancia una serie di precise accuse alla vedova. Apriti cielo. I primi a parlare di fake sono stati il canale TV Dožd’ (Rain) ed il canale Telegram Meduza, sedicenti russi, ma che in realtà trasmettono rispettivamente dall’Olanda e dalla Lettonia. Dicono che sia frutto della propaganda del Cremlino, dunque falso per antonomasia.

E in Italia? L’immancabile Enrico Mentana, su Open. Chi è Mentana? Riccioli d’oro, ex militante di Lotta Continua, poi conduttore al democristiano TG 1, poi fedele voce di Berlusconi al TG 5. E cos’è Open? E’ quella testata che da due anni vi spiega che entro un mese la Russia perderà la guerra in Ucraina, che i russi rubano i chip nelle lavatrici e nei frigoriferi ucraini per i loro missili e che combattono con le pale perché non hanno armamenti. E’ così che Open è stata premiata dalla statunitense Facebook, stabilendo per l’Italia cosa sia vero e cosa falso, e, conseguentemente, cosa sia lecito dire e scrivere, e cosa no. Per la faccenda della madre di Naval’nyj, Mentana si è spinto oltre i suoi padroni: sarebbe un’invenzione dell’intelligenza artificiale. Lasciamo perdere Ljudmila Naval’naja, concentriamoci sulle sue affermazioni.

  1. Julija Naval’naja si è vista l’ultima volta col marito nel febbraio 2022.
  2. Non ha alcuna restrizione all’ingresso in Russia.
  3. Non c’è alcuna causa penale contro di lei.
  4. In due anni, non è mai venuta a visitarlo.
  5. Di fatto, è dalla primavera del 2021 che non è maritata con Naval’nyj.
  6. Compare pubblicamente in società con altri uomini, tra l’altro oligarchi russi ben noti residenti a Londra.
  7. Lo ha costretto a venire in Russia, quando era appena uscito dal coma e non poteva valutare adeguatamente la situazione.
  8. Ha costretto Naval’nyj a riregistrare tutti i suoi beni.
  9. Ha diseredato suo figlio, che è la ragione per cui questi si rifiuta di parlare con lei.
  10. Ha aizzato sua figlia contro suo figlio.
  11. Col sorrisino, poche ore dopo la morte di Naval’nyj, è intervenuta a nome suo a Monaco.

Adesso attendo che Mentana smentisca questi undici punti, e soprattutto producendo prove inconfutabili. Altrimenti, io posso accusare Mentana di rubare i portafogli alle vecchiette per strada. Poi, però, sarei io a dover produrre prove della sua colpevolezza, non lui a dover dimostrare la sua innocenza.

Aggiungerei anche un’altra constatazione. Finché non finirà l’autopsia, nessuno ha visto il corpo. Ciò nonostante, Julija Naval’naja è già sicura che sia stato avvelenato col gas nervino Novičok. Il che è abbastanza offensivo per la Russia: esistono decine di gas nervini, e nel mondo sono centinaia. Tra l’altro, i Paesi che, negli anni, li abbiano usati non internamente, bensì contro altri Paesi sono Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Romania, Francia, Spagna, Italia, Giappone. Ma proprio il Novičok? Siamo ancora all’highly likely di Theresa May? Il punto non è questo: la Naval’naja ha visto il corpo? No.

Poi però in occidente è cambiata la narrazione, smentendo di fatto la Naval’naja: Naval’nyj è stato ammazzato con un pugno al cuore, che, secondo loro, è una tecnica tipica del KGB. Francamente, mai saputo, ma non importa: hanno visto il corpo? No. Di più: il pugno è stato sferrato dopo averlo esposto per ore a quaranta gradi sotto zero. Peccato che basta aprire le previsioni del tempo (io l’ho fatto) per scoprire che quel giorno a Salechard, il capoluogo di provincia, di gradi sotto zero ce n’erano sette, e cinque a Mosca. E d’altra parte, stiamo parlando di un Paese settentrionale, non sarà mica colpa di Putin. Le stesse temperature in quei giorni c’erano nei tre Paesi scandinavi (Svezia, Finlandia e Norvegia), e poi in Danimarca, e persino nel nord del Regno Unito, non siamo mica in Italia. Insomma, tutte queste colpevoli narrazioni romanzate sanno davvero di stantio.

Il 22 febbraio Repubblica ha pubblicato un articolo di Aleksej Paramonov, l’ambasciatore russo a Roma. Ve lo riassumo.

Nella sua storia plurisecolare, la Russia non ha mai mostrato aspirazioni espansionistiche verso l’Occidente, ha solo risposto ad antecedenti atti di aggressione. L’Occidente, invece, compie regolarmente robusti tentativi di indebolire e spingere la Russia verso il cortile del mondo, lo fa con invidiabile ostinazione, circa una volta ogni secolo.

Durante il periodo della pandemia e sullo sfondo del conflitto in Ucraina, siamo stati testimoni del fatto che nel sistema politico occidentale le élite dirigenti ascoltano sempre meno le voci dei cittadini e sempre più si fanno pilotare da varie lobby e gruppi di influenza politici, industriali e finanziari, i cui interessi non hanno nulla a che fare con le richieste della popolazione, anzi, nella maggior parte dei casi, le contraddicono direttamente.

Anche durante la Guerra Fredda, gli Stati dell’Europa continentale erano meno subordinati agli Stati Uniti di quanto lo siano ora. I nostri ex partner europei – alcuni in misura maggiore, altri in misura minore – sono stati trascinati in un conflitto che contrasta con i loro interessi e li porta all’autodistruzione.

Il livello di aggressività dell’Europa nei confronti della Russia può aumentare significativamente con il continuo deterioramento della situazione socioeconomica e l’aumento del numero di persone impoverite e moralmente degradate.

Il fallimento dei piani dell’Occidente collettivo in Ucraina potrebbe essere una vera e propria vittoria per l’Europa, che sarebbe finalmente in grado di respirare “con entrambi i polmoni”, liberandosi dalla necessità di essere una base territoriale degli Stati Uniti in Eurasia, di scontrarsi con la Russia “ad ogni costo”, pagandone un prezzo ogni anno più alto.

Sempre Paramonov, il 21 febbraio è stato convocato alla Farnesina, e gli è stato manifestato il desiderio, da parte italiana, di ricevere chiarimenti in merito alle cause della morte di Naval’nyj. Inoltre, all’Ambasciatore sono state manifestate alcune valutazioni politicamente faziose in merito alla situazione politica interna della Russia, in linea con quella lettura antirussa parziale dei fatti che è concordata a livello dei Paesi occidentali.

Come risposta ai diplomatici italiani, è stato spiegato che il motivo alla base della convocazione dell’Ambasciatore russo in Italia presso il Ministero degli Esteri italiano è una questione puramente interna che riguarda solo la parte russa; la quale, come già dichiarato, sta effettuando tutte le perizie e gli accertamenti investigativi necessari, in conformità con la legislazione della Federazione Russa, al fine di individuare le cause reali dell’incidente e, ove sussistono, le relative responsabilità.

Inoltre è stato sottolineato che i tentativi dei Paesi occidentali di strumentalizzare politicamente la morte di Naval’nyj nonché di formulare accuse di vario genere contro Mosca, che fomentano artificiosamente sia la critica e l’ostilità nei confronti delle autorità russe, sia il sentimento generale contro la Federazione Russa, sono inutili e inaccettabili da tutti i punti di vista.

Il 21 febbraio 2014, con la garanzia dei Paesi occidentali, il Presidente ucraino in carica Viktor Janukovič e la leadership politica di Euromajdan, tra cui il leader del Partito “Bat’kovščina”, Arsenij Jacenjuk, il leader del partito “Udar”, Vladimir Kličko, e il leader del partito filonazista “Svoboda”, Oleg Tjagnibok, hanno firmato un accordo sulla risoluzione della crisi politica in Ucraina. I ministri degli Esteri di Germania e Polonia, Frank-Walter Steinmeier e Radosław Sikorski, e il capo del Dipartimento Europa Continentale del Ministero degli Esteri francese, Éric Fournier, sono intervenuti in qualità di garanti della sua implementazione. Tra le altre cose, l’opposizione si è impegnata a “normalizzare la vita nelle città e nei villaggi”, “liberando gli edifici amministrativi e pubblici e sbloccando strade, parchi e piazze”, consegnando le armi illegalmente detenute al Ministero degli Interni ucraino e “rinunciando a posizioni conflittuali con le autorità”.

Dopo la firma dell’Accordo, nell’ambito della sua realizzazione, il Presidente ucraino Viktor Janukovič ha dato istruzione di ritirare le forze dell’ordine dal centro di Kiev. In seguito, in violazione dell’Accordo firmato con la garanzia dei Paesi occidentali, il 22 febbraio 2014 i militanti di Euromajdan si sono impadroniti degli edifici governativi e la Verchovna Rada, caduta sotto il loro controllo, ha deciso di rimuovere il legittimo presidente del Paese in violazione della Costituzione ucraina.

Dopo il colpo di Stato anticostituzionale, i Paesi occidentali ne hanno subito riconosciuto gli effetti.

La propaganda occidentale opera in modo che fatti ed eventi scomodi possano deliberatamente essere tenuti nascosti. La gente comune ha appreso della crisi in Ucraina soltanto due anni fa, quando la Russia ha dato inizio all’Operazione Militare Speciale.

E per qualche ragione, nessuno ricorda più quanto accaduto ormai dieci anni fa, quando la crisi ucraina ebbe effettivamente inizio:

Le proteste di Euromajdan (21 novembre 2013);

Il successivo colpo di Stato anticostituzionale (febbraio 2014);

L’inizio della guerra civile, in corso da ormai un decennio, nel sud-est dell’Ucraina.

Analizziamo più nel dettaglio la crisi ucraina attraverso i fatti accaduti:

Dieci anni fa, il 18 febbraio 2014, a Kiev ebbero inizio violenti e sanguinosi scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine.

In soli due giorni di scontri, tra il 18 e il 19 febbraio 2014, ci furono 29 morti tra i manifestanti di Majdan e 11 morti tra gli agenti delle forze dell’ordine, mentre centinaia di altre persone rimasero ferite.

Gli agenti delle forze dell’ordine, che si rifiutavano di usare le armi contro i loro connazionali civili, vennero assaliti dai manifestanti (i quali, di fatto, erano armati).

Il 20 febbraio del 2014, il Presidente ucraino Viktor Yanukovič istituì una giornata di lutto nazionale per le vittime degli scontri. Nello stesso giorno, ignoti spararono sia contro i manifestanti che gli uomini dell’unità speciale antisommossa “Berkut”.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Oggi una canzone del 1941: Давай закурим, più o meno “Fumiamoci una sigaretta”. Sempre in versione contemporanea, dalle repubbliche popolari del Donbass.

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