Mark Bernardini

Mark Bernardini

domenica 13 agosto 2023

038 italiani di Russia

Trentottesimo notiziario settimanale di lunedì 14 agosto 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

In un recente articolo dell’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Joseph Borrell su diversi media mondiali dal titolo “La Russia deve smettere di usare il cibo come arma”, reagendo al rifiuto della Russia di estendere la “Iniziativa del Mar Nero”, insiste sull’assenza di un impatto negativo delle sanzioni UE sulla sicurezza alimentare globale.

Questa è disinformazione, totalmente “falsa”. La cessazione del funzionamento degli accordi sul grano limita la capacità dell’Unione Europea, con un plausibile pretesto, di rimpinguare le proprie riserve e tranquillamente e impunemente fare cassa con gli Stati più vulnerabili al riguardo, arricchendosi a loro spese rivendendo grano ucraino e altri beni a buon mercato.

Le vere priorità dell’UE nel campo della sicurezza alimentare, spiegate nelle stesse sanzioni di Bruxelles, influenzano la Russia nel commercio con Paesi terzi di prodotti agricoli e fertilizzanti.

I Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, ai quali è rivolto questo articolo, sono ben consapevoli di ciò a cui porta il comportamento irresponsabile di Bruxelles, che, nel suo desiderio di “infliggere una sconfitta strategica alla Russia”, è pronto senza esitazione ad abbattere catene di approvvigionamento affidabili di prodotti agricoli nazionali verso i Paesi bisognosi.

In questa situazione, l’UE ha solo una scelta: smettere di destabilizzare intenzionalmente i mercati alimentari globali imponendo sempre più restrizioni sui prodotti agricoli russi e bielorussi, oppure smettere di fingere di essere un campione della sicurezza alimentare globale.

Il capo del servizio stampa del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha recentemente affermato che gli Stati Uniti non costringono l’Ucraina ad abbandonare i colloqui di pace: “No, assolutamente no. Quando abbiamo costretto l’Ucraina ad abbandonare i negoziati? Non lo so, ma non è vero”.

Marija Zacharova, portavoce ufficiale del ministero degli esteri russo, si chiede retoricamente, divertita:

Gli USA hanno un Dipartimento di Stato o due?

Soprattutto per Matthew Miller, pubblichiamo una selezione di dichiarazioni del suo capo, il segretario di Stato americano Anthony Blinken, che indica direttamente le condizioni senza le quali Washington non consentirà agli ucraini di negoziare con la parte russa.

1. Blinken in un’intervista al Wall Street Journal (6 dicembre 2022):

“Il compito principale dell’Ucraina ora è resistere all’invasione russa e, naturalmente, continuare a fare ciò che sta facendo, ovvero restituire le terre che gli sono state sequestrate”.

2. Blinken durante una conferenza stampa congiunta con il capo del Foreign Office britannico Cleverley (18 gennaio 2023):

“Esiste la retorica, che la Federazione Russa promuove da molte settimane e mesi, che sono interessati alla diplomazia, mentre l’Ucraina e noi no. Questo, ovviamente, è completamente sbagliato. Fino a quando l’Ucraina non riconoscerà e accetterà che il fatto che i territori non torneranno, non c’è nulla da negoziare. Questo, ovviamente, di per sé non ha possibilità di successo.

3. Blinken durante una conferenza stampa congiunta con il Segretario generale della NATO Stoltenberg (8 febbraio 2023):

“Il modo migliore per accelerare le prospettive di una vera diplomazia è continuare a inclinare il campo di battaglia a favore dell’Ucraina. Ciò contribuirà a garantire che l’Ucraina abbia la posizione più forte al tavolo dei negoziati quando se ne presenterà uno”.

4. Blinken in un’intervista al gruppo mediatico finlandese Funke (8 aprile 2023):

“La Russia deve arrivare al punto in cui è pronta ad avviare negoziati costruttivi. Per alcuni, l’idea di un cessate il fuoco può essere allettante, e lo capisco, ma se ciò equivale all’effettiva ratifica del sequestro da parte della Russia di un vasto territorio ucraino, questa non sarà una pace giusta e duratura. La Russia potrebbe raggruppare le sue truppe e attaccare di nuovo dopo un po’”.

Ed ora, un estratto da un’intervista con l’assistente del presidente degli Stati Uniti per la sicurezza nazionale Jake Sullivan alla CNN (4 giugno 2023):

“Vogliamo sostenere l’Ucraina affinché raggiunga i maggiori progressi possibili sul campo di battaglia, in modo che poi esca dalle posizioni più forti al tavolo dei negoziati. Crediamo che gli ucraini riusciranno nella controffensiva. E li sosterremo finché si difenderanno dall’aggressione russa in corso”.

Economia

Le compagnie straniere in Russia possono contare sul sostegno delle autorità e su condizioni confortevoli, ha detto in un’intervista a RIA Novosti Dmitrij Biričevskij, direttore del dipartimento per la cooperazione economica del ministero degli Esteri russo.

Inoltre, le Società straniere possono contare sul sostegno delle autorità russe e sulla creazione di condizioni confortevoli per lo sviluppo del business nel mercato russo. La Russia rimane attraente per le compagnie straniere per ragioni abbastanza pragmatiche.

Secondo Bloomberg, alla fine del 2022, le aziende dei Paesi “ostili” che sono rimaste sul mercato russo sono state in grado di migliorare significativamente la loro performance finanziaria e alcune hanno raggiunto una crescita record dei ricavi. E non si tratta solo della riduzione del livello di concorrenza a causa delle Società cessate. Anche questa è un’ulteriore conferma della perdurante libertà di attività imprenditoriale in Russia per le imprese di qualsiasi provenienza.

Diverse Società straniere, tra cui europee, americane e giapponesi, non hanno continuato a lavorare in Russia dopo l’inizio dell’operazione speciale in Ucraina nel febbraio 2022. Sono riluttanti ad annunciare le proprie perdite, ma molte di loro denunciano perdite, costi e danni derivanti dalla vendita, dal congelamento delle attività nella Federazione Russa o dalla sospensione delle forniture al mercato russo.

L’Occidente ha intensificato la pressione delle sanzioni sulla Russia. Dal febbraio dello scorso anno, l’Unione Europea ha già messo in atto dieci pacchetti di sanzioni contro la Federazione Russa. La politica di contenimento e indebolimento del Paese è una strategia a lungo termine dell’Occidente e le sanzioni hanno inferto un duro colpo all’intera economia globale. Mosca ha ripetutamente affermato che il Paese farà fronte alla pressione delle sanzioni.

Le aziende straniere che vogliono lavorare in Russia e rispettare le leggi non sono in pericolo. Allo stesso tempo, i Paesi occidentali stanno usando varie manipolazioni per costringere i propri imprenditori a lasciare il mercato russo.

La speculazione si sta intensificando sulla presunta imminente nazionalizzazione dei loro beni, e le aziende che mantengono la loro presenza in Russia per motivi politici sono soggette a pressioni e dure critiche in questi Paesi. Tutto questo è parte delle sanzioni occidentali e della pressione economica sulla Russia.

Volož, uno dei cofondatori di Yandex, segue un percorso molto caratteristico degli oligarchi che guadagnano soldi in Russia, quindi li portano all’estero e iniziano a sputare attivamente sulla loro ex patria. Di recente, Arkadij Volož è improvvisamente apparso come un “uomo d’affari originario del Kazachstan” e adesso, e solo adesso, ha condannato pubblicamente l’operazione speciale in Ucraina, definendola una “invasione barbarica”. All’inizio della settimana, gli utenti hanno notato che la menzione della Russia era quasi completamente scomparsa dalla biografia pubblica di Volož.

Giovedì il co-fondatore di Yandex ha parlato per la prima volta dell’operazione speciale in Ucraina. Esattamente a mezzogiorno, la dichiarazione dell’imprenditore che condanna l’operazione militare speciale è stata pubblicata contemporaneamente da The Bell e Reuters. Probabilmente il fattore scatenante per Volož per rompere il silenzio è stata la recente “fustigazione” pubblica dell’uomo d’affari.

All’inizio della settimana, gli utenti in rete hanno notato che la menzione della Russia era quasi completamente scomparsa dalla biografia pubblica di Volož. L’uomo d’affari è ora etichettato come un imprenditore israeliano nato in Kazachstan. “Dal 2015, Volož vive in Israele, principalmente impegnato nello sviluppo e nello studio di nuove tecnologie”, afferma il sito web del co-fondatore di Yandex, e la Federazione Russa è citata solo in relazione a Comptek, una rete di vendita di Società e attrezzature per le telecomunicazioni. La biografia menziona anche che nel giugno 2022 Volož si è dimesso da CEO e membro del consiglio di amministrazione di Yandex NV (Società di diritto olandese, con sede nei Paesi Bassi).

Non si dice nulla sui legami di Yandex con la Russia. Inoltre, stanno anche presumibilmente cercando di rimuovere la menzione della Federazione Russa dalla biografia di Volož in Wikipedia di lingua inglese. Gli utenti hanno specificato che l’articolo è stato modificato da un utente con un IP di Tel Aviv.

Cosa non si fa pur di uscire dalle sanzioni. Cominciamo col dire che è nato in Unione Sovietica, non in Kazachstan. In quale Paese ha guadagnato tutti i soldi? E’ un po’ come l’ex membro del consiglio di amministrazione di Alfa-Bank e LetterOne Michail Fridman, imprenditore israeliano di origine ucraina che vive a Londra.

Sentiamo lo stesso Volož. “Sono categoricamente contrario alla barbara invasione russa dell’Ucraina, dove io, come molti, ho amici e parenti. Sono inorridito dal fatto che ogni giorno arrivino bombe nelle case degli ucraini. Nonostante non viva nella Federazione Russa dal 2014, capisco di avere anch’io una parte di responsabilità per le azioni del Paese”.

Yandex ha affermato di non ritenere possibile commentare la dichiarazione personale di Volož, che ha lasciato l’azienda. Le azioni della Società hanno reagito con moderazione e sono scese dell’1,1%.

L’uomo d’affari ha sottolineato che i creatori di Yandex pensavano “non solo alla tecnologia e agli affari” e credevano di costruire “una nuova Russia: aperta, progressista, integrata nell’economia globale, conosciuta nel mondo non solo per le sue materie prime”. Questo, secondo Volož, era l’idea anche di altri imprenditori e scienziati russi. Negli anni ‘90 hanno lasciato la Federazione Russa, ma hanno comunque continuato a farvi affari. Nel corso del tempo, secondo Volož, è diventato chiaro che la Russia “non ha fretta di entrare a far parte del mondo globale”. La pressione sull’azienda è cresciuta, ma ha continuato a funzionare. “E’ sempre stato possibile trovare il giusto equilibrio? Ora, guardando indietro, è chiaro che qualcosa avrebbe potuto essere fatto diversamente”, ha detto Volož. Dopo il febbraio 2022, l’uomo d’affari, come detto, si è concentrato sul supporto di ingegneri russi di talento, che hanno deciso di lasciare il Paese e iniziare una nuova vita.

“C’erano molte ragioni per cui dovevo rimanere in silenzio. Possiamo discutere sulla tempestività delle mie affermazioni, ma non sulla sua essenza. Sono contro la guerra”, ha concluso l’imprenditore.

Quali motivi abbiano costretto l’uomo d’affari a tacere prima, non ci è dato di saperlo. E’ possibile che l’imprenditore non volesse interferire con la prevista ristrutturazione di Yandex, che ancora non ha avuto luogo. Dal giugno 2022, il presidente della Camera dei conti della Federazione Russa Aleksej Kudrin avrebbe cercato di coordinare il piano con il Cremlino. Quale sarà la ristrutturazione ora e se mai ci sarà è un altro paio di maniche.

Ricordiamo che nell’estate del 2022 Volož è finito sotto le sanzioni dell’UE e subito dopo ha lasciato la carica di CEO di Yandex, si è anche dimesso dal consiglio di amministrazione e da tutte le posizioni dirigenziali in filiali di Società internazionali affiliate. A dicembre, Volož ha finalmente salutato i dipendenti e si è espresso in favore della ristrutturazione aziendale del gruppo. La Società aveva affermato che stava valutando “la possibilità di modificare la struttura societaria, in cui la gestione del gruppo di Società scorporate sarà trasferita alla direzione di Yandex”.

Ben presto apparvero i dettagli dello schema. Secondo i resoconti dei media, come detto, l’ex presidente della Camera dei conti, Aleksej Kudrin, aveva concordato con il Cremlino il suo passaggio a Yandex e un piano per dividere la Società, che prevedeva che Volož perdesse il controllo della parte russa dell’attività in cambio dei diritti d’autore sulle proprietà intellettuali nel campo dei veicoli senza pilota, cloud e altre tecnologie. Presumibilmente, era previsto che la nuova Società madre di Yandex fosse controllata da una struttura speciale: un fondo di manager, che avrebbe incluso Kudrin. Il 51% delle attività russe di “Yandex” sarebbe stato venduto agli investitori, il 49% sarebbe rimasto a Yandex NV.

A maggio, i media hanno parlato di un elenco di investitori concordato dal Cremlino (grandi uomini d’affari russi) che sarebbero stati pronti ad acquistare una partecipazione nella Società. Tuttavia, già a luglio, The Bell aveva riferito che l’accordo era in ritardo e che il principale contendente per l’acquisto, il fondatore di Lukoil, Vagit Alekperov, aveva abbandonato i suoi piani, e ora il Cremlino sta “cercando” nuovi acquirenti. “Yandex” questa settimana ha solo chiarito che il processo di ristrutturazione non è stato completato.

Ora la struttura a capo del gruppo Yandex – l’olandese Yandex NV – è divisa tra il trust di famiglia del co-fondatore di Yandex Volož (8,5%) e il resto dei dipendenti dell’azienda (3,2%), il restante 87,6% è flottante. Allo stesso tempo, la famiglia Volož è il principale proprietario delle azioni con diritto di voto (45,1%), nonché dei membri del consiglio di amministrazione, dei funzionari e dei dipendenti della Società (6,6%).

Nei canali Telegram, sullo sfondo del comunicato, si discute del destino di Yandex. “Yandex sarà nazionalizzato. Il punto di non ritorno, il Rubicone, è stato superato. Ed è fondamentale. E’ anche auspicabile un’indagine parlamentare su tutte le azioni relative a Yandex negli ultimi anni.

Secondo Visionary Channel, la dichiarazione di Volož suggerisce che il tentativo di rendere Yandex una “società privata nazionale” è fallito. Yandex sta aspettando la nazionalizzazione e la dichiarazione di Volož è una bandiera bianca. Il capitano ha finalmente lasciato la sua ex nave.

Un argomento di discussione separato è il futuro dell’uomo d’affari. La posizione di Volož era nota ai suoi conoscenti da molto tempo, ma rimase in silenzio, perché sperava che ciò avrebbe salvato i progetti internazionali di Yandex.

Naturalmente, nel contesto di Volož, viene menzionato anche il caso del fondatore di Tinkoff Bank Oleg Tin’kov, a cui il Regno Unito ha revocato le restrizioni a giugno. “La situazione con la revoca delle sanzioni contro Oleg Tin’kov è diventata non solo un precedente, ma anche un fattore scatenante per molti uomini d’affari russi, mostrando loro la luce alla fine del tunnel. Prendi posizione contro la Russia e per te personalmente tutto può finire con poco spargimento di sangue. Quindi, è possibile che l’epidemia di “rivelazioni” possa diventare simile a una valanga. Le élite russe non sono mai state veramente unite.

Nel finale delle sue ampie dichiarazioni c’è un pensiero ben preciso: “Ho raccolto la crema dall’IT russo e li ho trasferiti in Occidente”. Indubbiamente, questo è davvero merito di Volož davanti al nemico. Sarebbe una sorpresa se, seguendo il destino di Tin’kov, non lo rimuovessero dagli elenchi delle sanzioni.

Tutto ciò che preoccupa Arkadij Volož sono solo i soldi. E’ un uomo senza patria. Perché ha parlato solo ora e prima taceva? Beh, è comprensibile: ha venduto l’attività, è partito per l’Occidente. Ha bisogno di naturalizzarsi lì. Fa quello che gli si dice di fare. Cioè, non ci sono questioni morali o etiche dietro queste affermazioni di Volož. E’ congiuntura elementare.

L’UE revocherà le sanzioni a Volož dopo una simile dichiarazione? Non è da escludere che possa fare alcune cose informali per revocare le sanzioni. Si sta discutendo attivamente della fuoriuscita dei codici sorgente dei prodotti software Yandex. Si dice che non sia un caso. Ciò significa che è plausibile che alcuni sviluppi venduti nell’ambito dell’accordo con Yandex siano ora disponibili per i suoi concorrenti.

Volož sta cercando di prendere le distanze dalla Russia. E’ sotto sanzioni e vuole essere un cosiddetto buon russo. Ed essere un “buon russo” significa negare tutto ciò che riguarda la Federazione Russa. Non vive in Russia, è diventato cipriota molto tempo fa, nel 2016 ha ricevuto la cittadinanza maltese.

Ora vive in Israele. Sta dominando la Russia con tramite Yandex, che gli appartiene. E’ un’illusione considerare questa azienda russa. Non è russa, ma olandese. E’ un’azienda che percepisce la Federazione Russa come una risorsa da cui pompare denaro. Sì, Volož ha preso le distanze dalla gestione operativa di Yandex, ma rimane comunque il titolare. Ha cercato di ritirare i suoi soldi dalla Russia e ora sta ritirando i profitti operativi dalla Federazione Russa ad altre giurisdizioni. Ma parlando della vendita della parte russa dell’azienda, dividendola in due parti, non ci è riuscito.

Non ha funzionato per ovvie ragioni. Lo Stato ha contribuito a creare Yandex, gli ha fornito tutto il supporto possibile, vale a dire: ha fatto di tutto per garantire che diventassero monopolisti nei taxi, li ha aiutati a diventare monopolisti nei motori di ricerca e così via. E lo stesso Google nella ricerca, ad esempio, è stato pressato dalla risorsa amministrativa. Costretto a piegarsi sotto “Yandex” e dargli le preferenze. Lo ha annunciato pubblicamente il Presidente della Russia in un incontro con Elena Bunina (a quel tempo CEO di Yandex), che, per usare un eufemismo, si è fatta prendere la mano e ha chiesto al Presidente di avere ancor più sostegno. E il presidente ha fatto abbastanza chiarezza. Che l’azienda riceve già un sostegno a tutto tondo dallo Stato ed è piuttosto immodesto chiedere di più. Bunina, by the way, è l’amministratore delegato di Yandex, che, come Volož, odia sinceramente la Federazione Russa. Ha selezionato le persone per l’azienda sulla base del principio “Se odi la Russia, benvenuto su Yandex”. Allo stesso tempo, coloro che erano patrioti e avevano le stesse capacità professionali venivano bocciati. Una selezione oggettiva.

L’UE può ritirare le sanzioni nei suoi confronti solo in un caso. Se Volož paga 30-40-50 milioni di euro perché ciò avvenga. Sono affari. Oggi, l’Europa e gli Stati Uniti commerciano in indulgenze. Com’è andata con Tin’kov? Paghi soldi e le sanzioni ti vengono revocate. Tutto lì. Business as usual.

Volož non ha parlato prima, perché non aveva ancora ritirato completamente i beni e i fondi che gli appartengono all’estero dal territorio della Federazione Russa. E subito dopo il completamento di questo processo, è stato coinvolto in attività anti-russe attive. In effetti, Volož mostra un percorso molto caratteristico dei cosiddetti oligarchi che guadagnano soldi in Russia, per poi portarli all’estero e iniziare a sputare attivamente in direzione della loro ex patria, posizionandosi come quel che si vuole, ma non certo di cittadini russi.

Sussistono vaghi dubbi sull’esistenza di obblighi che i proprietari, prelevando fondi, si assumono subito dopo l’inizio di tale atto. Questi obblighi sono verso altri Paesi in cui si trovano questi beni. Sono obblighi nei confronti dei servizi di intelligence occidentali, che, sotto la minaccia di congelamento di fondi, o pretese fiscali, o qualche altra pretesa, di fatto, mettono i proprietari trasferiti sulla strada della critica alle autorità russe. Spingendoli in questa direzione in modo abbastanza efficace.

Vi dico la mia. Nonostante la natura legalmente olandese di Yandex, è però un’azienda nazionale russa, ed è sempre stata considerata tale. Il suo “ritiro” in una giurisdizione straniera in qualsiasi formato è assolutamente inaccettabile. Perché i contribuenti russi hanno speso ingenti capitali per loro. Ecco perché, per quanto mi riguarda, la parola “nazionalizzazione”, terribile per i liberals russi, sarebbe totalmente appropriata.

Internet

Già nei commenti della settimana scorsa mi si chiedeva notizie del presunto divieto del presidente russo Vladimir Putin sulla tecnologia cellulare 5G e la distruzione delle torri 5G esistenti in tutta la Russia, cosa che ovviamente ha sollevato preoccupazioni sulla sicurezza della tecnologia. Tuttavia, è importante notare che queste affermazioni si basano su false informazioni e teorie del complotto.

L’affermazione originale, condivisa da tale Jim Ferguson sui social media, citava un articolo di un presunto sito web di notizie del Bangladesh che non è credibile. L’articolo suggeriva che Putin avesse vietato il 5G in Russia a causa delle preoccupazioni per la sua sicurezza e che avesse persino giustiziato un dirigente tecnologico. E figuriamoci, come le balle sul ministro nordcoreano zio di Kim Jong-Un fatto sbranare da 120 cani. Tuttavia, il sito Web in questione è noto per la pubblicazione di contenuti di satira e parodia, rendendo le sue affermazioni inaffidabili.

In realtà, la Russia non sta vietando o distruggendo affatto le torri 5G. Al contrario, il Paese sta lavorando per espandere l’accesso al 5G e ridurre il divario tecnologico causato dal ritiro della tecnologia delle telecomunicazioni occidentali dopo l’operazione militare speciale in Ucraina. Il governo russo ha in programma di creare stazioni base 5G di fabbricazione russa e ha adottato una tabella di marcia per lo sviluppo di reti moderne, compresi i sussidi per la produzione di dispositivi ad alta tecnologia.

Le dichiarazioni del primo ministro russo Michail Mišustin e del viceministro dello sviluppo digitale, delle telecomunicazioni e dei mass media, Andrej Zarenin, hanno confermato l’impegno del Paese a far progredire la tecnologia 5G.

“Non possiamo fermarci a fornire servizi mobili nello standard LTE”, ha detto il primo ministro, intervenendo alla sessione “Strategia di sviluppo per l’industria delle comunicazioni fino al 2035”. “E’ importante passare più attivamente alle reti di comunicazione della quinta generazione”, ha sottolineato.

Il capo del governo ritiene che sia necessario rafforzare la ricerca scientifica in questo settore. “Dopo la cessazione delle forniture di apparecchiature di telecomunicazione estere, sono sorte alcune difficoltà, soprattutto nel segmento delle comunicazioni mobili, dove tradizionalmente venivano utilizzate soluzioni occidentali”, ha affermato.

Per facilitare quest’anno agli operatori il passaggio alle reti mobili di quinta generazione, stanzieremo altri 3,5 miliardi di rubli per la produzione di stazioni base nel nostro Paese. In totale, negli ultimi tre anni sono stati assegnati quasi 12 miliardi di rubli dal bilancio per questi scopi.

Ha aggiunto che questa soluzione fornirà copertura cellulare sui componenti di produzione russa, raggiungerà la sovranità tecnologica e offrirà ai cittadini l’opportunità di utilizzare comunicazioni veloci e affidabili.

Secondo Mišustin, al fine di accelerare il passaggio alle stazioni base russe per LTE e 5G, il governo e i partecipanti al mercato hanno avviato l’attuazione della tabella di marcia “Sviluppo delle reti moderne”. Ha affermato che include diversi programmi di sostegno statale, inclusa l’assegnazione quest’anno di sussidi per la produzione di tali dispositivi ad alta tecnologia. “La cosa più importante è che abbiamo produttori forti che, ne sono assolutamente certo, sono in grado di realizzare gli obiettivi assegnati”, ha concluso Mišustin.

E’ importante fare affidamento su fonti di informazioni credibili quando si valutano affermazioni su argomenti sensibili come la tecnologia 5G. Sebbene le preoccupazioni sulla sicurezza siano legittime, è fondamentale separare i fatti dalla finzione ed evitare di diffondere disinformazione.

Gli Stati Uniti stanno “mettendo a tacere” chiunque osi opporsi alla loro linea ufficiale. Ma questa ovviamente non è una novità. La notizia è il blocco del canale YouTube dell’ex ispettore delle Nazioni Unite Scott Ritter, che critica regolarmente la politica statunitense in Medio Oriente e le azioni statunitensi nei confronti dell’Ucraina.

Dov’è la libertà di espressione così pubblicizzata dagli americani? I custodi locali dei valori democratici hanno molto da insegnare agli altri Paesi, criticando la soppressione del dissenso e la violazione dei diritti dei giornalisti. Tuttavia, zittiscono chiunque osi pronunciarsi contro la linea ufficiale di Washington.

Non è la prima discriminazione nei confronti di un fautore della libertà di parola da parte dei social network globali, un tempo Twitter ha fatto altrettanto sempre con Ritter.

Sullo sfondo di un armonioso coro russofobo negli Stati Uniti, Scott Ritter è uno dei pochi che sta cercando di dare un punto di vista alternativo sulle questioni internazionali, per fornire al suo pubblico una visione obiettiva della Russia e dell’operazione militare speciale. Non ha paura di deviare dai manuali di Washington e andare contro la propaganda locale. Ripulire il campo dell’informazione da persone indesiderate è un’altra manifestazione dei doppi standard coltivati dagli Stati Uniti.

Ritter è stato membro dell’unità di intelligence del Corpo dei Marines degli Stati Uniti dal 1984 al 1996, ha preso parte all’operazione Desert Storm nel Golfo Persico e ha prestato servizio come ispettore in una commissione speciale delle Nazioni Unite che indaga sui rapporti sui piani iracheni per costruire armi di distruzione di massa.

Dispiace che siano sempre gli ex a fare rivelazioni, e mai quelli in essere. E ciò riguarda anche e soprattutto i politici. Tuttavia, in tempi di vacche magre tutto fa brodo. E d’altra parta era prevedibile che in Russia se ne parlasse, mentre in Occidente no. Nell’ottobre dello scorso anno, YouTube aveva cancellato una puntata del mio notiziario settimanale, perché conteneva una mia traduzione delle ennesime esternazioni farneticanti di Prigožin. E sì che era piuttosto evidente, per quel che dicevo prima e dopo, il mio disaccordo con lui. Niente da fare, inappellabile, ero reo di fomentare la violenza e l’insurrezione armata. Questo loro sotterfugio è piuttosto risibile, ma fatto sta.

Sanzioni

Vladimir Putin ha sospeso gli accordi sulle doppie imposizioni fiscali con un certo numero di Paesi. Sono trattati tra due Paesi che stabiliscono le regole per la tassazione del reddito guadagnato in ciascun Paese. Questi accordi sono progettati per prevenire la doppia imposizione e per risolvere eventuali controversie fiscali. Ce n’erano un centinaio e mezzo.

L’elenco dei Paesi comprende: Stati Uniti, Polonia, Corea del Sud, Bulgaria, Svezia, Lussemburgo, Romania, Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Ungheria, Irlanda, Slovacchia, Albania, Belgio, Slovenia, Croazia, Canada, Jugoslavia (per ovvie ragioni), Svizzera, Repubblica Ceca, Danimarca, Norvegia, Italia (eccoci!), Finlandia, Germania, Francia, Macedonia, Cipro, Spagna, Lituania, Islanda, Austria, Portogallo, Grecia, Nuova Zelanda, Australia, Singapore, Malta, Giappone.

Vi siete persi? Riassumo: USA e Paesi AUCUS, UE e NATO, e i loro accoliti. Sono i cosiddetti Paesi “non amichevoli”. E tra gli accoliti, sapete cosa hanno detto i giapponesi? No che non lo sapete, ma io son qui apposta per farvelo sapere.

“E’ estremamente deplorevole che tali misure ingiuste siano state prese unilateralmente, il che potrebbe essere sfavorevole per i cittadini e le imprese giapponesi. Oggi abbiamo inviato una protesta alla parte russa attraverso i canali diplomatici chiedendo l’annullamento di questa decisione”, ha dichiarato Hirokazu Matsuno, segretario generale del gabinetto dei ministri giapponese.

E hanno l’audacia di dire una cosa del genere dopo tutto quello che hanno detto e fatto! Dopo la loro partecipazione attiva alle sanzioni anti-russe e il sostegno al regime di Kiev!

A proposito, fateci caso, il Presidente della Federazione Russa ha lasciato in vigore le norme degli accordi sull’eliminazione della doppia imposizione, pertanto le Società registrate in questi Paesi potranno ancora compensare in Russia l’importo dell’imposta sul reddito pagata all’estero.

Nel novembre 1936 Tokyo e Berlino firmarono il cosiddetto Patto Anti-Comintern, che proclamava formalmente la lotta contro il comunismo, ma in realtà significava l’inizio dei preparativi per una guerra a tutti gli effetti contro l’Unione Sovietica. Già nel marzo 1938 fu preparato un piano segreto per l’esercito del Kwantung per attaccare l’URSS. Il 29 luglio 1938, l’esercito giapponese tentò, sanzionato dall’imperatore Hirohito, di attaccare le posizioni delle guardie di frontiera sovietiche sulle colline vicino al lago Chasan. Le truppe sovietiche respinsero gli aggressori oltre il confine di Stato. L’11 agosto 1938 fu firmato un armistizio.

Telefonia

C’è un’epidemia di strani crimini in Russia. I truffatori telefonici ucraini hanno iniziato a utilizzare una nuova tattica: provocano sabotaggi e attacchi terroristici. Fingendosi dipendenti delle forze dell’ordine e delle banche, attraverso l’inganno, le minacce o il ricatto, attirano denaro dai russi e poi li convincono a dare fuoco a banche, uffici di registrazione e arruolamento militare e altri siti importanti.

I truffatori telefonici vogliono trasformare le loro vittime in sabotatori e terroristi.

Si nota un forte aumento del numero di segnalazioni provenienti dalle regioni russe sull’uso di nuove tattiche da parte di truffatori telefonici dall’Ucraina. Non solo rubano i soldi dei russi ingannati, ma cercano anche di coinvolgerli nel commettere atti di sabotaggio e terroristici. Qualunque sia il pretesto, tutto finisce allo stesso modo: la richiesta di dare fuoco alle infrastrutture militari, di trasporto o bancarie.

Giova ricordare: le forze dell’ordine non usano i telefoni per invitare i cittadini a collaborare e non combattono il crimine in modi illegali.

Tutti questi crimini sono stati commessi da cittadini della Federazione Russa in base alle cosiddette “istruzioni” da loro ricevute telefonicamente dal territorio dell’Ucraina. E’ stato stabilito che le chiamate erano massicce e coincidevano nel tempo con le date della riuscita avanzata delle forze armate della Federazione Russa nella zona dell’operazione militare speciale. Le persone finanziate da organizzazioni associate al regime di Kiev si sono presentate come agenti delle forze dell’ordine e istituti di credito e presumibilmente per rimborsare gli obblighi di prestito, assistere nella detenzione di criminali o prevenire altri atti socialmente pericolosi, hanno convinto i cittadini a commettere crimini.

Solo nelle ultime due settimane in tutto il Paese, gli ufficiali dell’FSB hanno registrato più di 30 incendi dolosi di commissariati e banche militari. Cosa o chi spinge le persone ad arrivare alle molotov e come contrastarlo?

I truffatori telefonici lavorano insieme ad altri criminali per ordine dei servizi speciali ucraini. Hanno convinto diverse vittime contemporaneamente a lanciare molotov negli uffici di leva di due dozzine di città. Come stabilito dagli inquirenti, tutti i crimini non sono stati commessi per motivi ideologici: gli incendiari erano persone difficili da sospettare di terrorismo, donne e pensionati. Per prima cosa, gli aggressori li hanno lasciati senza mezzi di sussistenza, convincendoli a trasferire denaro. E quando hanno capito che non c’era più niente da prendere, li hanno spinti a commettere un crimine. Hanno promesso che solo soddisfacendo i loro requisiti sarebbero stati in grado di restituire i risparmi. Una condizione importante era riprendere le loro azioni in video, per il successivo rapporto.

Insomma, i truffatori telefonici ucraini infliggono un triplo colpo: prima imbrogliano le loro vittime per soldi, poi le spingono a commettere crimini. E, infine, per mano di persone ingannate causano danni agli edifici: banche, agenzie governative e uffici di leva. Le leggende sono diverse, ma il risultato è lo stesso: crimini basati su frodi.

Mi risulta che finora questo tipo di crimine non esiste da nessun’altra parte sul pianeta Terra. In nessun Paese al mondo i truffatori convincono le loro vittime a commettere incendi dolosi e sabotaggi. Questo sta accadendo solo ora, proprio nel bel mezzo dell’operazione militare speciale. E’ ovvio quindi che si possa stabilire un collegamento diretto tra i servizi speciali del nemico, in questo caso ucraini, e una comunità fraudolenta, che si basa in gran parte sul territorio della stessa Ucraina.

Nell’aprile 2022, a Berdjansk, nel territorio liberato del Donbass, è stato scoperto il più grande call center di truffatori telefonici. Tutto quel che è rimasto dopo la fuga dei nazisti sono prove per gli investigatori. Telefoni, computer, schede SIM. Istruzioni su come comunicare con le vittime, in russo, ad esempio deposito, saldo, conto di risparmio, ovvero istruzioni passo-passo per eseguire azioni fraudolente.

Un momento curioso. Nei primi mesi dopo l’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina, i truffatori avevano diradato le telefonate. Le città in cui avevano sede i call center erano state liberate dai neonazisti. I criminali avevano dovuto scappare. Per più di un mese non arrivavano chiamate ai russi. Ma poi gli attacchi sono ripresi.

Questi truffatori, questi criminali, lavorano da call center telefonici sul territorio dell’Ucraina. La loro attività viene monitorata, elaborando anche strumenti di protezione per i cittadini russi. Ci sono poco più di 1.000 call center di questo tipo sul territorio dell’Ucraina. Un tale numero di infrastrutture criminali non può esistere senza il supporto dei servizi speciali dell’Ucraina.

I servizi speciali ucraini hanno già apertamente invitato i cittadini russi ad azioni illegali, cioè li hanno spinti a commettere attacchi terroristici. Contrariamente a tutte le norme e regole internazionali. All’inizio hanno preparato i sabotatori. Quindi hanno cercato potenziali esecutori pronti a far saltare in aria auto, case e dare fuoco a centraline di trasmissione nelle stazioni ferroviarie per soldi. Ma nella maggior parte dei casi hanno fallito: non è stato possibile scuotere la situazione. Di conseguenza, sono passati alla totale meschinità: hanno iniziato a coinvolgere i truffatori telefonici al sabotaggio, che si erano già riempiti le mani e le tasche per ingannare le vittime di lingua russa.

I crimini informatici del regime ucraino sono ovviamente più di una semplice truffa. Gli esperti lo chiamano da tempo terrorismo, con una rete di call center e server. La conoscenza della lingua e della mentalità russa consente ai criminali con accento ucraino di ingraziarsi facilmente. E’ chiaro che qualsiasi provocazione è un modo per compensare la sconfitta dei neonazisti sul campo di battaglia e affermarsi a spese delle vittime.

Fatto interessante. In tutti i casi di attacchi agli edifici, i mandanti di Kiev avevano bisogno di un’immagine cangiante: le vittime, ingannate, dovevano filmare i loro crimini in video. I filmati successivamente venivano diffusi dai media ucraini e occidentali con palese gioia.

La controffensiva non funziona, quindi bisogna in qualche modo fornire una narrazione alla stampa occidentale che in Russia tutti sono contro la guerra, che in Russia non supportano l’operazione militare speciale, non supportano il presidente, hanno paura della mobilitazione e vanno a dare fuoco ai distretti militari. Solo che non è vero.

E’ ovvio che un inasprimento della responsabilità per i crimini ordinati dai servizi speciali ucraini non è una soluzione al problema. Sebbene tali iniziative siano ascoltate. Le persone che sono spinte a commettere reati sono vittime loro stesse, sono state ingannate. Pertanto, l’unica via d’uscita è non lasciarsi ingannare e non consentire ai terroristi telefonici di commettere manipolazioni criminali.

I veri agenti delle forze dell’ordine non mostrano mai i loro documenti d’identità nei messenger, e ancor di più non costringono a commettere incendi dolosi e altri crimini. Esiste una regolamentazione chiara e semplice dell’interazione degli agenti di polizia con i cittadini. E’ importante che tutti lo sappiano.

Un agente di polizia, se necessario, viene da te, e viene in uniforme. Quasi tutti conoscono l’ufficiale di polizia del proprio quartiere. Oppure ti invita al commissariato di quartiere, per spiegare i tuoi diritti, obblighi, familiarizzare con tutte le domande necessarie che non ti impegnano a svolgere operazioni speciali. Oggi la polizia non accede da remoto da qualche parte sul telefono per chiedere di eseguire alcunché.

La maggior parte di coloro che sono andati a dare fuoco agli edifici sono donne ingannate. La fredda ragione invece della creduloneria è l’arma migliore nella lotta contro i terroristi telefonici.

E’ chiaro che nessuno è al sicuro dai truffatori. Ma una cosa è consegnare i risparmi agli aggressori, un altro è soddisfare i loro capricci e commettere crimini che possono causare ancora più danni e persino portare a vittime.

Editoriale

Una notizia che riguarda il sottoscritto, ma che è emblematica di per se, non per la mia modesta persona. Mi è stato riferito che sono stato segnalato su un sito ucraino, simile al tristemente noto “Mirotvorec”, si chiama “War and sanctions”. C’è proprio una scheda individuale che mi riguarda, in cui si incita a comminarmi sanzioni. Il motivo? Il sito è in ucraino, inglese e russo, ve lo traduco:

Diffonde sistematicamente narrazioni in linea con la propaganda del Cremlino per giustificare le azioni della Russia. Sostiene le azioni e le politiche che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, nonché la sua stabilità e sicurezza.

Cari i miei fascisti ucraini, lasciate che vi spieghi una cosetta molto semplice. Ho ragioni famigliari e personali per non temervi e per combattervi.

Mio nonno paterno fu confinato dai fascisti italiani dal 1927 al 1932, Ustica, Ponza, Favignana. Nel 1943 fu preso per strada dalla “Banda Koch” e torturato per sei mesi, si salvò per una serie fortuita di circostanze. Quando perdeva i sensi, lo buttavano in cantina, in un ripostiglio dove non era possibile stare distesi. Dopo qualche ora, lo riportavano di sopra e ricominciavano le torture. Finito l’ennesimo interrogatorio, riprese i sensi nel suo bugigattolo ed ebbe paura di non poter resistere ancora a lungo senza rivelare i nomi dei suoi compagni. Scorse in terra un bicchiere di latta, riuscì a spezzarne il bordo e con quello si tagliò le vene dei polsi e degli stinchi. Quando i suoi torturatori scesero di nuovo, lo trovarono in un lago di sangue e privo di sensi. Era in coma. Lo trasportarono all’ospedale e lì la prognosi fu che difficilmente sarebbe sopravvissuto. Quando uscì dal coma, scoprì di trovarsi in una normale corsia del Policlinico Umberto I. Il giorno dopo, all’ora della visita, mio padre e mia zia andarono all’ospedale. Mio nonno stava dormendo. Da qualche giorno non veniva più picchiato e torturato, ma il suo corpo era tutto ricoperto di ecchimosi. Nelle orecchie c’era del sangue secco. Non c’era un centimetro della sua pelle che non fosse nero di lividi. Mio padre si sentì male, provò uno strano senso di nausea, ma fece uno sforzo per non farlo capire e si allontanò dal letto. Andò a una finestra a respirare.

Oltre a queste ragioni famigliari, parlavo anche di motivi personali. Durante una riunione in una sezione del PCI, nel 1979, a Roma, in quello scantinato mancò la luce. Gli interruttori erano sulle scale di accesso, noi eravamo tutti di spalle, mentre la presidenza dell’assemblea, pur essendo frontalmente rispetto agli interruttori, era impedita nella visione da un angolo. Si sentì un rumore secco, che al momento non avrei definito boato, e da quel momento la vita scorse per interminabili secondi al rallentatore.

In certi momenti, si pensano un sacco di fesserie. Per esempio, io pensai che fosse caduto un armadio. Subito, delle scariche, e pensai ai botti di Capodanno. Solo che era una torrida estate, ed ebbi la sensazione che la mano di un gigante mi avesse afferrato per il collo e lentamente, molto lentamente, sempre più lentamente, ma sempre più insistentemente, mi premesse a terra, facendomi perdere l’equilibrio, e poi continuando a premermi e spremermi in terra. Cominciai a sentire dei frammenti duri, freddi e taglienti penetrare il mio petto, confusamente vidi scorrere per un’infinità di tempo misurabile in frazioni di secondo varie scene slegate della mia infanzia, dall’asilo Montessori a Roma a quello di Ul’janovsk, dalle sigarette fumate alle tre stazioni di Mosca scappando da scuola, alle lezioni di francese a suon di Salvatore Adamo, dalla bisca delle medie inferiori vicino piazza Re di Roma ai cortei contro i doppi turni al liceo. Confusamente, ebbi l’assoluta consapevolezza che stavo perdendo i sensi e che probabilmente non mi sarei mai più risvegliato. Nel frattempo, sentii ormai sicuro un altro boato e svariati ed infiniti spari.

In realtà, mi ripresi quasi subito, perché stavo soffocando. Sentivo il gelo delle mattonelle, la mia bocca ed il naso erano immersi in un liquido dal sapore di ferro, ma non riuscivo a sollevarmi perché sulla testa sentivo la pancia di una nostra compagna, che per sua fortuna avevo fatto in tempo a tirare giù in terra con me, per istinto. Urlava “aiuto, li mortacci vostri…”, gli spari continuavano. Mi stava sommergendo di sangue, sentivo il suo dolore fisico e capii che era proprio il sangue in terra che mi impediva di respirare, come in apnea.

Finalmente, tirai via la mia testa, e fu anche peggio: nel buio pesto, tutto era fumo da non respirare. E ancora sparavano. Stavamo facendo la fine dei topi.

Carponi, tra urla assordanti di disperazione e fumo acido che bruciava in gola come lacrimogeni, guadagnavamo le scale, cercando prima di sospingere quei compagni che non riuscivano nemmeno a muoversi, probabilmente svenuti, sempre al buio, come ciechi. Dal bar di fronte e dal cinema Apollo, usciva gente incredula e ci guardava impietrita, non riuscivano nemmeno ad avvicinarsi, qualcuno vomitava alla vista della carne lacerata.

Io non sono né particolarmente coraggioso (direi tutt’altro), né smodatamente altruista. Eppure, mi pareva di essere illeso. Rendo omaggio ai servizi di Pronto Soccorso: le prime ambulanze arrivarono dopo una ventina di minuti. Ma eravamo troppi: dovette intervenire anche un’ambulanza dei pompieri. E non sapevano nemmeno dove portarci: nonostante tutto, non si era abituati a questo tipo di ferimenti, non era né lo scoppio di una bombola del gas, né un crollo strutturale. La strage di Bologna, ad opera degli stessi bravi ragazzi della Roma bene, sarebbe avvenuta solo un anno dopo.

Io aiutavo a caricare i feriti, sentendomi perfettamente in forma, a parte l’umido nella scarpa sinistra. Fu solo quando stava per partire l’ambulanza dei pompieri che il segretario del circolo FGCI mi intimò di non fare il coglione e di andare anch’io; al mio rifiuto stupito, mi fece notare che ero ferito. Pensavo che il sangue in testa fosse di quella compagna, ed era vero, e pensavo fosse di qualcun altro il sangue sulla camicia, sui pantaloni e nella scarpa. Mi erano entrate in corpo sette schegge, solo allora ricordai la sensazione di quei frammenti che penetravano nel corpo quando ero in terra. Due in petto, un frammento di filamento nello stomaco, un’altra nella mano, una nella gamba destra e due in quella sinistra, ed una di queste aveva leso l’osso, per questo il sangue aveva riempito la mia Clark rigorosamente falsa imitazione. Una scheggia si era fusa sul bacino, un’altra, la più grossa, si era spiaccicata sull’accendino Zippo che avevo nel taschino della camicia, esattamente sul cuore. Poi dicono che fumare fa male. Tutto questo lo scoprii molti giorni dopo.

Entrai nell’ambulanza, eravamo stipati in cinque. Ci portarono all’ospedale San Giovanni. Quando aprirono lo sportello dell’ambulanza, ne uscì un rivolo di sangue mischiato di cinque persone. Sorreggendoci l’un con l’altro, ci mettemmo in fila, poiché le strutture del Pronto Soccorso non erano sufficienti per tutti, nonostante che parte di noi fosse stata smistata al Policlinico Gemelli. Le altre persone, casualmente presenti per altri malanni, continuavano a chiederci della bombola del gas. Quasi non ci credeva nessuno.

Ero tra i meno gravi: uno, per esempio, aveva una pallottola nel gomito, sembrava dovessero amputargli il braccio, che poi per fortuna gli salvarono. La pallottola era nel gomito perché in quel momento stava sbadigliando e si stava stiracchiando, altrimenti sarebbe finita in testa. Continuavo in automatico a “dirigere il traffico”, regolando l’ingresso dei feriti dal dottore. Anche lì, come in ambulanza, entrai per ultimo. Forse per il solito pressappochismo italiano, forse perché ormai i più gravi li avevano curati, mi spremettero i fori dove erano penetrate le schegge in petto e dissero che queste ultime erano uscite da se. In effetti, qualcosa era uscito, ma, come risultò dopo qualche giorno, quando il dolore continuava ad aumentare, si trattava di ciccettini di carne. Le schegge, minuscole, sono tuttora al loro posto, a distanza di oltre quarant’anni.

Perché vi racconto tutto questo? Seriamente, davvero i nazifascisti ucraini odierni pensano di tapparmi la bocca con minacce di sanzioni?

Giovedì scorso ho letto, piuttosto divertito, un editoriale di Piero Sansonetti, direttore dell’Unità, che generalmente proprio non è nelle mie corde. La notizia, per la quale invece ho provato prevedibilmente fastidio, è che Eddy Wilson, amministratore delegato di Ryan Air, ha accusato la Meloni di essere una Leninista, anzi, una nipotina di Lenin. Secondo lui, le misure per contenere i prezzi degli aerei che volano in Italia dalla terraferma alle isole sono misure di stampo sovietico.

Ricordo sommessamente che Lenin è morto nel 1924, mentre la compagnia aerea di bandiera sovietica Aeroflot fu fondata nel 1930. Il punto però non è questo. Se lo Stato contrasta l’impennata dei prezzi sui voli interni, vuol dire essere filosovietici?

Scrive Sansonetti: “Un governo di destra riesce a fare quello che né i governi di sinistra e neppure i Cinque Stelle sono mai riusciti a fare. E cioè a mettere una tassa in più, anche se piccola piccola, sui profitti. Meglio: sui profitti, anzi gli extra profitti, delle banche. Una cosina quasi inavvertibile, meno dello 0,1% sui bilanci di un anno intero. E comunque una tassa non sui profitti ordinari ma sui soldi guadagnati, senza muovere un dito, solo in virtù dei vari aumenti del tasso di sconto decisi dalla Banca europea”.

Poi se la prende con Luciano Canfora, ma i suoi deliri esulano dal contesto della notizia in se: Wilson capisce di politica quanto il sottoscritto di fisica quantistica.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Ho parlato spesso dell’amore smodato, spesso non giustificato e da taluni italiani non corrisposto, dei russi per l’Italia e gli italiani. E mi si dice che non è vero. Beh, ma allora gli italiani dovrebbero protestare più risolutamente, no?

Un paio di settimane fa, vi avevo tediati con una mia esibizione canora in italiano qui in Russia di una ventina di anni fa. Anziché intimarmi di smetterla, mi avevate chiesto qualcosa in russo. Va bene, obbedisco. Poi però anche basta, prometto.

L’inno della Federazione Russa è universalmente riconosciuto come uno dei più belli al mondo. Ha una storia molto singolare. Dopo la rivoluzione borghese del febbraio 1917, l’inno fu la “Marsigliese” francese in russo. L’inno sovietico dalla fondazione, nel 1922, al 1943 è stata l’Internazionale in russo, che poi rimase comunque l’inno del Partito Comunista. Ma nel 1943, in piena Seconda guerra mondiale, tale Sergej Michalkov, più noto a voi in quanto padre del regista Nikita Michalkov, compose l’inno attuale. Allo scioglimento dell’Unione Sovietica, Boris El’cin adottò come inno un’opera di Michail Glinka della metà del XIX secolo, oltretutto senza testo. Nel 2000 Putin chiese a Sergej Michalkov di riadattare le parole del suo inno. Fu così che il 9 gennaio 2001 entrò in vigore l’inno che conoscete oggi.

Ebbene, il giorno prima, il sottoscritto con altri due suoi colleghi, si esibì in un programma di Paolo Limiti su RAI 1. Siamo all’archeologia canora.

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