Mark Bernardini

Mark Bernardini

sabato 11 marzo 2023

20230310 Lavrov

Intervista al ministro degli esteri russo Sergej Lavrov del giornalista statunitense Dmitrij Seins per la trasmissione “Bol’šaja Igra” (il grande gioco) del Primo canale televisivo russo.

Inizierò con una domanda riguardante le ultime notizie. La situazione a Tbilisi: in effetti, il governo ha soddisfatto tutte le richieste dei manifestanti, senza alcuna condizione restrittiva, senza però alcuna concessione da parte dei manifestanti. Tuttavia, apprendiamo che le proteste continueranno. Le richieste dei manifestanti non fanno che aumentare. Sta iniziando ad assomigliare al Majdan di Kiev nel 2014. Cosa sta succedendo? E fino a che punto pensa che possano arrivare?

E’ molto simile al “Majdan” di Kiev. Non c’è dubbio che la legge sulla registrazione delle organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti esteri per un importo del 20% del loro budget fosse solo una scusa per iniziare un tentativo di cambiare il potere con la forza.

Se si prende il testo di legge e lo si confronta (come hanno fatto molti politologi nei giorni scorsi, quando sono iniziate le rivolte a Tbilisi), allora ci si rende conto che è una pallida copia rispetto a come sono regolate le attività delle organizzazioni no profit negli USA, in Francia, India, Israele. Tutto questo può essere accertato facilmente.

Per violazione di una legge simile negli Stati Uniti, c’è una multa fino a 250mila dollari USA e fino a 5 anni di reclusione con tanto di procedimento penale. In Georgia gli importi sono incommensurabilmente inferiori: circa 9mila dollari Usa e nessun procedimento penale.

Nonostante il fatto che in un certo numero di Paesi europei ci siano norme molto più severe su questo argomento, l’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Borrell, senza battere ciglio, ha affermato che la legge che i georgiani stanno promuovendo (il Partito al governo “Sogno georgiano”), contraddice i valori europei, pone un blocco sul percorso di adesione della Georgia all’Unione europea. L’ipocrisia è evidente.

Il governo, la coalizione di governo, i partiti al potere hanno annunciato che stanno finalmente revocando questa legge (come si è sentito) e che stanno rilasciando circa 170 rivoltosi arrestati. E questo nonostante ci siano prove video della loro violenza. E’ una violazione di qualsiasi norma democratica e merita di essere perseguita. Tuttavia, il governo li ha rilasciati. E l’opposizione, senza manco riprender fiato, ha detto, dicono, no, ci si venuto incontro solo sulla prima questione, e ora ti dimetti.

Fa sorridere la posizione dell’Occidente, lo stesso Dipartimento di Stato americano, che con tono patetico dichiara l’inammissibilità di un simile atteggiamento nei confronti della società civile. Queste sono le stesse “regole” di cui parla l’Occidente. Noi parliamo di diritto internazionale, e loro di “regole” su cui può basarsi l’ordine mondiale. In Georgia l’opposizione non solo può, ma è obbligata a fare ciò che vuole, mentre in Moldavia si condannano le proteste contro l’attuale governo. Perché l’opposizione in Georgia riflette gli interessi dell’Occidente, mentre l’opposizione in Moldavia ne riflette gli altri, e il governo e il presidente riflettono gli interessi occidentali in questo Paese.

Letteralmente davanti ai nostri occhi si stanno svolgendo due situazioni simili con proteste. A Tbilisi le proteste sono state tutt’altro che pacifiche. Come potete vedere, i manifestanti hanno ribaltato auto, usato gas lacrimogeni, fumogeni. Non me lo ricordo a Kišinëv. Anche se sarebbe un’azione simile, l’atteggiamento nei confronti di questo è fondamentalmente diverso. Mi sembra che tutti i Paesi situati intorno alla Federazione Russa dovrebbero trarre conclusioni da quanto sia pericoloso il corso per attirare gli interessi degli Stati Uniti nella zona di responsabilità. Questa zona si sta ora diffondendo in tutto il mondo. Ne abbiamo già parlato. Non è un caso che quando gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO commentano gli eventi in Ucraina, la nostra operazione militare speciale, chiedano di infliggere una sconfitta strategica alla Federazione Russa sul campo di battaglia, riconoscendo direttamente che si tratta di un conflitto esistenziale. Il suo esito determina gli interessi dell’Occidente nel campo della sicurezza globale, le prospettive della sua egemonia guidata dagli Stati Uniti e le prospettive del loro dominio negli affari mondiali.

Mi sembra che ciò che sta accadendo a Tbilisi assomigli agli eventi di Kiev nel 2014 sotto un altro aspetto. A Kiev c’era un governo guidato dal presidente Janukovič, che, nonostante le accuse nei suoi confronti, non era in alcun modo un alleato della Russia. Hanno detto che vorrebbero associarsi con l’Unione Europea e scegliere la via europea. Non pensa che sia come essere mezza incinta? Quei Paesi, quei governi nello spazio post-sovietico, scegliendo questa via di movimento nello “spazio transatlantico”, hanno già effettivamente rinunciato a una parte significativa della loro sovranità. Era difficile per loro difendersi e loro stessi limitavano la capacità della Russia di venire in loro aiuto.

Assolutamente. Iniziamo persino dal 2004, e non dal “Majdan” nel 2014. Nel 2004 ci sono stati degli ennesimi problemi nelle elezioni in Ucraina. Inoltre, le forze convenzionalmente filo-russe si opposero a quelle su cui l’Occidente aveva puntato.

Ricordo molto bene come i funzionari dell’Unione Europea, i ministri degli Esteri di questi Paesi invitassero pubblicamente gli elettori ucraini a decidere con chi stare: con la Russia o con l’Europa. La retorica dell’aut-aut risuona dal 2004, quando i nostri rapporti con l’Unione Europea erano praticamente sereni: si delineavano piani per gli spazi comuni, si discuteva seriamente di integrazione sociale ed economica, si accordavano agevolazioni e la successiva transizione verso un’economia senza visti, uno spazio comune per la sicurezza e lo sviluppo economico dalla Manica a Vladivostok e così via.

La filosofia “con noi o con la Russia” è stata covata dall’Unione Europea fin dall’inizio della situazione geopolitica che si è sviluppata dopo la scomparsa dell’URSS. Il presidente russo Vladimir Putin ne ha parlato più di una volta nel corso di conversazioni e interviste. Nel 2013 l’Ucraina ha sfiorato il raggiungimento di accordi su un accordo di associazione con l’UE. A quel tempo, non eravamo tenuti informati sull’andamento dei negoziati, sebbene la Russia avesse un enorme volume di scambi commerciali, investimenti e altri legami economici con l’Ucraina. Gli amici ucraini, il governo di Janukovič, non erano affatto filo-ucraini. Hanno affrontato questioni relative all’instaurazione di strette relazioni associative con l’UE.

Tanto più che non era filo-russo.

No, certo che no. Stavano negoziando con l’UE senza informarci. Sapevamo che le trattative erano in corso. Ma le nostre cortesi e delicate richieste di condividere le valutazioni sono state ignorate. La Russia non ha voluto “mettere i bastoni tra le ruote”, dare il “permesso” o assumere il ruolo di “egemone”. Il fatto è che i negoziati riguardavano quelle cose che erano regolate dalle nostre relazioni con l’Ucraina in altri formati, nell’ambito della CSI, dove era in vigore l’accordo di libero scambio.

Abbiamo fatto domande. Se “azzeri” (come ha scritto la stampa) tutte le tariffe negli scambi con l’UE, nonostante il fatto che anche noi non le abbiamo, allora sorge un problema. Non abbiamo tariffe zero con l’UE, ma abbiamo tariffe protettive molto serie, che abbiamo “contrattato” per diciassette lunghi anni nel corso dei negoziati di adesione all’OMC.

Alla fine, il presidente dell’Ucraina Janukovič e i suoi collaboratori si sono resi conto che questo poteva essere un problema e che, se non fossero state prese misure, la Russia avrebbe semplicemente chiuso il confine con l’Ucraina per l’importazione di merci esentasse, altrimenti si sarebbe riversata un flusso dall’UE, da cui ci stiamo proteggendo in seno all’OMC. E durante il vertice del partenariato orientale nell’autunno del 2013, Janukovič ha chiesto di rinviare la firma di questo accordo.

In precedenza, ci siamo espressi a favore dello svolgimento di consultazioni di esperti in un formato trilaterale Russia-Ucraina-Commissione europea al fine di mettere sul tavolo i nostri regimi commerciali esistenti con l’Ucraina e l’UE e ciò che Bruxelles e Kiev intendono firmare. Il presidente della Commissione europea Barroso ha poi affermato con arroganza che non erano affari nostri, che anche l’UE, per esempio, non era interessata al commercio russo-canadese, e si è rifiutato di tenere una riunione di esperti.

Rendendosi conto della gravità delle conseguenze commerciali ed economiche negative dalla firma di un accordo di associazione con l’UE, che non è stato coordinato con la Russia e con la zona di libero scambio della CSI, Janukovič ha chiesto al vertice del partenariato orientale di rinviare questo processo. Questo è stato il fattore scatenante per il Majdan.

Ricordo come i leader lituani fossero indignati, dicendo: come sarebbe? Noi che siamo pronti a parlare con Janukovič, nonostante tutte le sue imperfezioni. E lui invece si comporta in modo così sbagliato.

Li hanno fatti entrare nella “società decente”.

Esattamente.

Diamo un’occhiata al conflitto in Ucraina. Oggi, dal punto di vista dell’“Occidente collettivo”, la posizione di quest’ultimo sull’Ucraina è evidente. Non sta a me dirvi che va contro la tradizione diplomatica americana. Il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington, mise categoricamente in guardia gli Stati Uniti dalla partecipazione ai conflitti europei che non avevano alcun rapporto diretto con gli interessi americani. Anche molti altri presidenti americani ne hanno parlato.

Facciamo una digressione da chi ha ragione nella disputa sull’Ucraina. E’ chiaro perché questo è un problema esistenziale per la Russia. Perché l’“Occidente collettivo” si è così indignato e “si è tirato indietro”? C’era davvero qualcosa in Ucraina che era molto importante per l’Occidente, o aspettavano da tempo una scusa per “prendere alla gola” la Russia, che è diventata un bersaglio conveniente per dimostrare tanta furia e unità?

Penso che siano presenti entrambe le ragioni. Stavano aspettando una scusa per “accapigliarsi” con la Russia e il momento per farlo. La Russia ha cominciato a essere percepita come un giocatore troppo indipendente. Stavamo guadagnando forza economica, non così potente come la Cina o l’India, ma rimanevamo comunque tra le principali economie. Abbiamo serie posizioni morali e politiche nell’arena internazionale. Parliamo di questioni chiave per i Paesi in via di sviluppo da una posizione di giustizia e critica al sistema che l’Occidente vorrebbe preservare nell’era postcoloniale sui principi di sforzarsi di vivere a spese degli altri.

Non ho risposto alla domanda precedente sulla Georgia. Gli eventi in Georgia sono “orchestrati” dall’esterno e sono della stessa natura. Questo è il desiderio di creare un qualcosa di “irritante” ai confini della Russia, e oltretutto in un Paese in cui l’attuale governo (come il governo ucraino di Janukovič nel 2013) pensa principalmente agli interessi economici del suo Stato e rifiuta di aderire alle sanzioni antirusse. Lo motivano non per il fatto di essere politici filo-russi, ma per il fatto che le relazioni economiche e commerciali con la Federazione Russa (forniture di gas, controacquisti di vino, cognac, acqua minerale Boržomi, prodotti agricoli) fanno la parte del leone nelle entrate del bilancio del commercio estero georgiano. Non vogliono rinunciarci, anche se vorrebbero costringerli a sacrificare i loro interessi nazionali. Sia lì che lì non c’erano affatto governi filo-russi, ma pensavano a se stessi e non a ciò che gli era stato ordinato.

Ho accennato a come convincono gli americani: “devi farlo”. Alla domanda “cosa otterremo in cambio?” molto spesso la risposta è “non ti puniremo in cambio”. Non osservo nessuno scambio uguale e reciprocamente vantaggioso, nessun accordo reciproco.

In effetti, la Russia è stata dichiarata una “minaccia” esistenziale e immediata che deve essere superata il prima possibile. La prossima minaccia – sempre nella formulazione “una sfida permanente a lungo termine per l’Occidente nel mondo” – è la Cina. La Federazione Russa per ora occupa un posto prioritario nei piani dell’Occidente, nella sua retorica e nelle sue azioni. Parallelamente a ciò, sono iniziate le guerre di sanzioni contro la Cina, in particolare i divieti di accesso della Cina a qualsiasi materiale e tecnologia che potrebbero aiutare Pechino a prendere decisioni “rivoluzionarie” (semiconduttori, microcircuiti e molto altro). Lei lo sa. Sono sicuro che la pressione delle sanzioni sulla Cina non farà che aumentare. E’ praticamente annunciato.

Jinping è appena stato rieletto per un terzo mandato a Pechino. Fino a poco tempo fa, a Washington c’erano speranze che la Cina iniziasse in qualche modo ad adottare un approccio più positivo nei confronti degli Stati Uniti e soccombesse maggiormente alla pressione americana sulla Russia. E’ stato osservato che la nomina dell’ex ambasciatore cinese a Washington a ministro degli Affari esteri della Cina indica una nuova ricettività della Repubblica popolare cinese nei confronti delle argomentazioni americane.

Sto guardando cosa dicono ora i leader cinesi e cosa scrive la stampa cinese. Tutto sembra capovolto. Non ha forse l’impressione che gli Stati Uniti, facendo pressione sulla Cina e, come lei ha detto, spiegando che Pechino deve comportarsi “secondo le ricette americane”, altrimenti “gli facciamo vedere i sorci verdi”, senza fornire alcun incentivo, sortiscano l’effetto opposto e la Cina, forse di malavoglia, ha iniziato a muoversi maggiormente nella direzione di uno stretto sostegno alla Russia?

In linea di principio, gli americani sono “maestri” nell’aizzare gli altri contro se stessi. Hanno molti modi per farlo. Probabilmente la cosa principale sono le loro maniere, che non si possono chiamare diplomatiche. Sono, nella sostanza, una forma di dettami, pretese. Ho parlato con il nuovo ministro degli Esteri della Repubblica popolare cinese, Qin Gang. Ci siamo incontrati a margine degli eventi ministeriali del G20 a Nuova Delhi. Ho visto nelle sue dichiarazioni la continuità della politica estera cinese. Letteralmente pochi giorni prima, il 22 febbraio di quest’anno, il suo predecessore, ora membro del Politbureau del Comitato centrale del PCC, capo dell’Ufficio della Commissione del Comitato centrale per gli affari esteri del PCC, Wang Yi, è venuto in Russia. Ha parlato a Mosca anche con me e con il Segretario del Consiglio di Sicurezza Russia Patrušev, così come durante il ricevimento con il Presidente della Russia Putin, ha chiaramente confermato la continuità della leadership cinese dopo l’ultimo congresso del Partito Comunista di Cina per quanto riguarda il percorso verso il coordinamento, la cooperazione con la Russia, l’attuazione di progetti bilaterali promettenti e un comportamento comune responsabile in ambito internazionale, un’arena in cui ci rendiamo conto di quanto dipenda dal ruolo di Russia e Cina nel garantire la stabilità della situazione.

Per quanto riguarda le previsioni secondo cui se un ambasciatore ha lavorato in un Paese ed è stato nominato ministro degli esteri in patria, allora sarà favorevole e persino predisposto (in senso positivo) verso l’interazione con quel Paese in futuro. Magari è quello che succede quando le buone maniere sono giuste.

L’ambasciatore russo a Washington Antonov, che lei conosce bene, sta incontrando enormi problemi di contatti sia a livello suo che a livello del suo staff. Non perché vogliamo davvero incontrare ogni giorno dipendenti del Dipartimento di Stato americano o di altri dipartimenti americani, ma perché sorgono domande che non riguardano più il futuro dell’universo, ma riguardano esattamente come vivono i diplomatici russi negli Stati Uniti, come vivono i diplomatici americani qui e come Washington finisce ad avvitare una spirale di inasprimento delle condizioni in cui lavorano. E’ difficile persino farsi ascoltare su queste questioni umanitarie e universali comprensibili a tutti.

Non mi risulta che l’ambasciatore cinese Qin Gang, quando lavorava a Washington, spalancasse qualsiasi porta. Secondo le mie informazioni (questo è stato scritto più volte), anche lui aveva difficoltà a stabilire contatti quotidiani. Non gli ho parlato di questo, ma secondo le sue dichiarazioni durante i nostri colloqui, secondo la sua conferenza stampa, che ha tenuto il giorno di apertura della sessione ordinaria dell’Assemblea nazionale del popolo, non ho notato alcun cambiamento nel corso che è stato determinato nei documenti bilaterali russo-cinesi. L’intero pacchetto è ora in vigore. Una dei più importanti è la Dichiarazione adottata durante la visita di Vladimir Putin a Pechino il 4 febbraio 2022, in concomitanza con l’apertura delle Olimpiadi, pubblicata come documento ufficiale delle Nazioni Unite e alla base di tutte le nostre ulteriori azioni.

Lei ha menzionato l’incontro a Nuova Delhi, a margine del quale ha avuto una breve conversazione con il Segretario di Stato americano Blinken.

E’ stato un momento davvero interessante. Precedentemente, il Dipartimento di Stato aveva dichiarato categoricamente che Blinken non aveva intenzione di incontrare né lei né il ministro degli Esteri cinese a questo evento a Nuova Delhi. Mi ha colpito il contrasto tra la risolutezza delle loro precedenti affermazioni che non sarebbe successo nulla e il fatto che hanno mostrato interesse nell’organizzare questo incontro. D’altra parte, se c’era il desiderio di parlare con lei, allora perché non avrebbe potuto essere fatto in un formato in cui potevano esserci davvero delle conversazioni significative. Perché pensa che questo incontro sia stato richiesto dalla parte americana? Dal suo punto di vista, cosa è successo in questo incontro e cosa potrebbe condividere con noi?

Entrambe le parti hanno già riferito di aver discusso la situazione nella sfera della stabilità strategica nel contesto del Trattato sulla riduzione e limitazione delle armi offensive strategiche e la questione ucraina. Pertanto, non è che rivelo alcun segreto su ciò di cui abbiamo parlato. Nient’altro è stato discusso oltre a questi due argomenti.

Contrariamente alle dichiarazioni del Dipartimento di Stato, ha discusso dello scambio di prigionieri?

Abbiamo discusso solo della stabilità strategica e della questione ucraina. Non voglio entrare nei dettagli di come è nata questa breve conversazione di dieci minuti. In linea di principio, tutto ciò che ho sentito rientra nella ben nota posizione pubblicamente espressa e ripetutamente sottolineata degli Stati Uniti al riguardo. Ho dato spiegazioni dettagliate. Soprattutto per quanto riguarda il Trattato sulla riduzione e limitazione delle armi strategiche offensive. La nostra posizione e la natura forzata del passo per sospendere l’applicazione di questo Trattato è stata spiegata nel modo più dettagliato dal Presidente della Russia Vladimir Putin nel suo messaggio all’Assemblea Federale. Anche qui niente di nuovo.

Ha sentito dal Segretario di Stato qualcosa che le abbia dato la sensazione che si trattasse di un tentativo di stabilire una sorta di dialogo almeno cauto ma costruttivo con la Russia?

Abbiamo parlato in modo costruttivo, senza alcuna emozione, ci siamo stretti la mano quando ci siamo incontrati e quando ci siamo accomiatati. Era una conversazione normale. Non so fino a che punto questo rifletta la comprensione da parte degli Stati Uniti dell’anormalità della situazione, quando hanno tagliato tutti i canali di dialogo. Ma parlare umanamente a margine di qualche evento non è mai stato qualcosa di sensazionale.

E’ stata una conversazione civile, senza maleducazione?

Una conversazione assolutamente civile. Ciò dimostra ancora una volta quanto siamo sprofondati tutti nella nostra diplomazia multilaterale. Se un incontro naturale “a margine” di cui ce ne sono stati a centinaia, è ora visto come un’occasione per indovinare se si tratta di una svolta o meno, se c’è qualche speranza che il dialogo riprenda o meno, è una cosa mesta e triste. Una tale percezione psicologica di un contatto diplomatico elementare suggerisce che abbiamo seriamente complicato il nostro lavoro a causa della politica di soppressione di qualsiasi dissenso, che l’Occidente ha adottato e non pensa di fermare.

Allo stesso tempo, contro la Russia vengono utilizzate espressioni, retorica e azioni estremamente aggressive, che si esprimono principalmente in sanzioni illegali e senza precedenti. Mostrano che l’Occidente ha davvero deciso da solo che questa è una guerra non per la vita, ma per la morte. Questa guerra ibrida, che stava preparando molto prima dell’anno scorso subito dopo il colpo di Stato del 2014, è percepita come “questa è la nostra ultima e decisiva battaglia”, per dirla con la versione russa dell’Internazionale. Hanno la loro “internazionale” occidentale. Si può vedere come l’Internazionale rifletta il desiderio dell’Occidente di non cedere di “un pollice”. Questo almeno è quel che dicono.

Ha sentito le ultime dichiarazioni? Il direttore della CIA William Burns ha dichiarato ieri che non è chiaro se la Russia sia interessata a una soluzione pacifica. E il fatto che Zelenskij sia “interessato”, è davvero visibile? Ancora una volta, contemporaneamente a Burns, ha dichiarato che non si sarebbe mai seduto al tavolo dei negoziati con Putin. Questo è fuori questione. Solo una “vittoria completa” per l’Ucraina, che ha alleati in altri formati e con loro deciderà le questioni del futuro del suo Paese.

Noi diciamo che non ci allontaniamo dai negoziati non perché li imploriamo: non vediamo alcuna possibilità di negoziare ora. Sottolineiamo questo argomento di fronte a un’ondata senza sosta di dichiarazioni secondo cui “è un peccato che la Russia non voglia negoziati”. Qualcuno ha letto cosa dice Zelenskij? Qualcuno si è ricordato del decreto da lui firmato nel settembre 2022 che vietava le trattative? Ti guardano senza batter ciglio quando glielo dici e non possono rispondere nulla. Anche questo fa parte della guerra psicologica, una componente del corso di cui stiamo parlando, e che mira a garantire che nessuno osi contraddirli.

C’è una guerra ibrida, c’è una guerra, come lei ha detto (se ho capito bene), che è quasi diventata una vera guerra, e poi c’è una guerra completamente reale. Non intendo nemmeno quello che sta accadendo sui campi di battaglia in Ucraina, ma anche gli attentati terroristici. E l’ultimo di essi, che, per ovvi motivi, ha attirato maggiormente l’attenzione, è l’esplosione dei Nord Stream 1 e 2. E’ stato pubblicato un clamoroso articolo di Seymour Hersh, più clamoroso fuori dagli Stati Uniti che in America, dove hanno preferito ignorarlo. Ma ora ci sono segnalazioni in autorevoli pubblicazioni americane come il New York Times, il Wall Street Journal, il Washington Post, in Germania il Die Zeit, che questo indebolimento è stato effettuato da uno strano “gruppo anonimo”: o ucraini, o oppositori russi, o entrambi. La Società che ha organizzato questo sarebbe stata registrata in Polonia. Ha effettuato il suo attacco dalla Germania. Per la prima volta si ammette che i servizi segreti americani erano a conoscenza di questa operazione, se non in anticipo, comunque molti mesi fa. Allo stesso tempo, qualcuno ha anche provato a puntare il dito contro la Russia come parte responsabile di queste esplosioni. In ogni caso, non vogliono ancora dire cosa si sa al momento di questa operazione: chi l’ha fatta, chi era il mandante? Ciò solleva domande: qual è il ruolo degli Stati Uniti in tutta questa situazione? Considera l’amministrazione Biden responsabile di quanto accaduto con i due Nord Stream?

Per parlare senza ambiguità, è necessaria un’indagine obiettiva. Questo è ciò per cui ci stiamo battendo. Non appena è apparsa l’inchiesta giornalistica di Hersh, abbiamo posto alcune domande appropriate. O meglio, abbiamo posto delle domande subito dopo questo attacco terroristico. Sia pubblicamente che per iscritto, a nome del nostro Presidente del governo della Federazione Russa Michail Mišustin, abbiamo inviato appelli ai suoi colleghi in Germania, Danimarca e Svezia. Abbiamo inviato a questi Paesi un gran numero di note diplomatiche ufficiali con la richiesta di darci risposte e permetterci di partecipare all’ispezione del tratto di gasdotto divenuto vittima di un attentato terroristico. Nessuna reazione chiara, tranne che lo scopriranno loro stessi. “L’indagine è attualmente in corso”, “A tempo debito saprete tutto.” Ma le lettere del presidente del governo della Federazione Russa Mišustin, inviate nel settembre 2022, rimangono senza alcuna risposta ufficiale. Si tratta di buone maniere, ma non solo. Penso che oltre alle buone maniere ci sia anche la confusione di questi Paesi. Non sanno cosa obiettare, soprattutto dopo che Hersh ha pubblicato i risultati della sua ricerca e ha promesso di continuare a pubblicare stime aggiuntive, conclusioni aggiuntive. Per noi, questo è stato un ulteriore fattore che ci ha costretto a presentare una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ora è in discussione, e che metteremo sicuramente ai voti. Vogliamo indagini.

E se vi viene negata questa indagine?

Quando Hersh ha pubblicato il suo materiale, un signore di nome Ned Price, che, alla fine della sua carriera nel servizio stampa del Dipartimento di Stato americano, andrà da qualche parte direttamente sotto Blinken, lo ha definito “senza senso.” Come prima, tutto ciò che riguarda i fatti che indicano il possibile ruolo degli Stati Uniti (direi anche il ruolo molto probabile del governo degli Stati Uniti) è chiamato “sciocchezze”, fesserie, finzione, ecc. E non è necessaria alcuna indagine. Dicono che sono in corso indagini nazionali, quindi questo, presumibilmente, è sufficiente.

All’improvviso, negli stessi giorni (poiché coordinano molto male i loro piani con i progetti pubblici), l’addetta stampa del presidente degli Stati Uniti, Carine Jean-Pierre, in un briefing, ha chiesto un’indagine internazionale sulle denunce di avvelenamenti nelle scuole della Repubblica islamica dell’Iran. Un’indagine internazionale, anche se lì nessuno è rimasto gravemente ferito. Ma sulla questione di un attacco diretto alle infrastrutture energetiche critiche, non è necessaria alcuna indagine. Perché svedesi, danesi e tedeschi “lo capiranno” da soli. Lei sa che negli Stati occidentali, nelle loro leggi fondamentali, un attacco a un’infrastruttura critica è equiparato a una dichiarazione di guerra. In questo caso particolare, se è accertato che si sia trattato di un attacco terroristico contro un Paese della NATO, contro la sua infrastruttura critica, ed è stato organizzato da un altro Paese del blocco, allora sorge la legittima domanda su che senso abbia l’Alleanza del Nord Atlantico, che ha dichiarato come sua scopo presumibilmente quello di proteggere i Paesi membri da attacchi esterni, se poi si consentono attacchi dall’interno a uno dei suoi membri. Questa è una domanda molto interessante.

Lei ha menzionato l’ultima ondata di materiale sulla stampa americana e in parte tedesca sulle nuove versioni: un oligarca ucraino che farebbe meglio a confessare volontariamente; non volevano parlare della “traccia” ucraina perché poteva rovinare le relazioni tedesco-ucraine, e tutto con questo tenore. Primo, è infantile. In secondo luogo, anche se accettiamo la logica secondo cui ora affermano di voler garantire relazioni strategiche tra Germania e Ucraina, allora questo è, in generale, una porcheria. Se volevano attribuire tutto a qualche subacqueo ucraino o filo-ucraino addestrato lì, ma comunque non più in servizio, se volevano gettare una “traccia” ucraina, una persona media in Germania, come, probabilmente, in qualsiasi altro Paese, porrà la domanda: di nuovo l’Ucraina? “Traccia” ucraina. Hanno fatto saltare in aria il Nord Stream, a causa del quale, come ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen (non solo, ovviamente, a causa del Nord Stream), e a causa di problemi con le materie prime energetiche, l’Unione europea ha iniziato a pagare l’energia il 300% in più. Di recente, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia, Birol, ha affermato che ora è per sempre e non ci sarà più un ritorno ai prezzi del passato che hanno garantito il benessere economico dell’Europa, Germania compresa. Ora il cancelliere tedesco Olaf Scholz si vantava di essere sopravvissuto all’inverno e il piano russo “non ha funzionato”. Non avevamo “piani”. I piani li avevano loro: abbandonare il gas russo. Sono sopravvissuti all’inverno. Tuttavia, non sono molto ansiosi di dire quanto è costato ai bilanci e, di conseguenza, ai contribuenti. Gli abitanti della città avranno una domanda: a che gli serve questa Ucraina? Se li fanno saltare in aria (chiunque sia: un agente di Kiev, pagato da qualcuno dall’estero, o solo un solitario), perché hanno bisogno di inviare i Leopard lì, accettare questo Paese nella NATO? Penso che ci siano molte più domande qui a causa di questo tentativo di farlo letteralmente, e buona notte ai suonatori, sia letteralmente che figurativamente.

Lei ha menzionato che i servizi speciali sono stati avvertiti in anticipo. C’erano informazioni dal Wall Street Journal, dove si diceva che a giugno e luglio 2022 la CIA avesse avvertito i servizi segreti della Germania e di altri Paesi europei della traccia ucraina, di questa imminente azione. E il Times già nel settembre 2022, dopo l’attacco terroristico, ha riferito che una settimana dopo l’esplosione è stato stabilito che la pista era ucraina. Cioè, a giugno hanno avvertito che lo sarebbe stato, e a settembre è stato stabilito che lo era. Sa, in una certa misura tutto questo è poco serio, viene affrontato in modo puerile.

Alcuni mesi fa, quando ero a Washington, ho parlato con un importante membro repubblicano del Congresso. Mi ha fatto una domanda che vorrei inoltrarle. Ha chiesto cosa potrebbe intraprendere la Russia in risposta? Potrebbero esserci conseguenze negative dalla Russia per gli Stati Uniti?

Non sta a me dirle (conosce molto bene l’America e la politica a Washington) che spesso si interrogano meno sulla qualità delle argomentazioni russe e più su quali potrebbero essere le conseguenze specifiche per gli Stati Uniti. Se non ci sono indagini obiettive di cui lei ha parlato (il che è abbastanza probabile), se le richieste russe rimangono senza risposta, è giusto dire che in un modo o nell’altro la Russia troverà un’opportunità per rispondere a questo fatto terroristico che colpisce i nostri interessi fondamentali?

Non ha idea di quanto mi prudano le mani…

Certo che ce l’ho. Ecco perché le sto facendo questa domanda. Io ci provo.

Lavoro a capo del dicastero degli affari esteri. Abbiamo i nostri metodi. Non farò nessuna previsione, non voglio fare delle congetture.

Dopo la scomparsa dell’URSS, la sovietologia è scomparsa in America. Probabilmente lei è uno dei mastodonti più brillanti, il portatore di questa scienza.

Rappresentante di una professione morente.

Sì. I sovietologi (nonché attuali russologi) avrebbero dovuto rimanere richiesti in una certa misura. Non è successo. Ora, a quanto ho capito, vengono nuovamente coinvolti per consigli e consultazioni.

Abbiamo molti proverbi russi che i sovietologi dovrebbero conoscere: “sette misure e un taglio”, “il russo imbriglia a lungo, ma poi va spedito”. Non voglio minacciare o fare avvertimenti a nessuno. Non voglio alludere a niente. So che questo flagrante attacco terroristico non rimarrà senza indagini. Se viene bloccata un’indagine, obiettiva, imparziale, trasparente (che non si ridurrà al fatto che, dicono, svedesi, danesi e tedeschi “hanno risolto” qualcosa lì, sia questo il verdetto finale), ovviamente, penseremo a come rispondere all’Occidente su questo attacco diretto, un attentato (ad ogni buon conto) alla nostra proprietà.

C’è un altro proverbio russo. Non voglio provocarla, ma potrebbe essere applicabile a questa situazione. Mi dica se non lo è. Ed è il proverbio: “Un debito va ricambiato”.

Certamente. Senza dubbio.

Passiamo a un argomento più piacevole, l’India. Quando Washington esprime insoddisfazione per ciò che è stato fatto con sanzioni punitive e soffocanti contro la Russia, la prima cosa che esprimono è insoddisfazione per la Cina. Ma questo è più prevedibile. Di particolare delusione è la posizione dell’India, che ha ampliato il suo commercio con la Russia e ha rifiutato di aderire alla pressione delle sanzioni. D’altra parte, l’India ha i suoi interessi. Innanzitutto nemmeno con gli Stati Uniti, ma con l’Unione Europea. Come definirebbe il corso dell’India nelle relazioni con la Russia, soprattutto in relazione alla crisi ucraina?

L’India è guidata dai propri interessi, come qualsiasi Paese normale. Di certo l’India, potenza in ascesa in Asia, parallelamente alla Cina, subisce una crescente pressione da parte dell’Occidente, visto che è lui a dichiarare le sue strategie di politica estera come dirette contro qualcuno. Noi no. Vogliamo che tutto rientri nel quadro di un mondo multipolare, basato su un equilibrio di interessi, sul diritto internazionale e così via.

L’Occidente annuncia che la sua politica estera mira a contenere Russia, Cina, a mobilitare altri Stati contro Russia e Cina. Questa è una caratteristica sorprendente, una caratteristica dei nostri colleghi occidentali nell’attuale fase storica. Sebbene in qualsiasi fase storica abbiano agito in questo modo. L’India è corteggiata da tutte le parti. E’ vista come un contrappeso alla Cina, data l’esistenza di problemi di vecchia data nelle relazioni tra Delhi e Pechino, comprese le controversie sui confini. Noi, come Federazione Russa, stiamo cercando di aiutare a risolvere questi problemi e superare tutte le differenze.

Fu per questo scopo che più di vent’anni fa, il mio grande predecessore Primakov ebbe l’iniziativa di creare una “troika” del RIC (Russia, India, Cina). Quindi è stato formulato l’intero concetto di un mondo multipolare. La sua incarnazione diplomatica fu la creazione del RIC. Di questo ora si parla poco, perché i BRICS sono stati creati sulla base del RIC. Ora distoglie tutta l’attenzione di coloro che stanno assistendo all’emergere di nuovi centri di potere. Ma il RIC continua a funzionare. Si sono già svolte più di diciotto riunioni dei ministri degli Esteri, si incontrano esperti di altri dicasteri di agricoltura, alta tecnologia, energia, spazio e tanti altri settori. Nell’ambito del RIC, stiamo solo cercando di aiutare l’India e la Cina. Forniamo loro una piattaforma aggiuntiva, oltre ai BRICS, l’OCS, di cui ora l’India, insieme al Pakistan, è diventata membro a pieno titolo. Partiamo dal fatto che più comunicano, più è utile per tutti e meglio per queste due grandi potenze, due grandi civiltà risolvere tutti i loro problemi.

L’Occidente assume la posizione esattamente opposta e ha l’obiettivo di far giocare l’India contro la Cina. I nostri amici indiani lo capiscono molto bene. Ci dicono francamente che vedono questi tentativi, conoscono i veri obiettivi che la NATO sta perseguendo dichiarando la regione indo-pacifica come sua zona di responsabilità, dopo la regione euro-atlantica. L’Alleanza del Nord Atlantico sta penetrando in questa parte del mondo con le buone o con le cattive attraverso la creazione del blocco AUKUS. Ora vogliono espanderlo collegando il Giappone e la Corea del Sud a tre Paesi anglosassoni. Stanno cercando di dividere l’ASEAN. Tra i dieci Paesi dell’ASEAN, abbiamo identificato cinque di quelli che saranno più suscettibili a tali “incursioni”. Si sta facendo molto di più, sostituendo meccanismi, compresa la sicurezza marittima, che erano universali per l’intera regione. Nell’ambito dei vertici dell’Asia orientale (dove c’è l’intero ASEAN, e cioè Russia, Cina, India, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Corea, Giappone) è stato discusso tutto questo.

Ora, ad esempio, stanno cercando di isolare il tema della sicurezza marittima da questo formato universale (dove è necessario negoziare con la partecipazione di tutti i giocatori) e immergere questo argomento in un formato ristretto, dove non c’è né Cina né Russia, né un certo numero di Paesi. Hanno creato QUAD, dove hanno invitato l’India (India, USA, Giappone, Australia). Quando discutiamo di questo argomento, i colleghi indiani affermano di partecipare a QUAD esclusivamente per l’attuazione di progetti economici. Naturalmente, tutte queste “chiamate” sono accompagnate (gli Stati Uniti non lo nascondono) convincendo l’India ad aderire alle sanzioni anti-russe, a non fornire alla Russia alcuna possibilità di utilizzare le risorse e la logistica indiane per aggirare le sanzioni occidentali. L’India non ci sta.

Ora una nuova ondata isterica è sorta in Occidente. Ad esempio, la Russia anche in queste condizioni sta aumentando il suo commercio estero. Questo non va mica bene. Stanno sviluppando una nuova strategia per bloccare qualsiasi canale per eludere le sanzioni. Cioè, non è più solo che abbiamo annunciato sanzioni contro la Russia e vi esortiamo a fare lo stesso. Questo è ora un divieto di essere indipendenti. L’altro giorno, all’addetta stampa della Casa Bianca Carine Jean-Pierre è stato chiesto come si sentiva riguardo al fatto che due navi della marina iraniana abbiano fatto visita al porto di Rio de Janeiro. Ha risposto che, ovviamente, questo è preoccupante, ma qualsiasi Paese sovrano può decidere con chi vuole comunicare. Giusto. Ben detto. Allora perché questo principio non si applica alle relazioni con la Russia di tutti quei Paesi che non vogliono applicare sanzioni? Perché sono banditi da forme assolutamente legali di fare affari con la Federazione Russa? Nell’economia, nella sfera degli investimenti, nella realizzazione di progetti di trasporto. E’ visibile a tutti e non passa inosservato.

La maggior parte dei Paesi non vuole entrare apertamente in conflitto con l’Occidente, polemizzare con loro, anche se le voci si fanno sentire. Il presidente francese Emmanuel Macron era nella Repubblica Democratica del Congo, dove il presidente Tshisekedi gli ha spiegato come parlare educatamente con i partner nel continente africano, anche se storicamente hanno ottenuto l’indipendenza solo recentemente, e prima erano colonie, segnatamente quelle francesi. Riesco a malapena a immaginare come questa carica negativa, che si accumula per effetto dei dettami e dell’egemonia dell’Occidente, possa dissiparsi da sola.

Ora è difficile immaginare come si possa risolvere la situazione relativa all’Ucraina. Ma sappiamo dalla storia che i conflitti o finiscono con l’escalation militare e la vittoria di una delle parti (cosa abbastanza difficile da immaginare), oppure in una forma o nell’altra continuano per un tempo piuttosto lungo, e finiscono anche non necessariamente con un pace formale, ma con l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale. Ci sono molti esempi di questo. Inoltre, l’ordine mondiale non è necessariamente quello sperato dalle parti in conflitto.

La sensazione è che oltre al significato dell’Ucraina, l’insoddisfazione in Occidente (principalmente a Washington) per la politica indipendente della Russia, siamo giunti a un vicolo cieco nello sviluppo dell’ordine mondiale, costruito sul dominio dell’Occidente, non solo in senso geopolitico, ma anche in senso culturale, di civiltà.

Capisco che questa sia una domanda ingiusta, perché Lei è Ministro degli Esteri e non vuole “prendere il largo” in speculazioni sui problemi di civiltà, ma ha la sensazione che siamo sull’orlo di una “rottura” fondamentale, la ricostruzione dell’intero sistema politico internazionale?

Parlando delle conseguenze e dei possibili aspetti globali della crisi ucraina, la parola “rottura” è abbastanza appropriata. Nei suoi discorsi ha menzionato più volte che si sta formando un nuovo ordine mondiale multipolare. Questo processo non solo è qualcosa che non si concluderà rapidamente, ma costituirà un’intera epoca storica. Sono convinto di questo.

L’Occidente ha notevolmente indebolito le sue posizioni globali, ma allo stesso tempo conserva una seria influenza nell’economia, nella tecnologia e nella sfera militare. Stanno cercando di compensare questo relativo indebolimento delle loro posizioni con un forte aumento dell’aggressività, principalmente nella sfera politico-militare, e sopprimendo i concorrenti con metodi illegittimi.

Si tratta appunto delle “regole” su cui l’Occidente vuole basare il proprio ordine mondiale responsabile. In Georgia i manifestanti possono fare qualsiasi cosa, ma in Moldavia nulla è permesso. L’avvelenamento nelle scuole iraniane dovrebbe essere oggetto di un’indagine internazionale, mentre l’esplosione al Nord Stream è una sciocchezza e non dovrebbe essere indagata. Le navi iraniane sono entrate nel porto brasiliano? Male, ma i Paesi sovrani hanno il diritto di scegliere i propri partner. Perché questo principio non viene esteso alle relazioni tra India, altri Paesi e Russia?

L’esempio più recente. C’è un politico, Cleverley. Attualmente è a capo del Foreign Office nel Regno Unito. L’altro giorno ha detto che le Falkland appartengono al Regno Unito, perché così diceva la gente del posto. E in Crimea, gli abitanti non si sono espressi per il fatto che vogliono tornare a far parte della Russia? Si potrebbero citare moltissimi di questi esempi.

Per questo facciamo la domanda ai nostri colleghi americani, europei, britannici: visto che scrivono “regole” ovunque basandosi sul “rules based world order” (un “ordine mondiale basato su regole”), possiamo vedere queste “regole”? No, è vietato. E’ anche impossibile guardare l’elenco dei nomi di quelle persone i cui corpi sono stati mostrati il 3 aprile 2022 nel sobborgo di Kiev di Buča, con l’accusa alla Russia di essere stata lei. Le sanzioni sono state immediatamente imposte sotto questa “sordina”. Fino ad ora, non possiamo ottenere almeno questi nomi. Nessuno parla di indagini. Oltre alle indagini sul crimine del 2 maggio 2014 a Odessa, quando 50 persone sono state bruciate vive. Ci sono riprese video di coloro che l’hanno fatto.

Nessuno presenterà i risultati dell’indagine (almeno non la renderà trasparente) sull’incidente di Salisbury nel 2018 e i documenti che confermano la versione dichiarata dell’“avvelenamento” di Navalnyj nel 2020. La Germania ha detto che non poteva darli. Era una spiegazione interessante. Quando lo hanno portato in una clinica civile, non hanno trovato nulla, ma lo hanno trovato in una militare. Abbiamo chiesto un’analisi. I tedeschi hanno risposto che non potevano, perché poi conosceremo il livello delle loro conoscenze nel campo della biosicurezza.

Con tali ordini, regole, come si diceva negli ultimi giorni dell’Unione Sovietica, “è impossibile vivere”.

Sono sicuro che Mosca non vuole un’escalation ed è interessata a una soluzione ragionevole al problema ucraino, che si baserà sugli interessi fondamentali della Russia. Ho ragione che anche se ciò si riveli possibile e accada, non significherà in alcun modo che torneremo al mondo che esisteva nel periodo post Guerra Fredda, e la Russia insisterà e cercherà l’emergere di un mondo fondamentalmente con un diverso ordine mondiale?

Non si può tornare al vecchio. L’Occidente dice anche che il “business as usual” è escluso. Non abbiamo bisogno di farcene convincere. Abbiamo a lungo tratto tutte le conclusioni per noi stessi. Il mondo non ha imparato nulla dalla storia tra le due guerre mondiali del secolo scorso. Noi, i nostri leader, non abbiamo mai, con parole o accenni a livello ufficiale, messo in discussione l’alleanza che ha permesso di sconfiggere Hitler.

Ci sono stati molti studi, scienziati, politici, oppositori che hanno scritto che il Lend-Lease non ci ha aiutati molto, che un secondo fronte è stato aperto quando erano convinti che l’Unione Sovietica avrebbe vinto da sola. Hanno ricordato che anche prima del patto Molotov-Ribbentrop, Francia e Inghilterra erano d’accordo con Hitler sulla non aggressione, cercando di dispiegarlo in Oriente e molto altro ancora. La scienza storica lo studia. Ma non abbiamo mai, in nessun discorso dei nostri leader (compreso il presidente della Russia nei suoi discorsi del 9 maggio sulla Piazza Rossa) ci ha permesso di mettere in dubbio l’alleanza che ci ha uniti nella lotta contro Hitler.

Molto prima degli attuali eventi in Ucraina, i nostri colleghi occidentali iniziarono a fare esattamente questo a livello ufficiale, attribuendo la stessa colpa all’Unione Sovietica e a Hitler. Presumibilmente, il patto Molotov-Ribbentrop è il “trigger” della seconda guerra mondiale. Il fatto che un anno prima Parigi e Londra abbiano firmato la stessa cosa con Hitler non viene affatto menzionato. La “Cospirazione di Monaco”, il ruolo della Polonia in questo è un tabù. Il Secondo Fronte è stato a lungo registrato nei libri di storia come il punto di svolta della Seconda Guerra Mondiale.

Quando hanno celebrato il 75° anniversario della Vittoria nel 2020 in America (forse l’avrà visto), hanno emesso una moneta commemorativa dedicata alla vittoria sul fascismo. Vi sono incise tre bandiere: americana, britannica e francese. Non c’è nessuna bandiera sovietica o russa lì. E non è nemmeno scritto che oltre ai tre Paesi, “qualcun altro” ha combattuto con Hitler.

Posso dire lo stesso della Germania molto prima degli eventi attuali. Nelle nostre conversazioni con partner tedeschi a diversi livelli, si è cominciato a tracciare un pensiero molto chiaro: “Cari amici, la Germania ha pagato tutti per tutto molto tempo fa. Non dobbiamo più niente a nessuno”.

Ora, quando ricordiamo tutto in retrospettiva, capiamo che questi non sono solo episodi separati e isolati. La demolizione di monumenti, manifestazioni in onore dei veterani delle Waffen SS nei Paesi baltici, unità apertamente neonaziste e naziste con galloni nazisti in Ucraina. Tutti i nostri inviti a farci caso, a condannarlo, a impedire la rinascita del fascismo sono stati completamente ignorati. Le conclusioni che stiamo traendo ora devono inevitabilmente considerare la versione secondo cui l’Europa aveva nuovamente bisogno del nazismo per dirigerlo contro di noi o come mezzo per contenere la Russia, impedendole di diventare una forza indipendente.

Non so come sarà il nuovo ordine mondiale. Abbiamo sinceramente firmato documenti che stabiliscono i principi ai quali siamo rimasti fedeli fino ad oggi. Ma l’Occidente li ha calpestati. Queste sono l’indivisibilità della sicurezza, l’inaccettabilità dei tentativi di rafforzare la propria sicurezza a scapito della sicurezza degli altri e l’inammissibilità di una situazione in cui qualsivoglia Paese o organizzazione pretenda di dominare l’arena internazionale. Questo è tutto ciò che è stato firmato nell’OSCE dal 1999. Poi ci hanno sputato sopra, lo hanno calpestato e hanno detto che si trattava di “obblighi politici”. Sì, ma sono stati firmati da presidenti, cancellieri, primi ministri. L’indivisibilità della sicurezza è sinonimo di equilibrio di interessi, quando devi metterti d’accordo su come vivere senza costringere qualcuno a mostrarti ogni mese con chi commerci, se hai violato qualche divieto mentre lavoravi all’interno di un unico sistema commerciale globale.

Perché vogliono riformare ora l’Organizzazione mondiale del commercio? Perché quelli dei suoi principi su cui si basava, formulati principalmente dagli americani, dagli inglesi e dai loro alleati, hanno smesso di adattarsi a loro. La Cina, sulla base di questi principi, ha ottenuto molto di più dell’Occidente. Li ha battuti secondo le loro regole. Ora il lavoro dell’OMC è bloccato. Gli americani usano misure discriminatorie contro le merci cinesi. La Cina presenta reclami pienamente giustificati a un organismo di risoluzione delle controversie. Gli americani non hanno permesso a questo organismo di funzionare per molti anni. Bloccare la nomina delle persone richieste per il quorum. Un “teppismo meschino” così elementare. Ora hanno chiesto al G20 in India (hanno scritto tutto) di riformare l’Organizzazione mondiale del commercio. Chi sarà mai contro la riforma, se non funziona?

Parlando del nuovo ordine mondiale, dell’architettura, sentiamo voci: cosa stiamo facendo nell’OMC? Sono diciassette anni che trattiamo, con sangue e sudore ci siamo “contrattati” tutele per le nostre industrie ancora poco sviluppate, il terziario. Ora ci è stato detto che secondo gli standard dell’OMC abbiamo il diritto di commerciare, vendere, acquistare, ma l’organizzazione ha una clausola tale che se un Paese considera una situazione una minaccia per la sua sicurezza, allora può fare quello che vuole. Pertanto, è inutile rivolgersi ai tribunali.

Stiamo valutando una situazione simile con i nostri colleghi delle strutture governative, economiche e finanziarie in relazione alle istituzioni di Bretton Woods. Anche questa è una “creazione” degli Stati Uniti. Quando, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, stavamo ripensando alla nostra futura posizione nel mondo, uno dei nostri compiti era quello di “inserirci” nella struttura di una società civile. Ora, sotto tramite il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, ha congelato i nostri contributi e il nostro capitale. I nostri tentativi di capire cosa fare dopo con lui non hanno avuto molto successo finora. Probabilmente saremmo pronti a usarlo per una buona causa, tanto più che la Banca mondiale ha molti programmi per aiutare i Paesi in via di sviluppo. Ma nell’attuale stato “congelato”, i fondi russi nella Banca mondiale non possono nemmeno essere utilizzati per questi scopi. Inutile parlare di equità.

Presti attenzione alle dichiarazioni della leadership cinese un anno dopo l’inizio dell’operazione militare speciale. La Cina è per la pace. Apprezziamo i suoi appelli a rispettare la Carta delle Nazioni Unite. Agiamo dalle stesse posizioni. Lo interpretiamo non selettivamente, ma nella sua interezza, compresa l’inammissibilità di violare il diritto dei popoli all’autodeterminazione.

Negli ultimi anni, la Cina ha iniziato a sottolineare il principio dell’indivisibilità della sicurezza in relazione al panorama globale. Non solo in Europa, come fu invece proclamato nel 1999. Filosoficamente, credo, coincide assolutamente con il nostro approccio. Mentre sviluppiamo il nostro coordinamento nell’arena internazionale, procediamo con i nostri amici cinesi partendo dal presupposto che l’indivisibilità della sicurezza deve essere incarnata in documenti legalmente vincolanti. In linea di principio, tale documento esiste: la Carta delle Nazioni Unite. Vi è sancita l’uguaglianza sovrana degli Stati. Ma nella pratica non viene implementato efficacemente.

A questo proposito, occorre non solo garantire che tutti i Paesi tornino alle radici poste negli scopi e nei principi della Carta delle Nazioni Unite, ma anche garantire che le stesse Nazioni Unite, attraverso i suoi segretariati, agenzie speciali, fondi, programmi, riflettano le realtà di un mondo multipolare, piuttosto che essere eccessivamente influenzate nei suoi passi dal lavoro per il “miliardo d’oro”, cioè per la minoranza globale.

Fonte: Ministero degli Esteri della Federazione Russa

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