Mark Bernardini

Mark Bernardini

lunedì 1 aprile 1991

Bulgakov da un'enciclopedia all'altra

Ad un secolo dalla nascita ed a 50 anni dalla morte, ben poco di nuovo si può dire di Michail Afanas’evič Bulgakov, pur tenendo conto che le opere e le informazioni fondamentali sono giunte al pubblico (quello sovietico in particolare, ma non esclusivamente) solo dopo la ventata innovatrice gorbačëviana, vale a dire nell’ultimo quinquennio.

Infatti, per avere un’idea di quale fosse la posizione ufficiale della nomenklatura nei confronti di quest’uomo, occorre ripercorrere una serie di dizionari ed enciclopedie dell’epoca difficili da reperire. E’ esattamente quello che ci si propone di realizzare nel presente articolo. La Malaja Sovetskaja Enciklopedija (MSE) del 1929 così recita: “[...] Scrittore contemporaneo, medico di formazione. Ha iniziato a scrivere nel 1919. Ha collaborato con il giornale smenovechovskij “Nakanune”¹ (Berlino). Uno degli esponenti di punta dell’ideologia neoborghese, ha acquisito notorietà con un pamphlet contro l’edificazione sovietica (Le uova fatali) ed il romanzo La guardia bianca, nel quale è racchiusa tendenziosamente la sostanza di classe e controrivoluzionaria del movimento delle guardie bianche, al fine di mostrarne i protagonisti come gente eroica ed onesta. Il romanzo e stato trasformato dall’autore nell’opera teatrale I giorni dei Turbin. Nel libro di racconti Diavoleide e nell’opera teatrale L’appartamento di Zojka Bulgakov rappresenta invece tendenziosamente gli aspetti negativi della nostra quotidianità”.

Nella pratica un simile trattamento ha comportato un ostracismo che Bulgakov stesso, in una lettera dello stesso anno a Gor’kij, cosi riassume: “Tutte le mie opere teatrali sono proibite; non viene pubblicata da alcuna parte nemmeno una mia riga; non ho un solo lavoro pronto, non ricevo da nessuno neanche una kopejka dei diritti d’autore; né un ente né una persona risponde ad alcuna mia richiesta; in sintesi tutto quello che ho scritto in URSS in 10 anni di lavoro e stato distrutto. Rimane un’ultima cosa da distruggere: me stesso”.

I. Nusinov, nella Literaturnaja Enciklopedija (LE) del 1930, cercò di restituire onore alla verità, pur dovendo concludere negli ultimi capoversi nello stesso stile di prima: “[…] Prosatore e drammaturgo. E’ nato a Kiev. Nel 1916 ha terminato la facoltà di medicina dell’Università di Kiev. […] E’ stato pubblicato nella stampa di provincia con articoli, corsivi, ha realizzato in provincia tre opere teatrali, mai pubblicate, ed i manoscritti delle quali successivamente sono stati da lui distrutti. Dal 1921 vive a Mosca, ove i primi tempi lavorava come reporter e corsivista presso vari giornali, […]. Dal 1923 si dedica completamente alla letteratura. Bulgakov è divenuto popolare grazie al suo dramma I giorni dei Turbin, alla commedia L’appartamento di Zojka ed alla raccolta di racconti umoristici Diavoleide. Precedentemente ha pubblicato il suo unico romanzo, La guardia bianca. Il romanzo descrive la vita delle guardie bianche, la famiglia Turbin, a Kiev nel periodo dall’estate del 1918 all’inverno del 1919 (l’occupazione tedesca, gli hetman, il direttorio di Petljura) fino al consolidamento a Kiev dell’Armata rossa all’inizio del 1919. L’esperienza ha convinto l’autore del fatto che la rovina della sua classe è inevitabile e del tutto meritata. Bulgakov esprime questa sua determinazione di pensiero nell’epigrafe del romanzo: “e vennero giudicati i defunti, come scritto nei libri, conformemente ai propri atti”. Le classi soccombenti odiano il proprio popolo insorto, si nascondono vigliaccamente dietro la schiena dell’aggressore tedesco imperialista e godono malignamente alla vista del crudele massacro perpetrato dagli junker tedeschi contro la campagna ukraina. Contro gli aggressori di casa e stranieri combattono eroicamente, con grande spirito di sacrificio, solo il contadino ukraino, l’operaio russo, quel popolo che i “bianchi” odiano e disprezzano. “Quando i tedeschi furono sconfitti”, – racconta Bulgakov, – i “proprietari delle terre e delle fabbriche compresero che il loro destino era legato ai vinti. I tedeschi hanno perso, dissero i rettili. Noi abbiamo perso, dissero i rettili intelligenti”. Il riconoscimento del potere sovietico è inevitabile. Bulgakov è entrato nella letteratura con la consapevolezza della rovina della sua classe e della necessità di adattarsi alla nuova vita. Bulgakov giunge alla conclusione: “Qualunque cosa accada, accade sempre come deve accadere, ed in direzione del meglio”. Questo fatalismo è una giustificazione per coloro che hanno realizzato la smena vech. La loro rinuncia al passato non è né vigliaccheria né tradimento. Questa rinuncia è dettata dalle inesorabili lezioni della storia. La conciliazione con la rivoluzione era un tradimento nei confronti del passato della classe soccombente. La pacificazione dell’intelligencija con il bolscevismo, quell’intelligencija che nel passato era legata non solo per estrazione, ma anche idealmente con le classi sconfitte, le dichiarazioni di quest’intelligencija in merito non solo alla propria realtà, ma anche alla propria disponibilità ad edificare assieme ai bolscevichi, potevano essere interpretate come adulazione. Con il romanzo La guardia bianca Bulgakov ha respinto quest’accusa degli emigranti bianchi ed ha dichiarato: attuare la smena vech non vuol dire capitolare di fronte ad un vincitore fisico, bensì ammettere la giustezza morale dei vincitori. Il romanzo La guardia bianca per Bulgakov non è solo una pacificazione con la realtà, ma un’autogiustificazione. La pacificazione è obbligatoriamente forzata. Bulgakov vi è giunto attraverso una crudele sconfitta della sua classe.

Per questo non v’è gioia dalla consapevolezza che i rettili sono vinti, non v’è fede nell’opera del popolo vittorioso. La nuova realtà è la Diavoleide, titolo del suo libro di racconti. La macchina statale sovietica dell’epoca del comunismo di guerra è una Diavoleide, la nuova quotidianità è “una sporcizia ed una porcheria tali, che Gogol’ non ne aveva nemmeno il sentore” (Le avventure di Čičikov), il popolo sono le “streghe” che distruggono i beni creati dalla borghesia (La casa di El’pit, Comune operaia), il nuovo guerriero è un cinese la cui caratteristica è di avere imparato le parolacce russe (Una storia cinese), tutta la creatività della rivoluzione sono le “uova fatali” da cui fuoriescono dei rettili di dimensioni enormi che minacciano di rovinare tutto il Paese. Bulgakov ha accettato la vittoria del popolo non con gioia, ma con grande dolore e rassegnazione. Bulgakov agogna di compensare la propria classe per la sua sconfitta sociale con una vittoria morale, “diavolizzando” la novità rivoluzionaria. L’ultimo periodo di attività di Bulgakov è determinato proprio da tale compensazione morale. Ora non occorre più giustificarsi per il proprio smenovechovstvo, per l’adattarsi alla nuova vita: è una fase già attuata. E’ così già passato anche il momento della riflessione e del pentimento per i peccati della classe. Bulgakov, al contrario, sfruttando le difficoltà della rivoluzione, cerca di approfondire l’attacco ideologico contro il vincitore. Ancora una volta egli sopravvaluta la crisi e la rovina della sua classe e cerca di riabilitarla. Bulgakov rielabora il suo romanzo La guardia bianca nel dramma I giorni dei Turbin. Le due figure del romanzo – il colonnello Malyšev ed il medico Turbin – sono unite, nell’immagine del colonnello Aleksej Turbin. Nel romanzo il colonnello tradisce il collettivo e salva se stesso, mentre il medico soccombe non come eroe, ma come vittima. Nel dramma il medico ed il colonnello sono uniti in Aleksej Turbin, la morte del quale è l’apoteosi dell’eroismo “bianco”. Nel romanzo i contadini e gli operai insegnano ai tedeschi a rispettare il loro Paese. Bulgakov valuta la vendetta dei contadini e degli operai contro gli oppressori tedeschi e lo hetman come giusta condanna del destino contro i “rettili”. Nel dramma il popolo è solamente un’unica banda selvaggia, quella di Petljura. Nel romanzo la cultura dei bianchi è la vita da ristorante delle “prostitute imbottite di cocaina”, un mare di sporcizia in cui affogano i fiori dei Turbin. Nel dramma la bellezza dei fiori dei Turbin è l’essenza del passato ed il simbolo della vita soccombente.

Il compito dell’autore, la riabilitazione morale del passato nel dramma, viene sottolineato nella commedia L’appartamento di Zojka, scritta da lui contemporaneamente. Il dramma è costituito dagli ultimi Giorni dei Turbin, soccombenti tragicamente ai suoni dell’“eterno Faust”. La commedia descrive il covo ove le personalità sovietiche passano le loro notti ebbre.

Bulgakov non è riuscito né ad apprezzare la morte del passato, né a comprendere l’edificazione del nuovo. E’ per questo che le sue sopravvalutazioni di pensiero private non sono divenute fonte di grande creatività artistica. Il romanzo La guardia bianca è in buona parte pubblicistica, prosa di un giornalista di talento. Fondamentalmente le pagine artistiche del romanzo sono scritte alla maniera dei vecchi romanzi di corte, cosa che tradisce l’epigonismo di Bulgakov. L’immagine della realtà sovietica è resa con i metodi del racconto umoristico, e si tratta non già dello humour tormentato degli “umiliati ed offesi”, bensì dello humour di un giornalista piuttosto a buon mercato.

L’ultimo dramma di Bulgakov, La corsa, che descrive artisticamente l’emigrazione, prosegue le tendenze de I giorni dei Turbin. Tutto il percorso artistico di Bulgakov è il percorso di una persona ostile per appartenenza di classe alla realtà sovietica, Bulgakov è il tipico esponente delle tendenze dell’”emigrazione interna””.

Non per niente lo scrittore, nella sua lettera al governo del 28 marzo 1930, rilevava che in dieci anni, su 301 volte, era stato menzionato 298 volte ingiuriosamente: “Aleksej Turbin, l’eroe della mia opera teatrale I giorni dei Turbin, è stato definito in poesia figlio di cagna, mentre l’autore dell’opera è stato presentato come “posseduto da vecchiaia cagnesca”. E’ stato scritto di me che sono “uno spazzino letterario che raccoglie gli avanzi dopo che una dozzina di ospiti ha vomitato”. Hanno scritto: “…Miška Bulgakov, compare mio, scrittore (scusate l’espressione), fruga nell’immondizia stantia… Chiedo, fratellino, che razza di grugno hai… Io sono una persona delicata, prendilo e sbatacchialo con un catino sulla nuca… Noi stiamo al borghesuccio senza i Turbin come un reggipetto ad una cagna senza necessità… Si è trovato il figlio di puttana, si è trovato Turbin…” (Žizn’ iskusstva, N°44, 1927). Hanno scritto che Bulgakov resterà ciò che è, una progenie neoborghese schizzante saliva avvelenata ma impotente contro la classe operaia ed i suoi ideali comunisti (Komsomol’skaja pravda, 14 ottobre 1926). Si è detto che mi piace l’atmosfera di un matrimonio infimo con qualche moglie dai capelli rossi di un amico (A. Lunačarskij, Izvestija, 8 dicembre 1926); che la mia opera teatrale I giorni dei Turbin puzza (stenogramma della riunione presso l’Agitprop de1 maggio 1927), e via discorrendo…”.

A detta di Elena Sergeevna Šilovskaja (nata Nürnberg), divenuta due anni dopo la sua terza ed ultima moglie, il 18 aprile 1930 a seguito di quella lettera Bulgakov ricevette una telefonata dal Comitato Centrale:

– Michail Afanas’evič Bulgakov?

– Sì, sì.

– Adesso le parlerà il compagno Stalin.

– Cosa? Stalin? Stalin?

– Sì, le parla Stalin. Salve, compagno Bulgakov.

– Salve, Iosif Vissarionovič.

– Abbiamo ricevuto la Sua lettera. L’abbiamo letta con i compagni. A tal proposito riceverà una risposta positiva… Ma è proprio vero che Lei chiede di andarsene all’estero? L’abbiamo seccata molto?

– Ho pensato molto negli ultimi tempi se uno scrittore russo possa vivere fuori dalla sua patria. E mi sembra di no.

– Ha ragione. Anch’io la penso così. Dov’è che vuole lavorare? Al Teatro d’Arte?

– Sì, volevo. Ne avevo parlato, ma ho ricevuto un rifiuto.

– E lei invii loro una richiesta. Mi pare che accetteranno. Noi dovremmo incontrarla, parlare con Lei.

– Sì, sì! Iosif Vissarionovič, ho molto bisogno di parlare con Lei.

– Sì, bisogna trovare il tempo ed incontrarci, necessariamente. Ed ora, Le auguro ogni bene.

Dopo questa conversazione Bulgakov ricevette i mezzi di sostentamento e la possibilità di creare, ma non di rendere di dominio pubblico le sue creazioni.

“…La stanza divenne ripugnante, come ogni stanza ove regni il caos di quando si fanno i bagagli e peggio ancora quando il paralume è strappato dalla lampada. Mai. Mai strappare il paralume dalla lampada! Il paralume è sacro. Mai fuggire con passo di ratto dal pericolo verso l’ignoto. Sonnecchiate presso il paralume, leggete, che ululi la tormenta! Attendete che vengano a prendervi…” (La guardia bianca).

Sono state molteplici le ipotesi costruite sulle ragioni che hanno spinto Stalin ad un comportamento tanto fuori dall’usuale. Una di queste appare sufficientemente logica da meritare considerazione. Nel 1925 si era suicidato il poeta Sergej Esenin; nel 1926 lo scrittore Andrej Sobol’; nell’aprile 1930, quando cioè la lettera in questione era presumibilmente nelle mani di Stalin, si era sparato Vladimir Majakovskij. Un ulteriore suicidio nel mondo letterario sarebbe stato quantomeno sconveniente.

“…In particolar modo mi sono invisi gli urli umani, che siano urli di sofferenza, d’ira, o d’altro genere” (Il maestro e Margherita).

Bulgakov muore un anno prima dell’invasione tedesca. Dieci anni dopo la Grande Enciclopedia Sovietica (Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija, BSE) del 1951 è ancora implacabile nei suoi confronti: “[…] Prosatore, drammaturgo russo². Nato nella famiglia di un professore dell’Accademia religiosa di Kiev. Di formazione era medico. Iniziò ad essere pubblicato nel 19³. Visse a Kiev, a Vladikavkaz, dal 1921 a Mosca. Bulgakov non comprese i nuovi rapporti sociali creatisi nel Paese dopo la vittoria del Potere sovietico. Nel ciclo di racconti Diavoleide (1924) ed altri Bulgakov ha rappresentato calunniosamente la realtà sovietica, nel romanzo La guardia bianca (1924) tentò di idealizzare le guardie bianche. L’aspirazione a discolpare le guardie bianche segnò altresì l’opera teatrale La corsa, scritta da lui successivamente, che I. V. Stalin ha caratterizzato come “fatto antisovietico”.

Come drammaturgo Bulgakov acquisì notorietà dopo la rappresentazione sulle scene del Teatro d’Arte di Mosca dell’opera teatrale I giorni dei Turbin (1926), che consiste in un rifacimento del suo romanzo “La guardia bianca”. Nell’opera teatrale si è conservata la tendenza alla nota idealizzazione dell’immagine delle guardie bianche, ma sotto l’influenza dei fatti della realtà l’autore ed innanzitutto il teatro hanno accentuato nello spettacolo il tema dell’ineluttabilità della disfatta del movimento delle guardie bianche, della sua sconfitta storica. Nella lettera a Bill’-Belocerkovskij del 1929 I. V. Stalin scriveva: “Non dimentichi che l’impressione principale che rimane nello spettatore di quest’opera teatrale è un’impressione favorevole ai bolscevichi: “se persino persone come i Turbin sono costrette a deporre le armi ed a sottomettersi al volere del popolo, riconoscendo definitivamente persa la propria causa, vuol dire che i bolscevichi sono invincibili, contro di loro, contro i bolscevichi, non c’è niente da fare”. I giorni dei Turbin sono la dimostrazione della forza travolgente del bolscevismo. Ovviamente l’autore non è colpevole in alcuna misura di tale dimostrazione” (Opere, vol. 11, p. 328).

I punti di vista errati ed in buona parte avversi, come pensiero, non diedero a Bulgakov la possibilità di cogliere in profondità e correttamente anche gli eventi del passato storico [le opere teatrali Molière, 1936, e gli Ultimi giorni (Puškin)]. La storia della morte di Puškin nell’opera teatrale Ultimi giorni (rappresentata nel 1943 presso il MChAT) è ricreata unilateralmente. In essa è delineato dettagliatamente e chiaramente il campo degli avversari di Puškin, ed è descritto molto debolmente il popolo, nonché le sfere sociali progressiste dell’epoca di Puškin”.

Si potrebbe contestare che Bulgakov è sempre rimasto un assertore di valori umani universali, convinto che solo partendo da questi ultimi si possa creare una società che elimini lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma vale più la sintetica e liquidatoria risposta dell’autore stesso a chi lo accusava di simpatie monarchiche: “non tutti coloro che si spalmano in testa la brillantina sono per forza monarchici…”.

Due anni dopo muore Stalin, tre anni dopo ancora si svolge lo storico XX congresso del PCUS e così, nel 1958, la MSE non è più costretta a parlar male di un autore che tutti hanno letto, ma in versione samizdat: “[…] drammaturgo russo sovietico. […] Nel ciclo di racconti Diavoleide Bulgakov ha rappresentato falsamente la realtà sovietica. Nel romanzo La guardia bianca, nell’opera teatrale I giorni dei Turbin, creata sulla sua base e nell’opera teatrale La corsa (rappresentata nel 1957) è mostrata realisticamente la sconfitta storica del movimento delle guardie bianche. Bulgakov è anche l’autore delle opere teatrali Molière ed Ultimi giorni. (Puškin)”.

Non è necessario parlar male, ma chi si azzarda per primo a parlarne bene? Nel dubbio, si è preferito mantenersi sul generico, con lo scarno risultato sopra menzionato. Un po’ più ampia, ma sempre senza entrare nel merito, è l’informazione fornita dalla Teatral’naja Enciklopedija (TE) del 1961: “[…] fino al 1919 è stato medico statale, poi giornalista. […] La prima opera teatrale di Bulgakov, I giorni dei Turbin (MChAT), regia di Stanislavskij e Sudakov, scritta sulla base del suo romanzo La guardia bianca, sanzionava l’ammissione della giustezza e della inevitabilità storica della Rivoluzione d’ottobre da parte dell’intelligencija russa. Nell’opera teatrale La corsa (scritta nel 1928, Teatro di Stalingrado, 1957) Bulgakov scopre la crisi interna del campo della controrivoluzione; usando l’arma del grottesco tragico ha dato una caratterizzazione satirica delle guardie e degli emigrati bianchi. Meno indovinata è stata l’opera teatrale L’appartamento di Zojka (1926, Teatro Vachtangov), nella quale le truffe e le orge della NEP venivano rappresentate con uno humour bonario ed indulgente. L’opera teatrale L’isola purpurea (1928, Teatro Kamernyj) venne sottoposta a feroce critica dalla stampa. Dal 1930 al 1936 Bulgakov ha lavorato come aiuto-regista al MChAT. Bulgakov è stato autore degli adattamenti: Le anime morte di Gogol’ (1932, MChAT), Don Chisciotte di Cervantes (1941, Teatro Vachtangov). Le opere teatrali Molière ed Ultimi giorni (Puškin) sono dedicate al tema del tragico conflitto tra il grande artista e la tirannia. La drammaturgia di Bulgakov e caratterizzata dalla dinamicità di sviluppo dei conflitti, dall’agilità del dialogo, dalla finezza e dalla chiarezza dell’elaborazione psicologica dei caratteri, dall’utilizzazione dei metodi del contrasto”.

Speculare in tal senso anche Ju. A. Osnos nella Kratkaja Literaturnaja Enciklopedija (KLE) del 1962: “[…] Scrittore russo sovietico. Nato nella famiglia di un professore […]. Nei racconti satirici altamente grotteschi di Bulgakov (le raccolte Diavoleide, Le uova fatali, 1925) si è riflessa l’ostilità nei confronti della realtà da parte dello scrittore, che non è riuscito a scorgere dietro alle “smorfie della NEP” il vero volto dei tempi. Sulla base del romanzo La guardia bianca egli ha creato l’opera teatrale I giorni dei Turbin; in essa è denunciata la psicologia dei partecipanti al movimento delle guardie bianche, sono mostrati la sua sconfitta, il passaggio del meglio della vecchia intelligencija dalla parte del popolo rivoluzionario. […] Le opere teatrali L’appartamento di Zojka, nella quale sono rappresentati satiricamente i costumi del periodo della NEP, e la parodistica L’isola purpurea, dedicata ai temi teatrali, suscitarono una valutazione fortemente negativa da parte della critica. Al centro dell’opera teatrale Molière, della novella biografica su Molière e dell’opera teatrale Ultimi giorni (Puškin) (1940, rappresentazione MChAT, 1943) vi è l’immagine del tragico conflitto tra gli artisti umanisti e l’ordine dispotico”.

L’impressione è che sempre più Bulgakov venga menzionato come autore degli anni ‘20, di fatto dunque avallando quella “morte artistica” tanto temuta dallo scrittore. Lo sancisce il Dizionario Enciclopedico (Enciklopedičeskij Slovar’, ES) del 1963: “[…] Nel romanzo La guardia bianca e nell’opera teatrale I giorni dei Turbin, creata sulla sua base, è mostrata la sconfitta storica delle guardie bianche. Allo stesso tema e dedicata l’opera teatrale La corsa. Bulgakov è autore del libro storico-biografico e dell’opera teatrale Molière, di Ultimi giorni (Puškin) ed altre opere.

Nel suo corsivo La capitale nel taccuino Bulgakov rimarcava: “Dopo la rivoluzione è nata una nuova intelligencija di ferro. Essa è capace di scaricare mobili, spaccare legna, occuparsi di raggi X. Io ho fede che essa non scomparirà! Sopravviverà!”. Bulgakov si riferisce ad un’intelligencija che è passata attraverso le prove della guerra civile, della cruda fatica fisica per un pezzo di pane.

Più anni passano dalla morte di un personaggio scomodo, meno pericoloso diviene riavvicinarsi (per approssimazione?) all’obiettività. In piena stagnazione brežneviana V. Ja. Lakšin nella BSE del 1971 recita: “[…] è stato medico statale nel governatorato di Smolensk. Nel 1919 ha iniziato ad occuparsi professionalmente di letteratura. Dal 1922 al 1926 ha collaborato con il giornale Gudok. La prima raccolta di racconti satirici di Bulgakov, Diavoleide, ha suscitato dispute nella stampa. La pubblicazione del romanzo La guardia bianca (1925-27) è rimasta incompiuta. […] In queste opere, come nell’opera teatrale La corsa, è stigmatizzata la rottura negli umori della vecchia intelligencija russa, è sfatata l’idea del movimento “bianco”, è mostrata l’infruttuosità della via verso l’emigrazione. Nelle commedie L’appartamento di Zojka e L’isola purpurea Bulgakov deride la quotidianità e gli umori degli ambienti della NEP, fa la parodia delle usanze del chiuso microcosmo teatrale.

La critica letteraria della fine degli anni ‘20 valutava molto negativamente l’attività di Bulgakov, le sue opere non venivano pubblicate, le opere teatrali tolte di scena. Nei drammi storici La cabala dei santoni (Molière, 1930-36, rappresentazione del 1943) e Gli ultimi giorni (Puškin, 1934-35, rappresentazione del 1943), nella novella biografica Vita del signor de Molière (1932-33, pubblicata nel 1962) Bulgakov mostra l’incompatibilità della vera arte con il dispotismo della monarchia. L’incompiuto Romanzo teatrale (Appunti di un defunto, 1936-37, pubblicato nel 1965) unisce in sé i tratti della satira e della confessione. Dall’inizio degli anni ‘30 e sino alla morte Bulgakov ha lavorato al romanzo Il maestro e Margherita (pubblicato in volume nel 1966-67). Sovrapponendo tre livelli di azione: storico-leggendario (l’antica Giudea), contemporaneo-quotidiano (la Mosca degli anni ‘30) e mistico-fantastico, ha creato un’originale forma di romanzo filosofico, dove sono poste le “eterne” questioni del bene e del male, della moralità falsa e vera. Drammaturgo e narratore, possedeva una maestria raffinata nel campo della satira, della tecnica realistica, del linguaggio flessibile, vivo, e del soggetto impetuoso […]”.

La sua opera più grandiosa giunge al pubblico un quarto di secolo dopo la sua morte, quando l’autore aveva ormai raggiunto quella tranquillità tanto desiderata:

– Ascolta l’assenza di suoni, – diceva Margherita al Maestro, e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi. – Ascolta e godi di ciò che non ti diedero in vita: il silenzio. Guarda, ecco davanti la tua casa eterna che ti è stata donata quale ricompensa. Già vedo la finestra veneziana e la vite rampicante salire fino al tetto. Ecco la tua casa, ecco la tua casa eterna. Io so che la sera verranno da te coloro che ami, a cui sei interessato e che non ti inquieteranno. Loro suoneranno per te, per te canteranno, tu vedrai che luce c’è nella stanza quando sono accese le candele. Tu ti addormenterai con indosso il tuo bisunto ed eterno berretto, e ti addormenterai con il sorriso sulle labbra. Il sonno ti rafforzerà, e prenderai a ragionare con saggezza. E non riuscirai più a scacciarmi. Il tuo sonno lo proteggerò io.

Così diceva Margherita, andando con il Maestro in direzione della loro casa eterna, e sembrava al Maestro che le parole di Margherita fluissero come fluiva e sussurrava il ruscello che si erano lasciati dietro, e la memoria del maestro, inquieta, martirizzata dagli aghi, prese ad acquietarsi. Qualcuno stava lasciando libero il Maestro, cosi come lui aveva appena liberato l’eroe che aveva creato. Quell’eroe era scomparso nel baratro, scomparso irrevocabilmente il figlio del re astrologo perdonato nella notte di domenica, i1 crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato.

A cura di Mark Bernardini

Bibliografia

  • 1930 La guardia bianca, nella rivista “Rossija”, 1925, libri 4 e 5; Diavoleide, Racconti, ed. “Nedra”, Mosca, 1925.

  • 1961 I giorni dei Turbin. Gli ultimi giorni, Mosca, 1955.

  • 1962 La vita del signor de Molière, Mosca, 1962.

  • 1971 Prosa scelta (introduzione di V. Lakšin), Mosca, 1966; Drammi e commedie (introduzione di V. Kaverin), Mosca, 1965; Il maestro e Margherita, nella rivista “Moskva”, 1966, N°11; 1967, N°1; Autobiografia nel libro: Sovetskie pisateli. Avtobiografii, vol. 3, Mosca, 1966.

Letteratura

  • 1929 Lirov M., articolo nel giornale “Pečat’ i Revoljucija”, libri 5-6, 1925; Kototkov N., nel giornale “Rabočaja Žizn’”, libro 3, 1925.

  • 1930 Pereverzev V., Novità della prosa, “Pečat’ i Revoljucija”, libro 5, Mosca, 1921; Osinskij N., Appunti letterari, “Pravda”, N°170, Mosca, 1925; Gli scrittori dell’epoca moderna, vol. I, Mosca, 1928; Vladislavlev I. V., Letteratura del grande decennio, vol. I, Mosca, 1928.

  • 1951 Stalin I. V., Opere, vol. 11 (“Risposta a Bill’-Belocerkovskij”).

  • 1961 Askol’dov A., Otto sogni, “Teatr”, 1957, N°8; Kaverin V., Appunti sulla drammaturgia di Bulgakov, “Teatr”, 1956, N°10.

  • 1971 Smirnova V., Michail Bulgakov drammaturgo, nel suo libro: Sovremennyj portret, Mosca, 1964; Lur’e Ja. e Serman I., Da “La guardia bianca” a “I giorni dei Turbin”, “Russkaja literatura”, 1965, N°2; Ermolinskij S., A proposito di Michail Bulgakov. Capitolo dal libro di memorie, “Teatr”, 1966, N°9; Lakšin V., Il romanzo di M. Bulgakov “Il maestro e Margherita”, “Novyj mir”, 1968; N°6; Skorino L., Volti senza maschere di carnevale, “Voprosy literatury”, 1968, N°6; Vinogradov I., Il testamento del maestro, ibidem; Skorino L., Risposta all’oppositore, ibidem; Palievskij P., L’ultimo libro di M. Bulgakov, “Naš sovremennik”, 1969, N°3.

Note

  1. Il giornale "Nakanune" era pubblicato da un gruppo di emigrati russi appartenenti alla corrente che aveva preso il nome dalla raccolta di articoli "Smena vech" pubblicata a Praga nel 1921. Gli smenovechovcy invitavano gli emigrati a riconoscere il potere sovietico ed a collaborare con esso per la creazione di una nuova Russia sviluppata economicamente e culturalmente. I fautori dello smenovechovstvo, appartenenti in passato prevalentemente all'ala destra del partito cadetto, prevedevano che in conseguenza della NEP (la Nuova Politica Economica voluta da Lenin) avrebbe avuto luogo una rigenerazione del potere sovietico e la Russia si sarebbe trasformata in una repubblica parlamentare democratico-borghese sul modello occidentale. La via da seguire a tal fine doveva essere quella del capitalismo di Stato.

  2. Fino a qualche anno fa la distinzione tra "russo" e "sovietico", limitatamente a persone di nazionalità russa, veniva sottolineata per distinguere il prima e il dopo la creazione dello Stato sovietico.

  3. Da rimarcare la sfumatura relativa alla differenza tra l'aver iniziato a "scrivere" (1929) e ad "essere pubblicato" (1951).

[Da “Rassegna Sovietica”, N°1-2, 1991, Roma, Montecatini, Abano, Milano, di Mark Bernardini]

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