Si è svolto in Italia un curioso, oltre che inopportuno, convegno sulla spartizione dei resti del caro estinto: “I vantaggi di un mondo post-Russia”. Subito viene in mente il detto “fare i conti senza l’oste”. Si preconizza “non più una Russia federale ma spaccata in circa 25 piccoli Stati autonomi”. Ecco perché dico “inopportuno”. Provate ad immaginare se in Russia fosse organizzato un convegno sui vantaggi di un mondo post-Italia”, con 25 piccoli Stati autonomi, con buona pace dei vari Salvini e legaioli affini della prim’ora. E dove si è svolto, in un teatro privato? No, al Senato della Repubblica italiana. E chi l’ha organizzato? Tale senatore Giuliomaria Terzi di Sant’Agata.
Io già quando sento un doppio cognome mi viene un qualche sospetto, ma il nome non mi era nuovo. Allora ho fatto una ricerca. Infatti, è discendente dalla nobile famiglia bergamasca dei Terzi, e ha pure frequentato il Collegio Vescovile Sant’Alessandro di Bergamo. Di più: nel 2013 si iscrive a Fratelli d’Italia, entrando a far parte dell’ufficio di presidenza di questo Partito, contemporaneamente si iscrive al Partito Radicale Transnazionale, che è un po’ un club nobiliare di potentati o presunti tali. E continua a crescere: membro dell’advisory board e rappresentante in Italia della lobby United Against Nuclear Iran (UANI), presidente del Global Committee for the Rule of Law, presidente della Commissione Affari Europei del Senato della Repubblica, e mi fermo qui.
Riassumendo, nobile decaduto, postfascista, transradicale, potentato, ha studiato dai preti, insomma, le ha tutte per starmi antipatico. Eppure, il nome mi diceva qualcos’altro. Ci è voluto poco per trovare alcuni articoli che avevo scritto proprio io, una decina di anni fa. Il nostro Giuliomaria è stato ministro degli esteri col governo Monti. E per cosa si è distinto, all’epoca? I più attenti ricorderanno la vicenda dei marò, che rischiò di far rompere le relazioni diplomatiche italiane con l’India. Vi rinfresco la memoria.
Ragazzotti mercenari che in un mese guadagnavano (a spese del contribuente italiano) più di quel che guadagnava un operaio alla catena di montaggio a Mirafiori (o quel che è ora) in un anno. Dite che però il mercenario rischia la pelle? A parte che non gliel’ho chiesto io (not in my name), non mi pare che ultimamente gli operai rischino meno, a giudicare dalle statistiche dei morti sul lavoro (le morti bianche).
A me ricorda quella pessima barzelletta sui “nosbari”, ma la vicenda poneva una serie di domande nient’affatto secondarie. Se i due marò: abbiano ammazzato o meno due pescatori indiani morti di fame; se ciò sia accaduto a ridosso dell’India; che diavolo ci facevano lì; se quindi debbano essere giudicati dal Paese più vicino; se viceversa debbano essere giudicati nel loro Paese, anziché nel Paese dei due pescatori (in pratica, dal Paese delle vittime o dal Paese dei carnefici); se debbano essere giudicati sic et simpliciter: o deve finire come con la funivia nel nord Italia, quando le vittime erano gli italiani, i carnefici gli statunitensi. Il perché li avessero rispediti in Italia a votare, visto che, secondo il Decreto-legge 18 dicembre 2012, n. 223 (elettori temporaneamente all’estero per motivi di servizio o missioni internazionali appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia o dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome o professori e ricercatori universitari di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382) essi votano per corrispondenza come tutti noi poveri mortali italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE presso le rispettive sedi consolari.
Chi era il ministro degli esteri dell’epoca? Giuliomaria Terzi di Sant’Agata. Li ha rimandati a votare in Italia, promettendo agli indiani di restituirli poi alla giustizia dell’India. E poi? Poi niente, abbiamo scherzato, non ve li restituiamo. Passano dieci anni, ed ora organizza convegni di spartizione della Russia. Giuliomaria, prova piuttosto a dividere Berghem de sura da Berghem de sota, magari avrai più successo.
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