Il mio rapporto con la rete sociale yankee Fasciolibro è sempre stato conflittuale, fin da quando mi ci sono iscritto nel 2007. Nel 2018, tuttavia, sto polverizzando ogni record pregresso: dall’inizio dell’anno, infatti, ho già subìto ben quattro sospensioni mensili, sono quindi al momento a 120 giorni su 300.
L’ultima sospensione, quella a cui sono sottoposto attualmente, è piuttosto emblematica, coinvolge argomenti che personalmente ritengo ben più che importanti: la linguistica, l’etimologia, la pubblica istruzione e, finalmente, la crassa, tronfia e supponente ignoranza. Purtroppo, vedo che tra coloro che mi hanno espresso solidarietà, pochi li hanno colti. Andiamo con ordine.
Il 24 ottobre 2018 sono stato sospeso per un messaggio (peraltro condiviso) dell’11 febbraio… 2016. La prima domanda, quindi, è: finora non se n’erano accorti, in due anni e mezzo? Mi si dice che si tratti di un algoritmo. Beh, è un algoritmo a dir poco rintronato e tardone, e, in virtù dei tre anni che ho frequentato – con scarso esito – la facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali alla Sapienza di Roma nella prima metà degli anni ’80, mi pregio di affermare che qui sia scattato il fattore umano.
Ora però arriva la parte più interessante: cosa avrei scritto di così disdicevole e passibile di pena? Nell’anniversario della morte di Puškin, ho scritto che, come tutti i negri, non aveva un posto fisso di lavoro, scriveva versi in stile rap ed è morto in una sparatoria. Mi hanno bannato per... Istigazione all’odio razziale.
Basterebbe prendere in mano un qualsiasi libro di testo delle scuole medie inferiori per capire che il censore di Fasciolibro che mi ha sospeso, o è ignorante (personalmente, propendo per questa ipotesi), o è prevenuto nei miei confronti (altro che algoritmo), o entrambe le cose.
Prendiamo il libro Garzanti della geografia, III nuova Edizione, volume terzo, Garzanti editore (1978):
“Da qualche tempo gli abitanti di colore degli Stati Uniti rifiutano di essere chiamati con il termine «negro» (nigger), che viene quasi sempre usato in tono spregiativo (come in Italia purtroppo si fa spesso con il termine «terrone») e vogliono essere chiamati «neri» (blacks). Da noi [in Italia] il termine «negro» non ha alcun tono di disprezzo, e quindi possiamo continuare a chiamarli così”.
Vorrei anche citare mio padre, che nel 2007 scriveva: “Ricordo che una delle guardie del corpo americane era un negro (io continuo ad usare il termine «negro» senza alcuna accezione negativa, alla stregua di «biondo», oppure «alto», o «basso», come si usava in Italia decenni fa, prima che venissimo colonizzati dall’inglese, quando nei film americani doppiati in italiano non ci si rivolgeva ancora ai giudici dicendo «vostro onore», che mi sembra una mostruosità in una lingua come la nostra in cui ci si dà del lei)”.
Del mio periodo adolescenziale fanno parte canzoni come “Negro” di Marcella Bella…
…E “Povero negro” di Fausto Leali:
Evidentemente, da bannare entrambi con effetto retroattivo.
Cosa dice il Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana del 1994?
negro [né-gro] s. m. [f. -a] 1 individuo che appartiene al gruppo umano dei negri; nero: la tratta dei negri | lavorare come un –, fare il –, lavorare duramente (con riferimento alle condizioni di vita degli schiavi negri in America nei secoli scorsi) 2 (gerg.) chi scrive testi per autori famosi, DIM. negretto ¶ Dallo sp. negro, dal lat. nĭgru(m) ‘nero’.
E il Collins Sansoni Italian Dictionary del 1995?
nẹgro s. m. (f. –a) negro (f –ress), black, coloured person. □ lavorare come un ~ to work like a slave (o negro).
E il Larousse Boch Zanichelli Français del 1999?
négro agg. sost. 1 noir: razza negra, race noire 2 nègre: musica negra, musique nègre □ (fig.) lavorare come un – travailler comme un nègre.
Financo il Nuovo grande dizionario italiano-russo di Zor’ko del 2004:
негр lavorare come un / fare / essere il negro – работать как негр
Insomma, su una cosa tutti i dizionari citati concordano: non c’è nulla di disdicevole nel lavorare come un negro, al limite indica che sia disdicevole lo sfruttamento del lavoro umano.
Non mi dilungo sul portoghese e sullo spagnolo (da cui, appunto, proviene il lemma “negro”) o sulle altre lingue che non conosco, tipo il tedesco Neger, il greco Νέγρος, il finlandese neekeri, l’elenco potrebbe essere infinito.
Last not least. Cosa c’entra Puškin? Spiego ai meno acculturati. Il grande poeta, morto in un duello per una donna, aveva un aspetto tutt’altro che slavo, in quanto il suo bisnonno, Ibrahim Hannibal, era uno schiavo portato in omaggio a Pietro il Grande, diventato però poi maggior generale del Genio militare, governatore di Reval (nell’attuale Estonia, ma all’epoca conquistata dalla Russia nella guerra contro la Svezia, dove si parlava il tedesco baltico) e nobile dell’Impero Russo. Di questo scrisse Puškin stesso nel suo “Il Negro di Pietro il Grande”. Non “nero”, “colorato” e quant’altro.
Gli anglosassoni sono stati tra i maggiori e peggiori schiavisti, seguiti ovviamente dai francesi, dagli spagnoli, dai portoghesi, dagli olandesi, e anche dagli italiani. Essendo puritani ed ipocriti, ecco che ora i negri sono colorati. Ricordo in tal senso una barzelletta in cui un negro si rivolge a un bianco:
– Quando ti vergogni diventi rosso, quando hai la nausea diventi verde, quando hai freddo diventi viola, e poi dici colorato a me?
Seriamente parlando, ritengo inaccettabile che un ragazzino peticelloso e onanista, pagato dagli yankee transoceanici, sia investito dell’autorità di pontificare su come si debba dire o non dire una tal cosa ed una tal altra nella lingua italiana.
Con preghiera di massima condivisione, soprattutto (non solo) in Facebook.
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