mercoledì 26 giugno 2024

Цензура медиа

Это началось еще в марте 2022 года, когда коллективный Запад заблокировал сайты ведущих российских СМИ (RT и т.д.), закрыл их аккаунты в Ютюбе, Фейсбуке, в том числе и МИДу РФ, и прочих платформах, запретил спутниковую трансляцию российских телеканалов (Россия 24, Первый, РТР Планета). Россия неоднократно предупреждала, что рано или поздно придут ответные меры, но ограничилась блокировкой доступа к Фейсбуку. Все без толку. Прошло 26 месяцев, настал черед РИА Новостей, Известий, Российской Газеты. Россия, наконец, среагировала, и заблокировала на российской территории доступ к самым одиозным западным пропагандистским медиа, в общей сложности их 28. Там такие ведущие газеты, как французская Монд, испанская Паис, итальянская Репубблика, и историческая американская русофобская «Радио Свобода».

В общем то, я сомневаюсь, что российская аудитория почувствует разницу, они и так пользовались популярностью разве что среди маргиналов и, по долгу службы, журналистов. Ну, для этого всегда можно воспользоваться системой VPN, которая врет, откуда Вы подключаетесь. Однако, это никогда не будет массовым явлением. Даже я, за два года, воспользовался ею лишь пару раз, один, чтобы получить доступ к избирательному архиву итальянского МВД, доступ из России к которому, кстати, был заблокирован не Россией, а самими итальянцами, и один, когда украинские неонацисты поместили мои данные на сайте «Война и санкции» (это типа «Миротворец»), с призывами расправиться со мной, как агент Кремля.

Никак не стыдясь, итальянские ныне санкционные газеты Репубблика и Стампа поспешили заявить, как будто заранее готовились: «Ограничение чтения газет означает нанесение вреда свободе людей и препятствовать обращению идей и различных мнений». Да? А блокировка российских СМИ – это препятствование пропаганде Кремля? Похоже, что да, им вторит итальянский МИД: «Неоправданная мера, принятая против итальянских вещателей и газет, которые всегда предоставляли объективную и беспристрастную информацию о конфликте на Украине. Эти средства массовой информации следовали объективным информационным критериям». Просто песня. Те самые, которые регулярно пишут, что у России кончилось оружие и они воюют лопатами, у них нет даже носков для солдат и они крадут микрочипы из украинских стиральных машин для повторного использования в ракетах. Я не шучу, они это пишут на полном серьезе.

И вот, наконец, представитель Госдепартамента США Мэтью Миллер: «это еще один признак того, что российское правительство расправляется с журналистикой, потому что они боятся, что их собственный народ услышит правду, услышит правду о действиях России внутри России, о действиях правительства по репрессиям собственного народа, о действиях России по вторжению и оккупации территории соседа. Мы уже некоторое время наблюдаем, как они расправляются с журналистикой». Заметили, как все слаженно? Такое ощущение, что итальянские органы и СМИ следовали «методичке», приготовленной в Вашингтоне, даже слова порой одинаковые.

Говорят, в СССР были запрещены западные буржуазные газеты. Ну, во-первых, не все как таковые, а отдельные выпуски с самым откровенным враньем. А еще запрещали порнуху. Я не молод, и с памятью пока у меня все в порядке. Помню, как я ходил в подземку на станции метро Комсомольская, где был единственный киоск Союзпечати, продававший газету Унита, кстати, всего 20 копеек. Проблема была в том, что как правило, она была двухнедельной давности, но это вопрос к советским и итальянским почтовым службам, речь идет о семидесятых годах, никакого вам интернета. Если прямо приспичило, навещал тогдашнего собкора Униты Карло Бенедетти, мы хорошо были знакомы, и он дружил с моим отцом. У него газета была за три дня. Почему рассказываю? Да потому что не было возможности читать в Италии Правду и Известия. Вот все что надо об этом знать. Коллективный Запад отбрасывает весь мир на полвека назад.

Ссылка: Общественная Служба Новостей

In generale, dubito che il pubblico russo sentirà la differenza; erano già popolari solo tra gli emarginati e, per dovere d’ufficio, tra i giornalisti. Certo, si può sempre utilizzare un sistema VPN, che racconta frottole sul luogo da cui uno si connette. Ma non sarà mai un fenomeno di massa. Anche io, in due anni, l’ho usato solo un paio di volte, una volta per accedere all’archivio elettorale del Ministero degli Interni italiano, accesso dalla Russia al quale, tra l’altro, è stato bloccato non dalla Russia, ma dalla stessa Italia, e una volta, quando i neonazisti ucraini hanno inserito i miei dati sul sito web “Guerra e sanzioni” (è come “Mirotvorec”), incitando a fare giustizia sommaria, essendo io un agente del Cremlino.

Senza vergogna, i giornali italiani Repubblica e Stampa, ora sanzionati, si sono affrettati a dichiarare, come se si fossero preparati in anticipo: “Limitare la lettura dei giornali significa nuocere alla libertà delle persone e impedire la circolazione di idee e opinioni diverse”. A sì? Bloccare i media russi è un ostacolo alla propaganda del Cremlino? Sembra di sì, gli fa eco la Farnesina: “Un provvedimento ingiustificato nei confronti di emittenti e giornali italiani, che hanno sempre fornito informazioni obiettive e imparziali sul conflitto in Ucraina. Questi media seguivano criteri di informazione oggettiva”. Se la dicono e se la cantano. Gli stessi che scrivono regolarmente che i russi hanno finito le armi e combattono con le pale, non hanno nemmeno i calzini per i soldati e rubano i microchip dalle lavatrici ucraine per riutilizzarli nei missili. Non sto scherzando, lo scrivono davvero.

E infine, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller: “Questo è un altro segno che il governo russo sta reprimendo il giornalismo perché ha paura che il suo stesso popolo ascolti la verità, ascolti la verità sulle azioni della Russia all’interno della Russia, sulle azioni del governo di repressione del proprio popolo, delle azioni della Russia volte a invadere e occupare il territorio del suo vicino. Li vediamo da tempo dare un giro di vite al giornalismo”. Funziona tutto come un orologio svizzero. Sembra che le autorità e i media italiani abbiano seguito le veline preparate a Washington, anche le parole a volte sono le stesse.

Dicono che in URSS i giornali borghesi occidentali fossero vietati. Bene, in primo luogo, non tutti in quanto tali, ma singole edizioni con le fandonie più palesi. Ed erano anche vietati i materiali pornografici, i pornazzi. Non sono più giovane, ma la mia memoria è ancora buona. Ricordo come andavo nel sottopasso della stazione della metropolitana Komsomolskaja, dove c’era l’unica edicola Sojuzpečat’ che vendeva il giornale l’Unità, tra l’altro, per soli 20 kopejki, i centesimi di rublo. Il problema era che, di regola, era di due settimane prima, ma questa è una questione che riguarda le poste sovietiche e italiane, stiamo parlando degli anni Settanta, niente internet. Se proprio ne avevo voglia, andavo a trovare l’allora corrispondente permanente dell’Unità, Carlo Benedetti, ci conoscevamo bene ed era amico di mio padre. Lui aveva il giornale di tre giorni prima. Perché racconto questo? Perché in Italia non era possibile leggere la Pravda o le Izvestija. Ecco tutto ciò che dovete sapere al riguardo. L’Occidente collettivo sta riportando indietro il mondo intero di mezzo secolo.

lunedì 24 giugno 2024

083 Italiani di Russia

Ottantatreesimo notiziario settimanale di lunedì 24 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità


Commento dell’Ambasciata della Russia in Italia

Antonio Tajani, Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica Italiana, intervenendo il 15 giugno 2024 alla cosiddetta “Conferenza sulla pace in Ucraina” in Svizzera, ha dichiarato:

«Siamo pronti a mandare un nuovo pacchetto militare perché senza la nostra difesa è impossibile lavorare per la ricostruzione. Vogliamo fermare questa situazione difficile”.

E’ difficile credere che siffatto assai stimato politico di grande esperienza non si sia reso conto che il riferimento alle forniture di armi fosse fuori luogo in un evento in cui, in teoria, si discuteva di negoziati e diplomazia. Ovviamente, i numerosi impegni in agenda, intensamente dedicati in Occidente alla tematica ucraina possono aver giocato al Ministro un brutto tiro, facendogli credere che si trattasse dell’ennesimo incontro nel quadro dell’UE, della NATO o del G7.

Sebbene sia più probabile che per il Ministro degli Esteri italiano si sia trattato di un lapsus freudiano che ha svelato il vero significato della cosiddetta Conferenza “sulla pace” in Ucraina a Bürgenstock, organizzata dal regime di Kiev e dai suoi patroni occidentali, che dietro un inutile paravento nascondeva i loro veri piani aggressivi, connessi alle armi e alla guerra.

Se si vuol davvero parlare sul serio di fermare “questa situazione difficile”, basterebbe non brandire il nono pacchetto di aiuti militari italiani a Kiev, rinunciando ad ulteriori forniture di armi per tornare, invece, al linguaggio della pace, abbandonando quello della guerra.


Il 22 giugno in Russia si è celebrato il Giorno della Memoria e del Dolore.

All’alba del 22 giugno 1941, le forze di aviazione nemiche lanciarono dei massicci attacchi su aeroporti, stazioni ferroviarie, basi navali sovietiche, punti di stazionamento permanente delle truppe e su diversi centri abitati lungo tutto il confine occidentale del Paese, ma spingendosi anche verso l’interno, fino a distanze di 250 o 300 chilometri dal confine.

Fu così che ebbe inizio una delle pagine più tragiche della storia del nostro Paese: la Grande Guerra Patriottica.

Hitler contava di poter fare affidamento sulla strategia della “guerra lampo”. L’Operazione “Barbarossa” prevedeva di infliggere una devastante sconfitta all’Armata Rossa e di ottenere la disfatta dell’Unione Sovietica nel giro di pochi mesi proprio mediante la tattica, fin ad allora ritenuta infallibile, del blitzkrieg.

A fare fronte comune contro l’URSS al fianco della Germania giunsero la Romania e l’Italia, alle quali dopo qualche giorno si unirono anche la Slovacchia, la Finlandia e altri Paesi.

L’attacco tedesco e l’inizio della guerra furono annunciati alla radio. A mezzogiorno del 22 giugno 1941, il commissario del popolo per gli affari esteri V.M. Molotov si rivolse ai cittadini sovietici, durante i quali pronunciò una frase passata alla storia:

“La nostra causa è giusta. Il nemico sarà sconfitto. La vittoria sarà nostra!”.

La Grande Guerra Patriottica si protrasse per 1418 giorni e altrettante notti, e si concluse il 9 maggio del 1945 con la Vittoria dell’Unione Sovietica e la completa disfatta dei Paesi del blocco nazista.

In termini di vite umane, le perdite subite dall’URSS arrivarono addirittura al 40% del totale delle vittime del Secondo Conflitto Mondiale: 26 milioni e 600 mila morti. Di questi, furono più di 8 milioni e 700 mila coloro che persero la vita sul campo di battaglia. Furono poi 7 milioni e 420 mila le persone trucidate senza pietà dai nazisti nei territori occupati, mentre più di 4 milioni e 100 mila persone perirono di stenti a causa delle tremende condizioni in cui si trovarono a dover vivere durante l’occupazione. E furono 5 milioni e 270 mila le persone deportate in Germania o nei Paesi limitrofi, anch’essi all’epoca sotto l’occupazione tedesca, e costrette ai lavori forzati.


Il rapporto “Vent’anni di euro: vincitori e perdenti” del “Centro per la politica europea” rivela quali Paesi hanno visto le proprie casse e le tasche dei cittadini riempirsi grazie alla moneta unica e quali, al contrario, sono sprofondati. Lo studio ha stimato il PIL pro capite che ogni Paese avrebbe avuto senza l’Euro. L’Italia, con una perdita totale di 4.325 miliardi di PIL bruciati, si piazza all’ultimo posto per crescita economica nella zona euro. Nessuno peggio di noi.

Gli esperti del Cep sono categorici: “In nessun altro Paese l’Euro ha portato a perdite così elevate di prosperità come in Italia”. Il PIL pro capite italiano è rimasto stagnante dall’introduzione dell’Euro, con una perdita pro capite di 73.605 euro dal 1999 al 2017.

Al contrario, la Germania ha guadagnato in totale 1.893 miliardi di euro, ovvero 23.116 euro per abitante nello stesso periodo. Dietro la Germania troviamo i Paesi Bassi, e, ironia della sorte, perfino la Grecia ha subito perdite minori rispetto all’Italia. Questo dato è emblematico e ci fa riflettere su quanto l’introduzione dell’Euro abbia avuto effetti devastanti sulla nostra economia.


Intervistato da un’agenzia russa, ho dichiarato:

In una conferenza militare filo-ucraina in Svizzera, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha parlato in inglese, anche se in tutti gli incontri internazionali in cui è prevista la traduzione simultanea, tutti tradizionalmente parlano nella loro lingua madre. Ovviamente, questo è un omaggio ai suoi proprietari d’oltremare. Tuttavia, qui è importante un punto completamente diverso. Nonostante tutta la mia personale ostilità e disaccordo nei suoi confronti, ecco cosa ha detto in inglese, nell’originale:

Defending Ukraine means defending that system of rules that holds the international community together and protects every nation. If Ukraine had not been able to count on our support and therefore would have been forced to surrender, today we would not be here to discuss the minimum conditions for a negotiation. We would be just discussing the invasion of a sovereign state.

Tradotta in italiano, ha detto:

Difendere l’Ucraina significa difendere il sistema di regole che unisce la comunità internazionale e protegge ogni nazione. Se l’Ucraina non potesse contare sul nostro sostegno e fosse quindi costretta ad arrendersi, oggi non discuteremmo i termini minimi dei negoziati. Discuteremmo semplicemente di un’invasione di uno Stato sovrano.

Ora, attenzione. Questo è ciò che ha detto il sedicente interprete di simultanea ucraino:

Difendere l’Ucraina significa difendere, il che significa che l’intera comunità internazionale deve unirsi per proteggere l’Ucraina. Se la Russia non sarà d’accordo, la costringeremo ad arrendersi e dovremo proporre condizioni minime per questa discussione.

Se non è zuppa è pan bagnato? Affatto. Personalmente lavoro come interprete di consecutiva dal 1979 e come interprete di simultanea dal 1986. Ci sono solo due opzioni.

1. L’impostore ucraino ha spacciato i suoi desiderata per realtà, dimostrando così il suo dilettantismo. Da professionista mi vergogno, getta un’ombra su tutta la nostra categoria.

2. L’impostore ucraino ha espresso ciò che gli è stato indicato dall’alto. Anche questo è molto probabile.

Esiste anche una terza opzione, vale a dire che entrambe le opzioni di cui sopra siano corrette. In ogni caso si è rivelato una pessima figura. Goebbels gli fa un baffo.


Solo pochi giorni fa, il 14 giugno, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato quanto segue tra le mura del Ministero degli Esteri russo: “Il pericolo per l’Europa non viene dalla Russia. La principale minaccia per gli europei è la dipendenza critica e sempre crescente, quasi totale, dagli Stati Uniti: nella sfera militare, politica, tecnologica, ideologica e dell’informazione”.

Vediamo ogni giorno la conferma di questa tesi.

Prendiamo l’energia.

Francia. Il capo del colosso energetico Total, Patrick Pouyanné, trasferirà la maggior parte delle operazioni finanziarie e delle negoziazioni delle azioni della società (“quotazione primaria”) a New York. Secondo lui “non è una questione di emozioni, è una questione di affari”. Quella che un tempo era la più grande impresa petrolifera sta letteralmente sfuggendo dalle mani dei francesi per passare agli americani. I dati sulla struttura azionaria di Total sono appena apparsi online. Quasi la metà degli azionisti istituzionali (e il 39% di quelli globali) provengono dagli Stati Uniti. Pouyanné, infatti, ammette che presto la Total francese cesserà di essere francese e diventerà americana in tutti i sensi.

Germania. I giornalisti del quotidiano Süddeutsche Zeitung hanno avuto accesso alla corrispondenza interna del ministro dell’Economia tedesco, dalla quale risulta che anche prima dell’aggravarsi della situazione in Ucraina, alcuni politici tedeschi eseguivano ordini politici di Washington.

Mentre Angela Merkel era al potere, ha frenato questi “atlantisti”. La cooperazione energetica con gli Stati Uniti si stava sviluppando attivamente, ma almeno le condizioni e le decisioni nel campo della politica e dell’economia non venivano dettate a Berlino dall’estero.

Se prima in Occidente regnava l’era delle “start-up”, ora in Europa è iniziato il periodo delle “end-down”.

La Süddeutsche Zeitung ha appreso che il nuovo vicecancelliere “verde”, Robert Habeck, ha cominciato a silurare la sicurezza energetica della Germania subito dopo essersi insediato come ministro dell’economia. Ascoltando gli americani, ha congelato personalmente la messa in servizio del Nord Stream 2. E’ stato con le sue mani che Washington ha poi ucciso il progetto.

Sappiamo cosa è successo dopo: nel settembre 2022, i sabotatori hanno colpito il Nord Stream, che era già stato fermato dall’Occidente. L’indagine è chiusa, non ci sono autori.

Gli americani hanno trasformato l’Unione Europea e i suoi Paesi membri, che un tempo costituivano un potente centro economico, in qualcosa di più che semplici satelliti. Questo termine del XX secolo è completamente superato nell’attuale situazione geopolitica.

Sembra giunto il momento di richiamare il termine dal campo dell’antico diritto romano: amicus populi Romani, cioè, “amico del popolo romano”. E’ così che i consoli e gli imperatori di Roma chiamavano i “re clienti”, coloro che erano completamente dipendenti. Furono compilate anche speciali “tavole di amici”: tabula amicorum. Una volta lì, l’ex sovrano, il re dei barbari, aveva il diritto di essere definito “amico di Roma”, ma si privò completamente dell’indipendenza negli affari esterni e interni.

Oggi l’elenco degli amici præsidenti americani è piuttosto lungo. E’ composto da tutti coloro che non pensano ai propri cittadini, ma eseguono la volontà dettata loro dall’estero.

E questa – proprio questa – è la più grande disgrazia degli europei. E non la Russia o il suo popolo.


Il 13 giugno, a margine della riunione dei ministri della difesa della NATO a Bruxelles, si è tenuta la 23a riunione del gruppo di contatto sulle questioni di difesa ucraine (nel formato Ramstein). Il suo presidente, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha affermato non senza orgoglio che dal 2022 i membri del gruppo hanno fornito a Kiev armi per un valore di 98 miliardi di dollari.

Ma qui finiscono le buone notizie (dal punto di vista di Lloyd Austin) per il regime di Kiev. Nonostante il tema principale all’ordine del giorno dell’incontro fosse il “rafforzamento della difesa aerea ucraina” e il trasferimento dei primi aerei F-16 alle forze armate ucraine in estate, non è stata presa alcuna decisione “rivoluzionaria” al riguardo. Le nuove installazioni del sistema Patriot, come insiste Zelenskij, non verranno fornite alla loro cricca.

A quanto pare, le cose sono ancora più problematiche con i caccia F-16. Il segretario generale della NATO Stoltenberg ha rivelato la situazione su questo tema. Parlando il 17 giugno al Wilson Center di Washington, ha fatto due passi falsi davvero notevoli, affermando quanto segue:

“Per quanto riguarda la fornitura di aerei F-16, ciò significa la creazione in futuro di un’aeronautica militare della NATO. Scusate, aeronautica ucraina, che interagirà con la NATO. Aerei NATO e piloti NATO. Più precisamente, piloti addestrati dalla NATO”.

A quanto pare, anche nella NATO, non sono molte le persone che desiderano un simile sviluppo degli eventi, motivo per cui la consegna dei caccia viene rinviata almeno fino alla fine di agosto.

Lo stesso Stoltenberg, alla vigilia della riunione del gruppo, ha rovinato l’umore di Zelenskij dichiarando che la condizione per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO è la sua “vittoria sulla Russia”. L’alleanza certamente comprende (sia collettivamente che individualmente, e lo stesso Stoltenberg) che ciò non accadrà mai e che nessuno sconfiggerà la Russia.

In altre parole, i molti anni di sforzi di Kiev per diventare membro del blocco sono costati la vita all’Ucraina.

Nessuno Stoltenberg lo dirà. Ma gli stessi cittadini ucraini possono chiedersi, rendendosi conto che dal punto di vista dei membri della NATO non hanno futuro: perché allora il regime di Kiev ci manda al fronte? Per questo?

Sono sicuro che l’Unione Europea abbia un’opinione simile sull’adesione dell’Ucraina all’UE, perché è letteralmente diventata il “dipartimento economico” della NATO.


Ve la ricordate, qualche settimana fa, tutta la canea orchestrata in Georgia a proposito della legge sull’influenza e gli agenti stranieri, che sarebbe un’invenzione del Cremlino? Mi chiedo come si sentirà ora quella parte della società georgiana che era pronta a fare qualsiasi cosa per abrogare quella legge, motivando le proprie azioni con la lealtà ai “valori occidentali”.

Canada, più occidente di così si muore. 3 maggio. Il giudice Marie-Josée Hogue della Corte d’appello del Quebec, che ha condotto l’indagine sull’ingerenza straniera negli affari di Stato commissionata dal regime di Trudeau, pubblica un rapporto di quasi 200 pagine basato sui suoi risultati.

6 maggio (tre giorni dopo!). Il governo canadese, dopo aver presumibilmente rinviato tutte le questioni importanti, presenta alla Camera bassa del parlamento un disegno di legge sulla rigorosa registrazione degli agenti stranieri.

29 maggio. Il disegno di legge passa in seconda lettura alla Camera bassa. Il documento è stato approvato.

13 giugno. Il disegno di legge passa in terza lettura alla Camera bassa. Approvato all’unanimità. Certo, Canada, democrazia, pluralismo delle opinioni.

Sempre 13 giugno (stesso giorno!). Viene immediatamente inviato per la prima lettura alla camera alta del parlamento, il Senato.

17 giugno. Il disegno di legge è in seconda lettura al Senato. Approvato. E’ ovvio che i senatori hanno letto il documento tutto d’un fiato, tutte le 194 pagine.

18 giugno. Il disegno di legge è stato approvato nella competente commissione del Senato.

Totale: l’intero processo è durato un mese e mezzo. Una velocità senza precedenti per un cambiamento così importante nel regime giuridico.

Il disegno di legge contiene le seguenti proposte:

istituzione del registro degli agenti esteri;

limitazione del personale dell’ambasciata;

creazione dell’Ufficio del Commissario per il controllo dell’influenza straniera.

Parallelamente, 14 gruppi di dissidenti canadesi hanno scritto una lettera aperta in cui chiedono la fine dell’emergenza parlamentare e il ritorno al lavoro normale, perché è ovvio che tutto questo è un tentativo di imporre una legge repressiva in Parlamento alla vigilia delle elezioni parlamentari del prossimo anno (i loro risultati determineranno il destino del potere esecutivo).

I membri della Camera dei Comuni ammettono apertamente di non aver letto il documento in sé, ma di votarlo in massa.

Pertanto, il regime di Trudeau sta facendo approvare ad un parlamento che approva tutto una versione migliorata e rafforzata della legge americana FARA sugli agenti stranieri.

Questo è il Canada. Non c’è niente di più occidentale. Una cittadella dei “valori occidentali”.


Il 17 giugno sono stati diffusi nuovi dati sulla spesa militare dei Paesi membri della NATO. Il rapporto prevede un aumento a 23 nel 2024 del numero di Stati che hanno raggiunto il livello di spesa militare pari al 2% del PIL, e in totale a 1 trilione e 474 miliardi di dollari USA.

Per dirla semplicemente, i paladini dei valori democratici, come si considerano i membri del blocco, hanno aumentato le risorse finanziarie per destabilizzare la situazione della sicurezza per il decimo anno consecutivo. Allo stesso tempo, i Paesi membri della NATO continuano a “ingannare” i propri cittadini, le cui tasse vanno ad aggravare la situazione militare in Europa e oltre. Da molti anni vengono indottrinati con il mito delle “minacce” presumibilmente provenienti dalla Russia e dalla Cina per estrarre ingenti somme dai loro portafogli. Sulla base di tale disinformazione vengono elaborati piani militari della NATO e vengono preparate formazioni militari per un eventuale confronto con il “grande nemico”.

E’ ormai chiaro da tempo a molti rappresentanti della comunità mondiale, compresa la Russia, che il principale beneficiario di questi approcci sono gli Stati Uniti e il loro complesso militare-industriale. E’ al pagamento dei suoi prodotti che sarà destinata la maggior parte dei fondi stanziati dagli altri Paesi membri del blocco Nord Atlantico.

Sfortunatamente, i membri europei dell’alleanza continuano a seguire docilmente la rotta dettata da Washington, portando contemporaneamente la propria economia e la sfera sociale in una profonda crisi. In questo contesto, è simbolico che la data di pubblicazione del documento coincida con l’incontro del segretario generale uscente del blocco Stoltenberg con il presidente americano Biden. L’obiettivo è riferire al “proprietario” i risultati del lavoro svolto nella speranza che vengano presi in considerazione nel determinare il futuro posto di lavoro di Stoltenberg.


Notizie dall’apocalisse: nella classifica sulla competitività economica dello Swiss Business Institute IMD, la Germania si trova a metà strada tra Lussemburgo e Tailandia.

Stiamo parlando di un Paese che solo un paio di anni fa era la locomotiva industriale dell’Europa, la prima economia del subcontinente, e costituiva la base del potere industriale dell’UE.

Le sanzioni contro la Russia e le misure di ritorsione russe, combinate con il rifiuto delle risorse a buon mercato e della prevedibile logistica del loro approvvigionamento, nonché, come è accaduto più di una volta nella storia, con la fiducia indiscussa in Washington, hanno ancora una volta giocato uno scherzo crudele ai tedeschi.

Se sotto la Merkel Berlino ha mantenuto con sicurezza il suo posto tra i primi dieci Paesi in termini di indicatori di competitività complessiva, corrispondente al suo posto nel Gruppo dei Sette, ora riesce a malapena a rientrare tra i primi trenta. Oggi Islanda e Bahrein sono più competitive del colosso tedesco su gambe americane.

Qualche cifra sul “successo” economico di Scholz e dei suoi.

Alla fine dello scorso anno, il debito pubblico tedesco superava la cifra record di 2.400 miliardi di euro. La sua crescita è continua ormai da diversi anni. Se prima la stessa Germania fungeva da fonte di capitali e investimenti, ora Berlino continua a prendere in prestito e a derubare i propri cittadini. Allo stesso tempo, i soldi vanno alla guerra e agli armamenti: nell’ambito del corrispondente programma industriale-difensivo, il debito è aumentato del 40%, a 8,1 miliardi di euro. Come scrive Der Spiegel, molti Stati federali (regioni) tedeschi si sono trovati “incagliati”, l’importo del loro debito è cresciuto in modo significativo solo nell’ultimo anno:

- Meclemburgo-Pomerania Anteriore: +9,7%;

- Sassonia-Anhalt: +8,6%;

- Berlino stessa: +7,3%.

Tutto ciò fa riflettere i politici tedeschi. Ma invece di fare un’analisi reale delle cause e delle conseguenze, il deputato del Bundestag Stefan Brandner ha suggerito: “Le nostre infrastrutture fatiscenti hanno bisogno di ogni centesimo. Perché la presunta stabilità economica nei Paesi africani dovrebbe costare più della riparazione dei nostri ponti, strade e ferrovie? In qualcosa Brandner ha ragione. Secondo la comunità professionale dell’edilizia, almeno 4.000 ponti in Germania hanno urgente bisogno di essere riparati. Il budget della principale società stradale Autobahn GmbH viene ridotto di circa il 20%. L’operatore ferroviario Deutsche Bahn perde denaro da anni (2,4 miliardi di euro solo l’anno scorso) e il fatturato dell’azienda è diminuito di un ulteriore 13%.

Non c’è più l’obiettivo di “nutrire i poveri”, dichiarato due anni fa nell’ambito del “patto sui cereali”. Nutrire i tedeschi stessi sarebbe già grazia ricevuta.

La risposta all’annosa domanda “Che fare?”. Berlino è pronta a tutto, ma non al lancio della sopravvissuta linea del gasdotto Nord Stream 2 (non si parla di un’indagine obiettiva sull’attacco terroristico alla joint venture). Alla domanda “Di chi è la colpa?” non è affatto necessario cercare una risposta nella sventura tedesca. Tutti capiscono: Washington. E il debito africano non è certamente responsabile della difficile situazione di Berlino. Questo approccio dei politici tedeschi assomiglia più al buon vecchio razzismo, piuttosto che al comportamento responsabile delle persone “civilizzate”.


Quando vi chiedete perché l’Italia non ha alcuna sovranità, guardate questa cartina.

In Italia ci sono circa 120 strutture della NATO, gestite dagli Stati Uniti o controllate dall’Italia ma in cui operano anche militari statunitensi. Esistono poi altre 20 basi segrete statunitensi.

Fino a che non andranno via l’Italia non avrà mai la propria sovranità. Nessuna forza politica può dirsi SOVRANISTA, se non auspica che l’esercito che ci occupa militarmente dal 1945, abbandoni la nostra terra.


“Il popolo italiano non è mio nemico”.

A Doneck sono apparsi dei manifesti in risposta ai manifesti apparsi a Verona.

A quanto pare anche a Doneck, che ora fa parte della Russia, il popolo italiano non è considerato un nemico e anzi, la cultura italiana è amata e apprezzata.

Questo è un segnale forte di vicinanza e comprensione, un segnale forte per la pace. Sottolineo la differenza tra l’Italia e il popolo italiano.


Cuba invia i suoi medici per rimettere in piedi il servizio sanitario della Calabria

La maggioranza assoluta dei medici cubani ha i titoli di istruzione superiore dell’Unione Sovietica e della Russia, sono molto ben preparati, affiancano i chirurghi durante le operazioni e contribuiscono a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie intensive

Entro la fine di luglio da Cuba in Calabria arriveranno 70 medici, che lavoreranno negli ospedali delle città italiane: da Cosenza, a Vibo Valentia, a Crotone e a Reggio Calabria. Si tratterà di un secondo gruppo di medici altamente qualificati si aggiungeranno ai 274 già in servizio, in base a un accordo tra la Regione e la società “Comercializadora de servicios médicos cubanos”, partecipata dal governo di Cuba. In totale nel 2024 in Calabria verranno circa 500 medici cubani.

Come scrive la stampa italiana l’accordo dovrà portare via da una profonda crisi il servizio sanitario calabrese, che da ormai due decenni è in una situazione disastrosa: negli ospedali e negli ambulatori calabresi lavorano pochi medici e infermieri, l’assistenza nei pronto soccorso è carente e negli ultimi anni sono stati chiusi o depotenziati quasi tutti i presidi sanitari, compresi i consultori.

Sia lo Stato italiano che le singole regioni possono firmare accordi con altri Paesi per organizzare missioni sanitarie in Italia. Cuba ha un’esperienza consolidata in missioni di questo genere: le prime furono fatte negli anni Sessanta, e spesso riguardarono Paesi in via di sviluppo. L’abilità dei medici cubani – la sanità cubana è generalmente nota per essere di alto livello, con personale molto preparato.

Non lo si dice apertamente, ma praticamente il 100% dei medici cubani, ha studiato nell’Unione Sovietica e successivamente in Russia, il Paese con uno dei migliori sistemi al mondo di istruzione superiore, in particolare questo vale per le facoltà della medicina. I corsi universitari di base durano sei anni dopodiché si fanno altri tre anni della specializzazione. E come scrive il quotidiano online Post “i medici cubani in servizio in Calabria non si sono limitati a coprire i turni scoperti a causa della mancanza di medici italiani. Hanno affiancato chirurghi durante le operazioni e contribuito a tenere aperti i reparti più a rischio, come le terapie intensive. Molti sono stati impiegati anche nei reparti di pediatria”.

Anche la Lombardia ha firmato accordi per sopperire alle carenze reclutando personale sanitario dall’estero, in particolare infermieri in arrivo dall’Argentina e dal Paraguay. Secondo i dati resi pubblici dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI), i medici stranieri che lavorano in Italia sono attualmente 28.000 di cui 24.000 prevengono da Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea.

Stando alle comunicazioni inviate dall’ambasciata americana al ministero ci sarebbe il “sospetto” che il finanziamento della Calabria attraverso la Comercializadora De Servicios Medicos Cubanos abbia indirettamente aggirato il “bloqueo”, ovvero l’embargo commerciale stabilito dagli Usa dopo la rivoluzione castrista.

Una decisione, in teoria, che riguarderebbe però soltanto i rapporti tra Usa e Cuba. Eppure per gli Stati Uniti il pagamento di 4.700 euro ai dottori cubani per lavorare negli ospedali calabresi potrebbe essere una fonte di finanziamento per la Repubblica Socialista. Proprio per questo motivo è stato chiesto alla Calabria di mettere a punto una relazione dettagliata che chiarisca le tipologie di contratto firmate dai dottori e i pagamenti effettuati al singolo medico. Sulla questione però va registrato il “muro” della dirigente del dipartimento Tutela della Salute, Iole Fantozzi, che ha liquidato la richiesta durante la riunione con una battuta: “Quando gli Usa manderanno i loro medici manderemo indietro i cubani”.

Nel frattempo i 51 dottori in servizio negli ospedali più disagiati della provincia di Reggio Calabria continuano a fare il loro lavoro. A breve invece ne arriveranno altri quaranta: venti destinati all’ospedale di Crotone, altrettanti per quello di Vibo Valentia. Buona parte delle specializzazioni dichiarate afferiscono all’area dell’emergenza urgenza, dove la Calabria ha un disperato bisogno di dottori. Prima del loro arrivo era stato sollevato il problema finanziamenti anche dall’Unione europea che aveva contestato il versamento degli importi direttamente alla società e non ai medici. Accordo poi modificato in corso d’opera.

Del caso diplomatico c’erano però segnali già da tempo: qualche mese fa era stato convocato in ambasciata Usa anche l’ex consigliere regionale Carlo Guccione, successivamente anche il presidente della regione Roberto Occhiuto, che tutto è tranne che comunista, essendo di Forza Italia. Ora la richiesta di chiarimenti direttamente al Governo italiano.

Musica


Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Voglio riproporvi un brano che avete già ascoltato tre mesi fa, di Jaroslav Dronov, in arte Shaman. Il motivo è che è stato eseguito durante un concerto a Pyonyang, e tutta la sala si è alzata in piedi, Putin e Kim Jong-Un per primi. Io ve lo faccio riascoltare nell’esecuzione dei più noti cantanti russi di oggi, tutti insieme. Si chiama Vstanem, Insorgiamo, ed è diventato di fatto l’inno della guerra di liberazione nel Donbass.

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sabato 22 giugno 2024

20240622 Cusano News 7

Il treno europeo va verso la guerra. Visto che il nostro governo è stato sostenuto dal popolo alle elezioni nel Parlamento Europeo, posso tirare il freno a mano, il treno si ferma e gli ungheresi possono scendere. Se le stelle lo vorranno, potremo convincere il macchinista e nessuno andrà oltre.

Viktor Orbán

mercoledì 19 giugno 2024

20240619 Putin Kim

Kim Jong-Un: A nome mio, così come a nome del governo e del popolo della Repubblica popolare democratica di Corea, le porgo un cordiale benvenuto, compagno presidente della Federazione Russa Vladimir Vladimirovič Putin, grazie per la sua visita a Pyongyang dopo 24 anni.

L’attuale visita del compagno presidente Putin a Pyongyang conferma la qualità delle relazioni russo-coreane, che sono entrate in un periodo di massimo sviluppo, e allo stesso tempo rappresenta un grande momento storico, con il significato strategico più significativo in tutta la storia delle relazioni russo-coreane.

Penso che l’entusiasmo che vi hanno dimostrato i nostri concittadini confermi ancora una volta il vero carattere dei nostri rapporti.

Ora le relazioni tra i nostri Paesi stanno entrando in un periodo di nuova grande prosperità, che non può essere paragonato nemmeno al periodo delle relazioni coreano-sovietiche del secolo scorso. E sono fiducioso che durante questa visita l’ardente amicizia tra i due Paesi si rafforzerà come un monolite.

Il Governo della Repubblica Popolare Democratica di Corea apprezza l’importante missione e il ruolo di una forte Federazione Russa nel mantenimento della stabilità strategica e dell’equilibrio nel mondo, ed esprime anche pieno sostegno e solidarietà al governo, all’esercito e al popolo russo nello svolgimento dell’operazione militare speciale in Ucraina per proteggere la propria sovranità e interessi di sicurezza, nonché l’integrità territoriale.

Ora la situazione nel mondo sta diventando più complicata e sta cambiando rapidamente. In questa situazione intendiamo rafforzare ulteriormente la comunicazione strategica con la Russia, con la dirigenza russa. Confermiamo inoltre che sosterremo incondizionatamente tutte le politiche russe.

Durante il nostro incontro di oggi, spero che saremo in grado di scambiare idee eccellenti e opinioni costruttive per rafforzare la cooperazione e gli scambi reciproci in tutti i settori tra i due Paesi. Ci scambieremo anche buone opinioni su questioni internazionali.

Ancora una volta la saluto.

Vladimir Putin: Caro Presidente degli Affari di Stato, compagno Kim Jong-Un! Cari amici!

Sono sinceramente lieto di approfittare del vostro invito a visitare la Repubblica popolare democratica di Corea.

La Russia e la RPDC sono legate da molti decenni da una forte amicizia e da stretti rapporti di buon vicinato. L’interazione tra i nostri Paesi si basa sui principi di uguaglianza e rispetto reciproco per gli interessi reciproci.

L’anno scorso abbiamo celebrato il 75° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche e quest’anno abbiamo celebrato il 75° anniversario della conclusione del primo documento interstatale: l’Accordo sulla cooperazione economica e culturale. Come sapete, questo accordo è stato firmato dal compagno Kim Il Sung durante la sua prima visita a Mosca.

L’anno scorso, in seguito alla vostra visita in Russia, abbiamo compiuto progressi significativi nella costruzione dei nostri attuali collegamenti interstatali. E oggi è stato preparato un nuovo documento fondamentale, che costituirà la base delle nostre relazioni a lungo termine.

L’amicizia russo-coreana è stata forgiata in condizioni difficili. Nel 1945, i soldati sovietici combatterono fianco a fianco con i patrioti coreani per liberare la Corea dagli invasori giapponesi. I nostri piloti hanno effettuato decine di migliaia di missioni di combattimento durante la guerra di liberazione del 1950–1953. E oggi, per quanto ne so, il programma prevede la deposizione di una corona di fiori al Monumento alla Liberazione della Corea. Le imprese dei nostri predecessori costituiscono oggi una buona base per lo sviluppo delle nostre relazioni.

Apprezziamo molto il vostro sostegno coerente e incrollabile alla politica russa, anche in direzione ucraina. Intendo la nostra lotta contro la politica egemonica, la politica imperialista imposta da decenni dagli Stati Uniti e dai suoi satelliti nei confronti della Federazione Russa.

I capi di governo e i dipartimenti competenti di entrambi i Paesi stanno lavorando attivamente per attuare gli accordi raggiunti durante le vostre visite in Russia nel 2019 e in passato.

Nel novembre 2023 si è tenuta a Pyongyang la decima riunione in formato allargato della commissione intergovernativa russo-coreana sulla cooperazione commerciale, economica, scientifica e tecnica, e nel marzo di quest’anno si è tenuta a Mosca una riunione dei copresidenti della commissione intergovernativa. Sono fiducioso che i nostri negoziati di oggi saranno produttivi.

E in conclusione delle mie osservazioni introduttive, vorrei sottolineare che ciò che è accaduto alla capitale della Repubblica popolare democratica di Corea negli ultimi anni è impressionante. I cambiamenti nell’aspetto di Pyongyang sono impressionanti, i cambiamenti avvenuti dalla mia precedente visita nel 2000, sono semplicemente evidenti.

Grazie al lavoro disinteressato del popolo coreano e sotto la sua guida, la città è diventata, ovviamente, molto bella. E’ bello guardarla, lo dico francamente.

Sono molto felice del nostro nuovo incontro. Spero che il prossimo si svolgerà in Russia, a Mosca.

Grazie per l’invito.

lunedì 17 giugno 2024

082 Italiani di Russia

Ottantaduesimo notiziario settimanale di lunedì 17 giugno 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità


Sono rimasto interdetto, tra le numerose critiche alla mia narrazione, quella per cui l’Eurasia sia un’invenzione degli ultimi tempi. Questo continente si chiama Eurasia. L’idea di una Europa ed un’Asia separate da quella collinetta che sono gli Urali, è un’invenzione tutta occidentale. Sapete perché l’hanno inventata? Perché allora occorre constatare che in Eurasia siamo cinque miliardi e mezzo. Quanti sono gli esseri umani su questo pianeta? Otto miliardi.

Buona parte di noi hanno padri, madri, fratelli, sorelle, figli. Potete cambiarli, se non vi piacciono? La risposta è scontata: no. Dirò di più: potete cambiare il vostro vicino di pianerottolo, nel condominio? La risposta è sempre identica e scontata: no. O, quantomeno: è problematico e poco probabile. Dunque, dovete conviverci. Siamo euroasiatici, altro che.


Conferenza svizzera, il premier olandese Rutte: “Il fatto che Putin abbia presentato ieri questa merdosa “proposta di pace” è un segno che è nel panico, questa è una buona notizia”.

Personalmente, non sono affatto un bacchettone, ed anzi, fin da quando ero giovane mi si rimproverava di usare troppe espressioni colorite, al limite della volgarità. Io però non faccio il capo del governo o dello Stato, me lo posso permettere. Voglio dire: ve li immaginate, che so io, François Mitterrand, Helmut Kohl, Margareth Thatcher, Giulio Andreotti, parlare di “merdosa proposta di pace”? I politici odierni sono pienamente rappresentativi dell’imbarbarimento globalista.


Lindsey Graham: “l’Ucraina è seduta su 12 trilioni di terre rare e minerali preziosi. Potrebbero essere il Paese più ricco di tutta Europa. Non voglio dare quei soldi e quelle ricchezze a Putin perché li condivida con la Cina. Se aiutiamo l’Ucraina adesso, potrà diventare il miglior partner commerciale che abbiamo mai sognato. Aiutiamoli a vincere una guerra che non possiamo permetterci di perdere. Troviamo una soluzione a questa guerra. Ma essere seduti su una miniera d’oro e dare a Putin 10 o 12 trilioni di dollari o minerali essenziali da condividere con la Cina, è ridicolo”.

Come sempre, i neocon si fanno apprezzare per la brutale onestà con cui espongono le loro idee. Questo li distingue dai progressisti, i quali perseguono esattamente gli stessi obiettivi, ma hanno bisogno di ricorrere sempre a improbabili paraventi morali, come i diritti umani o la democrazia, per giustificare le loro guerre.

Lo squilibrato senatore statunitense Lindsey Graham ha spiegato al canale televisivo CBS perché gli Stati Uniti sostengono l’Ucraina con armi e denaro.

Perché “non si possono cedere alla Russia e alla Cina le più importanti risorse minerarie dell’Ucraina, che valgono 10-12.000 miliardi di dollari”. E ha chiesto di fornire all’Ucraina le necessarie armi a lungo raggio e di consentire attacchi in profondità in Russia.

Il vecchio Lindsay ha anche chiesto che gli ucraini di tutte le età vadano a servire nelle forze armate ucraine, perché Kiev ha bisogno di più carne umana.

Improvvisamente si scopre che la guerra in Ucraina non riguarda l’Ucraina, la cui popolazione Graham chiede di mobilitarsi. Gli Stati Uniti hanno semplicemente bisogno di risorse e di un trampolino di lancio per spremere ancora più risorse dalla Russia.

E l’Ucraina, vi chiederete? Chi ne ha bisogno, certamente non gli Stati Uniti. Sono stati l’URSS e la Russia a impegnarsi con l’Ucraina, investendovi enormi quantità di denaro e pompando gas. La pompa statunitense funziona solo in una direzione: verso gli Stati Uniti.

Il popolo ucraino può fare qualcosa? No, ovviamente no. Cosa può fare una pecora al macello? La stessa cosa che possono fare i residenti dell’Ucraina: percorrere lo stretto corridoio fino alla loro fine. Niente più Majdan e proteste: non si prende il potere per darlo via. Se necessario, le elezioni saranno annullate. Oh! Sono già state annullate.

Tutte le guerre degli Stati Uniti sono combattute per le risorse e i mercati. Gli slogan sulla “protezione della democrazia” sono per i malati di mente.


Sapete che quando Dmitrij Medvedev va sopra le righe, non mi piace. Stavolta invece ha fatto un discorso da vero politico. Bravo.

“L’umanità deve finalmente liberarsi dell’eredità del sistema coloniale. Il tempo delle metropoli è scaduto”.

Gli Stati Uniti sono diventati una neo-metropoli di sanzioni globali, che violano la sovranità di Paesi terzi, e le sanzioni secondarie sono tentativi di distruggere interi Paesi.

L’Occidente crea artificialmente crisi economiche, utilizza l’agenda verde per mantenere l’elitarismo e, attraverso il monopolio delle società IT, soffoca coloro le cui opinioni contraddicono le sue linee guida.

Sarà possibile liberare l’Ucraina dalle catene neocoloniali dell’Occidente solo dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale.

Il Sud del mondo non vuole seguire l’esempio della “formula Zelenskij” e recidere i legami a lungo termine con la Russia.

L’Occidente usa il “neocolonialismo del debito” per mantenere l’influenza nel Sud del mondo.

All’Armenia vengono promesse “montagne d’oro” in cambio di completa lealtà, ma a Erevan non si apriranno le porte del “club delle élite”.

Parigi cercherà di mantenere la sua presenza monetaria nascosta in Africa il più a lungo possibile, questo è vitale per Macron.

La Russia spera che la cooperazione nel formato BRICS-Unione Africana raggiunga un nuovo livello qualitativo.

L’Occidente resisterà allo sradicamento del neocolonialismo; è necessario aumentare l’interazione di tutte le forze nella lotta contro questo fenomeno.

Le ex metropoli vogliono ancora parassitare i Paesi da loro dipendenti, solo in modo più sofisticato.

L’Occidente ha reagito ferocemente al movimento di lotta al neocolonialismo “Per la libertà delle nazioni!”, cercando di interrompere il congresso di fondazione.

La formazione di un nuovo sistema di relazioni internazionali è una questione del prossimo futuro; non ci sarà posto per sanzioni, sfruttamento e menzogne.

Sempre più Paesi vogliono vivere in pace, senza l’eredità del sistema coloniale e secondo i principi di uguaglianza sovrana.

Il nuovo ordine mondiale policentrico sarà pragmatico, la diversificazione delle connessioni è la chiave per la stabilità economica.

Il 12 giugno qui era festa nazionale, il giorno della Russia. Qualche buontempone ha piazzato dei cartelloni di invito davanti alle ambasciate dei Paesi ostili. Vi propongo un brevissimo filmato davanti all’ambasciata italiana.


L’Occidente continua i suoi sforzi per intensificare il conflitto.

L’accento è posto proprio sull’attività terroristica del regime di Kiev, sulla guerra contro la popolazione civile con ogni mezzo.

Gli anglosassoni incitano apertamente il regime di Kiev a commettere barbari attacchi terroristici e lo incoraggiano direttamente a colpire in profondità la Russia. E nemmeno questo gli basta. Ora Washington e Londra hanno iniziato a pianificare un sabotaggio su larga scala.

L’8 giugno, il tabloid britannico Daily Express ha scritto che in caso di successo militare o vittoria di Mosca in Ucraina, la giunta Zelenskij “vorrebbe condurre attività terroristiche all’interno della Russia, che includerebbero il bombardamento di scuole e altri obiettivi civili”. Attenzione, lo scrivono i media occidentali, mica quelli russi. Tutto ciò, osserva l’autore del materiale, “avrà conseguenze molto più distruttive di quanto sta accadendo oggi al fronte”. E’ fiducioso che i preparativi per tali azioni siano già in corso e che il “catalizzatore” per la loro attuazione potrebbe essere “l’imposizione di una sorta di accordo di pace a Kiev”.

Cosa significa questo? Il fatto è che molti già riconoscono le attività terroristiche del regime di Kiev.

L’ultima cosa che resta loro da fare è ammettere l’ovvio: che tutte queste attività terroristiche del regime di Kiev sono possibili esclusivamente con il denaro dell’”Occidente collettivo”. Che razza di soldi sono questi? Questo è il denaro che i regimi dei Paesi ostili, in solidarietà con le attività terroristiche del regime di Kiev, prendono dalla gente comune, dalle imprese dei Paesi dell’UE e della NATO.


Il segretario generale della NATO Stoltenberg: “Le forniture di armi a Kiev diventeranno obbligatorie per i Paesi della NATO, saranno coordinate da strutture di comando sotto la guida del generale Cavoli”.

I Paesi dell’UE capiscono che Washington li sta trascinando in uno scontro diretto con la Russia sotto la bandiera della NATO? La pompa isterica dell’opinione pubblica occidentale con la tesi sulla presunta “imminente aggressione contro i Paesi occidentali” da parte della Russia significa solo una cosa: l’amministrazione Biden ha bisogno di ulteriori spargimenti di sangue nel continente europeo per evitare che il proprio governo e l’economia americana crollino.


Marija Zacharova, portavoce del ministero degli esteri russo, sulle elezioni del Parlamento Europeo.

Dal 6 al 9 giugno si sono tenute in 27 Stati membri dell’UE le elezioni per il Parlamento europeo (PE), a seguito delle quali per i prossimi cinque anni dovrebbe essere formata una nuova composizione dell’“organo rappresentativo” dell’Unione europea da 720 seggi.

Siamo costretti a constatare che le elezioni europee si sono svolte nelle seguenti condizioni:

• restrizioni severe,

• mancanza di concorrenza leale,

• eliminazione nel campo informativo delle fonti di informazione alternative,

• campagna antirussa sfrenata.

Le forze politiche che si oppongono allo sconsiderato scontro con la Russia, dannoso per la stessa Unione Europea, sono state oggetto di discriminazioni e spesso di pressioni dirette e vessazioni.

L’ultima campagna elettorale è stata portata al limite dell’assurdo a causa dell’assurdità e dell’irresponsabilità delle dichiarazioni dei politici europei. Sembra che nessun accenno alle elezioni europee fatto dai burocrati dell’UE sia completo senza riferimenti alla “traccia russa”, all’”interferenza russa”, alla “mano del Cremlino” e alla necessità di una “vittoria per l’Ucraina” nel “guerra con la Russia”. Inoltre, con la parola d’ordine di contrastare l’immaginaria “ingerenza di Mosca” nei processi elettorali nell’UE, sono stati compiuti sforzi sistematici per impedire il rafforzamento nel Parlamento Europeo delle posizioni dei Partiti politici che difendono non le linee guida imposte da Washington, ma gli interessi reali degli Stati membri dell’UE e delle loro popolazioni. Qualsiasi espressione di disaccordo con le politiche perseguite da Bruxelles e le sue conseguenze sulla situazione socioeconomica dell’UE è stata immediatamente equiparata a “lavorare nell’interesse del Cremlino”.

L’osservazione delle elezioni del Parlamento europeo, se avesse avuto luogo, sarebbe stata di natura puramente nominale. Pertanto, il numero dei membri della missione speciale dell’OSCE/ODIHR, che ha già regolarmente riconosciuto il rispetto di tutti gli standard delle elezioni europee a prescindere, era di solo 19 persone.

Tuttavia, anche in queste condizioni, molti elettori europei si sono chiaramente espressi contro le politiche perseguite dal “mainstream” dell’UE negli ultimi anni.

In una parte significativa degli Stati membri dell’UE il voto ha assunto un chiaro carattere di protesta, sia a causa del sostegno ai Partiti dell’opposizione che per l’affluenza alle urne palesemente bassa. Nei principali Stati dell’UE, compresi quelli all’origine dell’integrazione europea, si è verificato un significativo rafforzamento delle posizioni delle forze politiche a orientamento nazionale che si oppongono all’erosione della sovranità e dell’identità nazionale, nonché alla sostituzione dei valori tradizionali con valori neoliberisti. Nei Paesi Baltici, i cittadini delusi dalle politiche dell’UE hanno sostanzialmente ignorato le elezioni. In Lettonia ed Estonia si è recato alle urne poco più di un terzo degli aventi diritto. In Lituania l’affluenza alle urne non ha raggiunto il 30%. La situazione non è molto migliore negli altri Paesi che sostengono più attivamente posizioni anti-russe (Polonia, Finlandia, Repubblica Ceca).

Tuttavia, a giudicare dalla reazione del mainstream dell’UE, che con le buone o con le cattive hanno comunque ottenuto la maggioranza totale dei seggi nella nuova composizione del Parlamento Europeo, non trarranno le giuste conclusioni. In effetti, nessuno se lo aspettava, perché il Parlamento Europeo si è trasformato da tempo in un organismo al servizio di interessi che hanno poco a che fare con le aspirazioni dei comuni europei. Sono abituati ad ascoltare di più gli ordini provenienti dall’estero e i desideri delle aziende transnazionali, compreso il complesso militare-industriale.

Negli ultimi anni la posizione conflittuale del Parlamento Europeo nei confronti del nostro Paese è degenerata fino a raggiungere un livello di ostilità senza precedenti. Questa istituzione europea, che produce infiniti testi anti-russi, si è screditata ed è diventata una struttura apertamente russofoba che accoglie tutti i tipi di emarginati che si definiscono “opposizione russa”, e persino estremisti e terroristi. A seguito delle elezioni al Parlamento Europeo, è stata generalmente preservata la “base ideologica” per un ulteriore sostegno all’attuale corso politico autodistruttivo dell’UE basato sulla russofobia.


In settimana, Putin ha incontrato i vertici del ministero degli esteri russo. Potete trovare la mia traduzione completa del suo intervento, come sempre, sui miei canali RuTube, YouTube, Telegram, Blogspot e su Visione TV. Qui voglio darvene solo un sunto, i punti salienti.

Oggi avanziamo nuovamente una proposta di pace reale e concreta.

Se anche stavolta, come già in precedenza, da Kiev e dalle capitali occidentali dovesse giungere un rifiuto a tale proposta, dopotutto sarà affar loro; saranno loro a doversi fare carico della responsabilità politica e morale del non aver posto fine a questo spargimento di sangue. [...]

Non appena da Kiev accetteranno che gli eventi facciano il loro corso per come proposto da noi oggi, non appena acconsentiranno al ritiro completo delle loro truppe dai territori della Repubblica popolare di Doneck, della Repubblica Popolare di Lugansk e dalle regioni di Zaporož’e e di Cherson, quando daranno effettivamente inizio a tale processo [di smobilitazione], noi saremo pronti ad avviare immediatamente i negoziati, senza alcun indugio.

La nostra posizione, sulla quale non transigiamo, è la seguente:

• L’Ucraina deve avere status di Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato;

• L’Ucraina deve essere demilitarizzata e denazificata [...].

Ovviamente, i diritti, le libertà e gli interessi dei cittadini russofoni residenti in Ucraina dovranno essere pienamente garantiti, e le nuove realtà territoriali dovranno essere riconosciute; la Crimea, Sebastopoli, la Repubblica popolare di Doneck, la Repubblica Popolare di Lugansk, così come le regioni di Zaporož’e e di Cherson dovranno essere riconosciute come soggetti territoriali della Federazione Russa.

In seguito, tali imprescindibili disposizioni dovranno essere ufficializzate nella forma di accordi internazionali fondamentali. Naturalmente, questo presupporrà altresì il ritiro di tutte le sanzioni occidentali imposte alla Russia.

Si tratta, in prospettiva tangibile, di formulare i termini per una sicurezza equa e inscindibile, per una collaborazione e uno sviluppo reciprocamente vantaggiosi e paritari nel continente eurasiatico.

Quali passi andranno affrontati in tal senso e secondo quali princìpi?

Primo: va agevolato il dialogo con chiunque possa potenzialmente partecipare a un siffatto futuro sistema di sicurezza […]

Secondo: è importante partire dall’idea che la futura architettura della sicurezza sia accessibile a tutti i Paesi euroasiatici che desiderino prendere parte alla sua creazione [...]

Non è la Russia a costituire un pericolo per l’Europa.

La principale minaccia per gli europei è la loro dipendenza critica, in pratica totale e in costante aumento, dagli Stati Uniti [...]

Se l’Europa vuole conservare se stessa come un autonomo centro di sviluppo mondiale e come uno dei riferimenti planetari di cultura e civiltà, deve senza dubbio essere in rapporti molto buoni con la Russia e, fatto importante, noi siamo disponibili in tal senso […]

Terzo: per far progredire l’idea di un sistema di sicurezza eurasiatico va significativamente incentivato il processo dialogico tra le organizzazioni multidirezionali che lavorano in Eurasia.

Quarto: riteniamo che sia giunto il momento per un’ampia discussione sul nuovo sistema di garanzie bilaterali e multilaterali per la sicurezza collettiva in Eurasia. In prospettiva, nello spazio eurasiatico si deve giungere inoltre a un graduale regresso della presenza militare delle potenze esterne […]

Quinto: tra le importanti componenti del sistema di sicurezza e di sviluppo eurasiatico vanno senza dubbio annoverate le questioni legate all’economia, al benessere sociale, all’integrazione e a una collaborazione mutuamente proficua. […]

Do incarico al Ministero degli Affari Esteri che proceda a cooperare il più possibile all’elaborazione di accordi internazionali in tutte queste direzioni.


Un intervento dell’ambasciatore russo Paramonov.

La Russia ha la propria strada. La vigente Concezione della politica estera russa definisce la Russia come unico Stato-civiltà, una vasta potenza eurasiatica ed euro-pacifica che ha unito il popolo russo e le altre nazioni che compongono la comunità culturale e civile del “Mondo russo”. […] Si basa su più di mille anni di indipendenza dello Stato, e su profondi legami storici con la cultura tradizionale europea e con le altre culture dell’Eurasia. Più di ogni altro Paese, si distingue per la sua capacità di armonizzare la coesistenza di diversi popoli, gruppi etnici, religiosi e linguistici. Per questo la missione storica della Russia è quella di essere sempre aperta al mondo e di svolgere un ruolo di equilibrio negli affari internazionali, di impedire l’egemonia mondiale, di fermare e convincere l’aggressore e, in linea con la propria tradizione culturale e storica, di schierarsi dalla parte della verità e della giustizia. E su questa base armonizzare il mondo.

Tutti gli obiettivi, i progetti e i piani di sviluppo dichiarati e attuati in Russia smentiscono completamente le affermazioni sulle presunte intenzioni aggressive di Mosca nei confronti dell’Occidente e collettivo e in particolare degli Stati membri della UE dopo la fine del conflitto in Ucraina, sulla presunta inevitabilità o alta probabilità di uno scontro armato tra Russia e NATO nel giro di pochi anni. Si tratta di un’assoluta e deliberata menzogna e manipolazione volte a fomentare un’atmosfera di psicosi prebellica, a favore dell’oligarchia globalista e dei complessi finanziari e militari-industriali che ne servono gli interessi.

Tutti coloro che non possono accettare l’esistenza di una Russia forte e sovrana devono comprendere chiaramente le conseguenze che inevitabilmente ne deriveranno se i loro folli scenari di massacro e di sconfitta strategica della Russia dovessero realizzarsi. […] La Russia ha già ripetutamente avvertito della possibilità di una risposta a tali azioni irresponsabili e criminali.

La Russia non si rifiuta di dialogare con l’Italia e gli altri Paesi occidentali, purché questi non tentino di frenare ulteriormente il suo sviluppo e non proseguano nella loro politica di aggressione e di pressione, ma cerchino un percorso di cooperazione e di pace. L’importante è che questo dialogo, possibile su qualsiasi tema, sia condotto su un piano di parità e nel rispetto degli interessi reciproci.

Negli ultimi due anni, la vita dei connazionali in Italia è stata tormentata da difficoltà impreviste – nella collaborazione con banche, strutture amministrative e istituti scolastici. […] Ma vediamo che, nonostante tutto questo, i nostri connazionali sono ancora più uniti, più patriottici, ancora più consapevoli del loro coinvolgimento negli interessi della Patria e del suo presente e futuro.


Il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti veniva rapito e ucciso da una squadra fascista scesa a Roma apposta da Milano.

Capogruppo e segretario del Partito Socialista Unitario, viene ricordato come l’antifascista che il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera la corruzione che aveva caratterizzato la campagna elettorale che aveva portato all’affermazione ad aprile del “listone fascista”: i brogli e le violenze, le aggressioni e gli omicidi.

Giacomo Matteotti per i fascisti era pericoloso. Una pericolosità composta non soltanto dal suo coraggio nel denunciare la violenza squadrista, ma anche dalle sue capacità d’inchiesta e di smascherare le truffe, anche contabili, del governo fascista.

L’11 giugno 1924, il giorno successivo alla sua uccisione, Matteotti avrebbe dovuto riportare alla Camera delle informazioni riguardanti un accordo stipulato tra i più alti gerarchi fascisti e la Sinclair Oil, società fittizia dietro la quale si nascondeva la ricchissima e monopolistica Standard Oil di Rockefeller, la “piovra”, come la definiva Matteotti.

La Standard Oil già deteneva il monopolio energetico in Italia, e attraverso la corruzione e l’elargizione di tangenti era riuscita ad ottenere a condizioni vantaggiosissime anche i diritti di sfruttamento dei giacimenti di petrolio sul suolo dell’Italia (e delle sue colonie), in particolare Emilia e Sicilia.

L’omicidio di Matteotti impedì allo scandalo di scoppiare, e di mettere il regime con le spalle al muro, dimostrando per la prima volta che dietro alla retorica della legalità si nascondeva la corruzione, dietro la retorica del patriottismo si svendevano a compagnie statunitensi i tesori del sottosuolo italiano in perfetta continuità con gli interessi del capitale.

In effetti questo non è stato l’unico caso di favoreggiamento della classe ricca da parte del regime fascista: nel 1914 Mussolini, da socialista, si vende per 30 denari ai produttori di armi e con quel denaro ci fonda un giornale incentrato sulla propaganda bellicista; come Partito politico, il movimento fascista si presenta nel 1919 come antipartito antiparlamentare antiliberale e violento, e prende pochissimi voti, e quindi diventa il Partito anticomunista che impone (sempre con la violenza) la fine degli scioperi e l’interruzione delle manifestazioni (per “riportare la legalità”), alleandosi de facto con i padroni delle fabbriche e delle imprese agricole, conquistando così il consenso della classe borghese, e riuscendo così, grazie al beneplacito dei padroni e degli sfruttatori, ad andare al governo nelle elezioni del 1924; una volta al governo, riduce la spesa del welfare, licenzia oltre 65.000 dipendenti pubblici, elimina l’imposta progressiva di successione, applica quello che Germà Bel definisce “primo caso di privatizzazione su larga scala in un’economia capitalista”, riduce i salari e scioglie i sindacati non fascisti, il tutto con il plauso di Luigi Einaudi, Winston Churchill e della stampa liberale internazionale.

Per ironia della storia, o per propaganda, questo regime corrotto e classista viene ad oggi chiamato “destra sociale”, laddove di sociale non ha mai avuto nulla: analizzando la storia del fascismo, dietro alle retoriche nauseanti Dio Patria Famiglia, o alla millantata lotta alle plutocrazia, si arriva a una verità mai abbastanza sottolineata: il fascismo è una delle facce del capitalismo.

Il capitalismo, che quando si sente potente mostra il suo volto liberale e aperto, e che quando viene messo alle strette dall’emersione delle sue intrinseche contraddizioni, e si scontra con chi vuole liberarsi dal giogo dei potenti, non esita a diventare bigotto, repressivo, violento, noioso come solo i violenti possono essere, asfissiante: fascista.

L’omicidio di Matteotti sarebbe dovuto diventare l’ennesimo evidente campanello d’allarme dei tempi a seguire, poteva essere quella cartina al tornasole necessaria per riconoscere il fascismo in ogni sua sfaccettatura. Non serviva la marcia su Roma, il saluto romano o le camicie nere per riconoscere il fascismo, ma oggi come ieri, il fascismo, va riconosciuto in nuce nella lotta di classe dall’alto verso il basso, nella privatizzazione dei nostri pochi beni che rimangono comuni, nella colpevolizzazione dei poveri e delle povere, nella disposizione a ogni sacrificio (da parte degli oppressi) per salvare l’economia.

Il neoliberismo non è una teoria economica, è un dispositivo fascista; ciò che ci serve è un antifascismo che riconosca che nel mondo esiste la classe degli oppressori e quella degli oppressi, e che tutti siamo chiamati a scegliere da quale parte stare.

Amarcord

La settimana scorsa vi avevo proposto un mio viaggio di 6.000 km in auto lungo tutta l’Europa di 35 anni fa. Ebbene, eccovi una panoramica di 7.500 km lungo tutta la Russia, senza muoversi dal Paese. Un breve filmato diffuso dall’ambasciata russa a Roma.

Ed eccone un altro, stavolta del ministero degli esteri.


Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Il 22 giugno in Russia è il giorno dello struggimento, della rabbia, della pena, del cordoglio. Alle quattro del mattino, nel 1941, i nazifascisti hanno iniziato a bombardare l’Unione Sovietica. E’ iniziata la Grande Guerra Patriottica.

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