Trentaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 31 luglio 2023 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
La notizia del giorno, ovviamente, sono i droni ucraini prima su Taganrog, nella provincia di Rostov sul Don, non lontano dal fronte del conflitto in atto, e poi, domenica all’alba, in Crimea e a Mosca. Proviamo a capirci qualcosa.
Per Taganrog, una cittadina di 200 mila abitanti, il missile è stato intercettato e disabilitato, con corposi detriti precipitati al suolo. Tanta paura, distrutto l’ingresso dell’agenzia fiscale, vetri alle finestre saltati, grave, ma insomma nulla di gravissimo, contrariamente a quanto ci dicono i canali Telegram locali ed anche alcuni italiani ivi residenti. Una dozzina di feriti, nessun morto.
Il giorno dopo, e cioè all’alba di domenica, 25 droni hanno tentato di penetrare la Crimea. Sedici sono stati abbattuti dalle forze di difesa aerea, altri nove sono stati soppressi mediante mezzi di intercettazione elettronica, senza raggiungere alcun obiettivo, e si sono schiantati nel Mar Nero. Non ci sono state vittime o danni.
Finalmente, la capitale. Colpito il centro di Mosca, si sbracciano i media mainstream italiani. Calma. Un drone è stato abbattuto sopra Odincovo, un quartiere dormitorio nella provincia moscovita di 180 mila abitanti. Altri due droni sono stati neutralizzati elettronicamente e i loro detriti sono precipitati sul quartiere Moscow City. E qui è importante fornire alcuni dati. Moscow City è un recente quartiere periferico, costituito esclusivamente da grattacieli adibiti ad uffici. Come è piuttosto evidente, non abitandoci nessuno, nella notte tra sabato e domenica i palazzi erano vuoti. Saltati parecchi vetri. Altro che centro di Mosca. Anche se recentemente vi si sono trasferiti i ministeri dello sviluppo economico, del commercio industriale e della digitalizzazione.
Il punto è un altro. Sia nei media russi, sia nei canali Telegram, sia vox populi, si dice sempre più insistentemente: perché la Russia si limita a dichiarare che “si riserva di dare una risposta adeguata” ma poi non fa nulla? Ed io concordo. No, lungi da me dall’incitare alla guerra totale, pur definendomi personalmente da decenni un “pacifista nient’affatto pacifico”, però in effetti, ritengo che la Bankovaja ulica, questa sì che è in pieno centro di Kiev, sia un legittimo obiettivo. Ricordiamoci che, nonostante nove anni di bombardamenti sulla popolazione civile nel Donbass da parte dei neonazisti ucraini, la Russia non si è mai posta l’obiettivo di colpire i civili pacifici ucraini, solo le strutture ed infrastrutture militari.
Ebbene, perché proprio la Bankovaja? Spiego. Vi si trova l’amministrazione del presidente, non lontano c’è la Verchovnaja Rada, cioè il parlamento, il consiglio dei ministri, cioè il governo, e quant’altro. Certo, si dice, non sono obiettivi strategici per l’operazione militare speciale. Però, psicologicamente, sarebbe determinante per entrambi i lati del fronte. Per gli ucraini, capire che in fisica ad ogni azione segue una reazione. Per i russi, che niente resterà impunito.
Il ministro degli Esteri italiano, il vice primo ministro, Antonio Tajani ha reagito negativamente alla pubblicazione dell’ambasciata russa a Roma in merito alla discussione al Senato della Repubblica della questione del riconoscimento del cosiddetto “Golodomor” come genocidio del popolo ucraino, sebbene allo stesso tempo ha chiesto di mantenere aperti i canali di dialogo con Mosca.
“Dobbiamo mantenere un dialogo aperto con Mosca, e sappiamo benissimo qual è la loro posizione. Su questo argomento abbiamo un’opinione completamente diversa. Non condividiamo le dichiarazioni contenute nella lettera dell’ambasciata russa. Un ambasciatore è un ambasciatore, ma tali lettere vengono rispedite al mittente”, ha detto il capo del ministero degli Esteri italiano ai giornalisti a margine di un evento pubblico a Roma.
Sui giornali italiani ho letto di tutto in merito, il Foglio di Giuliano Ferrara parla addirittura di “ignobile comunicato dell’ambasciata”. E che avrà mai detto di così disdicevole l’ambasciata? Leggiamolo, non è lungo.
Il Senato italiano ha discusso il riconoscimento del cosiddetto “golodomor” come genocidio del popolo ucraino. La carestia del 1932-1933 è una tragedia comune, il cui ricordo unisce i popoli di Russia, Ucraina e Kazachistan. Fu il risultato della sovrapposizione degli errori gestionali da parte delle amministrazioni regionali delle zone agricole dell’URSS sulle condizioni climatiche sfavorevoli dei primi anni ‘30.
Le pagine difficili della storia, assolutamente, devono essere studiate bene. Ma questo è possibile solo sulla base delle ricerche storiche professionali e obiettive. Tuttavia, coloro che, con una tenacia degna di una migliore applicazione, trascinano avanti la tesi del “golodomor-genocidio”, meno di tutto si interessano all’accuratezza scientifica e all’autenticità storica. Si ricorre alle manipolazioni e distorsioni, falsificazioni dei dati sui numeri dei morti. Tutto questo si fa con un solo obiettivo: massimizzare la disunione dei popoli uniti dai plurisecolari legami storici, culturali e spirituali.
Si vuole sperare che i senatori italiani, a differenza dei loro colleghi dalla camera bassa, mostrino lungimiranza e ampiezza di vedute storiche e non seguano la via della propaganda del mito politico e ideologico fomentato dalle autorità ucraine per compiacere le forze ultranazionaliste, neonaziste e russofobe e i loro patroni angloamericani.
Punto. Comunque la si pensi, non mi pare né ignobile, né da rispedire al mittente. In Ucraina esiste una legge che riconosce la carestia del “genocidio del popolo ucraino” del 1932-1933, chiamata dalle autorità di Kiev “Golodomor”. Tuttavia, la carestia ha colpito non solo l’Ucraina, ma anche molte altre regioni agricole dell’URSS, tra cui il Caucaso settentrionale, le regioni del Basso e Medio Volga, una parte significativa della regione centrale delle Terre Nere, il Kazachstan, la Siberia occidentale e la regione meridionale degli Urali. Secondo varie fonti, 7-8 milioni di persone sono morte di fame, di cui 3-3,5 milioni in Ucraina, 2 milioni in Kazachstan e Kirgizia e 2-2,5 milioni nella RSFSR. Un anno prima, lungo il Volga, addirittura 6 milioni. L’intera popolazione multietnica delle zone colpite soffriva la fame.
La settimana passata a Pietroburgo si è svolto il forum economico e umanitario Russia-Africa. Su 54 Paesi del continente africano, vi hanno partecipato i capi di Stato e di governo di 49 Paesi. Tuttavia, la notizia, per i media occidentali, è che cinque Paesi non hanno partecipato, secondo loro “per protesta”. E sì che, nella fattispecie, il presidente del Niger non ha potuto presenziare per una ragione ben più che plausibile: è in atto un colpo di Stato.
Parliamo piuttosto di quanto è stato detto di importante da Putin, mi pare più interessante. Comprendendo l’importanza di un approvvigionamento alimentare ininterrotto per lo sviluppo socio-economico e il mantenimento della stabilità politica degli Stati africani, la Russia sta aumentando la fornitura di prodotti agricoli all’Africa. Così, nel 2022, 11,5 milioni di tonnellate di grano sono state inviate nei Paesi africani e solo nei primi sei mesi di quest’anno quasi 10 milioni. E questo nonostante le sanzioni illegali imposte alle nostre esportazioni, che ostacolano seriamente l’approvvigionamento di cibo russo, complicano la logistica dei trasporti, le assicurazioni e i pagamenti bancari.
Il potenziale dell’Africa è evidente. Il tasso di crescita medio annuo del PIL del continente negli ultimi 20 anni – 4-4,5 per cento all’anno – supera quello globale. La popolazione si avvicina a 1,5 miliardi e cresce più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo. Le cifre parlano da sole: l’anno scorso, il commercio di prodotti agricoli tra Russia e Paesi africani è cresciuto del 10 per cento a 6,7 miliardi di dollari, e nel gennaio-giugno di quest’anno è già aumentato di un record del 60 per cento.
In quasi un anno, come parte del cosiddetto accordo sul grano, un totale di 32,8 milioni di tonnellate di merci è stato esportato dall’Ucraina, di cui oltre il 70 percento è andato in Paesi con livelli di reddito medio-alto, compresa soprattutto l’Unione Europea, mentre la quota di Paesi come Etiopia, Sudan, Somalia e tanti altri rappresentava – attenzione – meno del tre per cento del totale: meno di un milione di tonnellate.
Nessuno dei termini dell’accordo, riguardante il ritiro dalle sanzioni delle esportazioni russe di cereali e fertilizzanti verso i mercati mondiali, è stato rispettato. Sono stati inoltre frapposti ostacoli al trasferimento gratuito di fertilizzanti minerali da parte russa nei Paesi più poveri e bisognosi. Delle 262mila tonnellate di tali fertilizzanti bloccate nei porti europei, ne sono stati spediti solo due lotti: solo 20mila tonnellate in Malawi e 34mila tonnellate in Kenya. Il resto è rimasto nelle mani degli europei. E questo nonostante si trattasse di un’azione puramente umanitaria, che, in linea di principio, non dovrebbe essere soggetta ad alcuna sanzione.
Putin ha rassicurato che continuerà a sostenere i Paesi e le regioni più bisognosi, fornendo cereali e altri alimenti, anche gratuitamente, nonché nell’ambito del programma alimentare delle Nazioni Unite. Nei prossimi tre o quattro mesi la Russia fornirà gratuitamente dalle 25 alle 50.000 tonnellate di grano a sei Paesi africani: Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana, Eritrea. La Russia sta anche partecipando agli sforzi per alleviare l’onere del debito dei Paesi africani. Ad oggi, il debito totale cancellato è di $ 23 miliardi.
L’Ucraina nell’ultimo anno agricolo ha prodotto circa 55 milioni di tonnellate di cereali. Le esportazioni sono ammontate a 47 milioni di tonnellate, molto, inclusi 17 milioni di tonnellate di grano. E la Russia l’anno scorso ha raccolto 156 milioni di tonnellate di cereali. Sono state esportate 60 milioni di tonnellate, di cui 48 milioni di grano.
La quota della Russia nel mercato mondiale del grano è del 20%, quella dell’Ucraina è inferiore al 5%. Ciò significa che è la Russia che contribuisce in modo significativo alla sicurezza alimentare globale ed è un fornitore internazionale solido e responsabile di prodotti agricoli. E coloro che affermano che non è così, che questo è solo un garantire questo cosiddetto affare del grano per l’esportazione di grano ucraino, stanno semplicemente distorcendo i fatti, raccontando bugie. In effetti, questa è stata la pratica di alcuni Stati occidentali per decenni, se non secoli.
Tutto il clamore che circonda il fallito accordo sul grano russo-ucraino si riduce al fatto che i poveri africani muoiono di fame perché Putin non libera il grano ucraino. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha accusato Mosca di usare il cibo come arma quando priva i bisognosi dell’opportunità di mangiare. Tuttavia, se si guarda all’esportazione di grano ucraino, i suoi principali consumatori sono solo maiali spagnoli leggermente sovralimentati che si nutrono di granoturco. Il grano occupa un posto più modesto nelle esportazioni di cereali. I suoi principali consumatori sono Cina, Spagna, Turchia, Italia e Paesi Bassi. Non è un caso: le esportazioni ucraine, che arricchiscono gli oligarchi, competono con le esportazioni dell’UE, provocando un tale scalpore che persino i polacchi, che nutrono teneri sentimenti per Kiev, sono stati coinvolti in una scaramuccia con gli ucraini.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia. Ho parlato spesso dell’amore smodato, spesso non giustificato e da taluni italiani non corrisposto, dei russi per l’Italia e gli italiani. E mi si dice che non è vero. Beh, ma allora gli italiani dovrebbero protestare più risolutamente, no?
Talvolta, ho accennato che in un’altra vita ho cantato opera anch’io. Tranquilli, non è autopromozione: non ho mai raggiunto vette eccelse, e poi ho smesso 16 anni fa. Però ho cantato spesso dapprima in russo quando ero in Italia, e poi in italiano qui a Mosca.
La foto si riferisce addirittura al 1999, in Italia. Oggi, vi propongo una vecchia registrazione del 2006, “Se nel ben” di Alessandro Stradella, siamo nel XVII secolo, in un teatro moscovita.
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