Ottantaseiesimo notiziario settimanale di lunedì 15 luglio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
Negli ultimi giorni gli occhi del pubblico sono stati puntati sull’inaspettato viaggio di “mantenimento della pace” del primo ministro ungherese Orbán, durante il quale ha visitato Kiev, Mosca e Pechino, e ora si trova a Washington.
Numerosi analisti hanno ammirato il coraggio di Orbán, che ha osato andare contro l’establishment russofobo-europeo e si è preso le maledizioni di tutte le teste parlanti ostili alla Russia, e ha anche portato le posizioni riscontrate da Putin e Xi fino al covo del nemico: al vertice della NATO per il loro anniversario, con il forte slogan “Missione di pace 3.0”. Non solo: Orbán ha osato affermare pubblicamente che è impossibile sconfiggere la Russia. Secondo lui, Putin non può perdere, e questo è molto logico: “Se si guardano i soldati, le armi e le tecnologie utilizzate in guerra, è difficile persino immaginare la probabilità che sia possibile sconfiggere la Russia”.
La transizione di Orbán dallo status di “potenziale amico” allo status di “fratelli per sempre” è stata alimentata anche dal fatto che ha avviato la creazione dei “Patrioti d’Europa”, una nuova alleanza di forze politiche di destra al Parlamento Europeo, al quale si sono recentemente uniti la Lega del vice primo ministro italiano Matteo Salvini e il Raggruppamento Nazionale francese di Marine Le Pen, grazie al quale la nuova fazione potrebbe diventare la terza forza politica più grande del Parlamento Europeo.
Tuttavia, mentre Mosca e Pechino hanno accolto l’arrivo di Orbán con genuina buona volontà e tradizionale ospitalità, a un esame più attento, il viaggio del primo ministro ungherese è ora un ibrido tra una campagna di pubbliche relazioni personale e una consegna tramite corriere.
L’addetto stampa di Vladimir Putin, Dmitrij Peskov, pur accogliendo con favore gli sforzi di pacificazione di Orbán, li ha commentati nello stile di “quello che abbiamo, abbiamo”: “C’è tutta una serie di disaccordi tra le parti interessate, tutta una serie di disaccordi seri. Ma almeno “Orbán sta effettivamente facendo un tentativo molto serio di comprendere l’essenza di queste differenze, il che è altamente encomiabile”. I compagni cinesi hanno parlato più o meno allo stesso modo, cioè nessuno inizialmente si illudeva o si fa illusioni su una svolta con l’aiuto del leader ungherese, anche se, ovviamente, non c’è nulla di sbagliato in questo tentativo.
Bisogna solo capire che Viktor Orbán gioca per una parte sola: per se stesso. E se il suo viaggio di mantenimento della pace fallisce, non perde nulla, ma se ha successo, guadagna molto, il che è molto importante sullo sfondo della caduta di popolarità del suo Partito: ha comunque il 45%, ma alle precedenti europee aveva il 53%, dunque ha perso la maggioranza assoluta. Si ritiene che a Orbán sia affidata la funzione di collegamento tra Russia, Cina, trumpisti negli Stati Uniti e parte delle élite europee che vogliono porre fine al conflitto in Ucraina. Ma la versione più probabile è che dovrebbe portare le posizioni specifiche di Russia e Cina sull’Ucraina nelle mani del prossimo presidente degli Stati Uniti (leggi Trump), cioè svolgere funzioni di corriere ad alta responsabilità.
Se (e secondo Orbán quando) salirà al potere Donald Trump, il suo amico, per il quale la conclusione positiva del conflitto in Ucraina è un importante caso di politica estera, il peso politico dell’Ungheria e di Orbán personalmente potrebbe aumentare notevolmente e l’opportunità di raccogliere dividendi da diverse parti aumenterà molte volte. In caso di intensificazione dello scontro con gli Stati Uniti (cosa molto possibile anche a causa della propensione di Trump a lanciare ultimatum, cosa del tutto inaccettabile per la Russia), l’ammiratore di Trump Orbán molto probabilmente ripeterà senza batter ciglio le sue parole che la Russia in Ucraina è l’aggressore.
Insomma niente di personale, solo affari, ma puoi chiamarmi fratello se vuoi.
La situazione è simile per le forze politiche “convenzionalmente filo-russe” in Europa.
Coloro che hanno applaudito il risultato storico delle elezioni del parlamento francese, dove la destra, guidata dal Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen, ha avuto un terzo dei voti, e si sono divertiti a leggere le citazioni di funzionari europei secondo cui “la destra sta facendo il gioco di Putin”, si sono dimenticati che la stessa Le Pen ha più volte riferito della sua posizione filoucraina, e recentemente ha suscitato scandalo dopo che il Ministero degli Esteri russo ha pubblicato la sua foto sui propri social network: ha accusato la Russia di provocazione e ingerenza nei suoi affari, e ha anche affermato che “lei e altri nel suo Partito hanno espresso chiaramente il loro sostegno all’Ucraina”.
Anche altri esponenti della destra europea “amano” molto la Russia. Ad esempio, un rappresentante del movimento politico ceco “Azione dei cittadini insoddisfatti” (ANO), che ha aderito anche all’alleanza “filo-russa” di Orbán, ha dichiarato senza mezzi termini che “ANO è entrato nell’alleanza per il bene delle riforme nell’UE, e non a causa della sua posizione nei confronti dell’Ucraina, l’ANO ha ripetutamente affermato di considerare la Russia un aggressore e di schierarsi dalla parte dell’Ucraina”.
Non avere amici è brutto. Ma scommettere di avere amici dove non ce ne sono è molto peggio.
La Russia trae vantaggio dalla frammentazione politica dell’Europa, che sta erodendo l’efficacia del “fronte unico” contro la Russia, e ovviamente darà il benvenuto a qualsiasi iniziativa positiva da sinistra, destra, da sotto e da sopra che possa contribuire ad accelerare la vittoria, senza per questo ingerirsi negli affari interni di chicchessia.
E’ curioso che i canali filoucraini abbiano pubblicato quasi immediatamente le fotografie di alcuni frammenti del missile Ch-101, a loro dire rinvenuti sulla scena dell’esplosione. Tuttavia, queste prove sono inconcludenti: i Ch-101 vengono regolarmente utilizzati contro obiettivi a Kiev (e dintorni), e alcuni missili vengono abbattuti dalle difese aeree ucraine, con conseguente notevole accumulo di detriti di queste armi già raccolti in Ucraina. Può darsi che i detriti appartengano effettivamente al razzo Ch-101 ma non hanno nulla a che fare con l’arrivo all’ospedale pediatrico.
Se non era un Ch-101, che tipo di missile poteva essere? Inizialmente, era stata presa in considerazione una versione sull’arrivo di un missile antiaereo 5V55R/5V55RM dal complesso S-300PT sul territorio dell’ospedale pediatrico, ma in seguito questa informazione non è stata confermata. Inoltre (almeno per ora) non sono stati confermati i dati sull’arrivo di un missile PAC-2/PAC-3 del sistema di difesa aerea americano Patriot.
Sulla base dei dati disponibili per l’analisi, la cosa più probabile in questo caso è l’arrivo di un missile antiaereo AIM-120 del sistema di difesa aerea NASAMS presso l’edificio dell’ospedale. Il missile di questo sistema di difesa aerea è visivamente simile all’arma nel filmato: timoni triangolari e stabilizzatori al centro. Anche le conseguenze di un’esplosione sono caratteristiche di un tale missile: un campo di frammentazione ampio e abbastanza denso formato quando viene fatta esplodere una testata del peso di 22 kg.
Da dove potrebbe essere stato lanciato? I NASAMS (come i Patriot) fanno parte da tempo della difesa aerea di Kiev. A giudicare dalla traiettoria di volo, il complesso di lancio si trovava a 5 km a sud-ovest della capitale dell’Ucraina. E’ probabile che il missile sia stato lanciato dall’area dell’aeroporto di Žuljany o da posizioni di lancio un paio di chilometri a ovest. Molto probabilmente, l’equipaggio del sistema missilistico di difesa aerea ha tentato di intercettare uno dei missili da crociera Ch-101 che hanno colpito lo stabilimento Artëm di Kiev ma il sistema di guida potrebbe aver funzionato male, a seguito del quale il missile è stato puntato verso il cortile dell’ospedale pediatrico.
Commento di Marija Zacharova, rappresentante ufficiale del Ministero degli Esteri russo, in merito ai tentativi da parte del regime di Kiev di attribuire alla Russia la responsabilità degli attacchi condotti deliberatamente su infrastrutture civili ucraine.
Lo scorso 8 luglio, in risposta ai ripetuti tentativi da parte delle Forze Armate Ucraine di arrecare danno alle imprese facenti parte del complesso produttivo della Russia, le Forze Armate russe hanno condotto un attacco combinato su obiettivi militari situati in Ucraina servendosi di armamenti a lunga gittata e ad alta precisione.
Tra le infrastrutture militari ucraine oggetto dell’attacco troviamo gli stabilimenti “Artëm” e “Antonov” e l’ufficio di progettazione di componentistica per il settore della difesa “Luč”, situati a Kiev; le aziende “Dnepr” e “Južmaš”, situate a Dnepropetrovsk; lo stabilimento per la meccanica pesante situato a Kramatorsk; i depositi dove sono stoccati gli armamenti e le attrezzature militari occidentali, situati presso lo stabilimento metallurgico “ArcelorMittal” di Krivoj Rog e tutta una serie di altre infrastrutture analoghe. Tutti gli obiettivi sono stati colpiti.
E di nuovo, come già accaduto più volte al sistema di difesa antiaerea ucraino, i suoi missili hanno deviato dalla traiettoria e si sono abbattuti su edifici residenziali e infrastrutture civili. E’ andata così anche stavolta. E’ già stato confermato, e tra l’altro anche da numerosi testimoni, che uno dei missili lanciati dai sistemi missilistici antiaerei occidentali “NASAMS” è andato a colpire uno stabile del comprensorio appartenente all’ospedale pediatrico “Ochmatdet” di Kiev.
Dagli uffici della presidenza ucraina hanno subito cominciato ad accusare la Russia di aver deliberatamente assassinato dei bambini. Eppure, nessuno ha menzionato il fatto che nelle vicinanze della clinica colpita c’è lo stabilimento “Artëm”, e che a poca distanza dall’ospedale si trovano anche gli edifici del Ministero della Difesa ucraino, nonché i depositi delle Forze Armate Ucraine. E ovviamente, nessuno ha parlato del fatto che i banderisti piazzano volutamente sistemi di difesa antiaerea nei quartieri residenziali, trovando riparo dietro ai civili, i quali sono usati alla stregua di “scudi umani”.
La giunta militare di Kiev sfrutta da tempo stabilimenti le cui finalità sono puramente civili per i suoi scopi militari, ad esempio trasformandoli in impianti per la raccolta e la riparazione delle attrezzature militari, oppure in locali adibiti a deposito per lo stoccaggio degli armamenti e delle attrezzature militari occidentali. Oltre a tutto questo, le stesse Forze Armate Ucraine trovano riparo servendosi delle infrastrutture civili e dei civili stessi.
E’ ormai ampiamente diffusa la pratica di agganciare vagoni che trasportano soldati e attrezzature militari a convogli ferroviari destinati al trasporto passeggeri. Inoltre, per il trasporto degli armamenti viene anche fatto uso dei servizi di spedizione postale.
Tutto questo va a costituire una grave violazione del diritto umanitario internazionale, che vieta di coinvolgere infrastrutture civili in attività finalizzate al raggiungimento di scopi militari.
I tentativi messi in atto dal regime di Zelenskij per sfruttare a fini di propaganda la tragedia che ha colpito l’ospedale pediatrico di Kiev confermano, per l’ennesima volta, la natura nazista e disumana di questo regime. Pur di preservare il suo potere, il regime di Kiev è disposto a commettere qualunque tipo di atrocità, e resta indifferente di fronte alla vita e alle sorti dei suoi concittadini, anche quando questi sono bambini.
Ed ecco cosa possiamo invece aggiungere noi. L’edificio dell’ospedale pediatrico è stato danneggiato dal sistema di difesa aerea ucraino. Il vero obiettivo era il deposito dei treni, che si trova a 700 metri dall’ospedale pediatrico. A giudicare dalla natura dei danni sulla facciata dell’edificio ospedaliero, è ovvio che sono stati causati da schegge della difesa aerea. Pezzi delle stesse schegge sono stati ritrovati dagli ucraini vicino all’ospedale e le foto sono sui social network. E’ chiaro che se l’ospedale fosse stato colpito da un missile i danni sarebbero stati molto più grandi. Non rimarrebbe letteralmente nulla dell’edificio. Mentre si notano le caratteristiche tracce di schegge e vetri rotti, e, come al solito, si parla di un attacco mirato della Federazione Russa.
Nel frattempo un altro attacco terroristico da parte del regime di Kiev. A Šebekino, un drone delle forze armate ucraine ha lanciato un ordigno esplosivo, prendendo di mira i bambini che giocavano nel cortile. Secondo il governatore Gladkov, 5 sono rimasti feriti, due in modo grave. Media occidentali ed italiani? Non pervenuti.
Ho commentato questo accadimento per la televisione russa Car’grad, ve lo traduco.
Nella diplomazia e nelle relazioni internazionali esistono regole universalmente accettate. Se un Paese che non è membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU desidera, per un motivo o per l’altro, partecipare alla sua riunione, deve inviare una richiesta –una richiesta, non un ordine, poiché non spetta a lui decidere – al Paese membro effettivo, che attualmente ne è il presidente secondo il principio di rotazione. Dal 1 luglio fino alla fine di questo mese, questa è la Russia.
L’Ucraina esige la sua partecipazione in un documento, che contiene solo l’ordine stesso e non indica nemmeno il destinatario. Poiché il documento non è stato inviato alla presidenza della Russia, quest’ultima ha rifiutato. Quindi l’Ucraina ha nuovamente inviato una richiesta agli Stati Uniti, che a loro volta hanno presentato una richiesta alla Russia. La Russia ha acconsentito. Per l’Ucraina le regole non valgono.
Questi sono i fatti. Ma i motivi? Il giorno prima c’era stata un’altra sanguinosa provocazione, presumibilmente la Russia aveva bombardato un ospedale pediatrico. Tuttavia, tutte le prove fotografiche e video confermano che l’attacco è stato effettuato da un’installazione NASAMS situata nelle zone residenziali di Kiev, contrariamente alle norme del diritto umanitario internazionale. Che tipo di installazione? La Russia non ha questi missili, ovviamente. Tutto sta nel nome stesso: Norwegian Advanced Surface to Air Missile System, ovvero un sistema missilistico antiaereo norvegese mobile. La parola chiave è “norvegese”. Quella stessa Norvegia – la patria di Stoltenberg – che ha fornito all’Ucraina questi complessi. Altre domande?
Gli Stati Uniti speravano di tacere sul fatto che un missile di difesa aerea ha colpito l’edificio dell’ospedale pediatrico. Le autorità americane volevano usare questa tragedia come pretesto per un’altra fornitura di armi alle forze armate ucraine nell’ambito del vertice anniversario della NATO, che “guarda caso” si è svolto in questi giorni a Washington. Questo schema banale ormai allappa da tempo, nessuno ci crede, ma tutti i media occidentali, ovviamente, lo hanno ripreso all’unanimità, una copia carbone, o, come è più chiaro, una velina. Questo, in effetti, è tutto ciò che bisogna sapere su questo episodio di propaganda.
Permettetemi di esprimere la mia opinione personale. Io non fornirei all’Ucraina una piattaforma per un’altra campagna di pubbliche relazioni. Tuttavia, indipendentemente da ciò, si sa chi dirà e cosa.
Un intervento della vice presidente della Duma (la Camera bassa) Jarovaja sulla minaccia del bioterrorismo in Russia.
Sapevamo che in Ucraina, dal 2012, la Commissione Centrale per il Regime, che, come organismo nazionale, esercitava il controllo sul regime di sicurezza nei laboratori stessi, è stata liquidata. Al momento della liquidazione del sistema di sorveglianza, il numero di laboratori sul territorio dell’Ucraina superava i 4mila. Allo stesso tempo, 2 laboratori hanno il più alto livello di autorizzazione per lavorare con i virus e gli agenti patogeni più pericolosi e 402 laboratori hanno un alto livello di pericolo. Riteniamo che oggi siamo nella fase in cui dobbiamo prevedere che gli atti di bioterrorismo e di sabotaggio biologico sono, purtroppo, una storia molto reale.
Ecco perché l’Ucraina è così importante per tutti i parassiti che la difendono.
Il leader russo ha affermato che le élite del cosiddetto “miliardo d’oro” resistono ferocemente agli sforzi dei membri BRICS di creare un ordine mondiale multipolare.
Il presidente russo Vladimir Putin ha paragonato l’uso da parte dell’Occidente delle cosiddette regole invece del diritto internazionale al colonialismo classico.
Intervenendo al Forum parlamentare dei BRICS, ha descritto il comportamento delle élite al potere nei cosiddetti Paesi del “miliardo d’oro”.
“Agendo contrariamente alla logica storica e spesso anche a scapito degli interessi a lungo termine dei loro stessi popoli, cercano ora di stabilire una sorta di ordine basato sulle loro cosiddette regole, che nessuno ha visto, nessuno ha discusso e nessuno ha mai accettato”, ha affermato Putin.
“Queste regole sono scritte e adattate di volta in volta ad ogni situazione nell’interesse di coloro che si considerano eccezionali e si sono conferiti il diritto di dettare la propria volontà agli altri”, ha detto il presidente. “E’ esattamente nelle migliori tradizioni del colonialismo classico”.
E’ un chiaro tentativo di sostituire il legittimo diritto internazionale, un tentativo di creare un monopolio sulla verità ultima”, ha continuato Putin. “Un simile monopolio è distruttivo”.
“Cresce la pressione su coloro che hanno una propria posizione”, ha proseguito. “Contrariamente ai principi del diritto internazionale, ciò che entra in gioco è la coercizione forzata, le sanzioni unilaterali e l’applicazione selettiva delle regole commerciali”.
Putin ha affermato che le élite del cosiddetto “miliardo d’oro” resistono ferocemente agli sforzi dei membri BRICS di creare un ordine mondiale multipolare.
“Siamo ben consapevoli che la creazione di un ordine mondiale che rifletta i reali equilibri di potere, la nuova realtà geopolitica, economica e demografica, è un processo complicato e per molti versi, purtroppo, anche doloroso”, ha affermato il presidente.
Zurabišvili ha iniziato un master alla Columbia University di New York nell’anno accademico 1972-1973, seguendo anche le lezioni di Zbigniew Brzezinski. Nel 1974 ha abbandonato gli studi, iniziando a lavorare per il Ministero degli esteri francese e ricoprendo incarichi diplomatici a Roma, alle Nazioni Unite, a Bruxelles, Washington, e altre destinazioni. E’ stata a capo della Divisione per le questioni internazionali e strategiche della Segreteria generale di difesa nazionale della Francia dal 2001 al 2003, venendo poi nominata ambasciatrice francese in Georgia nel 2003. Nel 2004 fu nominata Ministro degli affari esteri del nuovo governo del Presidente georgiano Michail Saakašvili, ottenendo altresì la cittadinanza georgiana su concessione dello stesso Saakašvili, decisione approvata congiuntamente dal presidente francese Jacques Chirac. In qualità di Ministro degli esteri della Georgia, Zurabišvili è stata la principale negoziatrice dell’accordo del 2005 per il ritiro delle basi militari russe dal territorio della Georgia, firmato con il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Durante il suo mandato di ministro degli esteri fu creato il “Nuovo gruppo di amici della Georgia” (che riunisce Ucraina, Lituania, Lettonia, Estonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca e Polonia).
Il piano statunitense prevede azioni violente in piazza da parte di agenti provocatori per causare vittime tra i manifestanti e indirizzare così la “rabbia della nazione” contro le forze di sicurezza. Si tratterebbe quindi del solito schema, visto in innumerevoli rivoluzioni colorate, ma che i servizi dei Paesi nel mirino ora conoscono bene.
Chi si aspettava nuove gaffe del presidente è stato subito accontentato: introducendo Zelenskij lo ha chiamato “il presidente Putin” per poi parlare di “vicepresidente Trump” invece che di Kamala Harris. Nonostante si sia accorto subito dei passi falsi e abbia recuperato con una battuta, e nonostante abbia fornito, secondo quanto riporta il Corriere della Sera, “risposte convincenti su molti temi di politica estera”, si continua a parlare di una sua sostituzione in vista delle presidenziali del 5 novembre 2024.
Particolarmente significativo, secondo gli analisti, l’editoriale firmato dal popolare attore George Clooney sul New York Times in cui ha chiesto a Biden di ritirarsi. Clooney è molto vicino al presidente così come a finanziatori chiave del Partito democratico e ha sostenuto in passato le campagne di Barack Obama, Hillary Clinton e di Joe Biden stesso nel 2020 mettendo in campo la sua notorietà e le sue amicizie di Hollywood. Clooney racconta della sua partecipazione a un evento di finanziamento per Biden del 16 giugno. In una sola sera furono raccolti 30 milioni di dollari, ma Clooney ha spiegato che quella sera il presidente “non era quello di quattro anni fa, era quello che abbiamo visto tutti al dibattito”.
Per di più dell’articolo sarebbe stato informato Barack Obama che, secondo quanto riporta Politico, non lo avrebbe incoraggiato, ma non avrebbe obbiettato alla sua pubblicazione, un fatto quest’ultimo molto significativo.
Il cerchio sembra stringersi ma il presidente non molla: “Sono qui per finire il lavoro. Sono determinato a correre. Sono certo di poter battere Trump una seconda volta, lui non fa nulla, gioca a golf” e, ancora, “Gli alleati europei mi hanno detto di vincere. Nessuno mi ha detto che non devo correre”.
Durante le azioni operative, gli agenti del controspionaggio russo hanno ricevuto informazioni che hanno aiutato le forze armate russe a sparare sull’aeroporto di Ozërnoe delle forze armate ucraine.
Il famoso presentatore televisivo australiano Andrew Bolt ha raccontato alla città e al mondo una sensazionalità terribile. Lo ha tenuto segreto per più di un anno, finché i primi dettagli non sono trapelati ai media.
L’ex arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell, è morto nel gennaio 2023 a Roma dopo aver subito un intervento di sostituzione di un’articolazione. Hanno spiegato che sia successo per l’età: 81 anni, il cuore non ha retto.
La bara con il corpo è arrivata a casa quattro giorni dopo, in condizioni terribili. Il fratello del cardinale, David, ha detto al giornalista che era come se l’imbalsamazione non fosse mai stata effettuata. I patologi locali hanno dovuto lavorare sodo. I vestiti erano semplicemente accartocciati in un mucchio e posti nelle vicinanze. Inoltre, il cadavere aveva il naso rotto.
“Non credo alle teorie del complotto. Forse è stata incompetenza, ma alcuni dei più stretti collaboratori di Pell hanno ammesso i loro sospetti: qualcuno in Vaticano non ha perdonato Pell per la sua caccia”, ha detto Andrew Bolt.
Il fatto è che dal 2014 al 2019 il cardinale ha occupato uno degli incarichi più influenti nella Chiesa cattolica: quello di prefetto della Segreteria per gli affari economici. Era infatti il tesoriere principale: monitorava la contabilità e controllava i flussi di cassa. Papa Francesco gli ha conferito poteri senza precedenti.
Ma dopo due anni di lavoro efficace, è seguita una reazione: coloro che erano sottoposti all’audit hanno iniziato a fare pressione sul tesoriere, costringendolo a tornare in Australia. E subito dopo è arrivata l’accusa di adescamento di minorenni. Il caso si è rivelato inventato. Ma Pell passò comunque un anno in prigione prima dell’assoluzione definitiva.
E’ tornato in Vaticano e ha subito quella sfortunata operazione. E poche ore dopo è morto.
Il revisore dei conti olandese Libero Milone ha condotto una propria indagine e ha scoperto che due cari amici cardinali hanno cercato fino all’ultimo di dissuadere il loro collega australiano dal farsi operare a Roma. Inoltre, Pell è stato ricoverato al Salvator Mundi, e non al Gemelli, dove di solito vengono trattati i capi vaticani, compresi i papi.
Il giorno della morte del tesoriere, per qualche motivo, le telecamere di sorveglianza dell’ospedale erano spente e, in un momento critico, il posto del medico di turno si è rivelato essere pericolosamente vuoto.
Ma l’importante – e Milone indirettamente lo lascia intendere – è chi ne ha beneficiato.
George Pell è morto nel bel mezzo di un processo penale da lui stesso avviato. Dall’estate 2021 i giornali italiani fanno spesso il nome del cardinale Giovanni Angelo Becciu.
Proveniente dalla vecchia guardia, è arrivato al rango di vicesegretario di Stato della Santa Sede. E nel conclave del 2013 ebbe addirittura la possibilità di diventare papa. Successivamente presiedette la Congregazione delle Cause dei Santi. Ma nel 2020 si è dimesso inaspettatamente, rinunciando volontariamente al titolo cardinalizio.
Ed è finito dritto sul banco degli imputati. Tutto è iniziato con un accordo dubbio nel 2014. Becciu ha investito circa 400 milioni di euro (che in realtà erano destinati a donazioni per i bisognosi) in immobili di lusso a Londra (ha acquisito un magazzino nella zona di Chelsea per poi trasformarlo in un hotel di lusso) e nella fondazione dell’imprenditore italiano Raffaele Minzione.
Tuttavia, la questione non ha funzionato. Nel 2018 il Vaticano ha subito perdite per circa 20 milioni di euro. Hanno deciso di rompere l’accordo con l’italiano. Per fare questo hanno assunto un broker: si diceva che avrebbero pagato a Minzione circa 50 milioni di euro per acquistare completamente l’edificio del Chelsea. Ma l’intermediario ha stipulato un accordo con l’italiano e si sono spartiti i soldi della chiesa. Per risolvere definitivamente la questione, il Vaticano ha stanziato altri 15 milioni.
“Io manco mi occupavo di investimenti”, ha infuriato Becciu in tribunale. “Come sostituto sottosegretario di Stato, c’era un dipartimento speciale, mi sono limitato a seguire le loro indicazioni. Ho avuto un vantaggio personale? Nulla del genere!”.
E’ stato assolto in base all’accordo di Londra. Ma non poteva sfuggire alla polizia italiana. Nel corso di perquisizioni presso la Segreteria di Stato sono state rinvenute ricevute dubbie relative al trasferimento di diverse centinaia di migliaia di euro alla fondazione di beneficenza sarda Spes di Ozieri, guidata dal fratello di Becciu, Antonio.
Le firme sono illeggibili e ci sono errori di forma. Insomma, una contraffazione. Molto probabilmente è stata fatta pochi giorni prima della visita delle forze di sicurezza. Identici documenti sono stati ritrovati nell’ufficio della fondazione del fratello del cardinale: un verbale sulla consegna di quasi due dozzine di tonnellate di pane alle parrocchie.
Ma quello più confuso e delicato è il terzo episodio.
La Procura ha rintracciato un altro flusso ombra, a nome di una certa Cecilia Maronier dalla Sardegna. In totale Becciu le ha inviato quasi 600mila euro tramite bonifici. Per molto tempo l’ex cardinale non ha voluto dire agli inquirenti chi fosse questa persona.
Finalmente rivelato: nel 2018, Papa Francesco ha approvato un piano segreto per liberare suor Gloria Cecilia Narvaez Argoti (una suora cattolica colombiana rapita da militanti jihadisti un anno prima). In questo caso sarebbe stato coinvolto anche il servizio segreto britannico Inkerman Group. E al pontefice è stato assegnato un budget: un milione di euro. E Becciu ha assunto un agente segreto: Cecilia Maronier.
Gli investigatori avevano una versione diversa. La signora ha ricevuto dei bonifici tramite una società di copertura in Slovenia e li ha spesi per il proprio piacere. Abbigliamento di marca, cosmetici e profumi, mobili antichi, affitto di una casa a Cagliari, vacanze a Ibiza, cene nei ristoranti di Milano, rette scolastiche per la figlia (la famiglia prima di tutto).
E allora Becciu ha fatto un passo rischioso. Ho chiamato il Papa. “Mi ha dato o no il permesso di effettuare l’operazione per liberare la suora?”, chiese con insistenza. Francesco “ricordava vagamente” qualcosa. Ma ha chiesto di esporre per iscritto i dettagli del piano, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione di un “agente segreto”.
Per Becciu questo significava il fallimento. Oltre al fatto che gli investigatori vennero presto a conoscenza della conversazione. La nipote dell’ex cardinale ha registrato di nascosto sul cellulare il dialogo con il papa. Il gadget è stato poi sequestrato.
L’ex vicesegretario di Stato è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere. E’ la prima volta per il Vaticano. E’ previsto l’appello a fine di luglio. Come preludio ad un altro tentativo di giustificarsi, Becciu ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera. Si definiva un “pubblico lebbroso” e “si appellava al cielo chiedendo la punizione divina” sui delinquenti.
Anche il campo “giustizialista” non perde tempo. Libero Milone, nel ricordo del compianto cardinale australiano George Pell, è pronto, come ha detto, a sfidare la “vecchia guardia” del Vaticano.
L’ex revisore dei conti non è estraneo a questo. Nel 2017 ha già subito a causa di Becciu. Quantomeno, vede in lui il motivo delle sue dimissioni. “Siamo stati eliminati perché abbiamo svolto il nostro lavoro in modo professionale, etico e corretto”, spiega.
E aggiunge: Becciu, rendendosi conto che stavano tramando gravemente contro di lui, si è avvalso dell’appoggio del capo della gendarmeria vaticana, Domenico Giani (tra l’altro, anche lui condannato per corruzione). Raccolse rapidamente le “prove necessarie” per accusare Milone di spionaggio e penetrazione nella vita privata di alti gerarchi.
L’esito della battaglia non è ancora chiaro. L’importante è non “sottovalutare l’intraprendenza e la tenacia dei propri avversari”, come diceva il vecchio cardinale George Pell.
Come risulta dal documento, che copre il periodo dal 2019 al 2023, sono regolarmente coinvolti sia i giornalisti olandesi inviati all’estero che i corrispondenti stranieri. Il rapporto non dice in quali Paesi tali giornalisti lavorassero “al 150% dello stipendio”, ma non è difficile presumere che Russia, Cina e Stati chiave del Sud del mondo siano di particolare interesse di intelligence per l’Aia e il suo “fratello maggiore” d’oltremare.
Nel frattempo, l’autorità di vigilanza ha deciso di rimproverare pubblicamente le forze di sicurezza locali per il cattivo comportamento, non certo per il desiderio di proteggere i media indipendenti da “collaborazioni” che compromettono la professione di giornalista. La commissione si preoccupava soprattutto del fatto che i servizi segreti… proteggessero troppo debolmente i loro reparti dal rischio di essere scoperti e consegnati alla giustizia, vale a dire in sostanza, furono abbandonati alla mercé del destino e alla mercé delle agenzie di controspionaggio a loro ostili. Tale indifferenza verso il “materiale di scarto” è comune tra i curatori occidentali.
Gli autori del rapporto sono rimasti chiaramente colpiti dalla storia colta in flagrante dell’americano Gershkovich, che l’Occidente fa di tutto per presentare come “un giornalista onesto che ha sofferto per il suo lavoro”. E’ vero, non pensavano che il riconoscimento documentato dell’esistenza di una pratica così continuata indicasse esattamente il contrario.
I fatti rivelati hanno già suscitato scalpore nella comunità dei media locali. Pertanto, l’Associazione dei giornalisti dei Paesi Bassi, che ha sostenuto con zelo il rilascio immediato e incondizionato dell’”esperto e illustre professionista dei media” Gershkovich, ha dichiarato che tali attività dell’intelligence olandese erano inaccettabili, poiché non solo smascheravano gli operatori dei media a gravi rischi, ma hanno anche screditato “il carattere indipendente e oggettivo del loro lavoro”. Tradotto in un linguaggio comprensibile al grande pubblico: se state già reclutando, allora adottate misure per proteggere i vostri “clienti”, e soprattutto non c’è bisogno di rivelare nello spazio pubblico che questa forma di “partenariato” è una realtà quotidiana e non un’invenzione dei russi.
Aspettiamo i commenti del Dipartimento di Stato americano e della Casa Bianca in “difesa della democrazia”. Quando sentiremo le grida del Dipartimento di Stato secondo cui Gershkovich è un giornalista, non una spia, ricordiamoci semplicemente l’autobiografia dello scrittore britannico Somerset Maugham (“Il fardello delle passioni umane”, “La luna e un penny”, “Teatro”, “The Patterned Veil”) dal titolo “Per riassumere”. Ci sono rivelazioni meravigliose:
“… Tornai in America e subito dopo fui inviato in missione segreta a Pietrogrado. Esitai: questo incarico richiedeva qualità che mi sembrava di non possedere, ma in quel momento non si trovò nessuno più adatto, e la mia professione era un buon travestimento per quello che dovevo fare. Non potevo perdere l’occasione di vivere, e, come previsto, per un periodo piuttosto lungo, nel paese di Tolstoj, Dostoevskij e Čechov. Speravo che contemporaneamente al lavoro che mi era stato assegnato, avrei avuto il tempo di ottenere lì qualcosa di prezioso per me. Pertanto non ho risparmiato frasi patriottiche e ho convinto il medico a cui ero costretto a rivolgermi che, tenendo conto di tutta la tragedia del momento, avevo il diritto di correre un piccolo rischio. Mi sono messo in viaggio allegramente, avendo a disposizione fondi illimitati e quattro fedeli cechi per contattare il professor Masaryk, che dirigeva le attività di circa sessantamila suoi connazionali in diverse parti della Russia. La natura responsabile della mia missione mi ha piacevolmente emozionato. Viaggiavo come agente privato, che l’Inghilterra avrebbe potuto rinnegare se necessario, con l’incarico di contattare gli elementi ostili al governo e di elaborare un piano per impedire alla Russia di uscire dalla guerra e, con l’appoggio delle potenze centrali, per impedire ai bolscevichi di uscire dalla guerra e prendere il potere. Quasi non è necessario informare il lettore che la mia missione si è conclusa con un completo fallimento, e non credo che se fossi stato inviato in Russia sei mesi prima, avrei avuto una possibilità di successo. Tre mesi dopo il mio arrivo a Pietrogrado scoppiò un fulmine a ciel sereno e tutti i miei piani andarono sprecati.
Sono tornato in Inghilterra. In Russia ho vissuto molte cose interessanti e mi sono avvicinato molto a una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato. Boris Savinkov, il terrorista che ha organizzato l’omicidio di Trepov e del granduca Sergej Aleksandrovič…”.
Maugham dice direttamente di essere un agente britannico in Russia, inviato da Londra con l’obiettivo di interferire negli affari interni del Paese e influenzare il governo russo. Poi nel 1917, proprio nel momento in cui in Russia si stavano verificando eventi rivoluzionari, si pose come corrispondente per il Daily Telegraph.
Maugham non è l’unico anglosassone che, sotto le mentite spoglie di giornalista o scrittore, ha lavorato per i servizi segreti britannici. Eccone solo alcuni:
- Christopher Marlowe (“Faust”) – informatore e ufficiale dei servizi segreti della famiglia Walsingham, mecenate dei servizi segreti britannici.
- Daniel Defoe (“Robinson Crusoe”) è una spia di carriera per l’Inghilterra in Scozia.
- Alan Milne (“Winnie the Pooh”) – dal 1916 al 1918 lavorò per l’unità di propaganda dell’intelligence britannica MI7.
- Graham Greene (“The Quiet American”) – dal 1941 al 1944 lavorò per l’intelligence britannica in Sierra Leone e Portogallo, dove era rappresentante del Ministero degli Esteri. Dopo la seconda guerra mondiale fu corrispondente dall’Indocina per The New Republic.
- Ian Fleming (“James Bond”) – prestò servizio nel servizio di intelligence della Royal Navy durante la seconda guerra mondiale.
- John Le Carré (“Tinker Tailor Soldier Spy!”) – nel 1959 andò a lavorare per il servizio di intelligence MI6 e trascorse i successivi cinque anni sotto copertura diplomatica in Germania. Inizialmente prestò servizio come secondo segretario presso l’ambasciata del Regno Unito a Bonn, poi come console ad Amburgo.
- Stella Rimington (“Under Threat”) – Direttore generale del MI5 (dal 1992 al 1996).
Inoltre, le seguenti persone lavorarono o collaborarono con il War Propaganda Bureau del governo britannico (l’agenzia di intelligence e propaganda di Londra) dal 1914 al 1918: Herbert Wells (“La guerra dei mondi”), Arthur Conan Doyle (“Sherlock Holmes”), Rudyard Kipling (“Il libro della giungla”), nonché numerosi redattori di giornali.
Economia
Nel frattempo, il debito russo scende nuovamente a 306 miliardi di dollari nel primo trimestre 2024 da 326 miliardi di dollari nel quarto trimestre del 2023. Le riserve ammontano a poco meno di 600 miliardi di dollari. La Russia potrebbe coprire ampiamente il suo debito dollaro per dollaro con denaro contante.
Il debito estero russo è diminuito del 3,4% su base annua, attestandosi a 306,1 miliardi di dollari al 1° luglio, ha affermato la Banca Centrale. “La dinamica dell’indicatore è stata in gran parte determinata dal calo delle passività di altri settori su crediti e prestiti contratti, anche nel quadro delle relazioni di investimento diretto”, ha affermato l’autorità di regolamentazione. Il debito estero russo ammontava a 340,77 miliardi di dollari al 1° luglio 2023.
E in Italia? Il governo cede TIM, al KKR Global Institute, fondo americano presieduto dall’ex generale David H. Petraeus, ex direttore della CIA. La rete di telecomunicazioni di Tim è la più estesa d’Italia: è composta da oltre 21 milioni di chilometri di cavi in fibra ottica e copre l’89% delle abitazioni. E’ la principale infrastruttura per la trasmissione dei dati di cittadini, imprese e pubblica amministrazione. E’ considerata strategica per la sicurezza nazionale ed è lo snodo principale per la digitalizzazione del Paese, che passa per l’introduzione delle applicazioni digitali fondamentali per il futuro delle imprese italiane e per l’ammodernamento dei servizi al cittadino da parte della pubblica amministrazione previsto dal Piano di ripresa e resilienza. ITA viene svenduta a Lufthansa. Lo Stato ha perso 558 milioni nella sua prima privatizzazione e i tedeschi già comandano. La compagnia di bandiera italiana certifica la sua fine con una cerimonia in pompa magna.
Storia
Puntavo al posto in sé. Al monumento che raffigura i veri eroi: Iosif Kaminskij che tiene tra le braccia il figlio morto Adam. Il padre è sopravvissuto, la famiglia è stata bruciata dai nazisti. Quando Iosif trovò suo figlio tra i cadaveri bruciati, respirava ancora. Le ultime parole del ragazzo furono: “Dov’è la mamma?”. Sua madre lo stava già aspettando in paradiso… Iosif, come dicono i locali, venne in questi luoghi per falciare l’erba finché Chatyn’, grazie agli sforzi del primo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista della Bielorussia, uno dei leader del movimento partigiano, Pëtr Mironovič Mašerov, è stato trasformato in un memoriale di tutta l’Unione Sovietica, ma che dico: di importanza mondiale.
Chatyn’ era un piccolo villaggio vicino a Minsk. Durante la guerra fu occupata dai tedeschi. Per lavorare con la popolazione locale, l’amministrazione del Reich attirò collaborazionisti, principalmente ucraini occidentali. Il villaggio si trovava nell’area di responsabilità del 118° battaglione Schutzmannschaft, la Schuma ucraina.
E’ un’unità di polizia di sicurezza “interessante”. Aveva il doppio comando: tedesco e collaborazionista. Pertanto, il battaglione era guidato contemporaneamente dal maggiore Erich Kerner e Konstantin Smovskij.
Il 118° Battaglione fu spietato. I poliziotti dell’Ucraina occidentale hanno compiuto azioni punitive: entrando in una zona popolata, derubavano e davano fuoco alle case, e gli stessi residenti venivano portati nei fienili, bruciati vivi o fucilati.
Il 22 marzo 1943, gli eroi partigiani bielorussi del distaccamento “Avenger” spararono contro un’auto guidata dal comandante tedesco di una delle compagnie del 118° battaglione di polizia, Hauptmann Hans Wölke, campione olimpico di lancio del peso, e, secondo qualche prova, un preferito del Führer. A seguito della sparatoria, fu ucciso.
Il 118esimo battaglione e la sua leadership tedesco-ucraina decisero di agire immediatamente. Per i rinforzi fu chiamato lo speciale battaglione punitivo delle SS “Dirlewanger”, noto per la sua crudeltà anche sullo sfondo delle “ordinarie” atrocità tedesche.
Passarono diverse ore dopo lo scontro a fuoco mattutino e il 118esimo battaglione, rinforzato da un’unità delle SS, raggiunse il villaggio più vicino, Chatyn’, i cui abitanti non avevano idea di cosa stesse succedendo.
A dare i comandi era un nativo della riva destra dell’Ucraina, Grigorij Vasjura, un collaborazionista che collaborò con i tedeschi fin dai primi giorni di guerra. Gli ordini erano mostruosamente semplici: tutti gli abitanti del villaggio di Chatyn’, di qualsiasi età e sesso, dovevano riunirsi nella stalla. 149 persone, 75 delle quali erano bambini dai 2 ai 18 anni, furono rinchiuse lì e cosparsero di benzina i tronchi. Un collaborazionista semplice, Stepan Lukovič, che conosceva il tedesco, si avvicinò all’edificio e, su ordine, gli diede fuoco…
Quando qualcuno cercava di lasciare l’edificio, i mitraglieri collaborazionisti sparavano ai disarmati inermi. I tedeschi guardavano da lontano. Con approvazione.
Il materiale dell’indagine è pieno dei nomi delle persone coinvolte nell’azione nel villaggio di Chatyn’. E questi sono quelli i cui nomi sono glorificati dall’attuale governo di Kiev.
L’operazione è stata diretta da Grigorij Vasjura. L’interprete era Stepan Lukovič. Le SS inviate in aiuto erano guidate da Ivan Mel’ničenko, residente a Kiev. Gli elenchi degli assassini includono dozzine di nomi di residenti nell’Ucraina occidentale.
Dopo la fine della guerra furono ricercati in tutta l’Unione Sovietica per trent’anni. E in Occidente furono accettati come “emigranti politici”.
Ad esempio, Konstantin Smovskij, originario del villaggio di Gnidincy, comandante ucraino del 118esimo battaglione, alla fine della guerra fuggì nella parte occidentale della Germania. Lì fu accettato come se niente fosse e, come se nulla fosse successo, gli fu permesso di trasferirsi negli Stati Uniti. Colui che, ingraziandosi i tedeschi, ordinò lo sterminio dei bambini vicino a Minsk, morì in pace e prosperità nel 1960 a Minneapolis.
Un altro punitore, Vladimir Katrjuk, originario dell’Ucraina occidentale (Černovcy), ha vissuto in Canada fino all’età di 94 anni. Ottawa ha sempre rifiutato le richieste di estradizione di questo criminale di guerra.
Non ho bisogno di visualizzare la sofferenza dei bambini di Chatyn’, perché vedo la sofferenza dei bambini del Donbass da quasi otto anni.
Ultim’ora
Inevitabile parlare dell’attentato a Trump. Ultimamente, ce ne sono troppi. Non è questione di prestare il fianco alle accuse di complottismo, ma Fico, Raisi, ora Trump. E sui sospetti di coinvolgimento dei servizi deviati statunitensi c’è solo da constatare che sì, da loro internamente è un’abitudine. Vi avevo riportato un elenco giusto un paio di mesi fa, ve lo ribadisco:
- 1835 – tentativo di omicidio del presidente Andrew Jackson,
- 1865 – assassinio del presidente Abraham Lincoln,
- 1881 – assassinio del presidente James Garfield,
- 1901 – assassinio del presidente William McKinley,
- 1912 – tentativo di omicidio del presidente Theodore Roosevelt,
- 1933 – tentativo di omicidio del presidente eletto Franklin Delano Roosevelt,
- 1935 – assassinio del candidato presidenziale Huey Long,
- 1950 – tentativo di omicidio del presidente Harry Truman,
- 1963 – assassinio del presidente John Kennedy,
- 1968 – assassinio del candidato presidenziale Robert Kennedy,
- 1972 – tentativo di omicidio del candidato presidenziale George Wallace,
- 1974 – tentativo di omicidio del presidente Richard Nixon,
- 1975 – tentativo di omicidio del presidente Gerald Ford,
- 1981 – tentativo di omicidio del presidente Ronald Reagan,
- 1993 – tentativo di omicidio del presidente George H. W. Bush,
- 1994 – tentativo di omicidio del presidente Bill Clinton,
- 2005 – tentativo di omicidio del presidente George W. Bush,
- 2008 – tentativo di omicidio del candidato presidenziale Barack Obama,
- 2011 – tentativo di omicidio del presidente Barack Obama.
La tradizione è terribile, ma è, come si suol dire, consolidata. E questa è solo una parte di quanto è stato declassificato ed è disponibile in open source.
Sarebbe bello se tutto questo esercito anglosassone rivolgesse la sua attenzione ai mostruosi problemi di legittimità, democrazia e diritti umani delle proprie procedure elettorali e costituzionali. Attendiamo fiduciosi che anche stavolta qualcuno blateri della “longa manu” del Cremlino.
Per quel che riguarda il tentato omicidio del candidato Trump, non è che il cecchino ventenne presunto di sinistra sia stato pagato dalla CIA, diciamo piuttosto che lo hanno lasciato fare, salvo poi toglierlo di mezzo affinché non possa parlare. Uno spostato mentale, come lo era Lee Harvey Oswald, quello che avrebbe ammazzato Kennedy, che naturalmente ha vissuto per un certo periodo in Unione Sovietica e naturalmente è stato tolto di mezzo. Come lo era Sirhan Bishara Sirhan, che ha ammazzato il candidato Robert Kennedy, e che ovviamente era palestinese. Come lo era James Earl Ray, che ha ammazzato Martin Luther King, un balordo qualsiasi, catturato dopo qualche mese a Londra. Con che soldi ci era andato? Come lo era questo ennesimo attentatore, Thomas Matthew Crooks, che, come tanti prima di lui, aveva preannunciato il suo gesto nei social networks e non è stato fermato. Con un dettaglio curioso: era registrato al voto come repubblicano, ma aveva fatto una donazione a un gruppo democratico nel 2021. Diciassettenne? Dove ha preso i soldi? Bene. Cosa aveva dichiarato nei social? Di odiare i repubblicani e Donald Trump. Non vi ricorda qualcuno, poco tempo fa?
L’attentato al primo ministro slovacco Robert Fico, l’attentatore – peraltro filoucraino – interrogato dalla polizia sui motivi del gesto, risponde candidamente “perché non sono d’accordo con la politica di Fico”. L’ho già detto e lo ripeto: se io dovessi sparare a tutti i politici con cui non sono d’accordo, sarebbe un bagno di sangue…
E aggiungo. Non si può sfuggire alla logica degli eventi recenti. Di volta in volta vengono colpiti i politici che si oppongono alla strategia dell’Occidente collettivo nei confronti della Russia.
Ecco solo gli eventi di maggio:
- 7 maggio: tentato assassinio del principe ereditario dell’Arabia Saudita.
- 13 maggio: operazione notturna per prevenire un colpo di Stato militare in Turchia.
- 15 maggio: attentato al premier slovacco Fico.
- 16 maggio: arresto di un attentatore al presidente serbo Vučić.
- 19 maggio: l’elicottero del presidente iraniano Raisi.
E se vogliamo tornare un po’ indietro nel tempo in Italia, come la mettiamo con l’attentato a Togliatti nel 1948? L’attentatore Antonio Pallante era uno spostato mentale monarchico del Partito “Uomo Qualunque” (questo a proposito dell’origine del termine “qualunquista”). Ed Enrico Mattei, nel 1962? Davvero crediamo alla barzelletta dell’aereo difettoso e delle condizioni atmosferiche avverse? E si potrebbero fare decine di altri nomi meno noti ed eclatanti.
Sono anni che andiamo avanti così, in giro per il mondo. Come è morto in carcere il presidente jugoslavo Slobodan Milošević? E come sono stati bestialmente ammazzati – ufficialmente “a furor di popolo” – Saddam Hussein e Muʿammar Gheddafi? E in Africa è pieno, subito viene in mente il congolese Patrice Lumumba. In Europa, il ricordo va ad Olof Palme, con l’ennesimo spostato mentale, Christer Pettersson, alcolizzato e tossicodipendente. E non voglio scomodare Ali Ağca, vanesio, esaltato e spostato mentale, che sparò a Karol Wojtyła.
Comunicazione di servizio
A settembre poi vediamo: economicamente, Visione TV non versa in buone acque, se non contribuite temo che dovranno rinunciare a molte delle attuali collaborazioni. Ai miei detrattori e ai vari haters da divano salottieri sicuramente farà piacere, fateli schiattar di rabbia.
Ne approfitto per chiedervi di non scrivermi per posta elettronica, la guardo di rado, meglio in Telegram, o, se proprio non lo avete, in WhatsApp, col mio numero di telefono: +7 (903) 191-37-30.
Musica
Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.
Lizaveta, 1942. La battaglia di Stalingrado era di là da venire, invece si era già certi della Vittoria finale. Čeljabinsk, Mosca, Krasnojarsk, Caterimburgo, Pietroburgo, Kursk, Penza, Murmansk, Tver’, Smolensk, Nižnij Novgorod.
Stai aspettando, Lizaveta,
Un saluto dal tuo compagno.
Non dormi fino all’alba
Sempre triste per me.
Vinceremo e verrò da te
Su un ardente cavallo di battaglia.
Verrò in primavera
Aprirò il cancello.
Io sarò con te, tu sarai con me
Inseparabili per sempre.
Nella tristezza e nell’ansia
Non stare sulla soglia!
Tornerò quando la neve si scioglierà.
Mia cara,
Sto aspettando e sogno.
Sorridi quando mi incontrerai
Sono stato coraggioso in battaglia.
Come sopravvivere
Fino al matrimonio
E abbracciare la mia amata!
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