Ottantacinquesimo notiziario settimanale di lunedì 8 luglio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.
Attualità
“I processi di globalizzazione
avviati dall’Occidente alle sue condizioni – ha sottolineato il capo della
Rappresentanza diplomatica russa a Roma – non sono riusciti a cancellare il
desiderio della maggior parte dei Paesi del mondo di preservare le origini
della propria tradizione, le fondamenta di cultura e civiltà; né sono riusciti
a cancellare la loro aspirazione alla giustizia, alla democratizzazione della
vita internazionale e alla sovranità”.
In questo contesto, l’Ambasciatore
Paramonov ha notato come “nel mondo non occidentale” stiano iniziando a “cristallizzarsi”
formati diversi, tra cui l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il
gruppo dei Paesi BRICS ed altre organizzazioni internazionali, che vogliono non
un mondo diviso in blocchi, ma un autentico mondo multipolare. Il diplomatico
ha sottolineato che “il fattivo azzeramento da parte dell’Occidente delle sue
interazioni con la Russia ha fatto saltare quella che era l’agenda globale
prevista per questioni chiave quali il controllo sugli armamenti e la non
proliferazione nucleare, il contrasto alla militarizzazione dello spazio
cosmico e del cyberspazio, la lotta al riscaldamento globale e molti altri
argomenti”.
Secondo Paramonov un “nuovo punto
di svolta nello sviluppo globale” è contraddistinto “dall’esigenza di
costituire un ordine mondiale multipolare che sia in grado di garantire spazio
di autonomia a tutti i popoli e a tutti i Paesi”.
Nelle fasi iniziali della sua
formazione, anche l’Unione Europea si stava integrando in tale contesto in
qualità di potenziale attore autonomo e dotato di una certa influenza.
Tuttavia, di fatto, la rinuncia da parte della burocrazia di Bruxelles, sempre
più autoreferenziale, alla propria “autonomia strategica” per il momento ha
messo fine a tale prospettiva.
Non è imputabile alla Russia il
fatto che l’architettura per la sicurezza europea abbia cessato di esistere:
ciò è conseguenza dell’ossessione occidentale per il NATO-centrismo e del suo
totale rifiuto di scendere a compromessi con Mosca.
Tale situazione ha spinto di recente
il Presidente Putin a farsi avanti con un’iniziativa fortemente proiettata
verso il futuro, incentrata sulla creazione in Eurasia di un sistema di
sicurezza internazionale che sia operativo per l’intero continente e aperto a
tutti i Paesi che ne fanno parte, a inclusione di quelli situati nelle sue
regioni più occidentali.
Questo nuovo punto di svolta
nello sviluppo globale è contraddistinto dall’esigenza di costituire un ordine
mondiale multipolare che sia in grado di garantire spazio di autonomia a tutti
i popoli e a tutti i Paesi.
Vi è anche la necessità di
svolgere un lavoro di eliminazione dei difetti sistemici presenti nell’architettura
internazionale, i quali continuano a sussistere dal 1945 per motivi di inerzia,
tra cui spicca la poca influenza esercitata dai Paesi non occidentali sui
meccanismi globali.
Per ogni nuova “regola del gioco”
che riguardi le questioni di armonizzazione tra gli interessi dei diversi
Paesi, sarà inaccettabile qualsiasi richiamo alla concezione dell’”ordine
basato su regole”. Pure l’idea della “contrapposizione tra democrazie e
autocrazie” è artificiale e dannosa.
Intanto, quello che colpisce
anche i più temprati e convinti oppositori della UE e del suo ruolo è che dopo
la sonora sconfitta subìta, con il diffuso astensionismo e l’avanzata delle
forze di destra, nel panorama europeo, proprio i leader più sonoramente “trombati”
dal voto popolare, il Presidente francese Macron ed il Cancelliere tedesco
Scholz, unitamente al leader polacco Tusk, abbiano fatto comunella, per
presentare agli altri leader europei, una “proposta” sugli incarichi più
importanti che dovrebbero essere assegnati nella prossima legislatura UE,
partendo da un rinnovato mandato di presidente, per un Ursula von der Leyen
bis, che dovrebbe caratterizzare i prossimi anni.
Naturalmente, un certo imbarazzo,
di fronte a tale situazione, lo ha espresso, anche, in aula, nel suo intervento
alla Camera dei Deputati, Giorgia Meloni che, come capo di governo di un Paese,
l’Italia appunto, cofondatore della stessa UE e terza economia del continente,
si vede messa di fronte ad un “fatto compiuto”, non di poco svilente il ruolo
del nostro Paese.
Ma, si sa che, una volta fatta la
“scelta dell’Europa”, della “NATO” e dell’alleanza “con gli USA”, non resterà,
al Premier italiano, che spingere nella direzione, peraltro consigliatagli
dalle sedicenti “opposizioni” di M5S e PD, di ottenere un “incarico di
prestigio”, all’interno dei nuovi organigrammi postelettorali della UE, per il
nostro Paese.
E qui emerge, a chiare lettere,
il ruolo di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione Europea, dopo l’avvenuta
débâcle elettorale, in termini di consenso popolare, dopo anni di politiche
economiche e sociali antipopolari e filopadronali, improntate al più feroce
massacro sociale neoliberista, che ha ampliato le differenze e disuguaglianze
sociali, allargando sempre più gravemente miseria e povertà.
Gli sconfitti serrano i ranghi,
stringono i tempi delle decisioni sui nuovi organigrammi, per il rilancio delle
stesse politiche economiche e sociali devastanti, in un sempre più marcato
quadro di guerra europea ed internazionale, per riaffermare il proprio dominio
unipolare come imperialismo USA ed UE, sulla base di un rilancio della NATO,
nella guerra di aggressione contro la Federazione Russa, utilizzando l’Ucraina
nazifascista come piattaforma strategica ed il governo dello Stato sionista d’Israele,
nella guerra di sterminio contro il popolo palestinese. Questo il panorama che
ne esce confermato.
Non si sono sentite, nella Camera
dei Deputati della Repubblica Italiana, voci alternative a tale prospettiva.
Questa è la realtà del sistema politico italiano, nella fase post elettorale
che stiamo vivendo, in questi giorni successivi “ai ballottaggi”, di cui tanto
si discute, nei circoli massmediatici della informazione di regime, capitalista
ed imperialista.
Un esempio a parte è la Francia
Indomita di Mélenchon. La sinistra francese è andata divisa alle Europee e
infatti ha perso. Hanno imparato la lezione: al primo turno delle Politiche il
Nuovo Fronte Popolare è andato coeso, socialisti, comunisti, indomiti, verdi.
Non che non soffrano di contraddizioni fondanti: i socialisti sono totalmente
appiattiti sull’atlantismo e sull’appoggio incondizionato ai neonazisti
ucraini, i comunisti al contrario comprendono le ragioni russe, gli indomiti
sono contrari alle forniture agli ucraini pur senza condividere le posizioni
russe. Però intanto sono arrivati secondi dopo la destra della Le Pen, e questo
ha consentito loro di presentarsi al ballottaggio del 7 luglio. A chi dice che
ciò sia una spartizione delle poltrone e che sia disonesto nei confronti degli
elettori, basti considerare che se lo si dichiara prima, ci si può dividere
anche 24 ore dopo le elezioni, però comunque si è in Parlamento.
Questo riguarda anche l’Italia.
Se Santoro, DSP, PCI si fossero presentati assieme, pur dichiarando fin dall’inizio
di non voler stare assieme, li avremmo in seno al Parlamento Europeo, invece
così duri e puri fuori dall’arco parlamentare. Bella soddisfazione.
Colpisce, nella narrazione in
voga, che ci sia qualcuno che davvero sia convinto che la destra e il
centrodestra, grazie all’astensionismo, abbia perso. Per l’Italia, basti dire
che alle precedenti Europee (2019, i confronti vanno sempre fatti con elezioni
omogenee) la destra Sorella d’Italia aveva preso 1.726.189 voti, mentre ora
6.724.014, passando infatti dal 6,44% al 28,8%, confermandosi primo Partito d’Italia.
L’astensionismo, dunque, ha danneggiato ben altri. Su scala europea, il Partito
Popolare, cioè i democristiani, di centrodestra, a cui appartiene anche Ursula
Von Der Leyen, ora hanno 187 deputati su 720, mentre ne avevano 182 su 751
(effetto Brexit). Se questo è perdere, vuol dire che ora la matematica è un’opinione
come un’altra. Anche per l’astensione, facciamo attenzione: è vero, aveva
votato il 50,97%, ed ora il 49,22% (un decremento di appena l’1,73%), ma nel
2014 aveva votato il 42,61%. C’è quindi poco da gioire.
Il secondo è stato nei colloqui
con Viktor Orbán, a Mosca. Charles Michel ha affermato che “la presidenza
ungherese di turno del Consiglio dell’UE non ha il mandato per i contatti con
la Russia a nome dell’Unione europea”. Orbán ha giustamente risposto che l’Ungheria
non ha bisogno di tale mandato, poiché agisce per proprio conto. Ma non è
questo il punto, ovviamente. Innanzitutto non è chiaro (è chiarissimo) a nome
di chi Michel stia parlando. Lui è il capo del Consiglio europeo (e i suoi
poteri scadranno presto), e l’Ungheria presiede il Consiglio dell’Unione
europea dal 1 luglio: non vanno confuse queste due strutture completamente
diverse; il Belgio, da dove proviene Michel, ha terminato i suoi poteri il 30
giugno. E in generale, cito testualmente l’articolo 15.6 dell’attuale versione
del Trattato sull’Unione europea, tra i compiti del capo del Consiglio europeo
figura quello di “rappresentare l’Unione europea sulla scena internazionale,
fatto salvo il ruolo dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli
affari esteri e la politica di sicurezza”.
In sostanza, Orbán ha assunto
attivamente le sue funzioni. Aveva già visitato Kiev e per qualche motivo
Michel questo non lo ha commentato. Orbán ha dichiarato: “La missione di pace
continua. La prossima tappa è Mosca”. Cosa c’è di sbagliato in questo?
Putin ha rivelato di aver
discusso con Orbán possibili modi per risolvere il conflitto ucraino; il Primo
Ministro ungherese ha menzionato i suoi recenti contatti a Kiev.
Orbán ha chiesto un cessate il
fuoco per creare le condizioni per i negoziati sull’Ucraina, come riportato da
Putin.
La Russia vede che Kiev non è
pronta ad abbandonare completamente la guerra. Kiev rifiuta di prendere in
considerazione il cessate il fuoco, poiché eliminerebbe il pretesto per
estendere la legge marziale. Mosca sostiene una risoluzione completa e
definitiva del conflitto, non solo un cessate il fuoco o una pausa per il
riarmo di Kiev. Se l’Ucraina ponesse fine alla legge marziale, dovrebbe indire
elezioni presidenziali, con le possibilità che le attuali autorità ucraine
vincano prossime allo zero.
“I governi europei sono nel bel
mezzo della guerra”: il primo ministro ungherese Orbán ha scritto un articolo
chiedendo colloqui di pace.
“L’Europa si prepara alla guerra.
Ogni giorno annunciano l’apertura di un’altra tappa sulla strada verso l’inferno.
Ne siamo inondati ogni giorno: centinaia di miliardi di euro all’Ucraina,
piazzando armi nucleari nel mezzo dell’Europa, reclutando i nostri figli negli
eserciti stranieri, nella missione NATO in Ucraina, nell’invio di unità
militari europee in Ucraina. Amici miei, sembra che il treno da guerra non
abbia freni e l’autista abbia perso la testa. Dobbiamo applicare il freno di
emergenza affinché almeno quelli che vogliono poter scendere dal treno e non
partecipare alla guerra.
Sapete, le guerre non sempre
finiscono come erano state originariamente previste. Ecco perché oggi milioni
di giovani europei giacciono in fosse comuni. Ecco perché non ci sono
abbastanza europei, non abbastanza bambini in Europa. La guerra uccide. Uno
muore con la pistola in mano, un altro muore durante la fuga, alcuni muoiono
sotto i bombardamenti, alcuni muoiono nelle carceri nemiche, altri muoiono a
causa di un’epidemia o di fame. Alcuni affrontano la tortura, altri lo stupro,
altri vengono rapiti e ridotti in schiavitù. Le tombe si allineano su
innumerevoli file. Le madri piangono per i loro figli. Le donne piangono per i
loro mariti. Quante vite perse! Sappiamo una cosa: dove scoppia la guerra non c’è
via d’uscita. La guerra verrà da noi. Non possiamo evitarlo, non possiamo
nasconderci da esso.
L’unico antidoto alla guerra è la
pace. Stai lontano dalla guerra e lascia che l’Ungheria sia un’isola di pace.
Questa è la nostra missione. Se non vogliamo che la guerra ci raggiunga,
dobbiamo fermarla”.
Economia
Il dato è stato reso noto da
Alessandro Liberatori, direttore dell’agenzia ICE di Mosca, durante l’assemblea
annuale di GIM Unimpresa, associazione che raggruppa oltre un centinaio di
queste aziende.
Nella sua relazione introduttiva
il presidente di GIM Unimpresa, Vittorio Torrembini, ha riaffermato la volontà
dell’associazione di continuare a sostenere le aziende italiane impegnate nel
mercato russo, pur nel rispetto delle sanzioni vigenti.
“Viviamo un momento difficile,
complicato, in cui anche quelle che sembravano certezze sono cadute, ma non
possiamo buttare a mare 30 anni di esperienza”, ha detto, sottolineando che il
governo italiano “sta cercando di limitare i danni”, specie attraverso le
iniziative del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha attivato un tavolo
permanente per il sostegno delle aziende italiane in Russia.
Il responsabile della Farnesina
ha espresso “un giudizio positivo” sulla richiesta presentata da Unicredit al
Tribunale UE di sospendere la decisione della BCE di ridurre le sue attività in
Russia per avere così, dalla stessa corte europea, “certezza e chiarezza sugli
obblighi e sulle azioni” nel processo di uscita dal Paese.
“La BCE – ha sottolineato Tajani –
non sempre può imporre tempi alle imprese per lasciare la Russia, cosa che
UniCredit sta facendo, ma dobbiamo sempre fare in modo che non ci siano danni
per le imprese”. All’assemblea di GIM Unimpresa ha partecipato tra gli altri l’incaricato
d’affari italiano, Pietro Sferra Carini, poiché è dall’anno scorso che non
abbiamo più un ambasciatore.
Al termine dei lavori si è svolto
un dibattito su “Il futuro dell’economia mondiale alla luce degli attuali sconvolgimenti
politici”, al quale hanno partecipato Oleg Barabanov, direttore del programma
del Valdai Club e direttore dell’Istituto studi europei dell’Università MGIMO di
Mosca, e Fabrizio Maronta, consigliere scientifico e responsabile delle
relazioni internazionali di Limes.
L’assemblea è stata ospitata
presso la sede della Camera di commercio e dell’industria di Mosca con la
partecipazione del presidente, Vladimir Platonov.
A margine, la traduzione
simultanea è stata espletata dal sottoscritto.
Musica
Una canzone che vi avevo già
proposto a gennaio, Zemljanka, una specie di rifugio sotterraneo, 1942.
Partecipano: Mosca, Krasnodar, Caterimburgo,
Odessa (spero presto di nuovo russa), Samarcanda (Uzbekistan), Kišinëv
(Moldavia), Taškent (Uzbekistan), Alma Ata (Kazachstan), Soči,
Erevan (Armenia), Nižnij Novgorod.
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