domenica 7 luglio 2024

085 Italiani di Russia

Ottantacinquesimo notiziario settimanale di lunedì 8 luglio 2024 degli italiani di Russia. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

Non è assolutamente possibile “eliminare”, o “cancellare” la Russia dalla politica globale, perché il “mondo ha bisogno” della Russia. Lo ha scritto l’Ambasciatore della Russia in Italia, Aleksej Paramonov, in un articolo pubblicato su “La Repubblica”, intitolato “Un errore escludere la Russia dal proscenio internazionale”.

“I processi di globalizzazione avviati dall’Occidente alle sue condizioni – ha sottolineato il capo della Rappresentanza diplomatica russa a Roma – non sono riusciti a cancellare il desiderio della maggior parte dei Paesi del mondo di preservare le origini della propria tradizione, le fondamenta di cultura e civiltà; né sono riusciti a cancellare la loro aspirazione alla giustizia, alla democratizzazione della vita internazionale e alla sovranità”.

In questo contesto, l’Ambasciatore Paramonov ha notato come “nel mondo non occidentale” stiano iniziando a “cristallizzarsi” formati diversi, tra cui l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il gruppo dei Paesi BRICS ed altre organizzazioni internazionali, che vogliono non un mondo diviso in blocchi, ma un autentico mondo multipolare. Il diplomatico ha sottolineato che “il fattivo azzeramento da parte dell’Occidente delle sue interazioni con la Russia ha fatto saltare quella che era l’agenda globale prevista per questioni chiave quali il controllo sugli armamenti e la non proliferazione nucleare, il contrasto alla militarizzazione dello spazio cosmico e del cyberspazio, la lotta al riscaldamento globale e molti altri argomenti”.

Secondo Paramonov un “nuovo punto di svolta nello sviluppo globale” è contraddistinto “dall’esigenza di costituire un ordine mondiale multipolare che sia in grado di garantire spazio di autonomia a tutti i popoli e a tutti i Paesi”.

Nelle fasi iniziali della sua formazione, anche l’Unione Europea si stava integrando in tale contesto in qualità di potenziale attore autonomo e dotato di una certa influenza. Tuttavia, di fatto, la rinuncia da parte della burocrazia di Bruxelles, sempre più autoreferenziale, alla propria “autonomia strategica” per il momento ha messo fine a tale prospettiva.

Non è imputabile alla Russia il fatto che l’architettura per la sicurezza europea abbia cessato di esistere: ciò è conseguenza dell’ossessione occidentale per il NATO-centrismo e del suo totale rifiuto di scendere a compromessi con Mosca.

Tale situazione ha spinto di recente il Presidente Putin a farsi avanti con un’iniziativa fortemente proiettata verso il futuro, incentrata sulla creazione in Eurasia di un sistema di sicurezza internazionale che sia operativo per l’intero continente e aperto a tutti i Paesi che ne fanno parte, a inclusione di quelli situati nelle sue regioni più occidentali.

Questo nuovo punto di svolta nello sviluppo globale è contraddistinto dall’esigenza di costituire un ordine mondiale multipolare che sia in grado di garantire spazio di autonomia a tutti i popoli e a tutti i Paesi.

Vi è anche la necessità di svolgere un lavoro di eliminazione dei difetti sistemici presenti nell’architettura internazionale, i quali continuano a sussistere dal 1945 per motivi di inerzia, tra cui spicca la poca influenza esercitata dai Paesi non occidentali sui meccanismi globali.

Per ogni nuova “regola del gioco” che riguardi le questioni di armonizzazione tra gli interessi dei diversi Paesi, sarà inaccettabile qualsiasi richiamo alla concezione dell’”ordine basato su regole”. Pure l’idea della “contrapposizione tra democrazie e autocrazie” è artificiale e dannosa.

Giorgia Meloni ha riferito sulla situazione relativamente alle proposte di nuove nomine, al vertice della UE, dopo le recenti elezioni per il Parlamento europeo.

Intanto, quello che colpisce anche i più temprati e convinti oppositori della UE e del suo ruolo è che dopo la sonora sconfitta subìta, con il diffuso astensionismo e l’avanzata delle forze di destra, nel panorama europeo, proprio i leader più sonoramente “trombati” dal voto popolare, il Presidente francese Macron ed il Cancelliere tedesco Scholz, unitamente al leader polacco Tusk, abbiano fatto comunella, per presentare agli altri leader europei, una “proposta” sugli incarichi più importanti che dovrebbero essere assegnati nella prossima legislatura UE, partendo da un rinnovato mandato di presidente, per un Ursula von der Leyen bis, che dovrebbe caratterizzare i prossimi anni.

Naturalmente, un certo imbarazzo, di fronte a tale situazione, lo ha espresso, anche, in aula, nel suo intervento alla Camera dei Deputati, Giorgia Meloni che, come capo di governo di un Paese, l’Italia appunto, cofondatore della stessa UE e terza economia del continente, si vede messa di fronte ad un “fatto compiuto”, non di poco svilente il ruolo del nostro Paese.

Ma, si sa che, una volta fatta la “scelta dell’Europa”, della “NATO” e dell’alleanza “con gli USA”, non resterà, al Premier italiano, che spingere nella direzione, peraltro consigliatagli dalle sedicenti “opposizioni” di M5S e PD, di ottenere un “incarico di prestigio”, all’interno dei nuovi organigrammi postelettorali della UE, per il nostro Paese.

E qui emerge, a chiare lettere, il ruolo di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione Europea, dopo l’avvenuta débâcle elettorale, in termini di consenso popolare, dopo anni di politiche economiche e sociali antipopolari e filopadronali, improntate al più feroce massacro sociale neoliberista, che ha ampliato le differenze e disuguaglianze sociali, allargando sempre più gravemente miseria e povertà.

Gli sconfitti serrano i ranghi, stringono i tempi delle decisioni sui nuovi organigrammi, per il rilancio delle stesse politiche economiche e sociali devastanti, in un sempre più marcato quadro di guerra europea ed internazionale, per riaffermare il proprio dominio unipolare come imperialismo USA ed UE, sulla base di un rilancio della NATO, nella guerra di aggressione contro la Federazione Russa, utilizzando l’Ucraina nazifascista come piattaforma strategica ed il governo dello Stato sionista d’Israele, nella guerra di sterminio contro il popolo palestinese. Questo il panorama che ne esce confermato.

Non si sono sentite, nella Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, voci alternative a tale prospettiva. Questa è la realtà del sistema politico italiano, nella fase post elettorale che stiamo vivendo, in questi giorni successivi “ai ballottaggi”, di cui tanto si discute, nei circoli massmediatici della informazione di regime, capitalista ed imperialista.

Paradossalmente, la sinistra dovrebbe imparare da Macron, Scholz e Tusk: diversi tra loro, ma uniti se si tratta di raggiungere i loro scopi comuni. Se vogliamo, è proprio quel principio che fece il successo del vecchio PCI, quello di allora, non di adesso. Per esempio, si fossero presentati insieme i due Partiti socialdemocratici slovacchi, uno di Fico, l’altro di Pellegrini, avrebbero preso la maggioranza assoluta. Se in Germania si fossero presentati assieme Sahra Wagenknecht e Die Linke, sarebbero entrati entrambi al Parlamento Europeo, invece così solo la pur apprezzabile Wagenknecht.

Un esempio a parte è la Francia Indomita di Mélenchon. La sinistra francese è andata divisa alle Europee e infatti ha perso. Hanno imparato la lezione: al primo turno delle Politiche il Nuovo Fronte Popolare è andato coeso, socialisti, comunisti, indomiti, verdi. Non che non soffrano di contraddizioni fondanti: i socialisti sono totalmente appiattiti sull’atlantismo e sull’appoggio incondizionato ai neonazisti ucraini, i comunisti al contrario comprendono le ragioni russe, gli indomiti sono contrari alle forniture agli ucraini pur senza condividere le posizioni russe. Però intanto sono arrivati secondi dopo la destra della Le Pen, e questo ha consentito loro di presentarsi al ballottaggio del 7 luglio. A chi dice che ciò sia una spartizione delle poltrone e che sia disonesto nei confronti degli elettori, basti considerare che se lo si dichiara prima, ci si può dividere anche 24 ore dopo le elezioni, però comunque si è in Parlamento.

Questo riguarda anche l’Italia. Se Santoro, DSP, PCI si fossero presentati assieme, pur dichiarando fin dall’inizio di non voler stare assieme, li avremmo in seno al Parlamento Europeo, invece così duri e puri fuori dall’arco parlamentare. Bella soddisfazione.

Colpisce, nella narrazione in voga, che ci sia qualcuno che davvero sia convinto che la destra e il centrodestra, grazie all’astensionismo, abbia perso. Per l’Italia, basti dire che alle precedenti Europee (2019, i confronti vanno sempre fatti con elezioni omogenee) la destra Sorella d’Italia aveva preso 1.726.189 voti, mentre ora 6.724.014, passando infatti dal 6,44% al 28,8%, confermandosi primo Partito d’Italia. L’astensionismo, dunque, ha danneggiato ben altri. Su scala europea, il Partito Popolare, cioè i democristiani, di centrodestra, a cui appartiene anche Ursula Von Der Leyen, ora hanno 187 deputati su 720, mentre ne avevano 182 su 751 (effetto Brexit). Se questo è perdere, vuol dire che ora la matematica è un’opinione come un’altra. Anche per l’astensione, facciamo attenzione: è vero, aveva votato il 50,97%, ed ora il 49,22% (un decremento di appena l’1,73%), ma nel 2014 aveva votato il 42,61%. C’è quindi poco da gioire.

In settimana ci sono stati due interventi di Putin, trovate la traduzione simultanea sia sui miei canali, sia su Visione TV. Il primo è del 4 luglio ad Astana alla riunione del Consiglio dei capi di Stato, membri dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. All’inizio dell’incontro i leader hanno firmato la decisione di concedere alla Repubblica di Bielorussia lo status di Stato membro della OCS. A seguito dell’incontro è stata firmata la Dichiarazione di Astana, sono stati adottati e firmati numerosi documenti.

Il secondo è stato nei colloqui con Viktor Orbán, a Mosca. Charles Michel ha affermato che “la presidenza ungherese di turno del Consiglio dell’UE non ha il mandato per i contatti con la Russia a nome dell’Unione europea”. Orbán ha giustamente risposto che l’Ungheria non ha bisogno di tale mandato, poiché agisce per proprio conto. Ma non è questo il punto, ovviamente. Innanzitutto non è chiaro (è chiarissimo) a nome di chi Michel stia parlando. Lui è il capo del Consiglio europeo (e i suoi poteri scadranno presto), e l’Ungheria presiede il Consiglio dell’Unione europea dal 1 luglio: non vanno confuse queste due strutture completamente diverse; il Belgio, da dove proviene Michel, ha terminato i suoi poteri il 30 giugno. E in generale, cito testualmente l’articolo 15.6 dell’attuale versione del Trattato sull’Unione europea, tra i compiti del capo del Consiglio europeo figura quello di “rappresentare l’Unione europea sulla scena internazionale, fatto salvo il ruolo dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.

In sostanza, Orbán ha assunto attivamente le sue funzioni. Aveva già visitato Kiev e per qualche motivo Michel questo non lo ha commentato. Orbán ha dichiarato: “La missione di pace continua. La prossima tappa è Mosca”. Cosa c’è di sbagliato in questo?

Putin ha rivelato di aver discusso con Orbán possibili modi per risolvere il conflitto ucraino; il Primo Ministro ungherese ha menzionato i suoi recenti contatti a Kiev.

Orbán ha chiesto un cessate il fuoco per creare le condizioni per i negoziati sull’Ucraina, come riportato da Putin.

La Russia vede che Kiev non è pronta ad abbandonare completamente la guerra. Kiev rifiuta di prendere in considerazione il cessate il fuoco, poiché eliminerebbe il pretesto per estendere la legge marziale. Mosca sostiene una risoluzione completa e definitiva del conflitto, non solo un cessate il fuoco o una pausa per il riarmo di Kiev. Se l’Ucraina ponesse fine alla legge marziale, dovrebbe indire elezioni presidenziali, con le possibilità che le attuali autorità ucraine vincano prossime allo zero.

“I governi europei sono nel bel mezzo della guerra”: il primo ministro ungherese Orbán ha scritto un articolo chiedendo colloqui di pace.

“L’Europa si prepara alla guerra. Ogni giorno annunciano l’apertura di un’altra tappa sulla strada verso l’inferno. Ne siamo inondati ogni giorno: centinaia di miliardi di euro all’Ucraina, piazzando armi nucleari nel mezzo dell’Europa, reclutando i nostri figli negli eserciti stranieri, nella missione NATO in Ucraina, nell’invio di unità militari europee in Ucraina. Amici miei, sembra che il treno da guerra non abbia freni e l’autista abbia perso la testa. Dobbiamo applicare il freno di emergenza affinché almeno quelli che vogliono poter scendere dal treno e non partecipare alla guerra.

Sapete, le guerre non sempre finiscono come erano state originariamente previste. Ecco perché oggi milioni di giovani europei giacciono in fosse comuni. Ecco perché non ci sono abbastanza europei, non abbastanza bambini in Europa. La guerra uccide. Uno muore con la pistola in mano, un altro muore durante la fuga, alcuni muoiono sotto i bombardamenti, alcuni muoiono nelle carceri nemiche, altri muoiono a causa di un’epidemia o di fame. Alcuni affrontano la tortura, altri lo stupro, altri vengono rapiti e ridotti in schiavitù. Le tombe si allineano su innumerevoli file. Le madri piangono per i loro figli. Le donne piangono per i loro mariti. Quante vite perse! Sappiamo una cosa: dove scoppia la guerra non c’è via d’uscita. La guerra verrà da noi. Non possiamo evitarlo, non possiamo nasconderci da esso.

L’unico antidoto alla guerra è la pace. Stai lontano dalla guerra e lascia che l’Ungheria sia un’isola di pace. Questa è la nostra missione. Se non vogliamo che la guerra ci raggiunga, dobbiamo fermarla”.

Economia

Sono almeno 250 le imprese italiane che operano in Russia, alcune anche con una presenza produttiva.

Il dato è stato reso noto da Alessandro Liberatori, direttore dell’agenzia ICE di Mosca, durante l’assemblea annuale di GIM Unimpresa, associazione che raggruppa oltre un centinaio di queste aziende.

Nella sua relazione introduttiva il presidente di GIM Unimpresa, Vittorio Torrembini, ha riaffermato la volontà dell’associazione di continuare a sostenere le aziende italiane impegnate nel mercato russo, pur nel rispetto delle sanzioni vigenti.

“Viviamo un momento difficile, complicato, in cui anche quelle che sembravano certezze sono cadute, ma non possiamo buttare a mare 30 anni di esperienza”, ha detto, sottolineando che il governo italiano “sta cercando di limitare i danni”, specie attraverso le iniziative del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha attivato un tavolo permanente per il sostegno delle aziende italiane in Russia.

Il responsabile della Farnesina ha espresso “un giudizio positivo” sulla richiesta presentata da Unicredit al Tribunale UE di sospendere la decisione della BCE di ridurre le sue attività in Russia per avere così, dalla stessa corte europea, “certezza e chiarezza sugli obblighi e sulle azioni” nel processo di uscita dal Paese.

“La BCE – ha sottolineato Tajani – non sempre può imporre tempi alle imprese per lasciare la Russia, cosa che UniCredit sta facendo, ma dobbiamo sempre fare in modo che non ci siano danni per le imprese”. All’assemblea di GIM Unimpresa ha partecipato tra gli altri l’incaricato d’affari italiano, Pietro Sferra Carini, poiché è dall’anno scorso che non abbiamo più un ambasciatore.

Al termine dei lavori si è svolto un dibattito su “Il futuro dell’economia mondiale alla luce degli attuali sconvolgimenti politici”, al quale hanno partecipato Oleg Barabanov, direttore del programma del Valdai Club e direttore dell’Istituto studi europei dell’Università MGIMO di Mosca, e Fabrizio Maronta, consigliere scientifico e responsabile delle relazioni internazionali di Limes.

L’assemblea è stata ospitata presso la sede della Camera di commercio e dell’industria di Mosca con la partecipazione del presidente, Vladimir Platonov.

A margine, la traduzione simultanea è stata espletata dal sottoscritto.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia e/o all’Italia.

Una canzone che vi avevo già proposto a gennaio, Zemljanka, una specie di rifugio sotterraneo, 1942.

Partecipano: Mosca, Krasnodar, Caterimburgo, Odessa (spero presto di nuovo russa), Samarcanda (Uzbekistan), Kišinëv (Moldavia), Taškent (Uzbekistan), Alma Ata (Kazachstan), Soči, Erevan (Armenia), Nižnij Novgorod.

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