domenica 7 gennaio 2018

Bella ciao, in memoria di Dino Bernardini

So già che questo racconto rischia di rappresentare un concentrato di banalità e di luoghi comuni. Ciò non di meno, non posso, non voglio sottrarmi.

Penso che molte persone, al mondo, vedano la loro vita accompagnata costantemente da una canzone. Nella mia, di vita, le canzoni sono state e sono tuttora molteplici. Anche nel mio caso, tuttavia, una canzone ha scandito alcune tappe formative del mio percorso. Questa canzone è “Bella ciao”.

Sì, lo so che ora non è più di moda, per qualcuno addirittura sconveniente. Ci sono politici che accusano i docenti scolastici di indottrinare i giovani perché gliene parlano. Ci sono mazzieri fascisti che di notte si esaltano a cancellare i murales riportanti le parole di questa canzone, coprendoli con inneggiamenti a Mussolini. Con buona pace dei populisti e dei qualunquisti, secondo i quali parlare di antifascismo, oggi, è demagogico e anacronistico.

A metà degli anni ’60 frequentavo l’asilo Montessori (i miei detrattori, a questo punto, in genere sogghignano: questo spiega molte cose, dicono). Materialmente, era la Montessori sulla via Tuscolana, a Roma, quella mostrata nel film “Il padre di famiglia”, con Nino Manfredi, e tra i bambini ritratti c’ero anch’io.

Le maestre ci insegnarono a cantare “Bella ciao”. Non c’era nulla di politico in tutto ciò, la cantavamo seduti per terra in cerchio battendo ritmicamente le mani. Semplicemente, dal fascismo erano passati appena vent’anni, non c’era adulto, in Italia, che non ricordasse personalmente, che non abbia subito, che non abbia patito, a parte qualche farabutto e mascalzone che sia stato dall’altra parte. Perché, come ebbe a dire Armando Cossutta, a chi farneticava di riconciliazione con i repubblichini, non eravamo (e non siamo, aggiungo io) tutti uguali.

Perché mio nonno fu confinato e torturato dai fascisti. Perché mio padre, e, ritengo, anch’io, siamo nati comunisti. Perché mio padre, in questi anni ’10, ricordando quell’epoca, ha scritto: “Ho vissuto una vita dentro lo storico palazzo di Via delle Botteghe Oscure, dove ci davamo tutti del tu e sentivamo tutti, o quasi, di far parte di un’unica grande famiglia. Oggi, dopo la scomparsa del PCI, mi sento smarrito come un terremotato rimasto senza la sua casa”.

Il decennio andava finendo, in Unione Sovietica “Bella ciao” piaceva talmente tanto che ne fu fatta una versione in russo. La cantava un baritono azero, Muslim Magomaev, a cui, durante un tirocinio alla Scala di Milano, l’avevano insegnata gli operai delle maestranze, tutti ex partigiani.

Vennero gli anni ’70 (nati dal fracasso, li definì Paolo Pietrangeli, quello di “Contessa”), gli anni del Movimento, della contestazione, dello stragismo fascista, e del mio impegno politico, a partire dal giorno dopo il golpe fascista in Cile. “Bella ciao” la cantavamo tutti insieme, con la chitarra, in sezione e in corteo.

Il riflusso, la dissoluzione dell’URSS, lo scioglimento a tradimento del Partito Comunista Italiano. Tutto questo sono stati la fine degli anni ’70, tutti gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Un Francesco De Gregori non ancora domo come ora, almeno menziona “Bella ciao”.

Eppure, in Russia, la canzone riacquista freschezza e vigore, grazie ad un cantante “underground”, Garik Sukačëv, che la rielabora in chiave ebraica (ad evitare incomprensioni: non israeliana).

La mia “Bella ciao” ho continuato a cantarla negli anni ’90, accompagnandomi con la chitarra negli scantinati del locale “Le barricate”, a Milano, gestito da Pietro Valpreda (sì, proprio il ballerino anarchico accusato inizialmente della strage di piazza Fontana del 1969, perpetrata invece dai fascisti in collusione con i cosiddetti “servizi deviati” dello Stato).

Il progressivo imbarbarimento della politica italiana, della destra doppiopettista berlusconizzata come della sinistra salottiera radical chic, mi ha costretto ad emigrare e ad abbandonare la mia Italia giusto allo scadere dello scorso millennio. Dapprima alla volta del Belgio, poi addirittura fuori dall’Unione Europea. Di fatto, come suol dirsi, mi sono rialzato per le stringhe delle scarpe, mi sono ricostruito una vita, ho conosciuto mia moglie sul lavoro e abbiamo due figli.

Man mano che tutt’attorno morivano di vecchiaia e di malattia i nostri amici (più i suoi che i miei, ma non solo), mio padre, ogni volta e sempre più spesso, commentava, come un mantra: gli unici due immortali siamo noi due.

Il 27 ottobre 2017 mi ha davvero fatto uno scherzo da preti, non è stato di parola. Ed io continuo periodicamente in automatico a pensare di chiamarlo per qualche consiglio. Ma dove vuoi chiamarlo, rimbambito!, mi dico all’ultimo momento.

Al tempietto egizio del cimitero monumentale del Verano, a Roma, eravamo un centinaio e mezzo di persone a cantare “Bella ciao” davanti alla sua bara.

Forse non ci saranno più sogni al davanzale, come ho detto nell’orazione funebre, ma, parafrasando la bellissima “Stagioni” di Francesco Guccini, da qualche parte un giorno, dove non l’aspettate, “Bella ciao” tornerà. E magari molto prima dei cinquant’anni di cui parlava mio padre nella sua ultima intervista.

5 commenti:

  1. Lo spero con tutto il cuore, caro Mark. ❤
    Lore

    RispondiElimina
  2. Ehhh Mark, "bella ciao", dici....
    è la nostra colonna sonora, una delle cose più belle che l'Italia ha regalato al mondo, insieme alla parola "partigiano", il cui suono riecheggia in mille lingue....
    Cinque anni fa sono ad Istanbul, e facciamo per entrare nel Top Kapi e una guardia all'ingresso dice: "Italyan?",noi: "yes" e lui, a voce alta, si mette a cantare..bella ciao! non ci potevamo credere. Entusiasmo e emozione.
    E senti quest'altra.
    Io insegno italiano ai giovani migranti che arrivano da tutto il mondo.
    Un giorno dico: questa canzone si chiama Bella Ciao.
    Testo scritto in mano.
    La canto e mi appresto ad insegnarla a una decina di ragazzi e ragazze stranieri.
    William Lyao (così si fa chiamare) dice: prof, la so.
    E canta bella ciao in cinese.
    Meraviglia mia.
    "Ancora, Lyao. Scrivi il testo. Insegnaci le parole".
    E bella ciao è stata cantata in cinese da giovani africani, cinesi, turchi e il maestro italiano, alla Casa delle Culture di Modena.
    E ho la registrazione



    RispondiElimina
  3. Nessuna banalità e nessun luogo comune caro Mark. Per chi ha conosciuto quegli anni e li ha vissuti in un certo modo Bella Ciao non è solo una canzone. Così come tuo padre non era solo un compagno, ma un uomo raro e prezioso, dalla cultura sconfinata e dal cuore immenso, una delle persone migliori che ho incontrato

    RispondiElimina
  4. che dire? mi hai doppiamente commossa, come mi commuovo ogni volta che ascolto bella ciao
    anna

    RispondiElimina