La regione della Libia più ricca di petrolio ha proclamato autonomia. Per gli esperti è l’inizio della disintegrazione del paese dopo la caduta del regime di Gheddafi. Dopo l’uccisione di Muammar Gheddafi la Libia rischia di sparire come stato unito.
Dopo l’uccisione di Muammar Gheddafi la Libia rischia di sparire come stato unito. L’esperto dell’Istituto di studi orientali dell’Accademia delle scienze russa Boris Dolgov, che ne aveva già avvertito, ha così commentato la proclamazione della regione autonoma della Cirenaica con la capitale a Bengasi:
In sostanza la regione
ha proclamato indipendenza. Ne avevo già parlato. La disintegrazione
della Libia e la continuazione degli scontri armati fra i vari gruppi
venuti al potere sono una logica conseguenza della caduta del regime di
Gheddafi. Questo processo andrà avanti, in quanto il Consiglio
nazionale di transizione della Repubblica Libica non ha potere reale e
non controlla la situazione nel paese. Anche prima di questa svolta
della Cirenaica in Libia c’erano già delle regioni di fatto
indipendenti.
Il presidente dell’Istituto di Medio Oriente Evgenij Satanovskij ha rilevato che già da tempo Bengasi voleva prendere il controllo dei terminal petroliferi. In Libia esiste una specie di “catena del petrolio”, quando alcune tribù controllano i terminal sulla costa, altre i pozzi di retroterra, mentre vari altri clan, che abitano nelle terre dove passano le pipeline, stringono alleanze fra di essi per difendere la loro unica fonte di benessere.
Da questo punto di vista, dice Evgenij Satanovskij, lo scenario libico assomiglia a quello della Somalia e dell’Afghanistan. Gli esperti riconoscono che anche lo Yemen, lacerato dalle faide, in misura sempre maggiore assomiglia alla Somalia. Nella regione meridionale di Abyan, dove le autorità centrali non hanno praticamente nessun potere, i ribelli hanno attaccato una caserma. E’ stata un’azione senza precedenti contro le truppe governative che ha portato alla morte di circa 190 militari. In Russia come in Occidente non si eclude la responsabilità di Al Qaeda. Lo potrebbe dimostrare la sfilata, organizzata poco dopo l’attacco, nella città di Jaar, nel corso della quale i combattenti di Al Qaeda hanno dimostrato mezzi pesanti, armamenti e militari catturati.
In queste condizioni della debolezza del potere, Al Qaeda ha seriamente rafforzato le sue posizioni nel Sud e nell’Est dello Yemen. L’ultima dimostrazione di forza è stata svolta subito dopo la dichiarazione del nuovo presidente yemenita Abd-Rabbu Mansour Hadi che ha promesso di continuare la lotta al terrorismo. Il 25 febbraio, mentre era in corso la cerimonia del giuramento, gli estremisti di Al Qaeda si sono “congratulati” a modo loro con il nuovo presidente facendo esplodere a Mukalla nel Sud dello Yemen, dove si trova uno degli edifici presidenziali, una bomba che ha ucciso 25 militari.
I combattenti di Al Qaeda militano anche nelle file dell’opposizone siriana. Lo riconosce un numero sempre maggiore di esperti occidentali. L’ha rilevato anche l’esperto russo Sergej Demidenko dell’Istituto di analisi strategica.
Che Al Qaeda stia combattendo dalla parte dell’opposizione per loro è una sorpresa. Io invece lo dico da parecchio tempo. Adesso cominciano ad averne consapevolezza anche gli osservatori occidentali. Dobbiamo però ricordare che non tutta l’opposizione in Siria è uguale. Ci sono anche dei gruppi moderati, laici, che da tempo partecipano al negoziato e sono disposti a trattare con le autorità sulla base della nuova piattaforma proposta dal presidente Bashar Assad. Per quanto riguarda i radicali islamici, il loro odio nei confronti di Assad è storico. Questi gruppi combatteranno ad oltranza, finanziati dall’Arabia Saudita e aiutati da Al Qaeda.
Venerdì in Siria sono nuovamente scoppiati intensi combattimenti nella provincia di Homs tra le forze governative e i disertori passati dalla parte dell’opposizione. Si comunica anche che dopo la preghiera di venerdì in varie città della Siria migliaia di persone hanno manifestato contro la politica di Bashar Assad. Intanto le autorità siriane sono riuscite a raggiungere un accordo con l’ONU per creare una missione congiunta che valuterà la situazione nelle regioni dove la gente ha bisogno di aiuto.
Il presidente dell’Istituto di Medio Oriente Evgenij Satanovskij ha rilevato che già da tempo Bengasi voleva prendere il controllo dei terminal petroliferi. In Libia esiste una specie di “catena del petrolio”, quando alcune tribù controllano i terminal sulla costa, altre i pozzi di retroterra, mentre vari altri clan, che abitano nelle terre dove passano le pipeline, stringono alleanze fra di essi per difendere la loro unica fonte di benessere.
Da questo punto di vista, dice Evgenij Satanovskij, lo scenario libico assomiglia a quello della Somalia e dell’Afghanistan. Gli esperti riconoscono che anche lo Yemen, lacerato dalle faide, in misura sempre maggiore assomiglia alla Somalia. Nella regione meridionale di Abyan, dove le autorità centrali non hanno praticamente nessun potere, i ribelli hanno attaccato una caserma. E’ stata un’azione senza precedenti contro le truppe governative che ha portato alla morte di circa 190 militari. In Russia come in Occidente non si eclude la responsabilità di Al Qaeda. Lo potrebbe dimostrare la sfilata, organizzata poco dopo l’attacco, nella città di Jaar, nel corso della quale i combattenti di Al Qaeda hanno dimostrato mezzi pesanti, armamenti e militari catturati.
In queste condizioni della debolezza del potere, Al Qaeda ha seriamente rafforzato le sue posizioni nel Sud e nell’Est dello Yemen. L’ultima dimostrazione di forza è stata svolta subito dopo la dichiarazione del nuovo presidente yemenita Abd-Rabbu Mansour Hadi che ha promesso di continuare la lotta al terrorismo. Il 25 febbraio, mentre era in corso la cerimonia del giuramento, gli estremisti di Al Qaeda si sono “congratulati” a modo loro con il nuovo presidente facendo esplodere a Mukalla nel Sud dello Yemen, dove si trova uno degli edifici presidenziali, una bomba che ha ucciso 25 militari.
I combattenti di Al Qaeda militano anche nelle file dell’opposizone siriana. Lo riconosce un numero sempre maggiore di esperti occidentali. L’ha rilevato anche l’esperto russo Sergej Demidenko dell’Istituto di analisi strategica.
Che Al Qaeda stia combattendo dalla parte dell’opposizione per loro è una sorpresa. Io invece lo dico da parecchio tempo. Adesso cominciano ad averne consapevolezza anche gli osservatori occidentali. Dobbiamo però ricordare che non tutta l’opposizione in Siria è uguale. Ci sono anche dei gruppi moderati, laici, che da tempo partecipano al negoziato e sono disposti a trattare con le autorità sulla base della nuova piattaforma proposta dal presidente Bashar Assad. Per quanto riguarda i radicali islamici, il loro odio nei confronti di Assad è storico. Questi gruppi combatteranno ad oltranza, finanziati dall’Arabia Saudita e aiutati da Al Qaeda.
Venerdì in Siria sono nuovamente scoppiati intensi combattimenti nella provincia di Homs tra le forze governative e i disertori passati dalla parte dell’opposizione. Si comunica anche che dopo la preghiera di venerdì in varie città della Siria migliaia di persone hanno manifestato contro la politica di Bashar Assad. Intanto le autorità siriane sono riuscite a raggiungere un accordo con l’ONU per creare una missione congiunta che valuterà la situazione nelle regioni dove la gente ha bisogno di aiuto.
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