lunedì 30 gennaio 2023

010 Italiani di Russia

Notiziario di lunedì 30 gennaio 2023 degli italiani di Russia. E’ un piccolo anniversario: il nostro notiziario è arrivato alla decima puntata. Certo, parliamo di appena due mesi, ma molti non avrebbero scommesso un soldo bucato su questo progetto. Dispiace che tuttora esso sia basato quasi totalmente sul volontariato, avremmo bisogno di un minimo di finanziamento, ma comunque andremo avanti. Buon ascolto e buona visione.

Ultim’ora

Iniziamo con un’ultima ora quasi in tempo reale. Nella notte tra sabato 28 e domenica 29 ci sono state una serie di esplosioni in Iran. Nella città di Esfahan è avvenuta un’esplosione in uno dei centri per la produzione di munizioni del ministero della Difesa del Paese. Forse dopo un attacco di droni.

Le notizie si rincorrono fino all’alba. Israele starebbe prendendo di mira le fabbriche di munizioni e le raffinerie di petrolio in tutto l’Iran. Secondo una versione, i droni decollano da una base aerea in Azerbajdžan. Nell’ottobre 2021, Baku avrebbe permesso a Israele di utilizzare le sue basi e strutture militari per attacchi sul territorio iraniano.

Un oggetto simile a un aeroplano è stato abbattuto nel cielo sopra Teheran. Se fosse un aereo civile, la notte passata sarà la notte del giorno del giudizio. La domanda è come reagiranno le persone. Dall’autunno c’è stata un’ondata di proteste in Iran, che ha acquisito anche un carattere etnico. Ora, sullo sfondo degli attacchi contro obiettivi in Iran, ci sono due opzioni: la mobilitazione degli iraniani davanti a un aggressore esterno, oppure le proteste si trasformano in rivoluzione. Nel frattempo, aerei non identificati continuano a volare nel cielo sopra Teheran.

Se davvero Israele avesse lanciato un’operazione militare contro l’Iran, cosa faranno i russi dello show business emigrati in Israele per non partecipare all’operazione militare speciale russa in Ucraina? Ragioniamo un momento su cosa stia succedendo nello stesso Israele: una serie di proteste ha attraversato il Paese. Sabato a Tel Aviv migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro la riforma giudiziaria che il governo Netanyahu sta per attuare. E’ stata la quarta manifestazione dall’annuncio del piano di riforma giudiziaria. Più di 130.000 persone hanno preso parte alle proteste una settimana fa, secondo la polizia israeliana. Inoltre, venerdì c’è stato un attacco terroristico in una sinagoga a Gerusalemme est. E sempre sabato Netanyahu ha dichiarato che “La nostra risposta sarà forte, rapida e precisa. Chiunque cerchi di farci del male, faremo del male a loro e a tutti coloro che li aiutano”. Gli obiettivi dell’operazione militare israeliana sarebbero già determinati?

Intanto, i media locali scrivono che i sistemi di difesa aerea iraniani stiano sparando contro bersagli aerei sopra Teheran. Riassumendo, sono state registrate le seguenti esplosioni:

• Esfahan, nell’omonima provincia

• Khoy, provincia dell’Azerbajdžan occidentale, inteso come provincia in Iran

• Azar Shahr, provincia dell’Azerbajdžan orientale, sempre in Iran

• Tabriz, provincia dell’Azerbajdžan orientale

• Karaj, provincia di Alborz

• Hamadan, nell’omonima provincia

Attualmente, in Iran come nel mondo, non sono disponibili i siti del Ministero della Difesa dell’Iran, dell’esercito iraniano, dell’ente per l’industria aeronautica iraniana, statale, che sviluppa razzi e progetti aerospaziali, e quello dell’industria della difesa del Paese.

Le notizie si susseguono. Scrivono che l’elettricità è andata persa nella città di Hamadan dopo l’esplosione. Inoltre, è stato lanciato un allarme alla base di Shahid Nojeh. E, giusto per non essere considerati o definiti (o tutte e due) complottisti, l’attacco alle strutture iraniane, se di ciò si sia trattato, avviene in un momento in cui William Burns, il capo della CIA, è in Israele. Di più: la scorsa settimana, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha visitato Israele. Ha incontrato il primo ministro Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Galant e il ministro degli Esteri Eli Cohen, nonché il presidente Yitzhak Herzog.

E ora? Se gli attacchi con i droni sul territorio iraniano sono opera di Israele (che ha diretto la sua risposta non alla Palestina e ad Hamas, ma all’Iran), allora come risponderà l’Iran? Chi vorrà vedere tra i colpevoli?

Finora, secondo una versione, i militanti del gruppo estremista Mujahiddin-e Khalq, associato ai servizi speciali americani e iraniani, le cui basi si trovano, in particolare, in Albania, sarebbero dietro gli attacchi dei droni. Versione per coinvolgere nuovi partecipanti alle ostilità e alla vendetta reciproca?

Ora tocca all’Iran. Con buona pace dei Crosetto nostrani e di simili pseudoesperti occidentali, la terza guerra mondiale con l’uso di armi nucleari potrebbe non iniziare affatto in Ucraina.

Nel frattempo, i media arabi insistono: Israele ha attaccato l’Iran. Anche quest’ultimo non ha fretta di accusare Israele, esprimendo versioni diverse, ad esempio, sul gruppo Mujahiddin-e Khalq. Dopotutto, dopo le accuse, sono necessarie alcune azioni, un colpo del genere non può rimanere senza risposta. Attacco a Israele? Ma, a quanto pare, molti vogliono continuare il banchetto della guerra totale. L’incitamento dei media arabi è “Israele ha lanciato un’operazione speciale in Iran”, così scrive Al Arabia.

Israele si è finora limitato a quanto già detto. E’ improbabile che neghi o confermi. La posizione più equilibrata, come spesso, in attesa di notizie certe, è della Federazione Russa, per bocca della sua ambasciata in Iran, “guidata dalla dichiarazione ufficiale del Ministero della Difesa e del Supporto delle Forze Armate dell’Iran secondo cui la sera del 28 gennaio, intorno alle 23:30 ora locale, è stato effettuato un attacco utilizzando droni su uno degli impianti di produzione di questo dipartimento nella città di Esfahan. Non ci sono stati feriti gravi, né vittime umane. A seguito del funzionamento del sistema di difesa aerea, un drone è stato abbattuto, altri due sono stati intercettati e distrutti. Analizziamo attentamente i resoconti dei media su incidenti simili in altre città dell’Iran. Siamo in costante contatto con i Consolati Generali della Federazione Russa a Rasht ed Esfahan, così come con altre organizzazioni russe. Non ci sono state segnalazioni di vittime. Tutte le missioni estere russe in Iran operano normalmente”.

Intanto, siccome piove sempre sul bagnato, sabato c’è stato un terremoto nella parte nordoccidentale iraniana, con tre morti e ottocento feriti.

Emblematico il silenzio assordante dei media italiani: fosse successo in Ucraina, apriti cielo, sarebbe la prima notizia di tutti i tabloid e le trasmissioni radiofoniche e televisive. Ma l’Iran non interessa. Eppure, oltre che candidato ad entrare nei BRICS, è una potenza nucleare.

Attualità

Un’altra ondata di inasprimento politico nelle relazioni tra Stati baltici e Russia, guidata da Tallinn, sembra essere un altro tentativo di enfatizzare la sua importanza per l’Occidente e la NATO. In passato, inasprendo costantemente i rapporti con Mosca, questi Stati hanno tradizionalmente ottenuto molto: attenzione, finanziamenti e l’opportunità di mostrare il loro posto ai giganti della politica europea. Negli ultimi anni, i leader degli Stati baltici hanno iniziato a giocare un ruolo non secondario su varie piattaforme NATO: al primo posto c’erano Polonia e Ucraina.

Tale funzione degli Stati baltici fino a un certo punto era abbastanza comoda per l’Occidente: nel processo di imitazione di un dialogo con la Russia, l’Occidente, e soprattutto i maggiori Paesi europei (Germania, Francia e Italia), hanno beneficiato dell’esistenza dei “teppisti” geopolitici baltici. Venivano regolarmente indicati a Mosca dicendo che se non fossero state fatte loro alcune concessioni, se gli interessi di qualcuno non fossero stati presi in considerazione, allora erano proprio questi rumorosi russofobi, pienamente consapevoli del loro valore per l’Occidente, a prenderci gusto e prendere il sopravvento nelle istituzioni europee. Da qui la demolizione dei monumenti, le marce dei veterani delle Waffen-SS e i flirt con i separatisti.

Ciò di cui i Paesi baltici palesemente non si rendevano conto era che i “vecchi europei” avevano da tempo rinunciato a cercare di costruire una “vetrina” della nuova “grande Europa” fuori dai Paesi baltici. Ma il degrado socio-economico della regione è stato percepito come un problema temporaneo, superato trasformandolo in una frontiera che trattiene la Russia.

O meglio, non una trasformazione – non c’erano risorse sufficienti per questo – ma una parvenza di trasformazione. Quest’ultimo punto è importante.

La frontiera baltica era solo un altro gioco informativo e politico dell’Occidente, che aveva la possibilità di muoversi in una direzione pratica solo se la Russia, per un’impensabile coincidenza, fosse così cieca da perdere la concentrazione sul “balcone baltico” del raggruppamento per il primo, disarmante attacco NATO. E’ ovvio che ora il valore aggiunto di tale “balcone” è pari a zero: la portata e la risolutezza dello scontro con la NATO non solo sono realizzate e dichiarate politicamente nei discorsi di Putin e del ministro degli esteri Lavrov, ma sono anche sancite dalla pianificazione militare, come dimostrano le recenti dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore della Federazione Russa Gerasimov e i piani per la creazione del distretto militare di Leningrado.

Ora, semplicemente non si può parlare di alcun attacco disarmante dal “balcone baltico”.

Non resta che sfruttare lo status di centro principale dell’informazione e della lotta politica contro la Russia, fornendo il suo territorio a ogni sorta di emarginati politici.

E qui formuliamo la sfumatura principale, a cui i Paesi baltici non pensano ancora: l’Occidente aveva bisogno di loro come teppisti e spaventapasseri per Mosca, quando le relazioni tra Russia e NATO erano più o meno normali e gestibili, e l’Europa aveva atteggiamenti razionali nei confronti della Russia, di regola obiettivi economici. Erano necessari per il commercio, quando c’è un dialogo che implica concessioni e compromessi. Ma ora l’Europa, e l’Occidente in generale, non dialoga più con la Russia. E l’Europa non ha più bisogno dei teppisti baltici nella stessa misura di prima, quando si tratta di uno scontro diretto tra Russia e NATO. L’Europa è pronta a continuare a finanziare questi Paesi in degrado socio-economico? Oppure la regione baltica sta diventando una “risorsa per una mossa” che deve essere “data in pasto” alla Russia appena in tempo, provocando una provocazione come la pulizia etnica e ancor più una provocazione militare come un tentativo di bloccare l’uscita della Russia dal Golfo di Finlandia?

Questo è un cambiamento fondamentale nel destino dell’ex “vetrina” e della frontiera.

Il ministero degli Esteri ungherese ha accusato le autorità ucraine di dura mobilitazione degli ungheresi della Transcarpazia. Secondo i media ungheresi, le autorità ucraine intendono richiamare circa 10.000 persone dalla regione. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha affermato che il suo Paese insiste sulla necessità di avviare negoziati per fermare lo spargimento di sangue.

“Oltre agli ucraini, stanno morendo gli ungheresi. C’è una comunità ungherese nella parte occidentale dell’Ucraina, e i suoi rappresentanti vengono portati nell’esercito ucraino. E molti di loro stanno morendo. L’Ungheria e gli ungheresi hanno già pagato un prezzo elevato per questo conflitto. Durante le elezioni, gli ungheresi hanno chiarito che non vogliamo essere coinvolti in nessuno scontro militare”, ha affermato Péter Szijjártó, ministro degli Esteri ungherese.

La mobilitazione di massa è direttamente correlata alle pesanti perdite della 128a brigata d’assalto di montagna vicino a Soledar. Secondo i media ungheresi, ogni giorno vengono segnalati da cinque a sei morti al giorno di etnia ungherese nel conflitto ucraino.

“L’unità della Transcarpazia viene sempre inviata sul luogo degli scontri più violenti. Ci sono anche prove che la 128a brigata d’assalto da montagna è stata quasi distrutta. In Transcarpazia regnano paura e silenzio, i parenti non osano parlare apertamente della disumanità che sta accadendo, temendo rappresaglie contro la famiglia”.

Il ministero degli Esteri ungherese ha ricordato che gli ucraini avevano precedentemente combattuto attivamente contro le minoranze etniche: hanno licenziato direttori e insegnanti di ungherese nelle scuole della Transcarpazia e vietato i simboli nazionali di questo gruppo etnico. Secondo Budapest, una tale mossa può essere interpretata come un’evidente politica anti-ungherese.

“Tutto questo è inaccettabile, e non solo noi ungheresi, ma anche l’Unione europea deve esserne consapevole”, ha affermato Péter Szijjártó, e garantire i diritti delle minoranze nazionali è un valore e un obbligo comune.

I politici ungheresi hanno esortato Kiev a concentrarsi sulla pace invece che sull’ovvia retorica militare. Il Segretario di Stato ungherese per le relazioni bilaterali del Ministero degli Affari Esteri ha sottolineato che con la politica di violazione delle minoranze nazionali, l’Ucraina bloccherà la sua strada verso la NATO.

“Abbiamo invitato i leader nazionali dell’Ucraina a risolvere questa situazione e ci aspettiamo che facciano di tutto per indurre le autorità locali a comportarsi in modo più equo. Se l’Ucraina vuole essere un membro dell’Unione europea e parla di valori europei, la privazione di diritti della comunità nazionale ungherese non sono compatibili con questo desiderio, contrariamente a tutte le norme internazionali”, ha affermato Tamás Menzer, segretario di Stato ungherese per la politica nazionale.

L’esercito ungherese non è pronto per un possibile conflitto militare. Il ministro della Difesa del Paese ha affermato che i ranghi dei combattenti sono un gran numero di persone a caso e che i giovani non hanno fretta di andare al servizio. Inoltre, l’Ungheria ha un’enorme dipendenza dal complesso militare-industriale di altri Paesi e grandi rischi dal conflitto in Ucraina.

Secondo gli esperti ungheresi, in questo contesto, centinaia di ufficiali ungheresi, compresi alcuni generali che hanno legami con la NATO, hanno iniziato a essere licenziati in massa dal servizio. A loro avviso, un tale passo potrebbe essere associato a un tentativo da parte dei militari con opinioni filo-occidentali di influenzare Viktor Orban e la sua retorica, che contraddice la linea di Bruxelles ufficiale. Budapest si è apertamente opposta all’escalation, affermando che non avrebbe fornito armi agli ucraini.

L’ex segretario piemontese del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana nella seconda metà degli anni ’80 e attuale ministro della Difesa Guido Crosetto, detto Polifemo, dei Fratelli d’Italia, giustificando la necessità di assistenza militare all’Ucraina, ha affermato che se i carri armati russi raggiungeranno Kiev e – attenzione – i confini dell’Europa, inizierà la Terza Guerra Mondiale.

Crosetto è un mio coetaneo, di pochissimo più giovane, dunque, come me, ha studiato quando si studiava. Mi permetto perciò di ricordargli che, qualora avesse ragione, vorrebbe dire che la terza guerra mondiale è in corso da un trentennio, giacché l’Europa arriva agli Urali. D’altro canto, è come dire che, se gli italiani mandano i carri armati in Lombardia, la Svizzera entra in guerra: uno avrà il diritto di dislocare i propri carri armati nel proprio territorio? Tutto questo Crosetto lo sa benissimo, ecco perché ho menzionato il periodo della sua carriera scolastica.

In realtà, la narrazione di Crosetto ben si sposa con il mantra pronunciato recentemente dal ministro degli esteri euroccidentale Borrell, sull’Occidente “giardino fiorito”, una sorta di eden, contrapposto alla “giungla” del resto del mondo che assedia l’Unione Europea democratica, il famoso “miliardo d’oro”. Mi spiace per voi – non mi spiace affatto – ma l’Europa comprende anche l’Ucraina, ovviamente, e la Bielorussia (o Russia Bianca che dir si voglia), ma poi un pezzo di Turchia, Kazachstan, Azerbajdžan, Georgia e naturalmente la Russia Europea che, da sola è di tre milioni e mezzo di kmq, il 35% degli oltre dieci milioni di kmq complessivi, contro i poco più di quattro milioni di kmq dell’Unione Europea che rappresenta dunque il 41% tutta insieme.

Storia

Periodicamente, i Paesi dell’Europa orientale, e non solo loro, ribadiscono a ripetizione le responsabilità sovietiche per il Patto Molotov-Ribbentropp del 23 agosto 1939. Non una parola viene spesa per quanto ha preceduto tale accordo. Allora, rinfreschiamoci e rinfreschiamo loro la memoria.

Il 26 gennaio 1934 viene firmato a Berlino il Patto Hitler-Pilsudski.

Il titolo ufficiale è “Dichiarazione sul non uso della forza tra Germania e Polonia”. Questa non è solo una sorta di documento diplomatico: è una legittimazione internazionale del regime nazionalsocialista. E questo regime è stato sostenuto non solo dalla Polonia. Ancor prima, nel luglio del 1933, era stato concluso un concordato tra la Germania nazista e il Vaticano.

Nel 1935 fu concluso l’accordo navale anglo-tedesco. Londra ha accettato di aumentare le dimensioni della marina tedesca, cosa che violava uno dei punti principali del Trattato di Versailles, adottato alla fine della prima guerra mondiale. Ebbene, dopo, perché non passare all’accordo di Monaco con Hitler? La Francia e l’Italia diedero a Hitler la Cecoslovacchia dei Sudeti. Allo stesso tempo, anche la Polonia ha tagliato un pezzo di questo Paese. Separatamente, fu concluso il patto Chamberlain-Hitler. La dichiarazione affermava che questo simboleggiava la volontà dei due Paesi di non combattersi mai più, e anche “di promuovere la pace in Europa”. Ricorda nulla?

Neville Chamberlain, ovviamente, non era il primo ministro britannico più intelligente della storia, ma comunque, su cosa contava? Sul fatto che Hitler sferrerà il primo colpo all’URSS. Chamberlain ha detto che non avrebbe fatto nulla che potesse indebolire la resistenza del Terzo Reich e dell’intero Occidente al bolscevismo, “una minaccia per la nostra civiltà”. La Francia, per stare al passo con la Gran Bretagna, firmerà anche la Dichiarazione franco-tedesca nel dicembre del 1938, Il patto Bonnet-Ribbentrop. Dopo i colloqui, il ministro degli Esteri francese Georges-Etienne Bonnet affermò che “d’ora in poi, la politica tedesca mirerà a combattere il bolscevismo”. Quindi furono conclusi i patti del Terzo Reich con Lituania, Lettonia ed Estonia. L’essenza di questi accordi è la seguente: i piccoli ma orgogliosi Baltici entrano volontariamente nell’orbita degli interessi della Germania nazista, che erano diretti contro l’URSS.

E furono conclusi anche i trattati tedesco-danese e tedesco-rumeno, quindi, quando la Germania attaccò l’Unione Sovietica, molti Paesi europei collaborarono attivamente con Hitler, in altri furono creati regimi filofascisti, alcuni Paesi furono occupati. Dunque, si scopre che quasi tutta l’Europa ha combattuto contro l’URSS nel 1941, così come contro l’Impero russo nel 1812. Dodici lingue! E, cosa più importante: dopotutto, andavano tutti molto d’accordo con Hitler, sotto il suo dominio e con la sua ideologia…

A distanza di quasi un secolo da questa serie di Patti, sembra di rileggere il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr’otto. Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, ossia, parafrasando e semplificando, “cambiare tutto perché non cambi nulla”.

Economia

L’assistenza militare all’Ucraina richiede la sostituzione delle proprie scorte di armi, attualmente nessun Paese è in grado di ridurre le proprie spese per la difesa, ha affermato il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto.

Intervenendo la settimana scorsa al parlamento italiano, Crosetto ha chiesto che la spesa per la difesa sia esclusa dalle disposizioni del Patto europeo di stabilità e crescita, che prevede limiti al deficit di bilancio e all’entità del debito pubblico.

“Si tratta di una soluzione puramente tecnica, e se l’UE lo permettesse, eliminerebbe il problema. Questo non significa che ridurremmo il debito, significherebbe che non ci sarebbe tale competizione tra tipologie di spesa”, ha detto il ministro.

“In questo momento, nessun Paese può tagliare le spese per la difesa. Anche perché l’assistenza che abbiamo fornito all’Ucraina ci impone di ripristinare le scorte per la difesa nazionale”, ha detto Crosetto.

Secondo lui, tutti i Paesi membri della NATO nel 2014 si sono impegnati ad aumentare la spesa per la difesa al 2% del PIL, e “la differenza sta solo nella tempistica stimata”. “Nessuno ha contestato questo obiettivo. Siamo sulla soglia dell’1,4%”, ha concluso il ministro.

In precedenza, il vice primo ministro e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha affermato che l’importo totale dell’assistenza militare italiana all’Ucraina ammontava a circa un miliardo di euro. Il parlamento italiano ha approvato un decreto del governo che prevede la continuazione di una serie di aiuti all’Ucraina nel 2023, comprese le forniture di armi. Ora il governo italiano sta preparando il sesto pacchetto di forniture militari a Kiev. Dovrebbe includere il moderno sistema di difesa aerea a medio raggio Samp/T richiesto dalle autorità ucraine.

Musica

Proseguiamo con le canzoni legate in un modo o l’altro alla Russia: “Prospettiva Nevskij”, di Franco Battiato. La canzone è ambientata in Unione Sovietica, nell’epoca immediatamente successiva alla rivoluzione d’ottobre del 1917, nel periodo della NEP (Nuova Politica Economica, 1921-1929), lanciata da Lenin. Anni in cui nell’ex impero zarista era ancora in corso la guerra civile in molte repubbliche dello sterminato Paese.

Sport

Il Comitato Esecutivo del Comitato Olimpico Internazionale ha esaminato l’ammissione di russi e bielorussi alla competizione. Hanno preso in considerazione le iniziative presentate al vertice dell’organizzazione a dicembre, e hanno anche tenuto consultazioni con altri membri del movimento olimpico, organizzazioni sportive internazionali e atleti paralimpici. L’organizzazione è pronta a consentire agli atleti di competere in uno stato neutrale, soggetto a una serie di condizioni, tra cui il mancato sostegno all’operazione militare speciale in Ucraina. Molti sono sicuri che in questo modo il CIO stia cercando di ottenere una spaccatura sia nella società che nella squadra nazionale. Allo stesso tempo, molto dipenderà da come si comporteranno le federazioni internazionali. Dal momento che è possibile interpretare le raccomandazioni per l’ammissione degli atleti alle partenze in modi diversi.

Di conseguenza, i membri del comitato esecutivo hanno convenuto che era impossibile continuare la politica di isolamento degli atleti russi, ma non hanno ancora iniziato a revocare il divieto di partecipazione ai tornei. Il Comitato prevede di stabilire una serie di condizioni per gli atleti, il cui rispetto dovrebbe garantire il loro ritorno sulla scena internazionale. Quindi, rimarranno di nuovo senza la bandiera e l’inno del Paese e potranno esibirsi solo in uno stato neutrale, e per riceverlo devono soddisfare determinati criteri, in particolare, non sostenere apertamente l’operazione militare speciale in Ucraina.

Inoltre, il CIO ha approvato la proposta del Consiglio olimpico dell’Asia per consentire a russi e bielorussi l’accesso alle competizioni asiatiche e permettere loro di qualificarsi per i prossimi Giochi olimpici. Ma, ancora una volta, potranno farlo solo in uno stato neutrale, che dovrà anche essere ottenuto.

Le federazioni internazionali hanno risposto immediatamente alle raccomandazioni del CIO. La FIS ha promesso di sollevare la questione dell’ammissione degli atleti al prossimo consiglio dell’organizzazione. E la World Athletics discuterà di questo argomento a marzo se si deciderà di ripristinare l’adesione all’ARAF.

Allo stesso tempo, la Russia sta ancora reagendo con cautela alle notizie in arrivo. Il portavoce del presidente della Federazione Russa Dmitrij Peskov ha richiamato l’attenzione sul fatto che la dichiarazione mescola nuovamente lo sport con i processi mondiali.

“Trovo impossibile commentare prima di prendere visione. Bisogna vedere cosa verrà stabilito. Finora, una cosa colpisce: anche nella formulazione dell’iniziativa c’è troppa politica, che dovrebbe essere estranea alle idee della famiglia olimpica”.

Il capo della ROC, Stanislav Pozdnjakov, e il ministro dello sport della Federazione Russa, Oleg Matycin, hanno parlato all’unisono su questo tema. Secondo il quattro volte campione olimpico, nei confronti dei russi non dovrebbero esserci ulteriori restrizioni, requisiti, sanzioni basate sulla nazionalità.

“Percepisco le informazioni del CIO come un tentativo di fare un passo verso gli atleti. Ma allo stesso tempo, purtroppo, sono anche due passi nella direzione opposta. Ora, da parte nostra, verrà fatta un’opportuna valutazione giuridica delle tesi che sono esposte nell’informativa pubblicata. Sulla base delle competenze legali, costruiremo un’ulteriore interazione con le organizzazioni e le federazioni sportive internazionali. La priorità per noi è la stessa: garantire i diritti e gli interessi dei nostri atleti. A parità di condizioni, senza discriminazioni”, afferma Pozdnjakov.

Matycin, a sua volta, ha osservato che i requisiti del CIO sono contrari ai principi di uguaglianza e giustizia stabiliti nella Carta olimpica.

“Il CIO, nella sua decisione, parla della possibilità di ammettere gli atleti, cercando di mostrare la flessibilità della sua posizione. Allo stesso tempo, riteniamo inaccettabile determinare condizioni speciali per la partecipazione degli atleti. Nessuna politica può e non deve interferire nello sport, non c’è spazio per speculazioni sull’operazione militare speciale”, ha detto Matycin.

Finora è davvero difficile valutare la dichiarazione del CIO, poiché non è chiaramente specificato in base a quali criteri l’organizzazione prevede di consentire agli atleti di iniziare e quanto rigorosamente richiederà che vengano osservati. Dopotutto, anche nella storia dello status neutrale alle Olimpiadi, tutto si è rivelato molto ambiguo. Le partite di Pyongyang sono diventate un vero incubo per la nazionale, poiché un gran numero di atleti in grado di vincere medaglie non è stato ammesso al torneo per motivi tuttora sconosciuti. E poi il divieto della bandiera e dell’inno del Paese è stato sentito da tutti.

Le stesse restrizioni applicate a Tokyo e Pechino, ma il tricolore russo, seppur in forma leggermente modificata, era presente sulla forma degli atleti. E non ha dato fastidio a nessuno.

Il secondo punto è che il meccanismo per il rilascio dello status neutrale non è chiaro. A rigor di logica, il CIO è responsabile solo per le Olimpiadi, e per altri tornei le federazioni internazionali. Ma sorge una domanda: come interpreteranno i criteri rilasciati dal Comitato. Dopotutto, anche sul punto “non sostenere l’operazione militare speciale”, le organizzazioni hanno divergenze. Oggi nessuno pretende niente di serio da tennisti, pugili, lottatori, scacchisti. Basta non parlarne. Allo stesso tempo, la FIA chiede di firmare un documento speciale, che mette già gli atleti di fronte a una scelta morale.

In una situazione difficile è, ad esempio, la FIS. Tra gli sciatori russi, solo Veronika Stepanova ha parlato apertamente dell’operazione militare speciale, ma Aleksandr Bol’šunov ha preso parte agli eventi a sostegno dell’operazione speciale. Come fare con lui? La FIS è in grado di rinunciare al miglior sciatore del mondo a favore di Thomas Bach o chiuderà un occhio su questo a proprio vantaggio? Sì, e nel caso di Stepanova, volendo, si può trovare un compromesso. Altra domanda: la squadra russa, seppur in stato neutrale, è in grado di andare ai Mondiali senza alcuni dei componenti della squadra?

In effetti, il CIO sta cercando di ottenere una divisione all’interno della comunità sportiva russa. E la deputata della Duma di Stato Svetlana Žurova ha attirato l’attenzione su questo.

“Con tali proposte, vogliono far dubitare la società: “Cosa c’è che non va in questo atleta? Non è un patriota? Se il CIO glielo ha permesso, allora vuol dire che non supporta l’operazione militare speciale? In tal caso, ci sarebbe una grave spaccatura nella società”, ritiene la Žurova.

Tuttavia, non è chiaro come funzionerà effettivamente, poiché oltre al CIO e ai russi, un gran numero di altre organizzazioni con i propri interessi sono coinvolte in questo processo. E molto dipenderà dal fatto che i rappresentanti della ROC e del Ministero dello Sport a bordo campo sapranno far pendere la bilancia a loro favore e spiegare correttamente tutto ai tifosi della Nazionale.

Allo stesso tempo, non tutti credono che qualsiasi azione reale seguirà alla dichiarazione del CIO. Secondo il commentatore Dmitrij Guberniev, questo messaggio è un altro flirt con il pubblico e non ci saranno cambiamenti in meglio nel prossimo futuro.

“E’ demagogia assoluta. Volessero ammetterli, lo farebbero. Hanno detto delle sciocchezze e si sentono appagati. Nessuno ci lascerà entrare. Propongono determinate condizioni, quindi creeranno un gruppo di lavoro: qualcuno discuterà qualcosa lì. Sciocchezze!”.

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lunedì 23 gennaio 2023

20210123 Lavrov Sudafrica

Conferenza stampa del ministro degli esteri russo Lavrov a Pretoria

A questa riunione abbiamo prestato particolare attenzione alla sinergia energetica, e nella fattispecie ai settori nucleare, tecnico, trasporti e le altre infrastrutture, la cooperazione nel campo dello studio pacifico dello spazio. Pensiamo anche che sia importante ampliare e approfondire le relazioni umanitarie, perché, come suol dirsi, se ne avverte il fabbisogno nei nostri Paesi, quindi siamo particolarmente interessati a sviluppare tali contatti. Ecco perché ci siamo dichiarati pronti ad aumentare il numero di borse di studio ai colleghi sudafricani nell’ambito del nostro bilancio dello Stato.

Abbiamo parlato molto delle numerose ed attuali questioni regionali ed internazionali: i nostri due Paesi sono entrambi fautori di una architettura coerente più equa, inclusiva, democratica, policentrica dell’ordine mondiale, basato sul principio fondamentale dello Statuto dell’ONU, e cioè il rispetto della parità sovrana di tutti gli Stati. Ovviamente, siamo favorevoli ad incrementare il ruolo di tutti gli Stati africani nella soluzione di tutte le questioni della contemporaneità mondiale, compreso nel contesto delle continue discussioni sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Abbiamo valutato positivamente il nostro partenariato nell’Organizzazione delle Nazioni Unite nelle sue diverse commissioni e strutture, nel G20, nell’organizzazione per il divieto delle armi chimiche, nell’ambito del Kimberley Process. Nella fattispecie, per quanto riguarda il G20, appoggiamo attivamente l’interesse dei Paesi africani ad essere rappresentati in tale struttura in qualità di Unione africana, in aggiunta ai membri attuali.

Abbiamo discusso approfonditamente la nostra cooperazione nell’ambito dei BRICS, che è quella struttura che, secondo la nostra valutazione comune, è un esempio di vera diplomazia multilaterale e multipolare, basata sulla ricerca di un equilibrio degli interessi. Condividiamo gli interessi della presidenza sudafricana, che è entrata in vigore il 1 gennaio, la cui parola d’ordine è: “I BRICS e l’Africa: un partenariato nell’interesse di una crescita accelerata, dello sviluppo sostenibile e della multilateralità inclusiva”.

Auguriamo ai colleghi successo nei piani annunciati, ed ovviamente concorreremo nel modo più attivo possibile alla loro realizzazione.

Abbiamo parlato dell’appianamento dei conflitti in essere nel continente africano, compresi quello dei Grandi Laghi, della Repubblica Centrafricana, del Mali, del Sudan del Sud, al nord del Mozambico. La nostra opinione coincide: gli africani debbono decidere autonomamente le vie di soluzione di questi conflitti nel loro continente, e in questo sottolineiamo il ruolo attivo del Sudafrica e del suo Presidente per tutta una serie di situazioni critiche, mentre la comunità mondiale deve naturalmente appoggiare quegli indirizzi e quei percorsi di appianamento che vengono scelti dai Paesi africani stessi, anche nell’ambito dell’Unione africana e delle varie organizzazioni sub-regionali.

La Russia concorrerà attivamente alla normalizzazione della situazione nei punti caldi dell’Africa, compreso attraverso il rafforzamento delle possibilità di conciliazione dei Paesi africani, e noi addestriamo i pacificatori nelle relative strutture didattiche, aiutiamo a istituire le conseguenti missioni dell’Unione africana e delle altre organizzazioni. Siamo interessati ad incrementare il dialogo per lo sviluppo della cooperazione della Russia con l’Unione africana, cosa che ho già menzionato, e con le strutture sub-regionali, soprattutto con quelle in cui il Sudafrica è un partecipante attivo.

Abbiamo parlato della preparazione del secondo vertice Russia-Africa, che si svolgerà a San Pietroburgo alla fine di luglio di quest’anno. Partiamo dall’idea che i suoi esiti si baseranno sul lavoro realizzato dopo il primo vertice, nell’autunno del 2019 a Soči, e concorreranno a portare le nostre relazioni ad un livello qualitativamente nuovo. Abbiamo percepito un grande interesse da parte dei nostri amici sudafricani affinché il vertice si concluda con accordi realmente significativi.

Su richiesta dei nostri colleghi, abbiamo raccontato i particolari della nostra operazione militare speciale in Ucraina, tesa a salvare la popolazione pacifica, dell’inaccettabilità della creazione di minacce concrete alla Russia lungo i suoi confini, cosa di cui per molti lunghi anni si sono occupati gli americani e i loro alleati della NATO. Apprezziamo la posizione ponderata, equilibrata e indipendente dei nostri amici sudafricani.

Complessivamente, ritengo che questi colloqui siano stati molto utili, e hanno confermato le nostre ottime prospettive. Sono convinto che la realizzazione degli accordi che oggi abbiamo qui concluso concorreranno a imprimere un nuovo stimolo alla cooperazione reciprocamente conveniente ai nostri Paesi nei campi più disparati.

SABC TV, Sudafrica: Domanda per entrambi. Il mondo vuole sentire belle notizie sul termine del conflitto in Ucraina. Prima abbiamo sentito Lavrov dichiarare che vorrebbero intavolare delle trattative. Vorrei sapere del processo di pace. Sotto il profilo dell’aiuto e dell’intermediazione in tale processo, quale Paese potrebbe svolgere il ruolo di intermediario per far cessare la guerra in Ucraina, per non dover più vedere perdite di vite umane da entrambe le parti. La seconda domanda riguarda le esercitazioni militari nell’Oceano Indiano il prossimo mese tra le forze armate marittime russe e cinesi: c’è stata una reazione contradditoria, taluni l’hanno criticata, ministro Pandor, per il fatto che permettiamo di svolgere tali esercitazioni, tenuto conto delle tensioni o della guerra in corso in Ucraina. Quali sono le prospettive, quale la reazione del Sudafrica? Lavrov, qual è la Sua reazione alla critica circa i tempi prescelti per le esercitazioni, se siano opportuni?

Grazie per le Sue dichiarazioni. Per la prima parte, relativa a quanto abbiamo già esposto dettagliatamente, abbiamo dichiarato più volte pubblicamente le nostre valutazioni, e sono certo che i rappresentanti dei media di tutto il mondo, che manifestano il loro interesse per quel che accade relativamente all’Ucraina non potevano non aver visionato i nostri commenti fatti sia a livello del nostro Presidente, sia del sottoscritto. Da subito, fin da quando agli inizi di marzo la parte ucraina ha proposto di fare delle trattative, noi abbiamo risposto affermativamente. Ci sono stati tre tour in Bielorussia, poi una serie di videoconferenze, e alla fine di marzo una conferenza a Istanbul, su invito dei nostri colleghi turchi. Proprio lì, la delegazione ucraina ha proposto un progetto di documento contenente i principi di appianamento che noi abbiamo sostenuto, e sulla base dei quali, in piena conformità dei principi formulati dall’Ucraina, abbiamo approntato la bozza di accordo in linguaggio giuridico. In quel momento, la parte ucraina ha ricevuto segnali da Washington, Londra, Bruxelles e vai a sapere da dove ancora, dove hanno detto agli ucraini che avete deciso troppo presto di accordarvi con i russi: se i russi hanno accettato di trattare, vuol dire che sono deboli e bisogna spremerli ancora. Contemporaneamente, Borrell, che è a capo della diplomazia dell’Unione Europea, ha dichiarato che l’Ucraina deve vincere sul campo di battaglia.

Non ricordo che qualcuno dei giornalisti che ora si interessano alle prospettive di un processo di pace, abbia chiesto all’epoca a Borrell perché, anziché parlare di diplomazia, esso parli di una soluzione militare del conflitto. Tuttora, nessuno chiede nulla ai nostri colleghi occidentali, che regolarmente, o per bocca dello stesso Borrell, o per quella del segretario della NATO Stoltenberg, o del rappresentante dell’amministrazione statunitense e di quella dell’Unione Europea, affermano che per ora è prematuro per l’Ucraina intavolare trattative, prima bisogna conquistare di più in questa situazione e intraprendere le trattative da una posizione di forza, in modo che la Russia subisca una sconfitta. Lo dicono apertamente: bisogna ricondurre la Russia nei confini del 1991. Sono sicuro che avete visto queste dichiarazioni.

Per quanto riguarda chi potrebbe fare da intermediario, ricordo che Zelenskij a settembre dell’anno scorso ha firmato un decreto, cioè un documento ufficiale vincolante, che vieta a qualunque personalità pubblica ufficiale ucraina di svolgere trattative con la parte russa, glielo proibisce. Dunque, si può chiedere a qualunque Paese terzo di domandare alla parte ucraina come essa veda l’ulteriore sviluppo degli avvenimenti. Noi più volte, e lo ha detto il nostro Presidente, non rifiutiamo di trattare, ma coloro che si rifiutano, e adesso ve li elencherò, devono capire che più a lungo opporranno un rifiuto e più sarà difficile trovare una soluzione.

Per le esercitazioni, mi pare che ci sia poco da commentare: due Paesi sovrani, senza infrangere alcuna norma del diritto internazionale, svolgono delle esercitazioni che non capisco in chi potrebbero suscitare, come ha detto Lei, delle reazioni contraddittorie. Magari nei nostri colleghi americani, che ritengono che le esercitazioni in tutto il mondo possono essere svolte solo da loro, non solo presso le loro oltre duecento basi sparse su tutto il pianeta, ma in qualunque punto. Ad esempio, attualmente stanno svolgendo attivamente delle esercitazioni militari marittime nell’ambito delle loro sedicenti “strategie dell’India-Pacifico” nei pressi della Repubblica Popolare Cinese, nel Mar Cinese Meridionale, nello Stretto di Taiwan, e ciò non suscita alcuna “reazione contraddittoria” in chicchessia, o quantomeno non ho sentito nei media che se ne interessino più di tanto: che ci fa l’America a diecimila miglia e passa dalle sue coste? Le nostre esercitazioni sono trasparenti, assieme ai nostri partner sudafricani e cinesi abbiamo fornito le informazioni necessarie, e sono accessibili.

Certo, tempo addietro i rappresentanti della Casa Bianca, quando in un briefing in Nicaragua, con presente la delegazione russa, hanno chiesto loro cosa ne pensino della visita dei rappresentanti russi in tale Paese, hanno risposto in maniera franca: i rapporti tra Russia e Nicaragua suscitano in noi preoccupazione. Eccole la reazione. Insomma, c’è chi ha usurpato, o tenta di usurpare, le relazioni internazionali, e dichiara apertamente che gli Stati Uniti non possono avere alcun concorrente, che la Russia è la minaccia principale, la Cina è una sfida a lungo termine che bisogna soggiogare. Una questione di mentalità, che travalica le norme universalmente accettate di diritto internazionale, norme che, come sapete, gli USA, assieme ai loro satelliti europei, non accettano e promuovono il concetto di relazioni mondiali basate su regole. Nessuno, in tanti anni, nonostante le mie ripetute richieste, mi ha mai spiegato di che regole si tratti, se se ne possa prendere visione. Ossia, esiste quanto si decide a Washington e viene appoggiato attivamente a Londra e Bruxelles. E questo è un problema, perché è una palese infrazione principi basilari dello Statuto dell’ONU sulla parità sovrana degli Stati. Noi non vogliamo creare alcuno scandalo, nessuno scontro, semplicemente vogliamo che ciascun Paese abbia i suoi diritti nel sistema internazionale, come previsto da detto Statuto. Proprio sui principi della pariteticità e non dei diktat, non dell’imposizione delle decisioni, bensì del consenso, della ricerca dell’equilibrio degli interessi, noi sviluppiamo le sinergie, anche in ambito BRICS.

Una domanda di economia. I nostri Paesi, come costruiscono le relazioni economiche, quando l’Occidente fa una politica neocoloniale nei confronti dei Paesi africani. Come in sostanza ha detto Putin, le condizioni sono mutate, mentre non è cambiata la mentalità occidentale. Quanto questo influisce sulla nostra politica industriale, e come si sviluppa quest’ultima?

Effettivamente, nel valutare la situazione attuale, Putin ha menzionato la politica neocoloniale, che non è manco una rinascita, poiché non è mai scomparsa, ma l’Occidente collettivo la attua non solo nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, ma della Federazione Russa stessa, il tentativo di introdurne degli elementi anche contro il nostro Paese. Idem dicasi di altri grandi Paesi, a cui gli americani cercano continuamente di creare dei problemi, applicando le loro sanzioni illegittime. Tutta una serie di sanzioni contro la Repubblica Popolare Cinese. Minacciano tutti. Personalità ufficiali del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca hanno detto più volte negli ultimi anni, dunque prima dell’inizio dell’operazione militare speciale, che qualunque Paese, anche se grande, che sia l’India, la Turchia o l’Egitto, ci devono pensare bene ad approfondire le proprie relazioni con la Federazione Russa. Non è forse un tentativo di diktat e un’assenza totale di etica non dico diplomatica, ma persino umana? E’ vero, le nostre relazioni, comprese quelle con il Sudafrica sono toccate da queste sanzioni illegittime, e questo è proprio una questione di mentalità, tipo io posso tutto, mentre quel che vuoi tu ci devo pensare. La vita però continua. Abbiamo interessi reciproci, i due governi e le aziende di entrambi i Paesi vogliono proseguire a lavorare sulle risorse naturali, nell’energia, compresa quella nucleare, dove noi possiamo essere molto utili su base reciprocamente vantaggiosa, sulla spazio pacifico, sulle infrastrutture, sulle alte tecnologie, sulle città intelligenti, di cui nel corso dei colloqui ha parlato la signora Pandor, dichiarando l’interesse per l’esperienza russa in questo campo, tutto questo è legato alle catene delle forniture e ai finanziamenti. Noi stiamo già lavorando attivamente affinché si creino nuovi meccanismi, nuovi strumenti che non dipendano dai ghiribizzi e dagli arbitri dei nostri colleghi occidentali. Tutto ciò è reale, ci stiamo lavorando con tutti i nostri partner che vogliono cooperare onestamente e non vogliono soggiacere alla concorrenza sleale e agli abusi con i meccanismi della globalizzazione di cui tanto andavano fieri.

Daily Mirror: Le strutture militari russe attaccano le infrastrutture civili in Ucraina tramite centinaia di missili e droni, che distruggono le infrastrutture energetiche, per esempio le centraline, e questo interrompe le forniture alla popolazione di elettricità nel bel mezzo dell’inverno. L’obiettivo è di compromettere il morale e lo spirito del popolo ucraino e costringerli ad arrendersi? Signora Pandor, quando otto mesi fa la Russia ha invaso l’Ucraina, il Suo ministero ha chiesto di ritirare immediatamente l’esercito russo e di risolvere la questione pacificamente per non mettere in pericolo l’ordine mondiale, poiché il Sudafrica riconosce l’integrità territoriale dei Paesi. Potrebbe ripetere oggi quelle sue richieste? E se non può, cosa potrebbe dirci in merito?

Noi non colpiamo le infrastrutture civili, e ce ne sono conferme plurime. Tutto quel che accade come danni alle infrastrutture civili in Ucraina è legato alle azioni criminali del regime di Kiev, che per lunghi mesi, con costanza, ha dislocato sia gli armamenti pesanti, sia i sistemi antiaerei nei quartieri abitativi. L’ex consigliere del Presidente ucraino, Arestovič, quando è successo quel che Lei ha visto nelle immagini da Dnepropetrovsk, ha detto con sincerità che è stato il risultato del lavoro della contraerea ucraina che, trovandosi nelle abitazioni, ha abbattuto un missile russo. Esattamente il contrario di quel che fa chiunque voglia rispettare il diritto umanitario internazionale. In questi casi, quando veniamo accusati di usare deliberatamente gli armamenti contro le infrastrutture civili, in questi singoli rari casi, se ne parla nei media occidentali per giorni e settimane, quanto sono cattivi i russi. Non ricordo che il Daily Mirror o qualunque altro media vicino a Lei si sia mai preoccupato di quanto accadeva a partire dal 2014 nel Donbass, dopo il colpo di Stato in Ucraina. Dia un’occhiata ai vostri archivi di come abbiate informato sulla tragedia di Odessa il 2 maggio 2014, quando alla Casa dei Sindacati, i guerriglieri, senza nascondersi minimamente, facendosi i selfie, hanno arso vive cinquanta persone, e i cecchini abbattevano quelli che cercavano di sopravvivere gettandosi dalle finestre. Non ricordo nemmeno le preoccupazioni occidentali per i regolari bombardamenti quotidiani del Donbass per il solo fatto che si era rifiutato di riconoscere il colpo di Stato.

Poi furono firmati gli accordi di Minsk, che obbligavano l’Ucraina a riconoscere lo status speciale del Donbass, innanzitutto il diritto di parlare in russo, il diritto di avere una polizia locale e di avere voce in capitolo nella nomina dei procuratori e dei giudici. Non è tanta roba, e fu approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Coloro che hanno firmato questi accordi, oltre a Putin, erano l’allora Presidente Porošenko, l’allora Presidente francese Olland, l’allora cancelliera Merkel, ed ora hanno affermato con orgoglio che all’epoca se ne infischiavano degli accordi di Minsk, e li avevano firmati solo per guadagnare tempo per riempire l’Ucraina di armi. A che pro? Penso lo capiate da soli, perché possa proiettare una minaccia contro la Federazione Russa. Minacce, voglio ricordarlo, direttamente ai nostri confini, non come i nostri colleghi americani, che decidevano che erano minacciati ora dalla Jugoslavia, ora dall’Iraq, ora dalla Libia, attraverso tutto l’Atlantico e hanno distrutto Paesi interi. Nel nostro caso, abbiamo avvertito per lunghi anni che bisogna realizzare gli accordi di Minsk.

Mi dica, se in Irlanda d’improvviso vietassero l’inglese, come si comporterebbe la Gran Bretagna? Tra l’altro, è l’unico Paese che chiama se stesso “Grande”. Ad eccezione, a suo tempo, della Libia. O come si comporterebbe la Francia, se vietassero l’uso del francese in Belgio? O la Svezia, se proibissero lo svedese in Finlandia? E si possono fare tantissimi altri esempi. Non passa a nessuno per la testa, mentre in Ucraina è nell’ordine delle cose. Porošenko, quand’era presidente, Zelenskij, che è presidente adesso, eletti entrambi con la parola d’ordine di fare la pace, non appena eletti si sono trasformati in presidenti della guerra, russofobi. Hanno adottato leggi che vietano l’istruzione in russo, i media in russo, compresi i media ucraini russofoni. Leggi che di fatto proibiscono di parlare russo persino nella vita quotidiana, proibiti i libri dei classici russi, tutti i contatti culturali legati in un modo o nell’altro alla lingua russa, di fatto l’Occidente appoggia tutto questo, esattamente come appoggia le costanti marce dei neonazisti, con le svastiche, i simboli delle SS, le cui divisioni erano state vietate dal Tribunale di Norimberga e riconosciute come criminali, è tutto appoggiato dall’Occidente. Quindi, quando parliamo di quel che accade in Ucraina, diciamo che è una guerra non più ibrida, ma quasi vera, che l’Occidente ha preparato a lungo contro la Russia, cercando di distruggere tutto quel che è russo, dalla lingua alla cultura, che esisteva in Ucraina da secoli, e vietando alla gente di parlare la loro lingua madre. E Zelenskij, che ora interviene ai Grammy e a Davos, e nelle competizioni sportive, ha dichiarato pubblicamente a settembre-ottobre 2021, prima della nostra operazione militare speciale, quando gli hanno chiesto cosa pensa della gente che vive nel Donbass, che ci sono persone e ci sono invece organismi viventi, e se qualcuno dei cittadini ucraini, sono sempre le parole del principale democratico europeo Zelenskij, si sente affine alla cultura russa, al mondo russo, allora per il futuro dei propri figli e nipoti deve andarsene in Russia. Se dicessero così ai francofoni belgi o agli anglofoni irlandesi, o in Scozia? Non ne parla nessuno. Voi vedete quel che voi chiamate invasione, mentre il fatto che per otto anni abbiamo chiesto che il regime sempre più nazista di Kiev eseguisse quanto prescritto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nessuno ha mosso un dito. Quando abbiamo chiesto di rafforzare le garanzie di sicurezza in Europa, nell’autunno dello scorso anno, si sono rifiutati persino di ascoltarci, come si sono rifiutati nel 2008 di firmare un accordo sulla sicurezza europea… Che fa, dorme?

Insomma, si può estrapolare qualunque episodio da qualunque storia, costruire su questo la propria carriera, lavorare per il bene del proprio governo, noi però cerchiamo di approcciarci con onestà, e quel che è il risultato dell’attuale situazione in Ucraina lo sanno tutti gli studiosi onesti.

Russia Today: Ho varie domande. La ministra delle finanze degli USA ha detto che la fornitura di generi alimentari nel continente africano è un grave problema. Vorremmo anche capire se queste esercitazioni congiunte vengono viste come una cooperazione militare tra i Paesi del BRICS, se siano giuste le pressioni statunitensi sui Paesi africani e se ci sarà un sostegno militare a questi ultimi.

Per quanto riguarda le dichiarazioni della signora Yellen, mi è difficile commentarle, perché i dati che abbiamo fornito più volte all’ONU, in diverse conferenze stampa, in vari Paesi, a Mosca come all’estero, sono confermati convintamente dalle statistiche della FAO. E il fatto è innanzitutto che il problema delle forniture alimentari sono iniziati ben prima dell’operazione militare speciale. E’ noto a tutti che quando è iniziata la pandemia da Covid 19, i nostri colleghi occidentali hanno stampato trilioni di dollari ed euro, e hanno cominciato ad accaparrarsi i generi alimentari, in preda al panico per un’eventuale crisi alimentare. Il risultato fu che la crisi si è verificata, ma in larga misura proprio a causa di queste emissioni monetarie fuori controllo. Contemporaneamente, la transizione fuori da ogni controllo e ogni compromesso alla green economy.

I nostri partner euroccidentali recedevano dai contratti a lungo termine. A proposito: attualmente, alla ricerca con cosa sostituire il gas russo, l’Europa ha parlato con il Qatar, con gli USA, che con gran piacere forniscono il loro gas liquefatto a prezzo maggiorato rispetto a quello russo lungo i gasdotti, ed entrambi i Paesi offrono agli europei contratti a lungo termine, cioè proprio quelli che furono alla base dei dissidi con noi. Quindi, sono in molti ad aver creato i presupposti per la situazione attuale. Sono sicuro che la Yellen, essendo una grande professionista, lo sa benissimo. Trasformano in armi ogni cosa: il grano, il gas, il petrolio, persino lo sport, perché osiamo vincere contro qualcuno che rappresenta il “miliardo d’oro”.

Ho consegnato oggi ai qui presenti nostri colleghi il quadro dettagliato relativo al mercato alimentare. Non appena Guterres ha proposto la sua iniziativa per il grano, noi l’abbiamo accettata, abbiamo istituito i corridoi sicuri dai porti ucraini lungo il Mar Nero verso gli stretti, il Bosforo e i Dardanelli, già a fine marzo, e all’epoca fu l’Ucraina a rifiutarsi di mandare le sue navi attraverso i campi minati che lei stessa aveva creato. Solo a fine luglio abbiamo avuto due accordi, uno per il grano ucraino, l’altro per l’abolizione degli ostacoli alle nostre forniture di grano e fertilizzanti. L’accordo ucraino, più o meno, viene rispettato, anche se nei Paesi più poveri arriva meno del 10%. Quasi la metà va nell’Unione Europea e quasi altrettanto nei Paesi in via di grande sviluppo, mentre quelli più poveri ricevono una miseria, nonostante che fosse proprio per questi che Guterres promuoveva la sua iniziativa.

Per quanto riguarda il grano e i fertilizzanti russi, nessuno sforzo dell’ONU non ha contribuito a far sì che USA e UE non frapponessero ostacoli alle nostre esportazioni. Loro ripetono che nei confronti dei nostri fertilizzanti e del grano non ci sono sanzioni, e nelle decisioni adottate effettivamente non c’è una sola riga che ne parli. Ci sono però varie righe che vietano l’ingresso a qualunque nave russa nei porti mediterranei, a qualunque nave straniera nei porti russi, c’è il divieto alla nostra principale banca agricola, la Rossel’chozbank, di usufruire dello SWIFT, ci sono problemi con i noli, con le assicurazioni.

Bisogna riconoscere che Guterres lo ha stigmatizzato anche pubblicamente, ma “il carro è sempre lì”, l’Occidente continua a ripetere che sugli alimenti non ci sono sanzioni. Più o meno come quando la Yellen dice che la colpa è tutta dei russi, che utilizzano il cibo come arma. E’ uno slogan, e viene continuamente diffuso nel mondo mediatico, mentre tutte le questioni concrete che propone di risolvere Guterres, e noi lo sosteniamo, restano in disparte. Persino i fertilizzanti offerti a titolo gratuito, che si trovano nei porti europei, circa 280 mila tonnellate, dopo il loro arresto, nonostante le richieste dalle aziende russe proprietarie di non sprecarle, di inviarli gratuitamente nei Paesi più poveri. Putin lo dice alla comunità mondiale ormai da sei mesi. Nel frattempo, su 280 mila tonnellate, solo 20 mila dall’Olanda si è riusciti a mandarle nel Malawi. O meglio: tre mesi si è giunti a un accordo in tal senso, ma la merce è partita qualche giorno fa, mentre negli altri porti, innanzitutto lettoni, nessuna movimentazione di questi fertilizzanti, ripeto, gratuiti.

Per quel che riguarda le esercitazioni militari marittime e di quanto esse influiscano sulla cooperazione militare, questa si sviluppa con la Repubblica Popolare Cinese e con quella Sudafricana. Il ministro della difesa del Sudafrica ha visitato le esercitazioni organizzate del nostro ministero della difesa in Russia nell’agosto dell’anno scorso, compreso il forum tecnico-militare 2022. Anche le esercitazioni trilaterali non sono nulla di inedito. Ad esempio, ci sono state nostre esercitazioni con la Cina e l’India. Esse rivestono un carattere principalmente antiterroristico. Siamo quindi costernati di come i nostri colleghi occidentali fomentino l’isteria per una prassi comune per tutti i Paesi marittimi, tanto più quando si tratta di esercitazioni ben più aggressive perpetrate più frequentemente dall’Occidente.

Le pressioni degli USA sui Paesi africani, ma anche asiatici, sudamericani, dichiarando continuamente e pubblicamente che coloro che cooperano con la Russia se ne pentiranno, minacciano Paesi grandi, che rappresentano grandi civiltà millenarie, ed ignorano l’elementare orgoglio di tali Paesi, che magari non è tipico per taluni Paesi occidentali, ma questo non li esenta dall’obbligo di studiare la storia e di seguire le regole della diplomazia, e non come fanno adesso. L’ho detto tante volte, che con le minacce e le pressioni gli USA e gli inglesi travalicano tutte le “linee rosse”, perché minacciano anche taluni politici di un Paese o di un altro, dicendo loro che hanno dei conti in banche USA, i figli studiano nelle università USA, non c’è più nulla di sacro. E’ un ottimo esempio di come Washington e Bruxelles si rapportino alla democrazia.

Borrell ci ha già detto che l’Europa è “un giardino fiorito”, l’eden, e tutto il resto sono giungle, da cui bisogna isolarsi e che contemporaneamente bisogna spiare. Tali valutazioni e questa mentalità affiorano continuamente negli interventi occidentali, che ci raccontano costantemente di essere dei luminari della democrazia. Ovviamente non solo loro, ma anche Zelenskij. Quando però parlate di democrazia con loro, vi rendete conto che l’unica cosa che gli interessa è che in quei Paesi all’estero dove loro vogliono essere presenti, con la scusa della democrazia siano instaurati ordini costituiti che siano in loro potere. Provate a parlargli di democrazia nei rapporti internazionali: apriti cielo! Non pensateci nemmeno!

Il diritto internazionale è democrazia, come da Statuto ONU, mentre loro parlano di regole, e la regola è una sola: quel che dico io lo devono fare tutti. Ecco l’atteggiamento nei confronti della crisi ucraina e tutto il bailamme degli emissari americani, europei e britannici, con tutte le loro minacce e gli appelli in giro per il mondo, di non collaborare con la Russia, di aderire alle sanzioni, di condannare, esecrare, eccetera. Se sei così democratico, se rispetti la sovranità degli altri Paesi… La Russia ha dichiarato cosa fa e perché. L’Occidente ha condannato. Senza rispondere alle argomentazioni dichiarate da Putin nell’annunciare l’operazione militare speciale. Hanno estrapolato dal contesto di tutta la storia solo il 24 febbraio e quanto è seguito. Di come questa crisi stesse montando come una purulenza col placet diretto dell’Occidente, nessuno se lo ricorda più. Tutta la storia antecedente al 24 febbraio è stata abolita, cancellata, il colpo di Stato, la tragedia di Odessa e di Lugansk, i bombardamenti dei quartieri residenziali, che proseguono tuttora. E l’Occidente sa benissimo che questi bombardamenti vengono perpetrati dagli ucraini con le armi occidentali, viene fatto scientemente, non è un singolo missile ucraino abbattuto, gli obiettivi che scelgono hanno lo scopo di terrorizzare la popolazione inerme.

Dicevo che abbiamo spiegato gli obiettivi dell’operazione militare speciale e perché non avevamo scelta, dopo otto anni di vane aspettative che fossero eseguiti gli accordi di Minsk. L’Occidente ha emesso la sua condanna. Se avete rispetto degli altri Paesi, consentite loro di assumere la propria posizione, non minacciateli, non esigete che aderiscano alle vostre valutazioni. Questa è mancanza di rispetto. Insomma, il concetto di democrazia in Occidente è molto originale, e non desidera e non immagina democrazia alcuna nelle questioni internazionali. La giungla e il giardino fiorito, la democrazia è tutta lì.

20230123 Giornale radio Attimo fuggente

Confesso: modestamente, stamattina in radio mi sono piaciuto un sacco, molto incisivo ed efficace! ;-)

Fonte: Giornale radio, L'attimo fuggente

domenica 22 gennaio 2023

009 Italiani di Russia

Notiziario di lunedì 23 gennaio 2023 degli italiani di Russia. Archiviate definitivamente le festività, con i bagni nel ghiaccio durante l’epifania ortodossa il 19 gennaio. Buon ascolto e buona visione.

Attualità

L’ex primo ministro Berlusconi, commentando la situazione intorno all’Ucraina, si è detto dispiaciuto dal fatto che “in questo momento non ci siano leader veramente capaci in Europa e in Occidente”.

Il capo di Forza Italia ha osservato di essere preoccupato per il conflitto in Ucraina. “Sentiamo dichiarazioni provocatorie che parlano anche dell’uso delle armi nucleari, e mi rattrista il fatto che in questo momento in Europa e in Occidente non abbiamo leader veramente capaci”.

L’ex premier ha detto che una volta ha cercato di convincere il presidente russo Vladimir Putin “ad entrare in Europa”. “Non ci sono riuscito perché c’erano Paesi che, pensando di perdere il predominio in Europa, hanno detto di no”, ha detto Berlusconi, sostenendo che “l’adesione della Russia, che è uno Stato europeo in tutto, all’Europa e alla Nato avrebbe potuto fornire una protezione assoluta contro le intenzioni espansionistiche della Cina. “Peccato che non ci sono riuscito”, ha concluso il senatore.

In precedenza, l’ex primo ministro italiano aveva offerto se stesso e l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel come negoziatori e mediatori sull’Ucraina.

Il 17 gennaio 2023, il presidente russo Vladimir Putin ha presentato alla Duma di Stato un progetto di legge sulla cessazione di 21 documenti relativi alla Federazione Russa, tra cui la Carta del Consiglio d’Europa (COE), la Convenzione per la protezione dell’uomo Diritti e libertà fondamentali e la Convenzione europea per la repressione del terrorismo. Il progetto di legge specifica che i trattati internazionali COE saranno considerati risolti in Russia dal 16 marzo 2022.

Il Consiglio d’Europa è la più antica organizzazione intergovernativa della regione. E’ stato creato il 5 maggio 1949 in una conferenza a Londra dai rappresentanti dei governi di Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Francia e Svezia. I suoi obiettivi principali sono la protezione dei diritti umani, la democrazia parlamentare e lo stato di diritto. Attualmente ci sono 46 Stati nel COE (la Federazione Russa era il 47° membro), in cui vivono più di 670 milioni di persone. Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione indipendente che non fa parte del sistema dell’Unione europea. Gli organi principali sono il Comitato dei Ministri e l’Assemblea Parlamentare (PACE). Nell’ambito del Consiglio d’Europa sono stati sviluppati e sono in vigore più di 200 trattati e relativi protocolli.

Durante la Guerra Fredda, il Consiglio d’Europa ha discusso ripetutamente questioni relative all’URSS (non era membro dell’organizzazione). Il PACE ha preso decisioni in relazione all’ingresso delle truppe sovietiche in Ungheria (1956), Cecoslovacchia (1968) e all’inizio di un’operazione in Afghanistan (1979), nonché su questioni quali violazioni della libertà di parola e di religione, la situazione degli ebrei e la persecuzione dei dissidenti. Dopo che il presidente sovietico Michail Gorbačëv proclamò lo slogan “L’Europa è la nostra casa comune” durante il suo discorso all’assemblea parlamentare nel 1989, questa organizzazione stabilì legami con il Soviet Supremo dell’URSS e gli concesse lo status di “ospite speciale”. Nel 1992, questo status è stato trasferito al Parlamento della Federazione Russa.

La Russia ha chiesto di aderire al Consiglio d’Europa il 7 maggio 1992. Dopo gli eventi del 1993 relativi allo scioglimento del Consiglio Supremo della Federazione Russa, che provocò una crisi politica interna, l’esame della domanda fu congelato, e nel febbraio 1995, a causa di operazioni militari volte a contrastare i militanti in Cecenia, la procedura fu considerata interrotta. Nel settembre 1995, dopo che la Federazione Russa ha avviato una soluzione politica del conflitto, è stato ripreso il processo di ammissione all’organizzazione. Nel gennaio 1996, il PACE ha votato per l’adesione della Russia al Consiglio d’Europa. Il 28 febbraio 1996 la Federazione Russa è diventata membro dell’organizzazione.

Entrando a far parte del Consiglio d’Europa, la Russia aveva assunto vari obblighi, tra cui l’adesione alle convenzioni europee, il trasferimento delle istituzioni del sistema penitenziario russo alla giurisdizione del Ministero della giustizia (dal Ministero degli affari interni), l’adozione di una legge sul servizio militare alternativo e il riconoscimento della giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, la Federazione Russa ha accettato di monitorare l’adempimento dei propri obblighi.

Dal 1996, i rappresentanti russi hanno partecipato attivamente a cinque formati principali di cooperazione con il COE: intergovernativo (il comitato dei ministri); interparlamentare (PACE); interregionale (Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa); magistratura (Corte europea dei diritti dell’uomo), nonché attraverso le organizzazioni non governative (Conferenza delle ONG internazionali nell’ambito del Consiglio d’Europa). Inoltre, dal 1999, la Russia è rappresentata nel Gruppo per la cooperazione nella lotta contro l’abuso di stupefacenti e il traffico illecito (“Gruppo Pompidou”), dal 2002 nella Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia), dal 2007 nel Gruppo degli Stati contro la corruzione (GRECO), nei comitati intergovernativi e negli organi di lavoro del Consiglio d’Europa. La Federazione Russa ha aderito a 68 atti giuridici del Consiglio d’Europa, tra cui la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,

Da quando è entrata a far parte del Consiglio d’Europa, la Russia è stata criticata molte volte dai partecipanti al PACE. I deputati hanno espresso reclami contro la Federazione Russa per vari motivi (operazioni in Cecenia nel 1999, la mancanza di un’abolizione legalmente formalizzata della pena di morte, il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza dell’Abchasia e dell’Ossezia del Sud nel 2008, il “caso Sergej Magnitskij” e altri).

A questo proposito, il PACE ha più volte sollevato la questione della limitazione o della sospensione dei poteri della delegazione russa. Nel 2000 la Russia è stata privata del diritto di voto a causa delle violazioni dei diritti umani in Cecenia, nel 2001 i poteri sono stati ripristinati. Nel 2014, dopo che la Crimea è entrata a far parte della Federazione Russa, la delegazione russa è stata nuovamente privata del diritto di voto e anche espulsa dagli organi direttivi del PACE (ufficio di presidenza e comitato permanente) e sospesa dal lavoro nelle missioni di osservazione. Dopo l’estensione delle sanzioni nel 2015, la delegazione russa ha deciso di interrompere la partecipazione alle attività del PACE e nel 2017 la Russia ha congelato il pagamento dei contributi al bilancio del COE (la Federazione Russa era uno dei 10 principali contribuenti al bilancio COE, il contributo della Russia era di circa 33 milioni di euro all’anno; tutte le strutture dell’organizzazione, compresa il PACE, sono finanziate dal bilancio del COE) fino al ripristino dei diritti della sua delegazione. A giugno 2019 sono stati confermati integralmente i poteri della delegazione russa. Nell’agosto dello stesso anno, la Russia ha rimborsato integralmente il debito sui contributi per un importo di 54,6 milioni di euro. Successivamente, i rappresentanti dei Paesi baltici e dell’Ucraina hanno tentato ripetutamente di contestare i poteri della Federazione Russa, ma ogni volta i deputati hanno votato per la loro estensione.

Ratificando la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nel 1998, la Russia ha accettato la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo (un organo giudiziario istituito nel 1959 per monitorare il rispetto di questa convenzione). Secondo lo statuto, le decisioni della Corte EDU sono vincolanti negli Stati membri del Consiglio d’Europa. In Russia, le decisioni della CEDU non potevano essere eseguite se contraddicevano la costituzione del Paese (legge sulla Corte costituzionale del dicembre 2015 e articolo 79 della Costituzione della Federazione russa modificata nel 2020).

Nel 1998-2021, la CEDU ha registrato oltre 174mila denunce contro la Russia (secondo questo indicatore, la Federazione Russa è al primo posto; il numero totale di denunce contro tutti i Paesi della CEDU dal 1959 è superiore a 957mila), nel 2021 più di 9mila (secondo posto dopo la Turchia). Tuttavia, oltre il 90% di questi reclami è stato ritenuto inammissibile ed è stato rimosso dall’elenco dei casi da esaminare. Il maggior numero di decisioni della Corte EDU in relazione alla Federazione Russa (3.116) è stato emesso in relazione a violazioni del diritto di procedura penale, nonché dei diritti umani e delle libertà civili.

Il 25 febbraio 2022, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha deciso di sospendere i diritti della Federazione Russa nel Comitato e nell’Assemblea parlamentare “in relazione all’invasione armata dell’Ucraina”. In risposta all’avvio della procedura per l’uscita del Paese dal Consiglio d’Europa, il 15 marzo il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha inviato una lettera alla segretaria generale del Consiglio d’Europa Marija Pejčinović Burić, in cui ha sottolineato che “ogni responsabilità per le conseguenze di questo passo per lo spazio umanitario e legale comune nel continente ricade su coloro che hanno deliberatamente intensificato la tensione e trasformato l’organizzazione in uno strumento per risolvere i loro problemi geopolitici”. Secondo l’articolo 7 della Carta del Consiglio d’Europa, l’adesione della Russia doveva terminare il 1° gennaio 2023 (la cessazione dell’adesione avviene alla fine dell’anno finanziario in corso se la notifica viene effettuata entro i primi nove mesi dell’anno). Tuttavia, in violazione della Carta, il 16 marzo il CMCE ha deciso che “la Federazione Russa cessa di essere membro del Consiglio d’Europa”, affermando che la Russia si è ritirata dal Consiglio d’Europa di sua spontanea volontà, definendo questa decisione “ponderata e deliberata”. In relazione alla cessazione dell’adesione, la Russia ha versato circa 5,7 milioni di euro come contributo al bilancio del Consiglio d’Europa solo per il periodo dal 1° gennaio al 15 marzo (l’importo totale dei contributi della Federazione Russa al bilancio del Consiglio d’Europa nel 2022 doveva essere di 33,7 milioni di euro). La rappresentanza russa presso il COE è stata chiusa il 9 luglio 2022 ed è stato creato un gruppo per gli affari del COE presso l’ambasciata russa in Francia.

Il 23 marzo 2022, il CMCE ha adottato una risoluzione che ha determinato il 16 marzo 2022 come data di scadenza per la Russia dei trattati internazionali del Consiglio d’Europa da essa ratificati, aperti alla firma dei membri del Consiglio d’Europa. Un’eccezione è stata fatta solo per la Convenzione sulla protezione dei diritti umani e, quindi, per la CEDU: la partecipazione della Federazione Russa ad esse è stata prorogata fino al 16 settembre 2022. Tuttavia, l’11 giugno 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una legge secondo la quale tutte le decisioni della CEDU prese dopo il 15 marzo non sono vincolanti.

Inoltre, con la risoluzione CMCE del 23 marzo, la Russia è stata esclusa da alcuni accordi parziali ed estesi (aperti a non membri del COE) e organizzazioni nella struttura del COE, in alcuni dei quali i diritti della Federazione Russa erano limitati. Pertanto, il Consiglio d’Europa ha interrotto la cooperazione con la Russia nei settori della prevenzione e dell’organizzazione dell’assistenza in caso di gravi catastrofi naturali e provocate dall’uomo, nonché nei settori del cinema e dello sport. La Russia è stata sospesa dalla partecipazione ai comitati direttivi della Convenzione culturale europea, il Comitato dei ministri ha tagliato i poteri della delegazione russa al GRECO, che monitora l’attuazione della Convenzione penale sulla corruzione, e al Gruppo Pompidou. Successivamente, i diritti della Federazione Russa sono stati limitati anche dagli organi di governo e controllo delle convenzioni per la protezione delle minoranze nazionali, per la protezione delle persone nel trattamento automatizzato dei dati personali, sulla prevenzione del terrorismo, sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, sul riciclaggio e la confisca dei proventi di reato. La parte russa ha ripetutamente dichiarato la sua intenzione di continuare a partecipare a questi documenti, ma solo su base paritaria. Tuttavia, il 28 giugno 2022, per correggere queste realtà, il governo della Federazione Russa ha deciso di “smettere di partecipare agli accordi parziali ed estesi del Consiglio d’Europa”. Il 22 dicembre 2022 il governo della Federazione Russa ha approvato la proposta di denuncia della Convenzione sulla responsabilità penale per corruzione a causa della discriminazione del Paese all’interno del GRECO, il 9 gennaio 2023 il presidente russo Vladimir Putin ha presentato un disegno di legge corrispondente alla Duma di Stato.

Storia

L’attuale campagna dell’”Internazionale” occidentale verso est dà origine ad associazioni abbastanza ovvie con il 1941 e il 1812. Invasione di dodici lingue v.3.0. E se prendiamo in considerazione anche l’anno 1918 con la campagna delle quattordici potenze, allora anche v.4.0. Molto familiare.

Anche l’Alto rappresentante dell’UE, Borrell, che non è esattamente lo storico più illustre, parlando l’altro giorno a Madrid, ha detto: “La Russia è un grande Paese, è abituata a combattere fino alla fine, è abituata a quasi perdere”, e poi recuperare il tutto. Lo ha fatto con Napoleone, lo ha fatto con Hitler. Sarebbe assurdo pensare che la Russia abbia perso la guerra, che i suoi militari siano incompetenti. Quindi, in questo momento è necessario continuare ad armare l’Ucraina”.

La conclusione finale, tuttavia, è strana. Resta inteso che il comitato regionale di Bruxelles avrà più successo militarmente dell’Impero francese o del Terzo Reich? Ma almeno è positivo che il rappresentante abbia ricordato le analogie storiche.

E’ vero, se l’excursus nel passato di Borrell non ha suscitato lamentele – come se davvero fosse così – allora lo stesso excursus è stato esplicitato da Lavrov, che ha paragonato l’attuale coalizione occidentale delle democrazie al Reich e ai suoi satelliti, cosa che ha provocato maledizioni e digrignamenti di denti. John Kirby, coordinatore delle comunicazioni strategiche presso il Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha definito il discorso di Lavrov “offensivo, assurdo e immeritevole di una risposta” e il presidente del Congresso ebraico europeo, Ariel Muzikant, ha condannato il confronto tra la politica degli Stati Uniti e quella dei suoi alleati nei confronti di Mosca con le azioni di Hitler e ha preteso le scuse del ministro degli Esteri russo. Borrell per qualche motivo non lo ha menzionato.

Comunque sia, la composizione dell’ex internazionale è impressionante. Nel 1812, oltre ovviamente ai francesi, la Grande Armata comprendeva italiani, croati, spagnoli, portoghesi, olandesi, bavaresi, sassoni, vestfaliani, assiani, prussiani, svizzeri, polacchi, ecc. Insieme, i rappresentanti delle nazioni non titolari costituivano circa la metà dell’esercito d’invasione. Anche gli austriaci si trovavano sul confine russo (l’attuale Ucraina), ma non invasero.

Una situazione simile c’era nel 1941. Oltre alla Wehrmacht, gli eserciti regolari di Italia, Romania, Finlandia, Ungheria, Slovacchia, Croazia hanno combattuto contro l’URSS. Oltre a formazioni di volontari provenienti da Spagna, Francia, Olanda, Paesi scandinavi e baltici. Anche il contributo dei cechi (ingegneria) e degli svedesi (minerali di ferro) all’economia militare del Reich è difficile da sopravvalutare. E sebbene non tutti, ma la maggior parte dei satelliti tedeschi ha contribuito attivamente alla soluzione finale della questione ebraica. Loro stessi deportarono gli ebrei nel Reich per la distruzione.

Quindi Borrell ha ripetuto solo le basi dei libri di storia della scuola. Proprio come Lavrov.

Ma c’erano anche altre somiglianze. Sia il grande imperatore che il Fuhrer avevano alleati formali più che sufficienti. Se non parliamo di partecipazione formale, ma reale agli sforzi militari dell’egemone, il quadro era più complesso. Non solo gli Asburgo, ma anche molti altri potevano giustamente affermare:

“Io servo tutti gli alleati
Austriaco, austriaco.”

Cioè, finché c’è un’offensiva vittoriosa, avanzeremo anche noi (ma preferibilmente in unità ausiliarie, dove c’è meno rischio), ma se la fortuna militare si allontana dal Fuhrer-Imperatore, allora non siamo pronti a difenderlo fino all’ultimo: il prossimo più prossimo è se stesso. Di conseguenza, gli alleati francesi, Austria e Prussia, nel 1813 dichiararono guerra a Napoleone, e i satelliti tedeschi, Italia, Romania, Bulgaria, Francia nel 1943-1944 fecero lo stesso voltafaccia.

Oggi la formazione di un “grande esercito” democratico è ancora in una fase preliminare, ma sono già evidenti le difficoltà nel costituire tutti un’unica colonna.

Pochissimi sono così avventati. Salvo i limitrofi baltici, il cui valore, sia in termini militari che militare-industriali, è prossimo allo zero. Ciò non impedisce loro di infuriarsi con veemenza e di precipitarsi in battaglia. Possono essere usati come punto d’appoggio, oltre che come forza di polizia nei territori occupati, ma prima questi territori devono essere catturati.

La Polonia è in parte adiacente a tale audacia, ma la sua determinazione riguarda più il sequestro delle terre ucraine e le spese militari che devono essere pagate dagli alleati della NATO.

Gli inglesi sono sempre pronti per varie azioni sporche, ma per un’eroica carica di cavalleria leggera – no, grazie. Mancano i mezzi per sovvenzionare gli alleati (come era successo nelle guerre precedenti). Restano solo meri esercizi retorici.

Più o meno lo stesso con i francesi. Vendere attrezzature da museo in Ucraina, intrigare, gonfiare le guance e ballare su una corda tesa: è sempre così. La natura degli artisti del circo parigino è immutata. Ma morire nelle steppe di Doneck, lo lasciano a qualcun altro.

I tedeschi gemono e si stringono, si stringono e gemono. Lo si può capire: lo stato della Bundeswehr lascia molto a desiderare, e il metodo “Abbiamo allevato il nostro esercito nelle battaglie” non ispira i tedeschi.

Come i cechi. La russofobia è benvenuta, ma “Non andremo in guerra, noi tutti ce ne infischiamo”.

Sul versante sud-occidentale (Italia, Spagna, Grecia, Austria) c’è ancora meno entusiasmo. Preferiscono sedersi in silenzio e tacere.

Alla fine, i turchi e gli ungheresi hanno espresso esplicitamente dissenso. Tuttavia, i turchi rimasero neutrali sia nel 1812 che nel 1941.

Le autorità di Bruxelles sono sempre favorevoli, ma Joseph Borrell e Charles Michel non sono adatti nemmeno come funzionari politici dei battaglioni. Come riuniranno forze così diverse, solo loro lo sanno.

Pertanto, un’Europa unita è chiaramente inferiore ai suoi antenati dai tempi del Führer-Imperatore in termini di coesione, nonché prontezza a uccidere e soprattutto morire nei campi della Russia. Se le guerre fossero condotte da giornalisti e professori di materie umanistiche, non ci sarebbe nemico più terribile e crudele. Ma la campagna richiede principalmente altre specialità di competenza militare, e dove trovarle è sempre meno chiaro.

Certo, non è motivo per fomentare odio, ma nemmeno per gridare “tutto è perduto” prima della formidabile invasione di dodici democrazie.

Storia recente

La fine della Guerra Fredda e la percezione da parte delle élite politiche e militari occidentali di se stesse come vincitrici nello scontro di blocco completato hanno dato loro una falsa convinzione che la democrazia potesse essere promossa. Ha spronato i “falchi” negli Stati Uniti e NATO a promuovere la loro egemonia ed il colonialismo ideologico in violazione del diritto internazionale, utilizzando la forza militare per raggiungere i loro obiettivi.

Le avventure militari degli Stati Uniti e dei loro alleati continuano ancora oggi a causare danni irreparabili a Stati e intere regioni. Invece di aiutare a risolvere i problemi esistenti, la Casa Bianca alza intenzionalmente il livello di tensione, provoca situazioni di conflitto per ricevere dividendi geostrategici ed economici unilaterali.

Decine e centinaia di migliaia di vittime civili sono diventate un deplorevole risultato dei loro molti anni di azioni aggressive ingiustificate contro Stati sovrani. La comunità internazionale è scossa da ondate implacabili di crisi economiche. Di volta in volta, viene fatta luce sulla verità sui catastrofici problemi umanitari e ambientali causati dalle azioni di Washington. Le vittime della “democratizzazione” americana non possono ancora riprendersi dal danno loro causato. Il potenziale industriale degli Stati un tempo prosperi è in rovina. Molte centinaia di infrastrutture civili, centri religiosi, monumenti storici e architettonici sono stati distrutti.

E’ impossibile rimanere indifferenti alle perdite subite dalla Repubblica Federale di Jugoslavia a seguito dell’operazione NATO “Allied Force” (24 marzo – 10 giugno 1999). Oltre 2.000 civili, tra cui 88 bambini, sono stati uccisi dai Paesi della NATO in 78 giorni di barbari bombardamenti di infrastrutture civili.

La Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina è stata soggetta a simili illegalità internazionali durante l’operazione Deliberate Force dell’Alleanza (30 agosto-21 settembre 1995). Per l’economia, l’ecologia e la salute, la popolazione civile della regione balcanica ha subito danni irreparabili a causa dell’uso di munizioni all’uranio impoverito da parte degli Stati Uniti, le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi.

La macchina da guerra americana ha portato sofferenze indescrivibili nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Più di 205.000 civili sono morti a causa dell’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e degli alleati. Nel 2017, la città di Mosul è stata praticamente spazzata via dalla faccia della terra da bombardamenti a tappeto e bombardamenti, e in Siria la città di Raqqa è stata completamente distrutta, ma gli americani non solo non aiutano nel ripristino di ciò che loro barbaramente hanno distrutto, ma addirittura ostacolano in ogni modo possibile l’organizzazione di tale lavoro a livello internazionale.

Di conseguenza, anche con il calcolo più approssimativo, risulta che solo negli ultimi venti e passa anni alle vittime di aggressioni dei Paesi occidentali sono stati inflitti solo danni materiali per un importo pari a non meno di 1,5 trilioni di dollari. Washington e i suoi alleati non hanno ancora trovato il coraggio di assumersi la responsabilità per i loro globali atti criminali e risarcire il mondo per tutto ciò che hanno fatto.

Cultura

La settimana scorsa, alla veneranda età di 95 anni, è morta Gina Lollobrigida, la “bersagliera” del cinema italiano. Sfortunatamente, è venuta a mancare proprio nel giorno dell’arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro, per cui la notizia della dipartita è passata un po’ in secondo piano. E’ la strana legge del giornalismo moderno. Non c’è bisogno del nostro notiziario per ripercorrere la sua vita, compresi i due episodi politici, di quando, nel 1999, è stata candidata all’europarlamento col Partito Democratico, e alle ultime elezioni, nel 2022, al parlamento italiano con “Italia Sovrana e Popolare”. C’è invece un episodio legato all’Unione Sovietica.

Nell’estate del 1961, Gina Lollobrigida arrivò in URSS come superstar di livello mondiale. E’ stata una delle ospiti d’onore del Festival Cinematografico Internazionale di Mosca, ed è stato grazie a lei che quel festival è rimasto non solo nella storia del cinema, ma anche nella storia delle cronache di gossip.

Il caso è stato organizzato dalla Lollobrigida, con l’aiuto della direzione del festival e del ministro della Cultura sovietico Ekaterina Furceva. Il fatto è che Lollobrigida ha chiesto di organizzare per lei un incontro con Jurij Gagarin: un desiderio abbastanza comprensibile per quel tempo, quando letteralmente l’intero pianeta parlava del volo dell’uomo nello spazio. Gagarin aveva già parlato con i partecipanti al Festival, e poi ha dedicato diverse ore alla star del cinema italiano. Da quell’incontro sono uscite fotografie molto vivide con un bacio innocente che Lollobrigida dà a Gagarin.

“Nel suo sorriso e nel suo sguardo malizioso, almeno un po’, ma tutte le donne del pianeta erano innamorate. E io non ho fatto eccezione”, ricordava l’attrice.

Ha anche raccontato che Gagarin le aveva regalato una sua foto autografata con scritto: “Ho visto molte stelle nel cielo. Ma nessuna è come te”.

Non si sono più incontrati, ma quei momenti hanno dato origine alle chiacchiere dei tabloid occidentali, dichiarandoli una coppia.

Come che sia, eccovi un servizio d’epoca del 1961 dell’Istituto Luce, segnalatomi da un nostro spettatore affezionato, che ringrazio. Senza commenti, sul contenuto.

Economia

Eni annuncia una nuova significativa scoperta di gas nel pozzo esplorativo Nargis-1 situato nella concessione offshore Nargis nel Mediterraneo orientale al largo dell’Egitto.

Secondo Eni, il giacimento può essere sviluppato sfruttando la vicinanza delle strutture esistenti della Società.

L’Egitto ha recentemente aumentato la produzione di “carburante blu”, dal 2018 il Paese si è rifiutato di importare gas. Inoltre, il Cairo ha più volte parlato della sua intenzione di diventare un hub energetico regionale. A metà gennaio 2020 i Paesi del Mediterraneo orientale hanno siglato il primo accordo ufficiale sulla creazione di un forum del gas.

Eni ha scoperto il più grande giacimento di gas di Zohr nell’offshore egiziano nel 2015. La sua superficie è di 231 chilometri quadrati, le riserve potenziali sono stimate in 850 miliardi di metri cubi. Lo sviluppo del giacimento coinvolge partner nell’ambito dell’accordo di concessione Shorouk, in cui il 30% appartiene a Rosneft, il 10% all’inglese BP, il 10% a Mubadala Petroleum degli EAU e il 50% a IEOC (una controllata di Eni).

Il tasso di inflazione in Italia alla fine del 2022 ha raggiunto il massimo degli ultimi quasi 40 anni: 8,1%. Secondo l’Istituto italiano di statistica (Istat), tali cifre sono dovute all’elevato costo dell’energia.

“Nel 2022, i prezzi al consumo sono aumentati in media dell’8,1% nell’anno, che è l’aumento maggiore dal 1985 (allora era del 9,2%)”, afferma il documento. Gli esperti osservano che i prezzi dell’energia sono aumentati nel 2022 in media del 50,9%, mentre nel 2021 era del 14,1%.

Secondo l’ISTAT, il paniere dei consumatori (alimentari, prodotti per la casa e per la cura della persona) è cresciuto a dicembre del 12,6%.

L’ufficio di statistica prevede che l’inflazione in Italia sarà almeno del 5,1% nel 2023.

“A causa del caro energia e dell’inflazione nel 2022, le famiglie italiane sono state costrette a bruciare 41,5 miliardi dei loro risparmi nel tentativo di mantenere il loro tenore di vita”, secondo uno studio dell’Associazione degli imprenditori italiani Confesercenti.

Secondo le previsioni dell’associazione, la quota media delle spese domestiche in Italia per utenze (riscaldamento, luce) e abitazione ha raggiunto il 45,8% al mese dal 35% del 2019.

Il risparmio delle famiglie italiane quest’anno si ridurrà di altri 11 miliardi di euro. Le famiglie con redditi medi e bassi sono le più colpite. Per le famiglie meno abbienti – il 40% del totale, ovvero circa 10,5 milioni di famiglie – i costi fissi per utenze e abitazione quest’anno rappresenteranno circa la metà di tutte le spese mensili (49%).

Se si tiene conto anche dei costi di abbigliamento, bevande e cibo, la parte del bilancio familiare che viene spesa per i consumi obbligatori sale al 77% e meno di un quarto – il 23% - rimane per altri bisogni.

La crisi nell’UE ha portato a un cambiamento nelle abitudini di acquisto, anche per chi ha redditi leggermente più alti. Confesercenti stima che alla fine del 2023 il potere d’acquisto dei dipendenti sarà inferiore di 2.800 euro rispetto al 2021, mentre il potere d’acquisto dei lavoratori autonomi diminuirà di 2.200 euro.

Sono le conseguenze dell’inflazione, che aumenterà del 5,6% nel 2023, mentre i prezzi aumenteranno del 14,1% nel biennio 2022-2023.

Soprattutto le bollette sono aumentate del 45,5%, gli alimenti del 6,1%. In crescita anche la spesa per mobili, beni per la casa e servizi (+3%).

Gli italiani risparmiano su altro – riducono la spesa per svago, divertimento – del 24,6%, cibo (-20,6%), comunicazioni (-19,7%), istruzione (-17,3%), abbigliamento e calzature (-15,2%), trasporti ( -11,1%), bevande alcoliche e tabacchi (-9,7%), prestazioni mediche e spese sanitarie (-5,5%), altri beni e servizi (-11%).

“Covid, energia cara e inflazione negli ultimi tre anni hanno creato una rivoluzione negativa nei bilanci delle famiglie, determinando un vero e proprio crollo della spesa per la stragrande maggioranza delle commodities”, ha dichiarato la Presidente di Confesercenti Patrizia De Luis. A suo avviso, “un rallentamento della ripresa dei consumi avrà gravi conseguenze sulle prospettive di crescita del Paese”.

Editoriale

Anche questa settimana, ho partecipato a varie trasmissioni televisive e radiofoniche russe e italiane. Ve ne offro un sunto per la parte italiana.



Musica

La famosa, per la mia generazione, cantante Milva, “la Rossa”, scomparsa due anni fa, rese molto popolare una canzone di Franco Battiato, “Alexander Platz”, dedicata a Berlino est, quando era la capitale delle Repubblica Democratica Tedesca. Nel 1986, la cantò anche a Mosca, con grande successo.


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