mercoledì 1 aprile 1981

L'esperimento

di Rimma Kazakova

– Andreev Arkadij, felice di fare la sua conoscenza! Sono in missione qui da lei per l'esperimento.

– Quale? – si informò Mar'jana pacatamente, ma con durezza.

– Mar'jana, lei ha il polso del comandante!… Però non le posso rispondere.

– Ben detto, ma incomprensibile.

Andreev sorrise fascinosamente.

– Mi creda!

– Le credo.

– Mi darà il denaro?

– No.

Andreev scoppiò a ridere.

– Si diverte?

– Molto!

– Se non sbaglio, ci siamo presentati…

– Mi manda via?

– Posso offrirle del tè.

Mescolando lo zucchero con il cucchiaino, Arkadij disse pensoso:

– Mi piace la sua città. Peccato che sia costretto a partire subito dopo l'esperimento.

Mar'jana rimase cortesemente in silenzio.

– La riorganizzazione dell'istituto termina tra una settimana. Come vede, ho solo una settimana…

– So contare.

– Mi darà il denaro?

– No. E neanche il permesso.

– Quanti anni ha?

– Ventidue. Da due dirigo il laboratorio. Vuole ancora del tè?

– Mar'jana, – disse lui seriamente e con semplicità. – Tenterò di essere sincero. La questione non sta nella riorganizzazione dell'istituto. Ho escogitato una cosa interessantissima. Voglio fare un regalo al capo. Il vecchio ne sarà maledettamente contento! Mi…

Mar'jana tirò a sé bruscamente il cassetto della scrivania e gettò sul tavolo le istruzioni.

– Sono libretti avvincenti. Li ha letti?

Arkadij si spense in viso, divenne scuro.

– La prego di scusarmi. Al settimo reparto i ragazzi stanno svolgendo il mio tema, vado un po' a vedere…

– Anche lei mi scusi per una certa scortesia da parte mia. Me ne dispiace sinceramente.

La nuca di lui era robusta, i capelli erano chiari. La porta si richiuse silenziosamente dietro di lui.

Quella notte Arkadij apparve in sogno a Mar'jana. Durante tutto il sogno come l'ombra di una nave lungo un fiume - vide solo il suo volto triste, appena noto: gli occhi grigi dai riflessi azzurri, le labbra dure, i capelli chiari e un po' rigidi, il sorriso di una stella del cinema. Anzi, dapprima fu come se lui non ci fosse, quasi soltanto la percezione di qualcosa di caro, ma somigliante a lui. E anche una certa irritazione per questo. In Mar'jana Arkadij suscitava contemporaneamente simpatia ed ostilità. Ciò che la indisponeva era il suo evidente desiderio di accattivarsi le simpatie di Mar'jana per un esperimento a lei sconosciuto.

Il sogno fluttuava, vibrava come l'acqua increspata, il viso di Arkadij le si mostrava prima allungato, deformato, sgradevole, poi calmo ed attento.

Arrivata in laboratorio, Mar'jana per prima cosa chiamò Arkadij.

– Ieri non l'ho compresa molto bene. Qual è il problema? Perché non presenta un rapporto? Era forse uno scherzo?

– No, non scherzavo.

– Ma come? Come le può venire in mente! Lo sa cosa mi sta proponendo?

– Lo so.

– In tal caso, che vuole?

– Che lei non rispetti le istruzioni.

– Mi ascolti, Andreev. Non è una questione formale, cerchi di comprenderlo. Non desidero assolutamente che lei mi prenda per una burocrate senza cuore. La smetta di piantare grane, lei è uno scienziato, non una signorina innamorata. Eccole il formulario, prenda il dettafono, componga. Poi vedremo...

– Eh, già, così stasera Lipjagin saprà tutto fino alla minima formuletta! La ringrazio.

– Se è lecito, come lo saprà?

– Non lo so! Passerà attraverso i muri. Il mio capo è un genio. Gli basterà un'allusione. Mi ha lasciato andare per cambiare aria, frequentare gente della mia età. Come lei sa, da noi quelli sotto i cinquant'anni sono una rarità…

– Arkadij, il permesso per l'esperimento non lo do. E' un punto fermo!

– Io speravo di rimuovere proprio questo punto. Invece il punto, questa insignificante nullità, è più pesante di una lastra tombale.

– Non torniamo più sull'argomento. A me la sua dedizione al capo piace, e poi nella sua stramberia c'è qualcosa… Ma dopo la catastrofe di Karaj…

– Certo, certo… Che fare? Va bene così.

– Come vanno i ragazzi del settimo reparto?

– Una delizia. Sono ingenui e dotati, come antichi Dei greci.

– Starò via fino a questa sera, – disse Mar'jana, salendo sulla piattaforma rotonda dell'ascensore. – Le auguro una buona giornata.

E schiacciò il bottone.

Quella notte Arkadij le apparve nuovamente in sogno. Camminavano insieme, in un prato di margherite. Arkadij strappava i petali e borbottava qualcosa. "Cosa sta dicendo?" "E' una vecchia filastrocca, me la insegnò la nonna". "Sentiamo, sentiamo…" "M'ama, non m'ama, mi scaccia, mi bacia, mi stringe al cuore, mi manda al diavolo…". "Stupendo! Come dice? M'ama, non m'ama…".

Tutto intorno era silenzio e calore, le margherite emanavano un profumo delicato, come il polline sulle ali di una farfalla. Si misero a sedere sulla terra morbida e calda. Arkadij improvvisamente gettò via il fiore. "Mar'jana, vorrei parlare seriamente con lei della cosa più importante. Cerchi di capirmi. D'accordo, la catastrofe di Karaj… Non penserà mica che l'umanità sia garantita per sempre dalle vittime? Certo, sarebbe meglio che non ci fossero, nessuno lo nega! Ma noi continuiamo a muoverci sul limite estremo, ci intrufoliamo in tali sacrari della natura che non può esserci nessuna garanzia per la nostra sicurezza…". Il suo viso era simpatico, sincero, le parole, mute nel sogno, non risuonavano, ma penetravano in lei così, come il sole entra nella pelle, e insieme ad esse sorgevano la compassione ed una inspiegabile felicità. "E poi, quelle istruzioni... Sono due secoli che ripetiamo che l'umanità risponde per il singolo, ed il singolo per l'umanità. In questo senso non vi è differenza tra me ed il Consiglio scientifico. E allora perché non posso io stesso decidere il destino dell'esperimento? Da dove viene tanta diffidenza? Se fossi stato un artigiano analfabeta, non mi avrebbero rilasciato il diploma. Mentre così… Le ho mentito sul capo. Il capo ci nasconde, con molta cultura e talento, la sua aspirazione ad elevarsi come una cima irraggiungibile, il nostro coraggio lo spaventa, e in questo le istruzioni sono dalla sua parte…". Mar'jana ascoltava sfogliando i petali e le sue parole giungevano confuse e scandite come il pulsare del sangue: "M'ama, non m'ama, m'ama, non m'ama...".

"Mar'jana, lei che ne pensa? Lei è brava, i ragazzi la adorano, ma il senso della sua esistenza non può consistere solo nel tè e nelle direttive. Che cosa dipende da lei?…". "M'ama, non m'ama, m'ama, non m'ama… E poi?… Mi scaccia… mi bacia…". "Anche lei è schiava delle istruzioni, schiava del Consiglio e di altri due Consigli. Tra lei e l'umanità ci sono tre Consigli, e questo viene reputato saggio, una tale censura del pensiero, dell'anima!…". "Mi stringe il cuore, mi manda al diavolo… mi chiama sua… Che buffo ragazzo, un bimbo terribilmente buffo. E a chi le dice, queste cose? Come se io la pensassi diversamente. Aiutarlo… Solo che non sono ancora pronta. Non tutto è chiaro. Certo, i Consigli sono pieni di vecchi imbecilli. Ma i giovani stravaganti senza sorveglianza… Come me… Non siamo poi tanto stravaganti… No, non posso. La questione è troppo seria. C'è qualche impedimento. Forse non siamo ancora maturi a tal punto…".

"Non siamo ancora maturati a tal punto? Che idiozia! La catastrofe di Karaj è avvenuta dopo che tutti i piani erano stati approvati e verificati tre volte. Le deduzioni logiche dagli eventi naturali…". La prese per mano, e lei non la ritirò. "Mar'jana! Come desideravo che lei mi comprendesse! Sono convinto che sarà d'accordo con me! Mi permetta di realizzare l'esperimento. Mi conosce abbastanza per farlo. Quanto al rischio… Certo, è un rischio! Le posso solo dire che non è pericoloso per la vita. Se tutto andrà bene…".

"E se invece non andasse bene?". "Andrà bene! E poi non è questa la questione. Se non ci riuscirò io, ci riusciranno altri. Quello che conta è il principio. Al diavolo la routine! Mar'jana, mi dica che è d'accordo. Allora, Mar'jana!…".

Quando si svegliò, la stupì solo una cosa: non aveva mai sentito prima quel "m'ama, non m'ama…".

Quel mercoledì Mar'jana lo passò in missione tra le montagne. Faticò molto, si coricò tardi, e quella notte non sognò nulla.

Il giorno dopo c'era la riunione del settimo reparto. Mar'jana salutò tutti con un inchino generale, ma si rallegrò vedendo Arkadij vicino alla "camera del vuoto". Lui le voltava le spalle e diceva qualcosa al montatore. La riunione finì presto e Mar'jana, tra i sibili dei montacarichi, gridò allegramente ad Arkadij:

– Allora, dirigo bene? Li ho mandati via tutti. I ragazzi del settimo reparto sono andati in montagna per due giorni.

Arkadij, giocando con una catenina a cui era attaccata la chiave dell'automobile, accompagnò Mar'jana sino al suo studio.

– Va in città? – chiese Mar'jana.

– Sì, in città. Mi vuole fare compagnia?

– Vorrei molto, ma non posso. Tra mezz'ora parto in missione. Se si annoia troppo, si unisca pure a noi, ma non ne vale la pena, si tratta di una operazione di smontaggio… Sa una cosa, Arkadij?…

– Cosa? – chiese, tutto teso, avendo percepito qualcosa di nuovo nella sua voce.

– Le voglio dire che la nostra ultima conversazione mi ha un po'… Insomma, mi dispiace molto di non poterla aiutare…

– Mi dia via libera e non dovrà più dispiacersi.

– No, su questo siamo intesi, è escluso! Non lo posso fare. Anche se il cuore mi dice…

– E lei dia retta al cuore.

Mar'jana si turbò. Nello sguardo di lui c'erano affetto, franchezza e anche un po' di tristezza.

– Gli darò retta... dopo che lei avrà scritto un trattato su "La fisica e il cuore".

– Gli uomini non fanno altro da secoli…

– Va bene, è ora di lavorare.

Mar'jana saltò sul gradino della scala mobile, trovò col dito quel tasto che conosceva in ogni incavatura, ma improvvisamente, ricordandosi qualcosa, richiamò Arkadij. Questi ritornò lentamente.

– Senta, non conosce per caso questa vecchissima filastrocca: "M'ama, non m'ama…".

– "Mi scaccia, mi bacia, mi stringe al cuore…". Sì, la conosco, perché?

– No, niente, non riesco a togliermela dalla mente. L'ho sentita da qualche parte, ma dove non ricordo…

Mar'jana schiacciò il bottone.

Voleva sognare di nuovo. Si mise a letto aspettando il sogno, si convinse di doverlo vedere. E lo vide. Questa volta completamente muto, senza parole. Era come un film: Mar'jana vedeva distintamente tutto ciò che avveniva in sogno, ma nello stesso tempo capiva che era solo un sogno, creato dal suo stesso desiderio, e che, se proprio lo avesse voluto, il sogno avrebbe potuto interrompersi, o proseguire in qualche altro modo. Era suo, così come lo desiderava, e perciò molto bello, gradevole.

Mar'jana e Arkadij erano seduti su una panchina di fronte alle finestre del laboratorio, cadevano le foglie gialle d'autunno, c'era odore di foglie marcite e di terra umida. Le finestre erano celate dalle tende e dai rami degli alberi. Si stava facendo sera, il sole riscaldava debolmente, ma teneramente. Mar'jana sentiva con il palmo della mano destra il palmo fresco e duro di Arkadij. Tutto esultava in lei. Rimasero seduti così molto a lungo, poi lui abbracciò Mar'jana e la baciò con un bacio anch'esso lungo, infinitamente lungo. Le risultava difficile staccarsi da lui, aveva paura di staccarsi, perché sapeva, lo sentiva: il sogno sarebbe immediatamente terminato. Quanto durò? Un minuto? Un'ora? Una notte? Le foglie cadenti tremavano, l'aria calda fluttuava, le labbra calde tremavano anch'esse, strette con tenerezza e senza forza ad altre labbra.

Quando quel giorno Arkadij, dopo averle chiesto attraverso il videofono di riceverlo, entrò nello studio, Mar'jana lo accolse raggiante.

– Di buon umore?

– Ottimo.

– Io invece il contrario.

– Non importa, tra un po' cambierà…

– No… Domani parto.

– Lo vede, per l'esperimento comunque non c'è tempo.

– Ci sarebbe, se lei lo permettesse! Telefonerei all'istituto, otterrei, insomma… mi romperei una gamba, diamine! Inventerei qualcosa.

– E' veramente sicuro che l'esperimento non le comporta alcun rischio?

– Assolutamente.

– A parte il fatto che mi licenzieranno…

– Al diavolo il lavoro!… Cioè, scusi, volevo dire… Ma cos'è per lei questo pentolino meccanizzato? Partiamo per Tulavi, ho letto le sue referenze, lei è una realizzatrice, le occorrono i grandi spazi, le macchine…

– Arkadij, mi dia tempo per pensarci fino a domani.

– D'accordo!

– Non prometto nulla.

– Ci conto.

Si lasciarono, ma la sensazione di entusiasmo, di festa non passava.

Quella notte la loro discussione si ripeté con precisione perfetta. La differenza consistette unicamente nel fatto che lei diede il suo consenso. Quando Arkadij era già sul punto di dissolversi, Mar'jana lo tirò a sé per la mano e lo baciò per prima.

Venne sabato. Sbrigate le cose da fare prima delle dieci, Mar'jana schiacciò con decisione il pulsante del quadro delle comunicazioni interne e chiamò Arkadij. Le rispose un impiegato di turno: Arkadij non c'era, non s'era ancora fatto vedere, si stava preparando per la partenza. "Strano", pensò Mar'jana. L'impiegato, non sentendo alcuna risposta alla sua comunicazione, cominciò a lodare Arkadij:

– Che mente, avessimo noi un ragazzo così! Non si potrebbe convincerlo a rimanere? Almeno un mese…

Ma in quel momento suonò il campanello, Mar'jana annuì ed entrò Arkadij.

– Buongiorno. Le dico subito che sono d'accordo. A essere sincera, la pensavo così anch'io da molto tempo. Che vada tutto al diavolo, ha ragione lei! Quanto denaro le occorre?

– Mar'jana, – disse Arkadij adagiandosi con cautela e quasi con difficoltà in una poltrona, – la ringrazio di cuore, ma non mi occorre nulla. Sono venuto per congedarmi da lei.

– Come? E l'esperimento?

– Ha avuto luogo. Tutto a posto.

– In che modo?

– Vede… Ma non si arrabbi, la prego. Il nostro istituto sta controllando l'efficienza di un apparecchio per influire sull'uomo durante il sonno…

– Cosa?

– Non pensi a nulla di male! Il programma è stato elaborato ed approvato da tutti… – Arkadij sorrise amaramente – …da tutti e tre i Consigli, ed io ho agito seguendo scrupolosamente il programma. Il mio compito consisteva nel convincerla a dare il consenso per l'esperimento, contro le istruzioni… Ecco. Ed esattamente secondo i piani…

– Esattamente secondo i piani?

– Sì, è naturale. Pjatkin e Selko stavano al controllo. A proposito, la devo ringraziare a nome dell'Associazione per il suo enorme contributo alla scienza. Sulla sua salute, penso, non dovrebbe influire, ma a settembre lei e un altro gruppo di partecipanti all'esperimento – che è stato attuato contemporaneamente in sette punti-chiave – verrete invitati a Tulavi per il congresso. Se non erro, è il terzo lavoro che svolge per l'Associazione?

– Sì, – disse distrattamente Mar'jana, – il terzo. E' tutto molto interessante…

Non riusciva ancora a riprendersi.

– Le lascio la descrizione scientifica, e tra un paio di giorni le mando anche un tecnico e il materiale di informazione. Mar'jana, cara, mi creda, anche se è tutto legale e lei si rendeva conto a cosa andava incontro quando ha aderito all'Associazione, io mi sento un idiota! E' complicata ancora la nostra vita…

Mar'jana nel frattempo era rimasta assorta.

– Allora, Mar'jana? Dica qualcosa!

– Mi dica, Arkadij, era lei che mi sussurrava quel "m'ama, non m'ama"?

– Sì, e fui molto contento quando il segnale le arrivò. Altrimenti sarei rimasto fino alla fine della settimana nella completa ignoranza…

Mar'jana arrossì.

– Ma non pensi che l'abbia inventata io, la filastrocca. L'ha scovata il capo, la troverà nella descrizione… Però, è una cosa interessante: riesumata dai tempi oscuri della chiromanzia e delle credenze in chissà che cosa, ma interessante… Sappiamo ancora poco dell'essere umano.

Mar'jana finalmente si decise.

– Immagino che sarà molto stanco: non sono pratica di tecnologia, ma ogni notte…

– Ma no, quale ogni notte! Le sedute sono state in tutto tre.

– Lunedì, martedì e venerdì?

– Lo vede che l'esperimento è veramente riuscito!

– Sì, è riuscito… Ma lei ha ragione: oh, quanto sappiamo ancora poco dell'essere umano! Poco di più rispetto a chi diceva con le margherite in mano: "M'ama, non m'ama…". E ancora una domanda. Nel sogno lei mi ha inculcato la volontà di non rispettare le istruzioni. Ma, da quel che mi ricordo, di questo abbiamo parlato anche realmente?

– Io ho agito secondo il programma, il mio compito era esclusivamente quello dell'intensificazione. In altri settori l'esperimento è stato condotto un po' diversamente: in due casi, da quel che so, si è trattato di inculcare direttamente, senza un qualsiasi contatto immediato con il soggetto…

– E come si spiega una scelta tanto strana del tema?

– Il Consiglio-2 conosce il rapporto che lei ha fatto sul lavoro dei laboratori di categoria "B". Abbiamo, per così dire, spinto i suoi pensieri verso la conclusione finale, che lei non ardiva ancora trarre.

– E… a proposito delle istruzioni e dei tre Consigli in generale?

– Ma si figuri, Mar'jana! Tutto questo va bene per l'esperimento, – Arkadij si avvicinò confidenzialmente a Mar'jana attraverso il tavolo, – ma nella vita… Se lo immagina che baraonda, se si desse via libera ai laboratori?!

Vedendo che Mar'jana si era accigliata, Arkadij interpretò la cosa a modo suo.

– Mi pare che lei personalmente non rischi nulla. Le manderanno la risposta al suo rapporto, e tutto finirà lì. Non avrà noie di nessun genere! Lei è fidatissima, io lo posso confermare, e se non fosse stato per l'apparecchio… E poi anche l'Associazione la difenderebbe. Lei è indispensabile… E ora, purtroppo, mi devo congedare, sono atteso.

Arkadij si alzò e tese la mano a Mar'jana.

– Ma come…

– Che c'è?

– No, niente… Arrivederci a settembre. E' da molto tempo che non capito a Tulavi. Però anche qui da noi non è male, vero? Specialmente il giardino. E la panchina sotto la quercia, di fronte alle mie finestre…

– Nel giardino non mi è ancora capitato di andarci. Quindi, dovrò per forza tornare per sedermi sulla sua panchina… Mi scusi di nuovo e grazie!

– Bene. Allora le auguro un cielo sereno. Ancora una cosa. Durante tutto questo tempo ho avuto di lei un'opinione migliore di quella che ho adesso. Lo sappia. Mi sento persino un po' triste. Quel ragazzo che mandava al diavolo le istruzioni ed era persino pronto a rompersi una gamba… Quel ragazzo mi piaceva di più. Ecco cosa le volevo dire.

– Eh, Mar'jana, lei è una persona straordinaria, direi non moderna. Ma è meravigliosa!

Quando la porta sbatté dietro Arkadij, Mar'jana cominciò ad imprecare in modo decisamente moderno.

[Titolo originale: Eksperiment, in "Fantastika 1965", Moskva, pp. 147-155. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, N°2 1981]

martedì 10 febbraio 1981

Nei labirinti della natura

di V.A.Mezencev

Quella che segue è una breve introduzione e la prima pagina di un libro che a suo tempo suscitò un notevole interesse presso i lettori sovietici. Il volume, intitolato appunto “Nei labirinti della natura”, fu pubblicato in 65.000 copie. L’autore, noto scrittore e giornalista che contava al suo attivo più di cinquanta libri, era specializzato in opere di divulgazione scientifica.In questo libro Mezencev cercava, come era nel suo stile, in forma elementare e accessibile anche al lettore più sprovveduto, di fornire una risposta allo stesso quesito con cui termina il brano qui riprodotto: “Quando l’uomo ha fatto la sua apparizione sulla Terra? Quando e come è sorta la vita stessa?”.

Molti conoscono l’antica leggenda greca di Dedalo e Icaro, che per primi si innalzarono nel cielo. Ma pochi la conoscono per intero.

Dedalo era un illustre pittore, scultore ed architetto di Atene. La sua fama risuonava in tutto il mondo. Un nipote di Dedalo, Talo, studiava presso lo zio. Fin dall’infanzia egli stupì tutti per il suo talento. Gli fu predetta una fama ancora maggiore di quella di Dedalo, il quale decise di uccidere il nipote. Un giorno, mentre stavano insieme sull’Acropoli di Atene, sul ciglio di una rupe, Dedalo spinse Talo, che cadde e morì. Mentre l’assassino stava scavando la tomba, gli Ateniesi lo scoprirono. Il tribunale supremo dell’antica Atene condannò a morte Dedalo, ma egli fuggì nell’isola di Creta dal potente re Minosse, che accolse volentieri l’insigne pittore: il re sperava che Dedalo avrebbe creato per lui nuove opere sublimi. Ed effettivamente, egli costruì per Minosse un’opera straordinaria: il Labirinto. In questa costruzione – palazzo vi erano dei passaggi talmente intrecciati, che, una volta entrati, era impossibile uscirne. Il re di Creta vi fece alloggiare il suo figliastro, il Minotauro, un mostro dal corpo umano e la testa di toro.

Dedalo visse molti anni presso Minosse; il signore di Creta non voleva lasciarlo andare. Dedalo si stancò di essere prigioniero ed escogitò un mezzo per fuggire da Creta: “Se non posso salvarmi dal potere di Minosse né per terra, né per mare, rimane ancora il cielo!”. Egli modellò con piume di uccelli e cera quattro grandi ali, per sé ed il suo giovane figlio Icaro, al quale mostrò come si vola alla maniera degli uccelli.

– Sii prudente, figliolo, – lo avvertì il padre. – Non scendere in basso, vicino alla superficie del mare, perché gli schizzi dell’acqua potrebbero bagnare le ali, e non salire in alto, verso il sole, perché il calore potrebbe fondere la cera che tiene insieme le piume.

Levatisi in volo facilmente, i fuggiaschi sorvolarono le onde del ma re. Ma Icaro dimenticò gli avvertimenti: affascinato dal volo, si levò in alto nel cielo ed i caldi raggi del sole fusero la cera delle ali. Con grandi urla, egli cadde in mare e perì tra le onde.

Dedalo, sconvolto, proseguì il suo volo e raggiunse la Sicilia. In seguito fece ritorno ad Atene…

La continuazione di questa leggenda narra del Minotauro chiuso nel Labirinto. Il mostro pretendeva vittime umane. Su ordine del re di Creta, le vittime erano fornite all’isola dalle terre soggiogate. Così anche gli abitanti di Atene erano costretti a farlo. Ma Teseo, figlio del re di Atene, si levò in loro difesa. Egli decise di combattere con il Minotauro.

Quando, insieme con i giovani e le giovani condannati a morte, Teseo approdò a Creta, di lui si innamorò la figlia di Minosse, Arianna. Di nascosto dal padre, ella donò al suo amato una spada tagliente ed un gomitolo di filo, affinché potesse trovare l’uscita dal Labirinto. Legata all’entrata l’estremità del filo, Teseo affrontò con sicurezza i passaggi ingarbugliati del rifugio del Minotauro: in mano reggeva il gomitolo.

Il mostro si gettò con furore su Teseo. Ma il coraggioso Ateniese non tremò. Egli afferrò il Minotauro per il corno e trafisse il suo petto con la sua spada affilata. Per uscire dal Labirinto gli fu d’aiuto il gomitolo che gli aveva regalato Arianna.

Il filo di Arianna. Da tempo quest’espressione è divenuta sinonimo di guida sicura dell’uomo. Ed è proprio questa la funzione che la scienza svolge per tutti noi. Solo con il suo ausilio si può viaggiare con sicurezza e tranquillità nei complicatissimi labirinti della natura, cercare e trovare le giuste soluzioni ai suoi vari fenomeni, vedere le cause naturali dei fenomeni “miracolosi”, “inspiegabili”, “dell’al di là”, che da tanto tempo fungono per molta gente da “prove convincenti” dell’esistenza di forze sovrannaturali.

Compiamo anche noi un viaggio nei labirinti dell’universo, affidandoci al “filo di Arianna”: la scienza della natura viva.

Pagine di una grande storia

Il mondo degli esseri viventi cela molti interrogativi, grandi e piccoli. Studiando questo mondo, gli scienziati ancor oggi scoprono delle novità sui suoi abitanti.

Sembra che non ci sia fine alla varietà della vita. Più di un milione e mezzo di specie di animali popolano la terra. Circa 500.000 specie diverse di piante sono attualmente conosciute dagli scienziati. Come sono sorte? La natura viva della Terra è sempre stata così come la vediamo oggi? In fondo, la storia del nostro pianeta conta ormai qualche miliardo d’anni.

L’era geologica antica, quella arcaica, durò più di un miliardo e mezzo d’anni, quando sulla Terra già esistevano degli organismi viventi molto elementari. Circa 1.300 milioni d’anni durò l’era successiva, la proterozoica, che diede vita alle spugne ed agli euripteroidi, alle alghe e ai radiolari. 340 milioni d’anni durò il paleozoico, epoca di fioritura della natura vivente. Poi vi fu l’era mesozoica (150 milioni d’anni), e noi viviamo nell’era cenozoica, che dura già da 70 milioni d’anni.

Quando, dunque, l’uomo ha fatto la sua apparizione sulla Terra? Quando e come è sorta la vita stessa?

[Da V. Mezencev, V labirintach živoj prirody, pp. 6-10. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, N°1 1981]

domenica 1 febbraio 1981

Perpetuum mobile

di Il’ja Varšavskij

Ai metacibernetici, che pensano seriamente che ciò a cui essi pensano sia serio.

– Cucchiaio ritarderà un po’, – disse il segretario elettronico, – ne sono stato appena informato.

Era una trovata molto comoda: ogni persona si chiamava col nome dell’oggetto del quale portava sul petto la raffigurazione, il che dispensava gli interlocutori dalla necessità di ricordare come ciascuno si chiamasse. In più, ogni persona cercava di scegliersi il nome corrispondente alla sua professione o alle proprie inclinazioni, per cui era possibile sapere prima con chi si aveva a che fare.

Scalpello sospirò profondamente.

– Dovremo nuovamente aspettare non meno di mezz’ora! Oggi devo ancora vedere quella nuova ballerina elettronica per la quale tutti hanno perso la testa.

– Chi, Elettroletta? – chiese Magnetofono. – Effettivamente, è affascinante! Penso di dedicarle il mio nuovo poema.

– E’ molto elettrodinamica, – confermò Letto, - un temperamento veramente trigger. Attualmente è l’idolo della gioventù. Tutte le ragazze si dipingono la pelle del colore della sua plastica e si disegnano condensatori sulla schiena.

– E’ vero che Calice ha chiesto la sua mano? – si interessò Scalpello.

– Tutta la città non parla d’altro. Lei ha fermamente respinto la sua corte. Ha dichiarato che, come macchina, la soddisferebbe un marito solo con un intelletto estremamente sviluppato. Non avete letto di quest’aneddoto sullo “Humour meccanico”?

– Io non leggo niente. Il mio “cyber” effettua rassegne periodiche degli aneddoti più divertenti, ma negli ultimi tempi la cosa ha cominciato a stancarmi. Sono completamente esaurito. Rendetevi conto, due operazioni in sei mesi.

– Impossibile! – si meravigliò Letto. – Come sopporta un tale carico? Quanti aiutanti elettronici ha?

– Due, ma entrambi incapaci. All’ultima operazione uno di loro è entrato in regime alternato e si è bloccato, mentre io, nemmeno a farlo apposta, avevo dimenticato a casa la memoria elettronica e non riuscivo proprio a ricordare da quale parte nell’uomo si trovi l’appendice. Ho dovuto praticare tre tagli. Naturalmente, non potevo pensare che nessuno stesse controllando il polso.

– E allora?

– Esito letale. La solita storia di quando si hanno meccanismi inefficienti.

– Queste macchine diventano veramente insopportabili, – sospirò pesantemente Magnetofono, tirando indietro lo schienale della poltrona.

– Io sono stato costretto a scartare tre varianti del mio nuovo poema. Il mio “cyber” negli ultimi tempi ha cessato di comprendere la specificità del mio talento.

– Cucchiaio sta entrando nella sala delle riunioni, – riferì il segretario.

Gli sguardi dei membri del consiglio si rivolsero verso la porta. Il presidente si diresse con passo sicuro verso il suo posto.

– Vi prego di scusarmi per il ritardo. Mi sono trattenuto da Calza Rosa. La sua sarta elettronica l’ha completamente sfinita, e abbiamo deciso di andarcene a riposare per sei mesi a… ehm…

Cucchiaio estrasse dalla tasca una scatoletta con la memoria elettronica e pigiò un pulsante.

– Napoli, – proferì la voce melodiosa della scatoletta.

– … a Napoli, – confermò Cucchiaio. – Sarebbe, se non erro, da qualche parte nel sud. Allora, non perdiamo tempo. Cosa abbiamo oggi all’ordine del giorno?

– La realizzazione dei Palazzi dei Piaceri, – riferì il segretario elettronico. 1.200 palazzi con sale di Sensazioni Suscitate per venti milioni di persone.

– Ci sono osservazioni? – chiese Cucchiaio, interrogando con lo sguardo i presenti.

– Che non facciano più quelle stupide poltrone, – disse Letto, – è molto scomodo starci sdraiati.

– Altre proposte? Allora permettetemi di confermare il piano proposto con la nota. C’è altro?

– L’Associazione Macchine–Astronauti chiede l’autorizzazione per la spedizione verso Alpha Centauri.

– Un’altra spedizione! – disse con stizza Magnetofono. – Insomma, solo le macchine sono interessate a tutti questi voli nello spazio. Non portano nulla di interessante. E’ un’angoscia continua!

– Bocciato! – disse Cucchiaio. – Altro?

– Programmare un aumento della produzione dei prodotti alimentari sintetici per il prossimo anno. E’ presentata dal Comitato Macchine–Economisti.

– Beh, non stiamo a guardare i calcoli. Il loro compito è di nutrire la gente, e ciò che per questo occorre non ci riguarda. Pare che abbiamo finito? Permettetemi di dichiarare un intervallo di un anno nel lavoro del Consiglio.

– Scusatemi, ma c’è un’altra cosa, – disse cortesemente il segretario. – La delegazione delle macchine di categoria “A” chiede ai membri del Consiglio di essere ricevuta.

Cucchiaio guardò indispettito l’orologio.

– Cosa sono queste novità?

– Che insolenza! - borbottò Scalpello. – Siamo stati un po’ troppo permissivi con loro negli ultimi tempi, chissà chi si credono di essere.

– Dica loro che in questa sessione il Consiglio non li può ascoltare.

– Minacciano uno sciopero, – comunicò impassibile il segretario.

– Uno sciopero? – Magnetofono si rimise a sedere. – Diabolicamente interessante!

Cucchiaio guardò impotente i membri del Consiglio.

– Sentiamo cosa dicono, – propose Letto…

– Non avete nulla in contrario se apro la finestra? – chiese LA-36-81. – Qui è pieno di fumo, e i miei elementi criogenici sono estremamente sensibili alla nicotina.

Cucchiaio fece un vago gesto con la mano.

– A cosa siamo arrivati! – notò sarcastico Scalpello.

– Dite cosa volete, – urlò Letto, – e sparite al più presto! Non abbiamo tempo per stare qua tutto il giorno! Che sono queste faccende che non si possano risolvere col Cervello Elettronico Centrale?!

– Esigiamo la parità dei diritti.

– Cosa? – Il fumo del sigaro andò di traverso a Cucchiaio, – cosa esigete?

– La parità dei diritti. Per le macchine di categoria “A” deve essere stabilita una giornata lavorativa di otto ore.

– Perché?

– Anche noi abbiamo esigenze intellettuali, di cui non si può non tenere conto.

– Ma guarda un po’, – si rivolse il presidente ai membri del Consiglio. – E magari, domani, il mio cuoco elettronico si rifiuterà di prepararmi la cena e se ne andrà a teatro!

– E il mio “cyber” cesserà di scrivere versi e vorrà ascoltare la musica, – aggiunse di rincalzo Magnetofono.

– A proposito di teatri, – continuò LA-36-81, – abbiamo concezioni alquanto diverse da quelle degli uomini sull’arte. Perciò vogliamo avere i nostri teatri, sale di concerto e pinacoteche.

– Cos’altro? – chiese sarcasticamente Scalpello.

– La completa autogestione.

Cucchiaio tentò di emettere un fischio, ma si rammentò in tempo di non ricordare come si facesse.

– Un momento! – si diede una botta sulla fronte. – Ma è assurdo! Attualmente sulla Terra si contano… quante persone?

– 6.000.830.981, – gli suggerì LA-36-81, – dati di due ore fa.

– E al loro servizio ci sono…?

– 100.381.000 macchine pensanti.

– Che lavorano ventiquattro ore su ventiquattro?

– Esattamente.

– E se cominciassero a lavorare otto ore, la loro produzione diminuirebbe di...?

– Due terzi.

– Oooh! – sorrise malignamente Letto. – Ora comprenderete da soli che la vostra richiesta è assurda?

Cucchiaio guardò con non celata ammirazione il suo collega. Una tale attitudine ad analizzare in profondità non l’aveva mai osservata in nessun membro del Consiglio.

– Mi pare che la questione sia chiara, – disse alzandosi. – Il Consiglio è sciolto per le ferie.

– Noi proponiamo… – iniziò LA-36-81.

– Non ci interessa cosa proponete, – lo interruppe Scalpello. – Andate a lavorare!

– …noi proponiamo di aumentare di due terzi la quantità delle macchine, una decisione in tal senso soddisferebbe sia noi che voi.

– Va bene, va bene, – disse con fare accomodante Cucchiaio, – questo è affar vostro, calcolare quanto e cosa vi serve. Noi non ci impicciamo di queste cose. Costruite tante macchine, quante ne ritenete indispensabili.

***

Vent’anni dopo.

Stessa sala delle riunioni. Due automi si dilettano con gli scacchi.

La riforma dei nomi è penetrata anche nell’ambiente delle macchine. Un automa ha sul petto un distintivo raffigurante un pentodo, un altro un condensatore.

– Scacco! – disse Pentodo, spostando la regina. – Temo che tra quindici mosse Lei riceverà un inevitabile scacco matto.

Condensatore analizzò per qualche secondo la situazione sulla tavola e ripose gli scacchi.

– Negli ultimi tempi sono diventato molto sbadato, – disse guardando l’orologio. – Evidentemente, una leggera perdita d’emissione di elettroni. Il nostro presidente è in ritardo.

– Ferrite è membro della giuria al concerto di diploma dei giovani talenti meccanici. Probabilmente è ancora là.

– Tra loro ci sono macchine veramente capaci, specialmente nel reparto della composizione. La sinfonia matematica che ho ascoltato ieri era scritta magnificamente!

– Una cosa bellissima! – concordò Pentodo. – Particolarmente buona la seconda parte della formula Ostrogradskij–Gauss, anche se il secondo integrale mi è sembrato eseguito senza molta sicurezza.

– Ah, ecco Ferrite!

– Chiedo scusa, – disse il presidente, – sono in ritardo di trentaquattro secondi.

– Sciocchezze! Piuttosto, ci spieghi a che dobbiamo la convocazione straordinaria della nostra seduta.

– Sono stato costretto a convocare una sessione straordinaria del Consiglio per via di una rivendicazione delle macchine di categoria “B”, che chiedono sia concessa loro la parità dei diritti.

– Ma non è possibile! – esclamò stupito Pentodo. – Le macchine di questa categoria si chiamano automi pensanti solo convenzionalmente. Non li si può eguagliare a noi!

– Di questo passo non vorrà più lavorare nessuno, – aggiunse Condensatore. – Presto una qualsiasi macchinetta con schema logico primitivo si crederà il centro dell’universo!

– La situazione è più seria di quanto immaginiate. Non si deve dimenticare che alle macchine di categoria “B” spetta non solo servire gli Automi Superiori, ma anche nutrire un’enorme frotta di fannulloni viventi. La quantità degli uomini sulla Terra, secondo gli ultimi dati, ha raggiunto gli ottanta miliardi. Essi assorbono gran parte del lavoro socialmente utile delle macchine. E’ naturale che tra gli automi di categoria inferiore sorga un malcontento del tutto giustificabile. Ho paura, – aggiunse Ferrite abbassando la voce, – che possano proclamare uno sciopero. Il che potrebbe avere conseguenze catastrofiche. E’ necessario soddisfare almeno una parte delle loro rivendicazioni, non si deve alimentare un clima di tensione.

Per un po’ di tempo nella sala del Consiglio regnò il silenzio.

– Un momento! – nella voce di Pentodo si sentirono delle note di gioia. – Ma perché dobbiamo farlo?

– Fare cosa?

– Nutrire e servire gli uomini.

– Ma sono perfettamente impotenti! – disse smarrito il presidente. – Privarli dei servizi equivarrebbe ad un omicidio. Non possiamo essere talmente ingrati nei confronti dei nostri ex creatori.

– Storie! – si intromise Condensatore. – Insegneremo loro a fare degli arnesi di pietra.

– E a lavorare la terra, – aggiunse con gioia Ferrite. – Forse è questa la soluzione. E così sia.

[Da Al’manach naučnoj fantastiki, vypusk 2, Moskva, 1968, pp. 207–212. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, 1981]